il centro in periferia
di Paolo Piacentini
Vandana Shiva nel suo ultimo libro parla delle “sette generazioni”. Una società che si prende cura del territorio deve avere lo sguardo lungo e largo. Pensare alle future generazioni vuol dire utilizzare al meglio le risorse preservandone l’uso nel tempo. Per incamminarci verso un’economia della cura dobbiamo uscire da quella che Vandana Shiva definisce come “economia dell’avidità estrattiva”.
La rappresentazione plastica di questo modello di sviluppo imperante da troppo tempo sono anche i dissesti idrogeologici che hanno devastato un vasto territorio marchigiano. Si è spezzato in quell’area vasta il legame tra “suolo e società” parafrasando sempre Vandana Shiva. In una interessante intervista televisiva il professore Altieri, esperto di bio-agricoltura, parlando della tragedia delle Marche, ha spiegato con estrema chiarezza il contributo ai dissesti, grandi e piccoli che siano, dell’agricoltura industriale che ha aggredito ogni pendio del meraviglioso paesaggio collinare delle Marche e non solo (articoli molto importanti Altieri li aveva pubblicati anche in occasione di altre drammatiche alluvioni).
L’uso di tecniche agronomiche finalizzate solo al profitto immediato (tra queste anche l’uso sconsiderato del glifosato) hanno determinato un impoverimento della componente organica dei terreni e una loro maggiore inconsistenza. La sostanza organica, come ci ricorda il prof Altieri, è come una sorta di spugna che assorbe le piogge invece di lasciare che l’acqua scivoli su terreni inariditi.
Se a questo si aggiungono le arature sbagliate e l’assenza completa di quei reticoli idrici che permettevano una canalizzazione ragionata e controllata dei flussi di acqua piovana verso fossi, torrenti e fiumi, il gioco malvagio è compiuto. A valle per contro si è fatto ancora peggio, invadendo letteralmente con catrame e cemento, per parafrasare una famosa canzone, gli alvei dei fiumi e quindi la loro cassa di espansione naturale. Pendii fragili a monte, vallate urbanizzate ed impermeabilizzate fino agli argini dei fiumi e fenomeni sempre più estremi e concentrati non possono che determinare alluvioni devastanti in termini di danni materiali e perdita di vite umane.
Le Marche, va ricordato, sono da molti anni poste all’attenzione nei rapporti dell’ISPRA sul dissesto idrogeologico con centinaia di frane segnalate e una grossa percentuale di territorio a rischio medio-alto di alluvione. Sempre dai dati ISPRA si può notare che le zone colpite dall’ultima drammatica alluvione hanno ampie aree abitate a ridosso dei fiumi che sono a rischio alluvione. A Senigaglia il 25 per cento del territorio è a rischio alluvione, mentre nell’ascolano ci sono alcune zone in cui la percentuale di abitazioni a rischio sfiora il 70 per cento.
Nonostante questi dati così allarmanti quasi nulla si è fatto per ridurre il rischio e, come accaduto in altre zone del Paese, in alcuni casi gli interventi non sono stati progettati e realizzati secondo le migliori tecniche di ingegneria naturalistica. Lungo i corsi d’acqua vengono effettuati spesso interventi di sicurezza idraulica di stampo ingegneristico che fanno tabula rasa anche della vegetazione fondale che invece è utile a rallentare il deflusso delle acque.
In attesa che ci si decida a passare dall’economia estrattiva e distruttiva a quella della cura (per ora purtroppo siamo nell’orizzonte della pura utopia), sarebbe saggia l’approvazione e concreta attuazione del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici di cui è stata approvata solo la Strategia. Quel Piano transita da anni nei cassetti dei vari ministeri senza che si arrivi mai ad un’approvazione definitiva perché implicherebbe una revisione radicale del rapporto malato tra economia – società e gestione del territorio.
Nonostante il Piano, qualora venisse approvato, non preveda nessun vincolo specifico sulla pianificazione degli interventi infrastrutturali, soprattutto per quelli ritenuti strategici, la sua sola attuazione viene vista con il fumo negli occhi dai decisori istituzionali ed economici, perché comunque determinerebbe un cambio di rotta anche culturale rispetto ad un modello di sviluppo estrattivo e quindi sempre più insostenibile.
Pensate se un Piano di Adattamento ai Cambiamenti Climatici può considerare possibile la realizzazione di impianti eolici industriali su fragili crinali soggetti a dissesto idrogeologico o nuovi impianti di risalita che prevedono tagli di faggete secolari.
Esempi concreti dell’irrazionalità che caratterizza la pseudo -pianificazione nel nostro Paese è la pretesa di realizzare impianti eolici industriali sui crinali del Mugello o nelle foreste secolari della Calabria. Nel Mugello in particolare, i crinali sono molto stretti con alcune zone classificate ad alto rischio secondo la mappatura ISPRA. Siamo nell’area definita come Foreste Sacre a ridosso del Parco delle Foreste Casentinesi, dove i Camaldolesi hanno gestito per secoli con perfetta maestria un patrimonio forestale che anche i Lorena decisero di tutelare dal taglio nella fascia di crinale più fragile.
Dai crinali al mare passando per le colline e le vallate create dalla fitta rete fluviale andrebbe cambiato radicalmente il modello di sviluppo estrattivo ricollocando al centro dei processi economici la cura del territorio di cui la prevenzione è il pilastro fondamentale.
Dialoghi Mediterranei, n. 58, novembre 2022
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Paolo Piacentini, fondatore e presidente onorario di Federtrek nonché ideatore e promotore della Giornata nazionale del Camminare, è consigliere per i Cammini del Ministro dei Beni e Attività culturali. È autore del libro Appennino atto d’amore. La montagna a cui tutti apparteniamo (Terre di mezzo). Ha seguito alcuni iter legislativi relativi alla promozione della mobilità dolce e seguito i gruppi tecnici presso il MIT sulla realizzazione della rete ciclabile nazionale. Ha curato il Protocollo sulla messa a disposizione dei beni demaniali dismessi a favore dei giovani. È stato funzionario presso il Ministero dell’Ambiente collaborando con diversi ministry, dal 2007 al 2010 Presidente del Parco Regionale dei Monti Lucretili e dal 2011 al 2012, Professore a Contratto di Organizzazione del Territorio Montano presso il Dipartimento di Geografia della Sapienza e docente in vari corsi e seminari presso lo stesso Dipartimento.
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