di Antonio Albanese
Alfonso Maria di Nola nasce a Napoli il 9 gennaio 1926 da una famiglia napoletana, le cui lontane origini ebraiche sono perdute nel tempo, mai da lui dissimulate, anzi apertamente proclamate anche quando l’Italia fascista promulgò, sulla scia della Germania, le leggi razziali. Studioso e lettore infaticabile, fin da ragazzo inizia a interessarsi al tema della religiosità con un approccio dichiaratamente laico derivante dall’esperienza di lotta e dalla formazione marxiana acquisite durante gli anni Quaranta, periodo in cui viveva e lottava accanto agli operai dei pastifici di Gragnano, condividendo con loro battaglie volte a denunciare le condizioni disumane nelle quali vivevano ed erano costretti a lavorare. Quest’ambiente diviene, come egli stesso scrive: «la mia università, un’autentica scuola di vita».
Durante gli anni trascorsi al liceo Plinio Seniore di Castellammare di Stabia, acquisisce i primi rudimenti del marxismo, da insegnanti autorevoli come i fratelli Libero ed Ennio Villone, il primo tra i capi del movimento anarchico italiano e direttore di Bandiera Rossa, una delle prime riviste anarchiche italiane, il secondo militante del Partito Comunista. Entra, giovanissimo, clandestinamente, nel Partito Comunista napoletano vivendone in prima persona la storia iniziale insieme al gruppo di militanti rientrati dalla Tunisia, come Valenzi e Gomez d’Ayala. In questo periodo rifiuta più volte l’offerta di candidature a cariche pubbliche, anzi ricorda con rammarico che «la classe operaia, a Napoli, non è mai riuscita a esprimere un suo autentico rappresentante», giacché fra essa e il marxismo «si è interposta la stratificazione tipicamente napoletana degli avvocati; un solo operaio, Fasano, fu eletto deputato ma morì tre giorni dopo» [1].
Alla fine degli anni Quaranta inizia la lunga e costruttiva collaborazione con l’editore Ugo Guanda che, passata la sconvolgente e oscena avventura dell’ultima guerra, riprende la sua attività editoriale, cercando di ricostruire, proprio su quel cumulo di macerie che ormai l’uomo era diventato insieme alle sue città, quelli che Alfonso di Nola chiama «i sentieri dell’anima». Guanda, infatti, fa risorgere dalle sue ceneri tutta una serie di opere letterarie tra cui la poesia di Garcia Lorca e di Stefan George, rispettivamente nelle traduzioni di Carlo Bo e Leone Traverso. Nella collana Nuova Fenice escono due volumi: uno sulla poesia italiana contemporanea, aggiornatissimo, un altro su quella inglese. La collaborazione con Guanda, saldata anche da un profondo rapporto d’amicizia, si realizza con i suoi primi lavori: nel 1950 esce Autunno del mondo (Parma, Guanda, 1950), un volumetto di poesie che di Nola, subito dopo la fine della guerra, promuove come traduzione di testi raccolti dalla voce di un soldato tedesco. Il classico espediente letterario non serve a celare l’identità dell’autore e, nel 1950, la raccolta è pubblicata con il suo nome: Alfonso di Nola [2].
Nel 1954, con la pubblicazione di La visione magica del mondo. Saggio di filosofia della religiosità (Parma, Guanda, 1954), di Nola inizia, ufficialmente, a indagare scientificamente il mondo dell’esperienza religiosa con l’occhio del laico sempre rispettoso d’ogni dato culturale. Considerava l’esperienza religiosa come una materia «che in ogni caso concerne la parte più umana dell’uomo, i temi della sua angoscia creaturale e della sua speranza, i suoi sogni, i grandi miti, le illusioni, le certezze di fede». A distanza di anni, di Nola non si riconosce più in questo libro (scritto fra i diciotto e i venti anni), che definirà approssimativo, intriso di una visione ingenua e di motivazioni irrazionalistiche. Eppure, questo saggio, completamente ignorato dall’accademia italiana, Mircea Eliade giudicherà «riche en aperçus nouveaux, érudit et toujours intéressant».
Il suo primo lavoro sul campo può essere considerato Cristo in tuta. La questione dei preti operai (Parma, Guanda, 1954), un’inchiesta sull’esperienza culturale e politica di quei preti francesi che lottavano a fianco della classe operaia, analizzandola «come forma di ribellione nei confronti di una Chiesa immobile e come riscoperta di un cristianesimo capace di sopravvivere, nel mutato contesto storico, solo se avesse compreso e fatta propria la causa della classe operaia» [3].
Giovani preti che appaiono anacronistici e ritardatari, osando suggerire alla Chiesa cattolica, circa settant’anni dopo la Rerum Novarum, il dramma delle classi operaie non più nei termini fossilizzati del giusto equilibrio, ma come un problema di apostolato evangelico. Esperienze che, in qualche modo, toccarono nell’intimo anche il futuro pontefice Giovanni XXIII, all’epoca nunzio apostolico a Parigi, molto aperto e disponibile, durante tutto il suo pontificato, ai problemi delle classi più deboli.
Da ricordare è la traccia storica del movimento dei preti operai, evidenziando le sue premesse nelle opere del padre domenicano M. R. Loew e soprattutto dell’abbé H. Godin e Y. Daniel [4], che definisce gli aspetti sociologici e statistici del problema e i punti fondamentali nelle lettere pastorali del cardinale Emmanuel Suhard, arcivescovo di Parigi. In una ricca appendice sono riprodotti i più importanti documenti apparsi dal 1953 al 1954, periodo in cui il movimento è sconfessato e condannato dalla curia romana, come testimoniato dalla lettera del cardinal Pizzardo del 27 luglio 1953 che proibiva «in modo assoluto a tutti i seminaristi di Francia, senza eccezione alcuna, di occuparsi come apprendisti in lavoro di qualsiasi genere».
