di Toti Clemente
Ho conosciuto Nino Giaramidaro nella seconda metà degli anni ottanta. Un giorno ebbi a ricevere una sua chiamata mentre ero a lavoro, mi chiedeva un incontro al Giornale di Sicilia perché intendeva scrivere qualcosa sul concorso di fotografia interbancario che avevo organizzato.
Mi accolse una persona molto gentile e sostanzialmente incuriosita sul fatto che un “relativamente giovane” bancario avesse voglia di organizzare qualcosa che ambisse a innalzare la cultura fotografica nel suo arido ambiente. Ovviamente scrisse qualcosa sull’evento nella rubrica del Giornale dedicata alla cultura, dando lustro e riconoscimento all’impegno a gratis che ogni iniziativa dopolavoristica comporta.
L’anno seguente, accettò di far parte della giuria nella nuova edizione. Da quel momento s’instaurò un bel rapporto, rispettoso e supportato da una spontanea naturale empatia. Si offrì più volte a dare visibilità anche alle mie produzioni fotografiche che lo intrigavano, forse perché costituite da reportage rivenienti da viaggi extraeuropei di tipo documentaristico. Ma non ne approfittai tanto e, anzi, credo che apprezzasse anche il fatto di non avermi fra quei rompini pieni di ego che gli andavano a chiedere ripetutamente segnalazioni e articoli.
Fino al mio esodo dal lavoro ci eravamo sempre relazionati con il classico lei, forse anche per rispetto ai rispettivi ruoli professionali, ma una volta dedito al “cazzeggio culturale” sono stato io a rompere gli indugi passando dal lei al tu. Il cambiamento ha aiutato una maggiore frequentazione e un diverso relazionare, non esclusivamente incentrato sulla fotografia.
Spesso gli incontri mi vedevano assumere il ruolo dell’uomo qualunque su cui testare suoi propositi. Mi lanciava, infatti, quesiti concedendomi dei tempi, attendendo che gli esternassi delle mie considerazioni.
Come ho avuto modo di scrivere con lui come protagonista, nel nostro argomentare si partiva da una questione per poi spaziare su tutto quello che da essa potesse derivare. Non c’erano limiti e tantomeno preconcetti. L’onestà intellettuale reciproca era per entrambi la regola di base propedeutica a qualsiasi confronto.
Nino Giaramidaro, dotato di un bagaglio di conoscenze superiore alla media, come capita per le persone particolarmente intelligenti, non faceva mai pesare il suo differente livello culturale. Solo in presenza di presuntuosi tronfi millantatori andava a innescare la sua tipica chiave ironica, rilasciando tocchi di raffinato fioretto ai malcapitati destinatari.
Dalle informazioni su Linkedin ho scoperto anche una coincidenza dell’anno 1974, che per entrambi rappresenta un inizio delle reciproche attività professionali, per lui nel giornalismo, per me nel ramo bancario.
E poi venne il tempo dell’amico Tonino che ricercava e richiedeva collaborazioni di aspiranti scrittori e di dilettanti dediti alla fotografia. Nino mi disse di preparare qualcosa che avrebbe lui stesso revisionato prima di procedere alla pubblicazione nella rivista Dialoghi Mediterranei. Per me costituì anche un pretesto che innescò una voglia di scrivere.
Nelle sue escursioni al bar, che sistematicamente differenziava in funzione della marca del caffè che l’esercente usava, si accompagnava sempre con una borsa zainetto che conteneva, oltre a una delle sue tante macchine fotografiche, un paio di numeri della settimana enigmistica e un piccolo taccuino cui continuava ad annotare pensieri e nuovi numeri di cellulare di personaggi incontrati.
Le sue frequentazioni erano sempre lucide e attente ad osservare quel che poteva succedere nel luogo, nel registrare dialoghi tra avventori, che potevano essere anche fonte per eventuali incipit nei suoi scritti. In ogni caso le sue mimetizzazioni camaleontiche nei contesti erano perfette, confortate dalla collaudata esperienza giornalistica.
