Vincitore del Leone d’oro al miglior film all’80a mostra di Venezia, di due Golden Globe e di quattro premi Oscar come miglior attrice, migliore scenografia, migliori costumi e miglior trucco e acconciatura. Il film Povere creature! diretto da Yorgos Lanthimos e sceneggiato da Tony McNamara è senza dubbio da vedere al cinema, non in streaming sul divano di casa. Pur non potendo fare altrimenti, e pure con tre o quattro interruzioni, la visione del film è una di quelle che rimane addosso dopo giorni, con i suoi innumerevoli spunti di riflessione e interrogativi. Proprio il corpo d’altronde è fulcro di questa storia che incrocia fiaba e satira socio-culturale e politica. Il corpo è sezionato, cucito, ricomposto, addomesticato, goduto, così come la storia è tagliente, sperimentale, perturbante, divertente.
Il film non a caso si apre con un corpo femminile in abito blu che si lancia da una sponda del Tamigi. Siamo nella Londra di fine Ottocento, piena epoca vittoriana in chiave retro-futuristica. Da un lato è l’epoca degli studi di medicina dettati dallo sguardo positivista sul mondo, dall’altro dei pittori preraffaeliti che oggi si ricordano soprattutto per la raffigurazione della bellezza femminile, idealizzata come creatura salvifica e allo stesso tempo con un forte potere sensuale dai risvolti inquietanti e malvagi. Un esempio tra tutte è la tela di Gabriel Dante Rossetti raffigurante lady Lilith la mitologica prima moglie di Adamo, che divenne demoniaca quando scelse di abbandonarlo e nel quadro è caratterizzata dalla bellezza luminosa e salvifica di una donna angelo.
Figura femminile ed esperimenti scientifici li ritroviamo nel film incarnati nella figura di Bella Baxter, l’incredibile protagonista portata sulla scena da Emma Stone in un’interpretazione viscerale, corporea, che attraverso un uso chirurgico di mimica e voce fa emergere in maniera tangibile l’interiorità del personaggio. Frutto degli esperimenti di un medico scienziato, il professor Godwin Baxter (Willem Dafoe), detto God – padre creatore che vince Dio – Bella viene creata partendo da un cadavere, riportato in vita con l’impianto del cervello della figlia che portava in grembo quando si è gettata nel fiume. Rispetto a Frankenstein di Mary Shelley (nata Mary Wollstonecraft Godwin), considerato il primo romanzo gotico di fantascienza, i codici visivi sono al contrario: la nuova creatura ha una bellezza ammaliante e il ‘creatore’ ha invece tratti somatici mostruosi, che esteriorizzano la sua corruzione e il suo tormento interiore. Se Godwin ha ereditato da suo padre le cicatrici dei suoi esperimenti, compresa la mancanza di succhi gastrici, Bella è pura, un esperimento in ambiente controllato. La sua vita è inizialmente separata dalla società, crescendo sotto la rigida protezione del padre creatore God e quella del suo giovane assistente di laboratorio Max McCandles (Ramy Youssef) a cui viene promessa in sposa. In un contesto guidato dal metodo scientifico e dalla logica, anche il suo linguaggio e il modo di analizzare il reale ne sono influenzati, come una sorta di imprinting.
Destabilizzanti sono le scelte adottate in questa parte iniziale del film come l’utilizzo di lenti diverse, in particolare della lente fish-eye, della lente 4mm che dà quello strano effetto oblò all’inquadratura come per suggerire che si sta guardando in un altro mondo, come sbirciare le nostre mostruosità dal buco della serratura, e delle lenti zoom per cambiare drasticamente la dinamica, passando da un momento di apparente rilassamento ad una esplosione di energia. Parimenti turbanti sono ancora l’utilizzo di movimenti macchina dinamici e vivaci come la vita di una bambina, l’assenza di colori e l’amplificazione di suoni minimali, stridenti. I perché relativi a queste scelte del regista vengono presto messe in sospeso quando la storia e la protagonista ti prendono e portano con sé.