Nel 1957, con la pubblicazione del volume La preghiera dell’uomo. Antologia della preghiera di tutti i tempi e di tutti i popoli (Parma, Guanda, 1957), di Nola propone uno straordinario viaggio attraverso le forme che in ogni tempo assumono i desideri, i bisogni, la religiosità di tutti i popoli del mondo. La preghiera, come nucleo essenziale di tutta la dinamica religiosa, rappresenta l’eterno dialogo fra l’uomo e le sue divinità, tra la creatura inchiodata al suo spazio e al suo tempo e le energie cosmiche: dall’ingenuo grido desolato del primitivo, invocante protezione contro il fulmine o cibo per i suoi piccoli, al complesso testo di una liturgia shintoista.
La raccolta comprende testi appartenenti alle popolazioni tradizionali e arcaiche di livello etnologico, ai popoli dell’America precolombiana, alla religione nazionale cinese, al confucianesimo, al taoismo, al Tibet, al Giappone, alle varie forme di buddhismo, all’induismo, all’Egitto, alla Mesopotamia, all’Iran, ai greci e romani e ai cristiani. L’opera è stata tradotta in Inghilterra (Heinemann, 1961), Francia (Seghers, 1958), Stati Uniti (Obolensky, 1961) e Germania (Diederichs, 1963) e ristampata in edizione ridotta in Germania (Ebner, 1977) e in Italia (Newton Compton, 1988).
Questo vagare attraverso il misterioso mondo religioso dell’uomo, e in particolare delle culture primitive, porta di Nola anche alla raccolta di un vasto materiale che esula dal campo della preghiera e della magia, presentandoci un mondo indicato come “primitivo”, termine non appropriato ma completamente nuovo e molto affascinante. Tale materiale è stato riunito nel volume I canti erotici dei primitivi (Parma, Guanda, 1961, II ed. 1964, poi ripubblicato: Milano, Garzanti, 1971). In questa antologia, di Nola raccoglie il meglio dei patrimoni d’amore e di poesia recuperati dagli etnologi presso i popoli primitivi. Canti e poesie, per accentuare l’intima e permanente connessione tra il ritmo musicale e la parola, in questo tipo di manifestazioni estetiche che rivelano: «immagini di terre lontane, sognanti visioni di uomini che ardono, sotto altri cieli, delle nostre stesse passioni» [5].
Tappa finale di quest’affascinante viaggio può essere considerato il volume Dal Nilo all’Eufrate. Letture dell’Egitto, dell’Assiria e di Babilonia (Novara, Edipem, 1974) in cui sono raccolti testi, documenti, inni, miti, racconti e poesie profane di un mondo, quello vicino-orientale, che, nonostante la distanza millenaria fra noi e loro, rappresenta le radici dalle quali fluisce la nostra attitudine a trasformare la creazione poetica e narrativa in segno. Segni (geroglifici, caratteri cuneiformi, alfabetici o digitali) che testimoniano il lungo percorso fatto dall’uomo per passare dallo stato di natura a quello di cultura, dal sogno di Gilgamesh alla civiltà atomica. Narrazioni in cui i livelli si confondono e gli dèi intervengono nella vita quotidiana dell’uomo, anche se talvolta emerge l’uomo di sempre, nella sua nudità esistenziale, come creatura angosciata dall’idea della morte sottoposta al peso di un destino immodificabile.
Negli anni Sessanta, di Nola traduce e cura, sempre per Guanda, i testi apocrifi neotestamentari dei Vangeli [6] più volte ripubblicati anche da altri editori: L’evangelo arabo dell’Infanzia (Parma, Guanda, 1963); L’evangelo della natività Pseudo-Matteo (Parma, Guanda, 1963); Protovangelo di Giacomo: la natività di Maria (Parma, Guanda, 1966), poi ripubblicati in un volume unico dal titolo Vangeli apocrifi. Natività e infanzia [7]. Contengono la traduzione integrale di tre testi riguardanti la natività della Madonna e l’infanzia di Gesù, con un’appendice di documenti che integrano e illuminano alcune tematiche presenti in essi.
Ancora, dalla tradizione apocrifa, relativa alla vita e agli insegnamenti di Cristo e delle prime comunità dei suoi seguaci, trae origine il volume Parole segrete di Gesù (Boringhieri, Torino, 1964; ristampato da Lato Side, Roma, 1980, e da Newton Compton, Roma, 1989 con il titolo Gesù segreto. Ascesi e rivoluzione sessuale nel cristianesimo nascente)[8].
Nel 1966 traduce e cura per Vallecchi (con ristampa a Roma nel 1980 da Newton Compton) La storia dei re magi di Giovanni da Hildesheim, monaco carmelitano tedesco del XIV secolo, proponendo una lettura critica del fugace episodio evangelico dei Magi che, di là dal compiacimento per il fantastico, riconduce a tutte le fonti parallele greche, siriache, latine e sassoni [9].
Sempre all’interno di questa tradizione apocrifa, di Nola individua un successivo percorso, quello “apocalittico”. Il termine fu applicato agli stessi scritti, sia apocrifi sia canonici, che contengono tali rivelazioni, le quali esprimono, in un’ideologia spesso folle e maniacale, una fuga dalla realtà e dal presente, l’incapacità di sopportare la storia e di vincerla trasferendo tutto nella venuta gloriosa del Cristo, che dovrebbe ricollocare l’uomo in una sua situazione liberata da sofferenze e angosce, ma preceduta da un annunzio escatologico di disastri e di crolli che coinvolge le stesse strutture cosmiche.
Proprio a questa visione apocalittica del mondo, quale si sviluppa nella storia cristiana, di Nola dedica il lavoro Apocalissi apocrife (Parma, Guanda, 1978; ristampa: Milano, TEA, 1993), proponendo un viaggio verso mondi oggi non più credibili, ma comunque verso la dimensione di un quadro culturale nel quale l’istinto apocalittico, sottostante a ogni epoca, è tracciato con una sua chiarezza e decodificabilità d’immagini immediate [10].