Rimangono su Dialoghi Mediterranei tanti suoi interessanti apporti letterari, che costituiscono dei distillati di raffinata scrittura. Le fotografie sul terremoto del Belice, oggetto di mostre, sono rari documenti, in qualche caso unici, che testimoniano l’entroterra siciliano del periodo e raccontano della tragedia occorsa nel lontano ‘68. Ma la produzione fotografica è un capitolo a sé, che merita altri spazi specifici.
Nino Giaramidaro e la Fotografia
Andrea di Napoli, in un articolo postato su “L’Inchiesta Sicilia” in occasione della inaugurazione della mostra “68 Belice Ferito” presso la Libreria del Mare di Palermo, scriveva: «Dal punto di vista giornalistico, le conseguenze del terremoto sono l’esempio più tipico di inchiesta che suscita una vasta eco e che deve essere necessariamente integrata dal cosiddetto “supporto fotografico”. Proprio per questa ragione, coniugando bene insieme la sensibilità del fotografo e la tenacia del cronista, Giaramidaro ha esposto 40 stampe in bianco e nero di vari formati per rendere un commosso omaggio alle vittime di un evento indimenticabile per chi lo ha vissuto e con lo scopo di consentire a tutti di intravedere un po’ di “Verità” tra la “polvere del Passato”».
La mostra, che ebbe un tale successo da essere successivamente riproposta in diverse località della Valle del Belice appartenenti a un circuito di luoghi che avevano vissuto il disastroso evento, costituisce un importante documento visivo che testimonia la realtà del tempo.
Le immagini esposte erano accompagnate da questo testo di Nino Giaramidaro:
«Erano le quattro del mattino nel buio di quel lunedì lungo la statale 119, da Santa Ninfa a Gibellina e poi, curvando a destra, sulla Provinciale verso Poggioreale e Salaparuta, ancora più giù l’agrigentina Montevago. In quella grande falce di paesi del Belice ch’era stato l’epicentro, sinonimo elegante e docile della distruzione. Quando il giorno si fece largo fra le pesanti nuvole, apparve Gibellina rasa al suolo. Il bombardamento di Dresda, la bomba di Enola Gay su Hiroshima. Poi Poggioreale, Salaparuta e Montevago dove sulla piazza era rimasta in piedi solo l’insegna di un distributore della Total. Notti all’addiaccio, vagoni ferroviari pieni di deportati, le tende nel fango, la paura delle malattie, le baracche – anni e anni di vita dentro rettangoli di faesite – una punizione da rappresaglia per circa centomila della Sicilia sconosciuta. Una vergogna piena di bugie, sotterfugi, violenza, patimenti e speranze perdute. Queste fotografie sono tentativi di ricordare quei giorni mesi e anni nel Belice ferito, umiliato e ingannato ma, per fortuna, non vinto» [1].
L’attività di Nino Giaramidaro ha abbracciato la fotografia a tutto tondo, anche con recensioni e prefazioni a opere editoriali di altri autori. Tra queste spicca in particolare “Nicola Scafidi, un testimone della Sicilia difficile”, testo introduttivo al libro Nicola Scafidi fotografie, che propone anch’esso immagini rappresentative e coeve per entrambi gli autori.
Fabio Sgroi, nel ricordare Giaramidaro, punto di riferimento formativo per molti dei fotografi palermitani contemporanei, ha in questi giorni scritto:
«Il generoso Nino, in compagnia del suo immancabile sigaro. Ricordo che mi volle incontrare per pubblicare un articolo sul Giornale di Sicilia. Un grande appassionato di fotografia, uno storico giornalista che conosceva profondamente la sua città e l’intera isola. Passammo un pomeriggio a parlare. La cosa mi rese molto felice, vedere successivamente che aveva dedicato un’intera pagina sul mio lavoro. Non era un uomo comune, sempre attivo, arguto, attento a tutto quello che girava intorno al mondo della cultura, curioso e critico verso il mondo. Come non dire che ancora prima che io impugnassi la macchina fotografica, già lui aveva coperto i suoi stessi articoli accompagnati dalle sue immagini. Insieme a Melo Mi nella, spesso andavamo insieme per la Sicilia, per diverse ricorrenze religiose, cercando di catturarne l’essenza. Al ritorno ci ritrovavamo in macchina e commentavamo piacevolmente la giornata ognuno dal proprio punto di vista. Un affettuoso racconto per Nino. Fabio».
