CIP
di Costantino Cossu
La Strategia nazionale per le aree interne (Snai) nasce nel 2013, quando Fabrizio Barca, allora ministro per la Coesione sociale nel governo Monti, riesce a far passare l’idea che i territori periferici, vaste aree del Paese escluse dai diritti fondamentali di cittadinanza (istruzione, sanità, mobilità) e interessate da processi di spopolamento che sembrano inarrestabili, possono essere recuperate a un futuro di integrazione e di crescita economica. Condizione perché ciò avvenga è, nell’originaria impostazione della Snai, l’attuazione di politiche di medio e di lungo periodo indirizzate a valorizzare le risorse materiali e umane presenti in loco. Esistono, nei territori periferici, potenzialità che messe a frutto possono fare delle aree interne poli di sperimentazione di nuove direttrici di crescita valide per l’intera compagine nazionale.
A tracciare un bilancio di questo ambizioso progetto a dieci anni di distanza dalla sua partenza arriva ora il volume L’Italia lontana. Una politica per le aree interne, curato da Sabrina Lucatelli, Daniela Luisi e Filippo Tantillo e pubblicato da Donzelli Editore (2022). Il libro raccoglie sette interventi di protagonisti, a vario titolo, della Snai, tecnici e analisti che hanno lavorato sia alla fase di studio della strategia sia alle successive fasi applicative.
Prima però di entrare nel merito delle diverse ricostruzioni e anche valutazioni (comprese quelle che toccano le debolezze che il progetto ha mostrato), va obbligatoriamente richiamato il denso dialogo che apre il volume: un confronto tra Fabrizio Barca e un gruppo di amministratori, imprenditori, operatori sociali e culturali a vario titolo coinvolti nella Snai. Sono pagine essenziali per comprendere come la Strategia nazionale per le aree interne non sia pura e semplice governance, un’operazione tecnocratica volta a recuperare alla “normalità” del modello di sviluppo prevalente aree che ne sono rimaste escluse. Come Barca spiega bene nel dialogo che introduce il volume, è altra la valenza politica della Snai. Rispondendo a una domanda su quanto l’attività economica in generale debba mettersi il problema di far crescere non solo la ricchezza ma anche la felicità, lo “stare bene”, di donne e di uomini che vivono in una determinata comunità, l’ex ministro afferma:
«Nel capitalismo, crescere – produrre più Pil, misurabile sul mercato – è uno dei fattori strumentali per raggiungere un pieno benessere. Nel capitalismo, lo sappiamo, la produzione organizzata sul mercato ha bisogno di un adeguato profitto – si noti bene, “adeguato”, soddisfacente e quindi comprimibile – altrimenti l’imprenditore non rischierà. Ma la ricchezza è solo una delle molteplici dimensioni, per lo più strumentale, dello “star bene, e quindi misurare il Pil serve, è la misura chiave del capitalismo, ma non esaurisce, tutt’altro, la misura dello “star bene”». E aggiunge: «È un cambio di prospettiva forte [...] La Strategia nazionale per le aree interne ce l’aveva dentro questo orientamento: gli indicatori suggeriti erano possibili misuratori dello “star bene”. Ma la metrica dello “star bene”, non è diventata la metrica delle policy e lo vediamo nel Pnrr».
La metrica delle policy attuali e del Pnrr nelle sue ultime formulazioni non è quella dello sviluppo dal basso attraverso la valorizzazione delle risorse comunitarie e l’implementazione di pratiche alternative alle logiche di mercato e finalizzate, invece, allo “star bene”; la metrica del Pnrr è quella delle grandi infrastrutture, progetti di sviluppo dei territori attraverso politiche decise centralmente e calate dall’alto.