Dopo questo periodo di studi dedicato alla letteratura apocrifa, Alfonso Maria di Nola si dedica alla “costruzione” di una monumentale Enciclopedia delle religioni (6 volumi, Firenze, Vallecchi, 1970-1976). Quest’opera non viene a colmare, come vedremo, solo un vuoto culturale nelle scienze storico-religiose, ma rappresenta una sfida nel momento in cui l’editoria italiana attraversa una profonda crisi commerciale e culturale. La sfida è accettata dalla Vallecchi, nelle persone di Mario Gozzini e Geno Pampaloni, che tra il 1970-1976 pubblicano regolarmente i sei volumi dell’Enciclopedia che andranno rapidamente esauriti, nonostante il raddoppio della tiratura delle copie inizialmente previste.
Sono anni, questi, molto intensi e prolifici per di Nola che, nella volontaria rinunzia a ogni ambizione accademica, e di là dalle numerose pubblicazioni già elencate, è venuto maturando un alto livello di specializzazione nella ricerca storico–religiosa, elaborando un progetto complesso e immenso nello stesso tempo, cui dedicherà ben dieci anni di lavoro, per quindici ore al giorno, che culminerà appunto con la pubblicazione della Enciclopedia delle religioni. Lo spessore di questo lavoro [11] susciterà, inizialmente, una certa prevenzione nei confronti dell’opera, non potendosi pretendere che una sola persona fosse specializzata in tanti campi diversi, anche se vicini; «tuttavia – dirà Giuseppe De Rosa– un esame dei suoi contributi ha convinto dell’eccezionale preparazione di A. M. Di Nola e della sua profonda competenza e serietà scientifica. Il vastissimo apparato bibliografico, che segue ogni trattazione, mostra come lui si è informato sulle opere dei migliori specialisti» [12]. Continua il De Rosa: «essa viene a colmare un vuoto nella cultura italiana, la quale, a essere sinceri, è stata nel recente passato piuttosto allergica alla problematica storico-religiosa in genere, nonostante la presenza di studiosi di vaglia come, per fare un solo nome, il Pettazzoni».
Con quest’opera, l’Italia si affianca, senza sfigurare, all’Inghilterra e alla Germania che vantano rispettivamente The Encyclopedia of Religions and Ethics a cura di J. Hastings e Die Religion in Geschichte und Gegenwart a cura di K. Calling. Le notevoli capacità di sistemazione teorica e di lucidità descrittiva riconosciuta nel grande successo internazionale della Enciclopedia delle religioni rendono lo studioso un indispensabile collaboratore in opere che segnano la storia della cultura italiana quali l’Enciclopedia (Einaudi), per cui redige voci come «Enigma» (vol. V: 439-462, 1978), «Libro» (vol. VIII: 260-286, 1979), «Origini» (vol. X: 199-218, 1980) e «Sacro/Profano» (vol. XII: 313-366, 1981). È la volta poi dell’Enciclopedia Italiana (Treccani), con le voci «Religioni, storia delle» e «Razzismo», dell’Enciclopedia Europea (Garzanti), del Dizionario degli Istituti di Perfezione (Ed. Paoline) e del Vocabolario della lingua italiana (Zanichelli) con la voce «Religione».
Nel 1974 pubblica quello che Pier Paolo Pasolini definisce «un vero e proprio “Manifesto” che potrebbe addirittura aprire, nel nome, sia pur tutelare, di De Martino e magari di Pettazzoni, la “via italiana” alla storia delle religioni», cioè Antropologia religiosa (Firenze, Vallecchi, ristampato a Roma, Newton Compton, 1984). Un testo con il quale di Nola s’inserisce, nonostante la tiepida accoglienza da parte del mondo accademico, nella tradizione italiana di studi storico-religiosi, tracciando un percorso autonomo e originale, interpretando i comportamenti socio-religiosi in una prospettiva antropologica. È un libro con cui di Nola promuove un modo nuovo di fare storia, attraverso un’indagine attenta e rispettosa, volta a raccogliere i messaggi di cultura dovunque e comunque l’uomo li produca. Questo testo è appunto un modello di ricerca storica guidata dall’antropologia, uno straordinario viaggio nell’homo religiosus di tutte le latitudini, un’esemplare testimonianza di rigore metodologico e di paziente curiosità culturale: «i dati raccolti dallo storico – scrive, infatti, di Nola nell’edizione del 1984 edita dalla Newton Compton – si ricompongono qui in una cauta e controllata interpretazione che coinvolge anche motivi direttamente interessanti per il nostro attuale essere nel mondo. Che significato ha il ripetere i modelli di azione? Che cosa significano alcune demitizzazioni infantili come la Befana o l’uomo nero? Quali significati si nascondono dietro il nostro ridere e il gusto per l’osceno?».
Anche per di Nola arriva il periodo dell’insegnamento universitario, prima ad Arezzo, sede staccata dell’Università di Siena, come titolare della cattedra di Storia delle religioni, dove comprende che bisogna fare un tipo di università nuova, rompendo con ogni accademia, coinvolgendo gli studenti nei problemi della propria cultura, portandoli a scoprire le radici delle loro tradizioni direttamente sul campo. In questo senso, nonostante l’indifferenza del mondo accademico, l’insegnamento del di Nola ha profondamente segnato intere generazioni che, a dispetto delle infondate critiche circa una mancata creazione di una sua scuola, ne ha realizzata una, anche se non istituzionalizzata, che si muove nella scia del suo pensiero. Il frutto di questa sua metodologia non si farà attendere. Ricordiamo, per esempio, l’inchiesta condotta nell’area del Casentino insieme con gli studenti del suo corso (Inchiesta sul diavolo, Bari, Laterza, 1979) [13].