Bella Baxter inizia a desiderare di scoprire la realtà esterna e decide di intraprendere un viaggio alla scoperta del mondo con l’avvocato Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo). Ha inizio il Grand-tour, il viaggio della protagonista alla scoperta del mondo e della complessità dell’esistenza, con la sua trasformazione da bambina in un corpo già adulto a donna. È un viaggio eroico, un racconto di formazione che aderisce alla struttura morfologica della fiaba, lineare e accessibile, con personaggi tipo e un mondo fantastico, eccessivo e colorato. L’eroina prende vita in un corpo altro, si lascia incantare da un cattivo maestro e si allontana da casa alla ricerca di avventura, respingendo le regole del padre creatore che è anche donatore in quanto le fornisce un aiuto da usare in caso di necessità. Nel suo percorso incontra un aiutante magico e vari personaggi, finché si libera del cattivo maestro e raggiungendo Parigi una decadente terra promessa, impiega le sue doti. Non manca però chi le sfrutta, finché dopo innumerevoli vicissitudini torna infine dal padre in difficoltà prima di trovare finalmente un proprio posto nel mondo, scegliendo di diventare medica. Una vicenda di autodeterminazione femminile.
Se Bella, a differenza del suo mostruoso creatore, è pura e bella, sarà poi il modo in cui usa il proprio corpo, come strumento di conoscenza ed esperienza, ad essere considerato mostruoso, nel momento in cui devia dalla norma sociale accettata. Quando scopre il piacere sessuale come atto gioioso, scevro da ogni connotazione morale, le viene detto che, per qualche oscura ragione, va represso ma dalla sua prospettiva è illogico, privo di senso. L’unicità della sua condizione, ovvero quella di avere un cervello libero da sovrastrutture in un corpo adulto, la porta ad acquisire una consapevolezza del tutto personale, frutto della propria esperienza, delle proprie conoscenze e non del compromesso sociale. Per questo Bella Baxter ha un rapporto molto libero e disinibito con i propri desideri, sessuali e no, e non si sottomette alla volontà degli uomini che la circondano.
Facendo parte di una categoria storicamente oppressa, muovendosi con un corpo femminile in un sistema sociale e morale costruito per controllarlo, sorvegliarlo e sottometterlo, il racconto della sua crescita affronta questioni femministe e può essere letta attraverso questa lente. I temi indagati sono presentati in modo stratificato, dal piccolo per alludere all’universale, aprendo riflessioni sull’educazione, sulle relazioni umane, sui rapporti di potere, sul sesso e la morale, sul rapporto che il singolo instaura con la collettività, in uno scambio tra dentro e fuori. Il cammino di emancipazione femminile si inserisce in un ragionamento allargato sulle sovrastrutture patriarcali e sulle convenzioni sociali che influenzano il nostro modo di pensare e di vivere, sin dall’infanzia.
Il percorso di crescita di Bella Baxter è di autodeterminazione individuale e disgregazione delle strutture sociali convenzionali che spesso funzionano come gabbie. Nel corso del suo viaggio, acquisisce strumenti, esperienze, per inserirsi, con la sua prospettiva peculiare, all’interno della collettività. Nel fare questo, anche i personaggi che si relazionano con lei cambiano, i loro ruoli vengono negoziati attraverso le modalità con cui ciascuno occupa il proprio corpo e così la propria umanità. In particolare Godwin nel suo ruolo di creatore, viene a sua volta ricreato dalla creatura, ridefinendo il proprio rapporto con la figlia in termini paritari. Anche il concetto di famiglia viene ridefinito andando oltre la sua forma nucleare, diventando cura reciproca e comunitaria, secondo il carattere socialista che caratterizza l’opera originale.
La curiosità è tanta di sapere di più dell’omonimo romanzo del 1992 da cui la storia è tratta e del suo autore, lo scrittore e artista scozzese Alasdair Gray (1934-2019). Nel processo di adattamento dal denso romanzo al film, reso possibile grazie all’incontro che il regista greco Lanthimos ha tenuto a fissare di persona con Gray, sorpreso e soddisfatto all’idea di poter discutere del testo portando il regista in giro per i luoghi del libro, Lanthimos ha certamente dovuto attuare delle scelte. Nel romanzo Gray ambienta l’inizio della storia a Glasgow, anziché a Londra, e lo stesso personaggio Bella è ritratto come rappresentazione della “Bella Caledonia”, una personificazione della Scozia, in quanto “Caledonia” era il nome latino della regione. Vari luoghi della città sono citati e mostrati nel libro da illustrazioni fatte da lui stesso.
Il film invece è stato girato quasi interamente all’interno di teatri di posa, in set creati da zero e progettati inizialmente in 3D. Il grandioso impianto visivo del film, ossia le splendide scenografie realizzate da James Price e Shona Heath lasciano lo spettatore a bocca aperta, distraendo dalla dimensione narrativa e allo stesso tempo enfatizzandola con l’abbondanza di riferimenti ad altre arti che attirano lo sguardo su quello che c’è in superficie, fornendo una ulteriore critica alla società che abitiamo. Nel romanzo inoltre i tanti personaggi vengono presentati con diverse grafiche e giocando con i punti di vista, stili e tipi di scrittura, con un’impaginazione moderna e fuori dagli schemi, proprio come la storia che narra. La parte più corposa viene presentata come un libro di memorie di un medico scozzese, Archibald McCandless, ricordando i romanzi ottocenteschi che si propongono ai lettori come verosimili in quanto riproduzioni di manoscritti ritrovati.