Per prima cosa, dunque, bisogna dire, in sede di bilancio della Snai, che oggi la Strategia nazionale per le aree interne è per molti aspetti depotenziata rispetto alle origini del progetto. Ridotte le risorse economiche, ridimensionate le strutture organizzative, sia a livello centrale sia a livello locale, crescono diffidenza e ostilità verso la Snai da parte di ceti dirigenti che guardano in ben altra direzione, in piena coerenza (e non da oggi) con visioni generali che cozzano apertamente con il senso politico della strategia immaginata da Barca e che sono in palese contraddizione con gli orientamenti che, in sede Ue, assegnano agli interventi place based sulle comunità locali un ruolo centrale nella definizione di politiche di sviluppo e insieme di coesione sociale. Su quest’ultimo aspetto è illuminante l’intervento di Sabrina Lucatelli, direttrice dell’associazione Riabitare l’Italia, che ricorda come l’idea della Snai altro non sia che uno sviluppo in chiave nazionale di iniziative già da molto tempo presenti sul campo a livello europeo.
Quattro le linee di novità indicate da Lucarelli: interventi a favore della crescita economica e, insieme, a sostegno dell’espansione dei diritti di cittadinanza; una trasparente e rigorosa pianificazione territoriale; un metodo di co-progettazione finalizzato a far dialogare fruttuosamente competenze centrali e saperi locali; pieno coinvolgimento e responsabilizzazione delle autonomie locali, dei Comuni. Sul versante della crescita economica, sono Giovanni Carrosio e Alessia Sabatini (rispettivamente sociologo dell’ambiente ed esperta in pianificazione territoriale) che, nel loro intervento, si assumono il compito di definire analisi e pratiche che hanno consentito di operare scelte orientate a uno sviluppo place based. Restando sul terreno dell’economia, l’intervento di Daniela Storti (componente del Comitato tecnico nazionale aree interne) evidenzia invece come la tendenza (in sede Ue e in sede nazionale) a definire in maniera prevalentemente centralistica le politiche agricole possa essere corretta e contrastata nelle sue criticità con i metodi e le azioni messe in campo dalla Snai. Per quanto riguarda infine il coinvolgimento dei Comuni, è Giovanni Xilo (esperto di analisi e di progettazione dei servizi pubblici) che ripercorre le strategie seguite in ambito Snai per strappare le amministrazioni locali alla routine burocratica e per farle diventare soggetti attivi di una progettazione aperta e condivisa.
La Snai, insomma, una direzione nuova ha provato a intraprenderla. Quanto sia stato complicato andare avanti, lo ricorda, riprendendo il filo dei ragionamenti di Barca, Filippo Tantillo (ricercatore all’Istituto nazionale per lo studio delle politiche pubbliche). In uno degli interventi più densi di spunti di riflessione tra quelli contenuti nel volume edito da Donzelli, Tantillo scrive: «Impiantare una politica nuova che ruoti intorno alla centralità dei cittadini ha a che vedere con il tema della democrazia, intesa come “accesso ai diritti”, ma anche con quello dell’efficienza ed efficacia della spesa pubblica». Attraverso la Snai, comunità periferiche decidono come promuovere ricchezza e “star bene”, crescita e felicità, con il sostegno di una pubblica amministrazione che calibra i propri interventi, anche finanziari, sulla base di progetti elaborati sul metro di indicatori flessibili, approvati a livello locale attraverso processi partecipativi ampi, verificabili nei loro step di attuazione. «Questa scelta – nota Tantillo – si è scontrata sin dal principio da un lato con una cultura politica tradizionale e localistica molto restia a quella “cessione di potere” alla cittadinanza che è implicita nelle pratiche partecipative, e dall’altro con una cultura amministrativa fortemente centralistica». «Questa cultura – aggiunge Tantillo – ha ripreso forte slancio dopo l’adozione del Pnrr, che, dati i tempi fortemente contingentati nei quali deve essere portato a termine, ha dato adito a un’alleanza trasversale tra pezzi di classe politica, alte burocrazie dello Stato e regionali, economisti neoliberali. Intorno all’imperativo di “accelerare la spesa, si assiste oggi al ritorno in auge di una forma di neocentralismo nella quale pochi centri, ciechi alle diversità dei territori e unici depositari del sapere, decidono modalità di erogazione dei fondi, non attraverso una politica ordinaria, ma attraverso un sistema di bandi e deroghe. Senza peraltro considerare il rischio che spingere su una spesa già dimostratasi fallimentare, che nel caso delle aree interne ha contribuito a produrre spopolamento, significhi accelerare lo spopolamento stesso». «È un disegno paternalista – denuncia Tantillo – che riduce i cittadini e le istituzioni locali a semplici beneficiari di interventi decisi altrove. Esattamente il contrario di quello che l’esperienza della Snai mostra andrebbe fatto».