Contemporaneamente è chiamato a Roma presso la Scuola di perfezionamento in Scienze storico-morali e sociali della Facoltà di Filosofia dell’Università La Sapienza come docente di Storia del folklore europeo e nel Pontificio Ateneo Antonianum di Roma come professore di Storia delle religioni non cristiane. Nel 1977 passa a Napoli all’Istituto Universitario Orientale, dove terrà la cattedra di Storia delle religioni fino al 1991, anno in cui è chiamato a Roma presso la nascente Università di Roma Tre a ricoprire lo stesso incarico e dove, contemporaneamente, gli è affidata per tre anni la supplenza di Antropologia culturale. Durante il periodo napoletano avvia una stretta collaborazione con alcuni psichiatri di scuola napoletana come Dargut Kemali, Raffaello Vizioli, Antonio Scala e Antonio De Rosa e, per alcuni anni, è incaricato anche dell’insegnamento di Psichiatria transculturale presso la Scuola di specializzazione in Psichiatria del primo Policlinico di Napoli, diretta dal Professor Dargut Kemali.
Nel corso delle sue lezioni, di Nola, attraverso una rilettura critica di Georges Devereux, considerato uno dei padri dell’etnopsichiatria, ha come obiettivo quello di indirizzare i giovani psichiatri verso un’etnopsichiatria “europeista”, dove ogni forma di follia, lontana dalle interpretazioni mediche predominanti, non sia più cancellata o riadattata. Si tratta, invece, di comprendere, attraverso una rilettura antropologico-critica dei repertori classici sulla medicina popolare italiana ed europea, la percezione del mondo di un contadino abruzzese o campano che entra in una corsia d’ospedale.
Questi anni segnano una svolta nell’attività scientifica di Alfonso di Nola: l’inizio di un’intensa e continua ricerca sul campo, che porterà alla pubblicazione di testi fondamentali, i quali divengono dei classici dell’antropologia italiana post-demartiniana. Ricordiamo, in particolare, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana (Torino, Boringhieri, 1976). Quest’opera raccoglie i risultati di un ciclo di ricerche compiute in Abruzzo fra il 1973 e il 1975. Una realtà, quella abruzzese, che, data la sua sistemazione periferica rispetto al resto del Paese, culturalmente può essere qualificata come contadina nel momento in cui ne analizziamo le sovrastrutture e le ideologie, ma non per quanto riguarda le strutture e i rapporti reali di produzione [14]. La sua ricerca sulle tradizioni e sui fatti religiosi, sempre accompagnata dal diretto contatto con i protagonisti che sono i referenti di tali dati culturali, lo porta, dopo una rigorosa verifica filologica, senza lasciarsi fuorviare da facili comparativismi, a liberarli dal confinamento delle piccole realtà locali, suggerendo che detti dati, appartenenti a una comune stratificazione europea e mediterranea, sono momenti della storia universale.
In quest’ottica si muove il volume L’arco di rovo. Impotenza e aggressività in due rituali del Sud (Torino, Boringhieri, 1983), che ha come aree di ricerca fondamentalmente la Puglia, la Lucania, l’Abruzzo e il Molise. L’analisi parte dai dati raccolti sul campo in aree italiane, ma si estende subito a remote antichità e a territori geografici molto ampi, sollevando lo studio di certi comportamenti tradizionali a storia antropologica generale. In particolare viene messa in evidenza, come egli stesso ci ricorda, «la ritualità delle plebi contadine», che accompagna la fatica di braccianti e raccoglitori, spesso segnata da una «periodica liberazione dell’oscenità e della violenza».
Per di Nola sono quelli anche gli anni dell’impegno civile e della divulgazione attraverso gli innumerevoli articoli sui maggiori quotidiani nazionali, oltre i continui dibattiti televisivi e radiofonici che lo portano già nel 1972 alla pubblicazione di un libro-documento sulla consistenza e diffusione dei fenomeni antisemitici ancora presenti in Italia: Antisemitismo in Italia. 1962/1972 (Firenze, Vallecchi, 1972). Affrontando e additandone le matrici culturali, sociali e politiche, in primo luogo quelle nazifasciste, e allargando la ricerca anche ad aree che sembravano immuni da questa “infezione” (cattolici di sinistra e la sinistra marxista), egli ritrovava occasionali segni di cedimento e disorientamento che portavano, da posizioni antisioniste, a uno slittamento verso posizioni antisemite. Il libro ha avuto l’effetto di un sasso gettato intenzionalmente nello stagno, provocando una serie di reazioni a catena, non sempre corrette o pacifiche, sia da parte della destra sia della sinistra. Tali reazioni non lo spaventavano, rinsaldavano anzi il suo interesse per l’ebraismo, non solo come oggetto di studio.
Di Nola, infatti, viveva le sue lontane origini ebraiche con maggiore orgoglio, elaborando un rapporto particolare e privilegiato con l’ebraismo. Non a caso, nel 1984, ripubblicava un volume, edito a Napoli vent’anni prima con il titolo Magia e Cabbala nell’ebraismo medioevale (Napoli, S.T.E.M., 1964), per l’editore Carucci, con il nuovo titolo Cabbala e mistica giudaica, in un momento in cui l’interesse per i movimenti spirituali ed esoterici era in crescendo e non sempre in modo chiaro e corretto. Si tratta di uno studio sui rapporti fra misticismo ebraico medioevale e correnti ascetiche cristiane e orientali. Di Nola ha voluto ripubblicare quest’opera in cui analizzava tutte le fasi attraverso le quali il misticismo ebraico è passato nei secoli, riuscendo a dare un’idea chiara e fedele dei principi e delle motivazioni della Cabbala come via per scoprire Dio e individuare il modo per potersi avvicinare a lui. E ancora nel 1996, pochi mesi prima della morte, pubblica con gli Editori Riuniti Ebraismo e giudaismo, una monografia di presentazione di base dell’ebraismo, ripresa, ma aggiornata, dalle voci da lui scritte per l’Enciclopedia delle religioni; e ancora, per i tipi dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, un ampio articolo dal titolo «Ebrei, musulmani e zingari nella storia europea» (in L’Europa dei popoli, vol. 2: 285-311), un saggio in cui descrive tre minoranze, tre diversità etnico-culturali, tuttora presenti in Europa, che si sono sottratte ai processi di totale assimilazione ed europeizzazione.
