di Antonio Luigi Palmisano Pansini
In un mondo in cui ormai tutti pubblicano, foss’anche sul semplice facebook o con un X (già Twitter), e pochi leggono, mi pongo spesso la domanda dell’opportunità di tanta fatica per una rivista di antropologia post-globale ipso facto critica, che viva indipendentemente dai diktat concorsuali tanto importanti per un numero elevato di giovani autori. Quanti leggono oggi periodi più lunghi di quattro righe, addirittura con coordinate e subordinate? Per non citare la questione del vocabolario disponibile in questa nostra era: in una recente ricerca condotta da Massimo Arcangeli, ben pochi fra i circa 200 studenti universitari intervistati ha saputo trovare un corretto sinonimo per “pusillanime”. Quanti davvero leggono? Quanti leggono fino in fondo un testo iniziato per curiosità o addirittura per dovere?
Il mio pensiero si rivolge qui ai professionisti della lettura, per esempio a magistrati che devono trattare anche venti udienze al giorno, per ognuna delle quali il fascicolo consta di 100-200 pagine. E che dire poi di colleghi impegnati in commissioni di concorso con 30-40 candidati per ognuno dei quali non vi sarebbero meno di 500-700 pagine da leggere, possibilmente con attenzione? Dai lavori in cuneiforme pubblicati su pietra agli scritti in demotico pubblicati su papiro e poi alle opere pubblicate su carta, attraverso la stampa, il numero dei testi si è moltiplicato in maniera esponenziale. Fino alla pubblicazione online, vera e propria epifania di ogni testo anche per icona!
In passato avevo già avuto in Germania esperienza di editore per alcuni testi, così nel 2010 in seguito a una banalissima riflessione su costi/benefici ho volto la mia attenzione alla pubblicazione in digitale: costi bassi, alta diffusione. Ecco, dunque, la nascita di Dada. Rivista di Antropologia post-globale, una rivista periodica online, internazionale e ad accesso gratuito sul sito www.dadarivista.com
Come riportato sulla prima pagina web della Rivista:
«Welcome to the website of the review DADA Rivista di Antropologia post-globale, a biannual publication with special issues. We mainly publish research papers (and review papers) in full text on scientific and academic issues in the field of anthropology, ethnology, sociology, politology, economy, philosophy as well as current topics in cultural and social affairs. The primary target groups are researchers.
DADA Rivista di Antropologia post-globale is an international review. The contributions are submitted to double-blind peer review quality control. The authors can publish in the main languages of the international community.
DADA Rivista di Antropologia post-globale is an open access journal: it does not charge readers or their institutions for access, it does not charge authors for the submission and publications of their contributions, and the reviewers co-operate on a voluntary basis. All users have the right to “read, download, copy, distribute, print, search, or link to the full texts of these articles” but the acknowledgement and quotation of authors and papers are mandatory: DADA allows third parties to download its works as long as it is credited as the source, but these articles cannot be changed in any way or used commercially (CC BY-NC-ND).
All researchers and young scholars are welcome».
Più precisamente, la Rivista intende focalizzare sui temi dell’antropologia e della filosofia contemporanea per affrontare le questioni classiche e moderne nel contesto sociale, politico e culturale della nostra epoca post-globale in cui i grands récits sono nascosti ma tanto più presenti e operanti. Decisamente chiara è la prospettiva epistemologica alla quale fa riferimento la Rivista:
«Poiché siamo convinti che il senso della vita coincida con una ricerca intensa, intesa come sperimentazione gioiosa, anche in quei campi in cui ogni tipo di cambiamento e di sperimentazione sembrano essere fuori discussione, e poiché siamo più che mai consapevoli che l’eredità legata ai grands récits dovrebbe essere rimossa dai nostri discorsi, la rivista ha scelto il termine Dada per indicare una posizione di apertura strutturale verso la scelta dei metodi di ricerca e l’uso del linguaggio per evitare la dogmatica dei protocolli. Questo lungo cammino è già stato intrapreso da molti studiosi, come per esempio Paul Feyerabend, e vi invitiamo caldamente a unirvi a noi per procedere con risoluzione e ironia».