Il film di Lanthimos si basa unicamente su questa parte del romanzo, anche se non ha McCandless come narratore, ma il centro è il punto di vista di Bella. Il libro invece prosegue con la versione di Bella Baxter della medesima storia, fornendo una lettura più sfaccettata anche al suo sguardo femminista. In una lettera indirizzata ai propri discendenti la donna, Bella Baxter stessa, dice che il libro del marito è frutto della sua fantasia, un insieme di fatti reali mescolati e stravolti usando pezzi di romanzi come Frankenstein di Mary Shelley, ancora una volta il tentativo di un uomo di sminuire la sua esperienza e forse di attribuirne il merito al suo creatore.
Nella versione di Victoria/Bella non c’è nulla di fantastico, nessun cadavere torna in vita, e c’è una spiegazione più realistica dietro il suo percorso di emancipazione. La prima Victoria era fuggita da un marito violento grazie all’aiuto di un medico, Godwin Baxter, e grazie a lui era riuscita a farsi una nuova vita, prima con l’alter ego di Bella e poi col suo nome, arrivando a essere la prima medica della Scozia e la fondatrice di una clinica per donne in cui aiutava quelle che volevano interrompere una gravidanza non voluta. Gray poi complica ancora di più le cose, perché sia nell’introduzione che nelle note finali che mettono fine al libro si dichiara convinto che Victoria McCandless abbia mentito e che la storia vera sia quella del marito. Gray d’altronde è un uomo, come non senza ironia ricorda lui stesso in una sua illustrazione, includendosi tra gli uomini della nostra eroina Bella. I personaggi maschili di Povere Creature! infatti rappresentano in modi diversi la volontà di controllo e di padronanza.
A questo punto non resta che includere anche Lanthimos tra gli uomini che vogliono esercitare il proprio controllo su Bella e la sua storia. Nel momento in cui la versione cinematografica di Povere creature! sceglie di costruire il film intorno al personaggio di Bella, proprio perché costituisce la forza indomita della narrazione, non esclude quello delle persone intorno a lei, utilizzando un linguaggio visivo grottesco. Le inquadrature con fish-eye sono un efficace espediente per restituire diverse percezioni nello stesso momento, così la scelta di escludere il colore nella prima parte è un rimando all’estetica gotica da cui trae ispirazione la vicenda, l’evoluzione del suo stupefacente guardaroba, ideato dalla costumista Holly Waddington, racconta la crescita del personaggio.
Anche nel finale il romanzo e il film non coincidono, Gray lascia più elementi in sospeso, in modo circolare, mentre Lanthimos ha preferito aggiungere dei dettagli e proporre un epilogo in linea con la sua personale visione dell’intreccio. Quando Bella rivela al padre di voler studiare medicina, Godwin dà un unico, sentito, consiglio: “incidi sempre con compassione”. Bella descrive e commenta il mondo come con un taglio chirurgico, pulito e netto, ma effettuato con la mano compassionevole, capace di rivelare i contorni delle gabbie in cui ci rinchiudiamo. Mossa dall’ideale di poter migliorare il futuro, è capace di dare una nuova vita al marito violento dotandolo di un nuovo cervello di capra, mettendolo a brucare.
Dialoghi Mediterranei, n. 67, maggio 2024
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Giulia Panfili vive attualmente a Roma. Ha studiato antropologia visiva a Lisbona e ha concluso il dottorato in antropologia, politiche e immagini della cultura, museologia con una tesi di ricerca etnografica in Indonesia sul wayang come patrimonio immateriale dell’umanità. Ha partecipato a convegni di antropologia e arte in Portogallo, Brasile, Inghilterra, Indonesia, e a mostre collettive di fotografia, illustrazione e stampa grafica presso gallerie e festival in Italia, Spagna, Portogallo, Indonesia. Tornando in Italia ha frequentato la Scuola Romana del Fumetto, dedicandosi quindi a disegno e illustrazione, con cui ha elaborato parte della tesi di dottorato. Ha approfondito in seguito tecniche e linguaggi della fotografia e del documentario audiovisivo con corsi formativi e progetti vincitori di bandi di concorso.
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