Nel 1989, dietro la stimolo dei frequenti episodi di cronaca legati a fenomeni d’intolleranza verso immigrati musulmani del nord dell’Africa, di Nola scrive L’Islam (Roma, Newton Compton, 1989, II ed. 1998) con l’intento di fornire soprattutto ai giovani la possibilità di comprendere una realtà ricca e complessa, quella islamica, che non merita di essere identificata come intollerante e fanatica ma portatrice di una cultura e di una religione grande quanto quelle cristiana ed ebraica. Un libro quindi che mira a un preciso obiettivo pedagogico più che a un approfondimento della dottrina islamica, cui farà seguito la pubblicazione di una vita del profeta Maometto (Maometto, Roma, Newton Compton, 1996).
Sempre vigile contro ogni forma di occultismo e di abuso della credulità popolare e delle superstizioni, di Nola, con uno scopo chiaramente etico-politico, pubblica una serie di volumi volti alla denuncia di forme di prevaricazione ideologica, a volte anche gravi, che determinano delle situazioni di violenza sulle persone, sugli uomini e soprattutto sulla mente umana. Il primo di questi volumi a venire alla luce è Il diavolo. La sindrome demoniaca sovrasta l’umanità (Roma, Scipioni, 1980), seguito da Il diavolo (Roma, Newton Compton, 1987), tradotto in tedesco (Diederichs, 1990), in spagnolo (EDAF, 1992), in polacco (Universitas, 1997) e in ceco (Volvox, 1998). Oggetto di questo libro è la figura del diavolo, nelle sue varie forme, nella sua storia presso le culture di tutto il mondo dall’antichità a oggi, una sorta di viaggio in cui l’autore indaga, annota e riporta, con un linguaggio scorrevole e avvincente, nonostante il carattere scientifico dell’opera, tenendo sempre presente il pubblico cui il libro è rivolto, e non il mondo accademico.
Di Nola ci presenta il diavolo come una proiezione del male, che risponde a meccanismi socio-psicologici universali. In tale contesto, il cristianesimo costituisce soltanto un tipo storico di una fenomenologia molto ampia che ha le sue origini nell’ambito della tradizione semitica. Il diavolo, quindi, risulta come proiezione dell’esperienza di quei mali storici e naturali vissuti come inspiegabili e inaccettabili che attentano alla pienezza dell’essere. È un rifiuto della realtà biologica e naturale nella sua carica di negatività, che determina un’angosciante ricerca delle motivazioni e che si acquieta soltanto individuandone l’origine nell’universo demonologico. In un ricco passaggio, di Nola scrive: «ma il demonio non appartiene solo a remoti deliri, a stratificazioni arcaiche, a sepolti universi mitologici: ancora oggi viene pericolosamente rievocato, e corriamo il rischio di rifiutare, ancora una volta, di prendere coscienza della storia».
Non sempre le superstizioni – come quella del diavolo – sono intese a danneggiare la figura dell’uomo, a terrorizzarlo o ad allontanarlo dalla concreta realtà del mondo; ci sono altre superstizioni che spesso hanno un valore terapeutico, come le piccole nevrosi della vita quotidiana che servono a scaricare delle energie pericolose per l’uomo. Esse sono, quindi, meccanismi di rassicurazione, una valvola di falsa sicurezza, attraverso cui gli individui e i gruppi immaginano giustificazioni dei loro fallimenti che emergono con forza nei periodi storici in cui vi è un’incertezza fondamentale sulla propria esistenza. Come sostiene paradossalmente di Nola, le superstizioni «se non ci fossero, bisognerebbe inventarle», e proprio a esse dedica il volume Lo specchio e l’olio. Le superstizioni degli italiani (Bari, Laterza, 1993), che in modo agile, divulgativo e umoristico, offre un cospicuo repertorio delle più diffuse forme di superstizione degli italiani, interpretate nel loro simbolismo, significato e origine.
Un aspetto caratteristico della poliedrica figura di Alfonso di Nola, poco conosciuto pubblicamente, è quello che riguarda il mondo dell’infanzia, verso il quale egli fu sempre vigile, attento e pronto a denunciare, attraverso i media, ogni tentativo di reificazione del bambino da parte degli adulti. Un’attenzione, avvertita come impegno etico e civile, che lo porta continuamente a diretto contatto con il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza attraverso molteplici interventi nelle scuole romane di ogni ordine e grado, trovando sempre il modo di osservare i materiali prodotti dai bambini, invitando i docenti a riflettere sui significati espliciti o nascosti e soprattutto a prendere sul “serio” il mondo simbolico del bambino, a farlo emergere e rispettarlo, misurandosi con le differenze che abitano le diverse identità e culture.