In questo contesto di totale e concreta apertura intellettuale, i contributi possono essere pubblicati in una delle lingue dell’Unione Europea, secondo il desiderio degli autori, previa revisione da parte di colleghi madrelingua. La lettura multilingue sembra in effetti diffondersi negli ambienti accademici del Continente e questo permette in parte di evitare le traduzioni in lingua franca con i loro ineludibili limiti. Gli autori sono pertanto liberi di adottare uno stile proprio per quanto riguarda le note a piè di pagina e i riferimenti bibliografici, purché rimangano coerenti con i propri criteri.
La Rivista offre anche la possibilità di pubblicare i contributi di giovani studiosi per introdurli nel dibattito nazionale e internazionale sui temi in questione.
Uno dei punti di forza della rivista è senza dubbio la pubblicazione di numeri Speciali, le cui tematiche sono proposte tanto dal Comitato Scientifico della Rivista come dai suoi autori e lettori. Generalmente questi numeri Speciali trovano un notevole riscontro da parte degli autori. Ma non sempre: è accaduto talvolta che il numero speciale abbia avuto una lunga gestione, perfino 3-4 anni, contro 1-2 anni dei numeri semestrali. Certamente per la tempestività della pubblicazione giocano un ruolo fondamentale anche i reviewers, ai quali è affidato un compito ovviamente pesante e senza alcuna gratificazione economica. Un aneddoto a questo proposito? Un articolo di circa 12 pagine inviato alla redazione ottenne da un reviewer un commento critico di 14 pagine. È da allora che è stato adottato uno schema-griglia da compilare da parte dei reviewers!
I numeri Speciali vengono ad essere formati a seguito di una call, solitamente costituita da poche righe di tematizzazione, talvolta gentilmente provocatoria, come nel caso di questa call, pensata per un tema estremamente complesso e politicamente delicato, Antropology and the race:
«“Oh Liberté, que de crimes on commet en ton nom!”, esclamava la piccolo borghese Marie-Jeanne Roland de la Platière, divenuta viscontessa, poco prima di essere condotta al patibolo. Già, ecco gli svantaggi, per gli aristocratici di allora, della libertà degli oppressi! Più indiscutibilmente veritiera per tutti – tranne, ovviamente, per coloro che ritengono di appartenere a un gruppo di eletti per nascita – risulterebbe l’esclamazione: “Razza, quanti abomini sono stati perpetrati, si perpetrano e si continueranno a perpetrare in tuo nome!”.
“Razza”: esistono le razze? No. Già da tempo sappiamo che le razze non esistono nella specie umana. Esiste invece il razzismo. Esiste cioè una teoria di gerarchizzazione, ovvero subordinazione e sottomissione socio-politica, economica e etica di gruppi umani sulla base di presunte indiscutibili differenze bio-genetiche. A questa teoria segue purtroppo una immediata ed entusiasta prassi di attuazione ad opera di alcuni, talvolta ad opera di intere nazioni. Buona parte degli antropologi già da decenni ha evitato l’uso del termine “razza”, dubitando fortemente dell’esistenza delle razze, considerando euristicamente del tutto invalide queste categorizzazioni. E gli studi di biologia e genetica, del resto, hanno poi ampiamente dimostrato l’inesistenza delle stesse.
Ma insieme al razzismo, il termine “razza” continua a essere impiegato in ambito “scientifico”, ovviamente dai suoi fautori, come pure nel linguaggio comune e perfino nel linguaggio dell’amministrazione in diversi Paesi. DADA Rivista di Antropologia post-globale ha iniziato a dibattere intensamente il tema all’interno del Comitato scientifico, coinvolgendo poi nella discussione un sempre crescente numero di studiosi e ricercatori in antropologia, filosofia, sociologia, politologia, economia, genetica e giurisprudenza. Siamo così giunti a considerare l’opportunità di proporre alla Organizzazione delle Nazioni Unite e ad altri Organismi internazionali una moratoria sull’uso del termine “razza” in tutti i documenti ufficiali. In questo contesto d’analisi invitiamo quanti interessati al dibattito a partecipare alla realizzazione di un numero speciale della Rivista dal titolo Antropologia e razza, con deadline fissata al 30 settembre 2024».