Per Nino Giaramidaro sono stati tanti a postare sul web ricordi e considerazioni, ma il testo scritto dalla cognata Rosanna e letto nel corso dell’onoranza funebre è forse la fotografia che riesce a meglio a descrivere e raccontare il personaggio:
«NINO, Giornalista – Fotografo. Nino è un uomo che definirei Autentico, uno che ha dato di sé un’immagine sempre coerente, mai incline al compromesso o a mercanteggiare su princìpi per lui inviolabili: il rispetto dell’altro, la difesa degli ultimi, la gentilezza per i più fragili, la sacralità dell’amicizia per lui vitale come il respiro. Si è mosso nella vita con curiosità intelligente e delicata che gli ha consentito di fermare con un click della sua inseparabile macchina fotografica migliaia di sguardi, mani operose fra le reti di pescatori o serrate in muta preghiera, il chiaro-oscuro della più varia umanità … l’uso attento delle parole nei suoi scritti, ricercate in modo tale da non potere dare adito a interpretazioni diverse dal suo pensiero, la malinconia che trasforma certi suoi scritti in acquerelli in bilico tra sogno e ricordo. Nino è un uomo generoso che ha diviso con gli altri il suo sapere, la sua esperienza, le sue cose. Nino è un uomo ironico, divertente, a volte schivo, altre irruento, tempestoso e sempre accogliente. La sua capacità di amare si esprime al massimo nella sua famiglia tutta; è diventata totale nei confronti di Enza, sua moglie e complice in 54 anni di vita insieme, Myosothis sua unica figlia, Massimo, suo genero accolto come figlio fin dai banchi del liceo e infine Federico, suo nipote, il suo complice perfetto, il gatto e la volpe, il suo sole e il suo firmamento, per il quale ha cercato di essere faro discreto e porto sicuro. Nino … oggi ognuno di noi, in diversa misura, dovrebbe poterti dire “GRAZIE” [2].
Buona luce a tutti!
Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024
Note
[1] Attraverso i seguenti link è possibile leggere l’intero articolo di Andrea di Napoli e visionare le foto esposte in mostra: https://www.inchiestasicilia.com/quando-nino-giaramidaro-fotografo-il-belice/; https://youtu.be/BF_qFEbmMmE?si=IK2DycnSPZt89dEE.
[2] Nel blog che curo ci sono diversi articoli (anche contenenti i testi citati in premessa) e che, in qualche modo, tirano in ballo il mio amico Nino. Il Link che segue consente di prenderne visione: https://laquartadimensionescritti.blogspot.com/search?q=Nino+Giaramidaro
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Toti Clemente, palermitano, scopre la passione per la fotografia negli anni settanta. Ha realizzato molteplici reportage nel corso di diversi viaggi (Cina, India, Pakistan, Perù, Vietnam, Cile, Argentina, Marocco, Sud Africa, Birmania, Bolivia, ecc…). Ama la street photografy e con M. Lo Chirco è autore del volume Un’immagine, un racconto, pref. Nino Giaramidaro, Palermo 2009. Nello scorso 2021 ha pubblicato il volume Fotogazzeggiando, con prefazioni di Nino Giaramidaro e Pippo Pappalardo, in cui ha alternato una serie di immagini con ampie dissertazioni sulla fotografia. Più recentemente ha pubblicato Dissertazioni su Street art. Ne vogliamo parlare?, con prefazione di Pippo Pappalardo.
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