A questo scopo, nel 1991, pubblica il volumetto La festa e il bambino, Roma, Nuova Eri, che è il risultato di un’inchiesta sul campo, riproposta in una serie di trasmissioni per la televisione italiana dal titolo L’età sospesa. L’ipotesi di partenza è quella di «isolare e distaccare dal nucleo delle festività tradizionali una stratificazione nella quale bambini e adolescenti assumano ruolo e protagonismo propri, e se, accanto al vissuto festivo dei gruppi, possa essere individuata una qualità di partecipazione, di tensione, di esperienza propria dell’età sospesa fra la nascita e la giovinezza» (ivi: 5). Uno dei segni più importanti, emerso nella ricerca, riguarda la qualità ripetitiva di molte feste infantili, vale a dire quei contesti in cui i bambini sono assoggettati a una pedagogia sociale imitativa dei comportamenti degli adulti, realizzando una duplicazione (infantile e imitativa) della festa con una precisa funzione pedagogica: «i bambini apprendono, attraverso l’imitazione ludica, gli statuti culturali che reggono il gruppo, secondo linee comportamentali infantili che, in alcuni casi, assumono il carattere d’iniziazioni di classi di età» (ivi: 19). Di Nola, infine, nota che le feste, nelle quali realmente i bambini giocano un loro protagonismo ludico sono poche perché nella maggior parte dei casi l’intervento degli adulti predomina sull’età infantile o, in alcuni casi, «vengono del tutto reificati per offrire spettacolo agli adulti e sono sottoposti a violenze che non conservano, almeno per i piccoli protagonisti, alcun elemento del festlich (il tono festivo). Essi, in questi residui di usi barbarici, appaiono intontiti oggetti spogliati del fulgore dell’infanzia».
Nel 1995, ormai quasi del tutto privo della vista, pubblica, in due volumi, i risultati di una ricerca sul campo, portata avanti per più di dieci anni, iniziata in Abruzzo e Molise, lungo le sponde del fiume Trigno, ed estesa poi a livello europeo: La morte trionfata. Antropologia del lutto e La nera signora. Antropologia della morte (Roma, Newton Compton). Nel primo volume, per la prima volta, affronta il problema del lutto in una prospettiva assolutamente laica, partendo dal presupposto della morte come fatto puramente biologico intorno al quale, nel corso dei secoli, si è concentrata una serie assai complessa di istituzioni culturali sorte con lo scopo di determinare, da parte dell’uomo, un trionfo sulla morte. Da qui il titolo del libro La morte trionfata, con cui l’autore mette in risalto il significato positivo e vitale del lutto inteso come sistema rituale e tradizionale, comune a tutte le culture, attraverso cui l’uomo ha sempre trovato una risposta al disorientamento derivante dalla perdita della persona cara, così da superare il trauma della morte. Nel libro, attraverso le più diverse testimonianze, da quelle delle popolazioni senza scrittura a quelle della società contemporanea e industriale, di Nola ricostruisce e interpreta, in modo esemplare e nuovo, le tecniche del cordoglio quale momento essenziale che garantisce la continuità della storia, trasformando l’inaccettabilità dell’evento fisiologico in memoria distante e protettiva.Partendo dall’analisi illuminante proposta da Ernesto de Martino nel 1958 in Morte e pianto rituale, che del lutto analizzava solamente gli aspetti centrali del lamento funebre, di Nola affronta, in contesti culturali assai diversi, le molte altre invenzioni culturali che concorrono a produrre la stessa efficacia rivitalizzante e antropologicamente positiva che si oppone al morire e che riconduce alla fruizione simbolica del vivere.
Nel secondo volume, La nera signora, affronta il problema delle rappresentazioni ideologiche della morte, ripercorrendo la grande varietà delle esperienze umane che, «respingendo le consuetudini laiche del morire, affidano la sorte finale al gioco delle speranze e riscattano il gruppo dal coinvolgimento in esso». L’uomo, nel suo vissuto quotidiano, vive come se non dovesse mai morire, in una negazione della realtà cui la morte drammatica e improvvisa dell’altro, ogni volta, ci richiama provocando, in noi e nel gruppo cui il morto appartiene, un trauma di angoscia, di smarrimento e di perdita della propria sicurezza storica [15].
Alla fine del 1997, a quasi un anno dalla sua scomparsa, è pubblicata postuma Campania Felix (Roma, Editalia), un libro che raggruppa in un corpo omogeneo e significativamente diviso le varie e più ricche feste religiose campane. Di Nola, durante la prima stesura del lavoro, avverte il rischio metodologico di incorrere in una rassegna antologica, in una sorta di antropologia storico-religiosa puramente geografica, ma in lui prevale l’obbligo intellettuale di elevare l’istituto festivo campano a veicolo culturale veramente aggregante e socializzante, a luogo spazio-temporale di recupero d’identità nella valenza liberatoria, gioiosa e giocosa, dello spiegamento eccezionale e occasionale del vissuto festivo.
Nell’organizzare i materiali, ancora in forma di bozza, si è pensato a una loro divisione secondo una cadenza stagionale: autunno-inverno-primavera-estate. Il tema delle quattro stagioni è risultato, però, essere troppo vago e generico poiché le culture tradizionali conoscono in genere l’alternarsi di due sole stagioni, la calda e la fredda. Il caldo e il freddo rimangono elementi essenziali dei calendari popolari, evidenziando il contrasto fra una stagione di pienezza come l’estate (in cui s’intensifica il lavoro di raccolta, culminante nella festa), e una di attesa e di ritiro come l’inverno. Tale contrasto corrisponde alla dicotomia che oppone da un lato abbondanza e forza vitale e dall’altro malessere e crisi esistenziale. Si è ritenuto opportuno, quindi, ripartire questi materiali in due sezioni: vierne e staggione. La prima comprendente la fase che va (oltre la festa di San Gerardo Maiella cadente il 16 ottobre) dalla commemorazione dei morti alla Pasqua, l’altra che parte dalla festa della Madonna dell’Arco (aprendo il periodo dei grandi pellegrinaggi e della maggior parte delle feste patronali) per chiudersi con i festeggiamenti di San Michele Arcangelo. Segue una sezione, molto ampia, comprendente figure caratteristiche dell’universo popolare campano, quali Pulcinella, Padre Rocco, la mammana, eccetera; sono alcune credenze che, anche se come residui o survivals, persistono tuttora non solo nella cultura napoletana ma anche in quella dell’intero Paese, nonostante esso sembri avere i propri fondamenti nella tecnologia e nelle strutture dell’epoca post–industriale: la credenza nell’efficacia, contro malocchio e iettatura, di corna e altri amuleti, che generalmente devono essere ricevuti in dono e non comprati; i rituali magici, peraltro diffusi in tutto il Paese, operanti fra una fitoterapia popolare e il ricorso al potere taumaturgico di santi specializzati; la divinazione volta ad accertare, la notte di San Giovanni, l’identità del futuro sposo o connessa all’interpretazione dei sogni o dei segni che, dopo le invocazioni, vengono a presentarsi improvvisamente al devoto; l’analisi della leggenda del “noce” di Benevento come luogo d’incontro delle streghe, raggiunto volando su una scopa o su un caprone; la giornata del “4. Maggio”, data stabilita in Napoli per chi doveva cambiar casa, per scelta o perché costretto.