Attualmente DADA Rivista di Antropologia post-globale ha svolto il suo XIII anno di attività. A distanza di oltre un decennio dall’inizio di questa avventura scientifica, epistemologica e culturale, ecco alcune delle considerazioni e riflessioni che possiamo proporre e, spero, condividere con tutti gli autori e i lettori.
DADA ha pubblicato oltre 300 articoli a opera di più di 220 autori, e numerose recensioni. Sono stati editi puntualmente 24 numeri semestrali e 11 numeri speciali (Speciale n. 1, 2011 – Antropologia del viaggio; Speciale n. 1, 2012 – Utopia e Contro-utopie; Speciale n. 1, 2014 – Visione, possessione, estasi; Speciale n. 2, 2014 – Antropologia applicata; Speciale n. 1, 2015 – Sombart’s thought revisited; Speciale n. 2, 2015 – Antropologia e religione; Speciale n. 1, 2017 – Violenza e conflitto; Speciale n. 1, 2018 – Debito e dono; Speciale n. 1, 2020 – Antropologia del cibo; Speciale n. 2, 2020 – Corpo, potere, diritti; Speciale n. 1, 2023 – Antropologia dell’agricoltura).
La pagina web, www.dadarivista.com, ha ricevuto fino a oggi oltre 50 mila visitatori, in crescita costante. La rivista, presente nello ACNP, il Catalogo Italiano dei Periodici, si trova dal 2011 nella cosiddetta “fascia A” delle riviste scientifiche in Italia (valutazione ANVUR) per l’Area 11 A5, ed è rivista scientifica per l’Area 10, 11, 12 e 14. Dal 2015, inoltre, è stata accolta nel sistema DOAJ: «The Directory of Open Access Journals (DOAJ) is a website that lists open access journals and is maintained by Infrastructure Services for Open Access (IS4OA). The project defines open access journals as scientific and scholarly journals that meet high quality standards by exercising peer review or editorial quality control and “use a funding model that does not charge readers or their institutions for access”». Ciò consente ora alla rivista di garantire una elevata diffusione dei numeri semestrali e degli Speciali e, soprattutto, di fornire una diversa e decisamente più efficace indicizzazione degli articoli, ovvero possibilità di citazioni ai suoi autori.
Grazie al lavoro svolto da tutti noi, in particolare dagli autori, la rivista è sempre più diffusa e, aspetto fondamentale, è sempre più seguita e letta. Lo dimostrano del resto le ormai numerose mail di commento, sostegno e stima che giungono alla redazione, anche con proposte costruttive – a proposito del discorso sul “post-globale” – e propositive per i prossimi numeri speciali. In questo contesto segnalo le calls riguardanti i prossimi numeri speciali, invitando a diffonderle eventualmente fra i colleghi interessati ai temi specifici in questione, come pure a pubblicare articoli nei prossimi numeri semestrali. Ecco dunque le calls attuali:
- Anthropology of law (deadline for the contributions: March 30, 2024),
- The good and the evil (deadline for the contributions: June 30, 2024),
- Anthropology and the race (deadline for the contributions: September 30, 2024).
Gli autori sono sempre invitati a segnalare alla Redazione il loro interesse a partecipare alla realizzazione di queste nuove avventure di studio e ricerca come pure a partecipare al dibattito informale e al dialogo con gli autori e con quanti impegnati nella realizzazione di ogni numero della rivista.
Dialoghi Mediterranei, n. 64, novembre 2023
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Antonio Luigi Palmisano Pansini, ha lavorato in università italiane e straniere e condotto pluriennali ricerche sul terreno in Europa, Africa e Asia. Si occupa di teoria dell’antropologia, società segmentarie, antropologia politica e del diritto, Mythenforschung, trance. Ha condotto e diretto ricerche estensive sulle forme alternative di soluzione dei conflitti, sulla relazione fra diritto consuetudinario tribale e diritto statuale, e sulla struttura e organizzazione della giustizia informale in Africa, Asia e America Latina. Fra le sue opere Tractatus ludicus. Antropologia dei fondamenti dell’Occidente giuridico (2006) e Antropologia post-globale (2017). Per Palmisano il fieldwork è uno stile di vita.
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