Insomma, nonostante la Snai abbia conseguito importanti risultati positivi (come sottolinea nel suo intervento Daniela Luisi, del direttivo dell’associazione Riabitare l’Italia), Tantillo rileva anche come oggi alla Strategia non si creda più molto, o non si creda affatto. Negli ultimi anni, il progetto elaborato da Barca ha dovuto subire un graduale processo si depotenziamento, che, secondo Tantillo, ha conosciuto i suoi esiti estremi con il governo Draghi: «Durante il ministero di Mara Carfagna [responsabile del dicastero per il Sud e per la Coesione sociale nell’esecutivo presieduto dell’ex presidente della Banca europea n.d.r.] il processo di superamento dei principi ispiratori della Snai è arrivato al suo compimento. Con il mancato rinnovo del coordinatore centrale del progetto e la destrutturazione definitiva del gruppo tecnico di supporto, le politiche verso le aree interne sono state sostanzialmente ricondotte nell’alveo delle politiche compensative tradizionali verso zone in deficit strutturale di sviluppo».
La denuncia di Tantillo è netta: «La richiesta di avere più risorse per le aree interne oggi sembra unanime. C’è modo e modo, però, di fare politiche per questi territori: si può scegliere la via tradizionale, che è anche la strada su cui un’amministrazione pubblica in gravi difficoltà si sente più sicura e che vede come “naturalmente” residuali le aree interne e prova (senza successo) a mantenerle in vita attraverso compensazioni e deroghe; oppure si può scegliere una via che mira a promuovere discontinuità, tornando a investire in queste zone per produrre beni pubblici, considerandole parte non trascurabile del futuro del Paese». «Oggi – conclude Tantillo – in una sorta di strabismo istituzionale se da un lato formalmente si predica il decentramento, dall’altro si opera per accentrare; se da un lato si dichiara di voler promuovere diversità e complessità, dall’altro si pratica la semplificazione e la standardizzazione degli interventi».
È la solita vecchia politica dell’intervento straordinario, centralistico e compensativo, la stessa che, nella storia recente d’Italia, ha segnato di sé il fallimento dei piani di sviluppo non di singole aree periferiche ma dell’intero Mezzogiorno, Sicilia e Sardegna comprese. E ancora si persevera, come mostrano (per citare solo due casi) i progetti monstre della costruzione del ponte sullo Stretto di Messina e della realizzazione in Sardegna di un mega gasdotto per portare il metano da Sassari a Cagliari. Una continuità di indirizzo di fronte alla quale si pone ineludibile una domanda: al mantenimento di quali equilibri di potere, a Roma e nei territori, è funzionale il perseverare nell’errore?
Dialoghi Mediterranei, n. 65, gennaio 2024
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Costantino Cossu, laureato presso l’università “Carlo Bo” di Urbino (facoltà di Sociologia e Scuola di giornalismo), è giornalista professionista dal 1985, cura le pagine di Cultura del quotidiano la Nuova Sardegna. Collabora con il quotidiano Il manifesto e con la rivista “Gli Asini”. Ha scritto i libri: Sardegna, la fine dell’innocenza (Cuec, 2001), Gramsci serve ancora? (Edizioni dell’Asino, 2009). Ha curato il volume di autori vari La Sardegna al bivio (Edizioni dell’Asino, 2010) e il testo di Salvatore Mannuzzu, Giobbe (Edizioni della Torre, 2007).
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