Qual è il lascito di di Nola? Basti pensare ai diversi centri studi sorti spontaneamente dopo la sua morte in diverse regioni italiane, come il Centro studi Tradizioni Popolari “A. M. di Nola” di Cocullo, voluto fortemente dall’amministrazione locale e regionale con lo scopo di produrre studi nel campo della storia delle religioni, della psichiatria, del cinema, dell’antropologia e delle tradizioni popolari. Proprio come egli desiderava, la sua opera non è ricordata necrologicamente a ogni anniversario, cosa che, di fatto, non avviene, da parte dei media o del mondo accademico, ma grazie alla presenza e al lavoro di persone formatesi a una scuola che non ha mai avuto bisogno di sedi istituzionalizzate o ufficialmente riconosciute, alle quali ha trasmesso non verità assolute ma verità e metodologie di ricerca che nascevano dall’esperienza e che potevano aiutare gli altri a scoprire le cose, lontano da ogni boria scientifica e accademica. Questa consegna ai posteri è testimoniata da una serie di interviste che egli concesse poco prima della morte e che furono raccolte nel volume Attraverso la storia delle religioni, in cui traccia il resoconto della sua attività di studioso, continuamente intrecciato con argomentazioni autobiografiche.
Dialoghi Mediterranei, n. 60, marzo 2023
Note
[1] A. Di Nola, Attraverso la storia delle religioni, Roma, Di Renzo Editore, 1996: 10
[2] Una raccolta di liriche che ci mostra un di Nola giovane, carico di una tenerezza e sincerità serena, ma anche di passionalità: una passione che avviluppa, attraverso alcune brevi liriche, la tragedia umana appena conclusasi che ha coinvolto milioni d’individui privi d’ogni difesa; ci parla di queste persone non in modo apologetico, ma da ateo-religioso, come lui amava definirsi, che cerca nell’uomo il volto di Dio con piena coscienza del momento storico.
[3] A. Di Nola, Attraverso la storia delle religioni, cit.: 9.
[4] La France, pays de mission?, Paris, Cerf, 1943.
[5] Con un ricco corredo di note, fonti, bibliografia, quest’antologia diventa un’efficace introduzione ai metodi dell’antropologia culturale per chi sia mosso da una curiosità intelligente verso questi fenomeni, permettendo di affrontare senza difficoltà lo studio di opere specializzate in materia.
[6] Nascita verginale di Maria, la sua adolescenza, il matrimonio con Giuseppe, la nascita di Gesù, i miracoli, i giochi, la scuola; Gesù che ammansisce i draghi, entra nella tana della leonessa, apre le acque del Giordano, caccia i demoni, svela i misteri dell’alfabeto e dell’astronomia. Leggende solo apparentemente ingenue, presenti da sempre nella tradizione popolare. Per secoli se n’è fatta una lettura al livello popolare seguendo i toni di narrazione fantastica del testo, perdendo di vista la complessità e ricchezza dei contrasti dottrinali e delle dispute teologiche che stanno dietro a questo quadro di spontaneità e gratuità narrativa solo apparente. Contrasti e dispute che agitarono i primi secoli della storia della Chiesa declinante verso un cristianesimo temporale e postcostantiniano. Una volta venute meno le polemiche, si è avuta una riutilizzazione popolare e subalterna di questi testi, valorizzando i messaggi di affabulazione e fantasia nella predicazione popolare, nella pittura e nella scultura. Questo corpus fantastico relativo alla vita di Maria e di Gesù bambino corrisponde, secondo una visione gramsciana, a una trascrizione mitizzata di una controversia di livello egemone e culto.
[7] Parma, Guanda, 1977, 1986, 1993; Roma, Lato Side, 1979, con un’intervista di Michele Straniero; Milano, TEA, 1996
[8] In quest’opera s’illustrano e commentano, in una visione interdisciplinare, i loghia («le cose dette») e gli agrapha («le cose non scritte») più indicativi di un mondo agitato e affascinante qual era quello del cristianesimo primitivo animato da polemiche furibonde sulla figura di un “Gesù segreto”, “diverso”, quale emerge da questa tradizione apocrifa («nascosta»). Alfonso di Nola propone una lettura storico-religiosa dei testi, tentando di inserirli, ogni volta, nelle ideologie di fondo, delle quali essi sono incomplete manifestazioni e, per chi sia interessato a una lettura filologica dei testi, propone suggerimenti e orientamenti che possano aiutarlo a districarsi nella selva dei loghia e degli agrapha. Molto ricche e aggiornate sono le indicazioni bibliografiche presenti sia nel testo sia al termine di ogni sezione.
[9] Di Nola rifonde in quest’opera il materiale documentario raccolto in lunghi anni di ricerca, trasformandolo in una narrazione felice, libera da intoppi critici, compiaciuta di stranezze e curiosità attinte alle svariate fonti prima indicate senza, per questo, togliere l’incanto dello scritto originario, che fa rivivere terre e personaggi lontani, con la freschezza e il candore di chi andava scoprendo mondi nuovi e meravigliosi.
[10] I testi esaminati, non da un punto di vista filologico ma contenutistico, cioè con un criterio fondato sulla sostanza dei temi individuati in essi, non appaiono come distanti esercitazioni dotte di monaci, ma come base e origine di un disagio del tempo sempre riemergente, in ogni epoca, ininterrottamente fino a noi, quindi una sequenza fra pensiero apocalittico cristiano tardo-antico e apocalitticità presente.
[11] Ricordiamo che Di Nola redige personalmente le voci teoriche e quelle concernenti le religioni non cristiane, pari all’80% delle voci, come noterà Mircea Eliade in una sua recensione su History of Religions, mettendo a frutto un’informazione vastissima, mantenendo una singolare unità di stile e d’impostazione quali raramente sono dati trovare in opere enciclopediche. Il metodo utilizzato dallo studioso, nel redigere le voci dell’Enciclopedia, è quello proprio della scuola storica italiana, avviato dal Pettazzoni: consiste nell’analizzare la fenomenologia e la tipologia religiosa come fatti culturali, con metodo storico-scientifico e soprattutto antropologico. Infatti, per di Nola il confine tra la storia delle religioni e l’antropologia è estremamente labile, o non esiste per niente.
[12] «La Civiltà Cattolica», 17/10/1970
[13] Un’inchiesta con cui di Nola mira a provare che la “superstizione”, come momento negativo dello sviluppo storico, non è soltanto un’eredità del profondo Sud, eredità negativa, anche se involontaria, degli studi di Ernesto de Martino, ma è presente ovunque, anche in mezzo a comunità notevolmente avanzate industrialmente, come possono essere quella toscana, quella torinese o dell’hinterland milanese. Gli studenti si calarono nella realtà e presero coscienza della situazione locale e dei suoi controsensi, scoprendo un conflitto non risolto fra civiltà tecnologica e mondo tradizionale, dove operai di fabbrica, capaci di costruire con le loro mani, hanno contemporaneamente bisogno della strega e della guaritrice: una forma di schizoidismo culturale determinato dalla mancanza di certezze, di valori, che provoca una destabilizzazione delle coscienze, spingendo alla ricerca dell’ignoto, dell’assurdo e del fantastico. Una società, quindi, in una fase di transizione caratterizzata da due piani inconciliabili: quello della tecnocrazia avanzata e quello dell’irrazionale e della ricerca d’identità in cui il diavolo può divenire il referente dell’identità perduta.
[14] Di Nola, rifiutando ogni interpretazione di tipo meccanicistico, ha inteso in primo luogo verificare la validità del principio marxista sopra esposto e la metodologia che egli utilizza, è chiaramente espressa nella IV di copertina: «Gli strumenti analitici del neo-marxismo – all’incontro tra canoni storico-materialistici e metodi antropologici – sono qui diretti a interpretare tre campioni del patrimonio religioso e magico dei ceti rurali italiani: il culto dei serpenti, i rituali del bue genuflesso, l’allevamento sacrale del maiale di sant’Antonio Abate, tutti appartenenti a una cultura abruzzese coinvolta nei processi di rifondazione industriale. Immagini arcaiche che a una lettura critica si rivelano per quel che sono, frammenti di articolate visioni del mondo sorte dal retroterra economico e politico della società contadina centromeridionale. La ricerca segue gli spaccati diacronici dei culti, ne ricompone la storia silenziosa ai margini della produzione colta, nascosta nelle pieghe dei documenti di archivio, fino all’esito odierno: il revival spontaneo delle feste. Un fenomeno, quest’ultimo, di cui si può ora comprendere il significato: quello di un recupero d’identità umana da parte di folle rurali che la violenza neocapitalistica proietta nel tessuto insensato della città e della sua dinamica consumistica». Una ricerca che, oltre che per i contenuti e per il metodo seguito, è rilevante per aver restituito dei comportamenti rituali alla realtà sociale da cui essi traggono origine liberandoli dalla speculazione turistica e pseudo-folklorica che avvantaggia solamente gli aspetti più appariscenti e coreografici, quella che lui chiama «rapina antropologica».
[15] Tutte le culture, in diversi modi, hanno creato dei meccanismi di difesa o sistemi ideologici miranti ad attenuare e risolvere tali situazioni conturbanti sostituendo alla realtà fisiologica della morte la diversa realtà culturale della possibilità di un’altra vita proiettata nella sfera dell’immaginario e dell’ideologico. Abbiamo, ad esempio, la mitologia della reincarnazione o il passaggio a una beatitudine eterna o a un mondo infernale che alimenta paura e disperazione; espedienti mitici che comunque permettono al morto di continuare ad avere un qualche rapporto con il mondo dei viventi; oppure meccanismi di tipo rituale-operativo, come i sistemi di lutto descritti nel volume La morte trionfata, che attraverso forme di assistenza reciproca consentono alla persona colpita dalla perdita di non sprofondare nel vortice di problemi disperanti e insoluti, ma di risolvere la drammaticità del momento, trasformandola in una nuova sicurezza che è la vittoria stessa della vita messa in crisi.
_____________________________________________________________
Antonio Albanese, (Ph.D) ha studiato filosofia e teologia in diverse università italiane. Socio dell’Associazione Italiana di Sociologia, membro dell’International Centre for the Study of Religion (ICSOR), da alcuni anni partecipa alle ricerche sociologiche quanti-qualitative sulla religiosità in Italia. Collaboratore della Critica Sociologica, ha scritto numerose recensioni e svariati articoli. Autore di alcune monografie su tematiche religiose, il suo ultimo volume, in fase di pubblicazione, si intitola Processi latinoamericani: dal colonialismo alla teologia della liberazione (Aracne).
______________________________________________________________