di Raffaele Cattedra
Scrivere la Storia con le storie
Non propriamente avvezzo alla lettura di libri di storia, se non privilegiando quei lavori che più attraversano i miei interessi areali o temporali di ricerca, cercherò dal punto di vista di un geografo che si è ritrovato quasi per casualità a vivere in Sardegna e, poi, ad occuparsi per occorrenza e coinvolgimento alle “cose di Sardegna”, di offrire alcuni spunti nel dibattito ospitato in questa rassegna curata da Pietro Clemente sul libro di Luciano Marrocu Storia popolare dei sardi e della Sardegna (2021). È una vera e propria avventura quella che ci propone l’autore. Parafrasandone in qualche modo il titolo, la sua “Storia” si dispiega a mio avviso con l’abilità di tenere insieme in appena 250 pagine una miriade di “storie”, le quali si svolgono lungo una temeraria durata (dall’epoca detta preistorica ai giorni nostri), per dare un senso alla narrazione di un’isola.
Un’isola, la cui geografia (come è del resto per tutte le isole) ne sancisce per evidenza una singolarità territoriale. E di farlo, come ci avvisa egli stesso fin dall’introduzione con l’intenzione di intervenire nel dibattito su una presunta sua “irrimediabile alterità”. Un’alterità “dell’isola-continente” Sardegna [1], che rischia di tramutarsi in una sorta di mitologia, o persino in una cosmogonia leggendaria dell’isola stessa. Come hanno già suggerito alcuni autori nel precedente numero 63 di Dialoghi Mediterranei, si tratta di un’impresa della maturità, dove Luciano Marrocu ci accompagna anche con la sua consolidata esperienza di scrittura.
Questo è un primo punto che vorrei sottolineare. Cioè, mi sembra che l’autore ci guidi in questo viaggio corale (che si basa sulle ricerche di “tantissimi studiosi e studiose”), come se stessimo quasi all’interno di un’opera narrativa. E ciò non certo derogando al registro scientifico delle argomentazioni, alla mobilitazione delle fonti che sono quelle ampie e variegate di uno storico o all’uso di una lingua consona a tale scopo – seppur qui una lingua agile, scorrevole e destinata ad un largo pubblico (cioè “popolare” e questo può valere di un primo senso dell’aggettivo); ma tenendo presente e mettendo a frutto come un valore aggiunto la sua propria esperienza più che ventennale di scrittura narrativa (il suo primo romanzo Fàulas risale al 2000). E comprendendovi anche le tecniche di elaborazione del racconto e la concezione ragionata dell’architettura propria di un’opera di stampo letterario. Cerco di spiegarmi meglio.
Nella lettura del suo volume ad un certo punto ho cominciato a pensare di essermi ritrovato quasi all’interno di un romanzo. Un romanzo dove tanti protagonisti costruiscono la narrazione e si muovono nelle – o meglio muovono essi stessi le – vicende di cui si narra. Due ordini principali di protagonisti: alcuni sono in realtà degli “oggetti” in senso lato, dei manufatti o dei “segni” più o meno ancestrali o antichi del territorio, che scandiscono nel tempo la narrazione, soprattutto nell’interpretazione dei lunghi periodi in cui è difficile identificare le facies di protagonisti secondo le fonti di una storia scritta. E poi certo tanti protagonisti, anche quelli di secondo piano o le comparse, che in carne ed ossa e in veste di attori/autori, di eroi o antieroi, ritmano l’evolversi delle vicende. Ci sono evidentemente pure tanti attori collettivi che intervengono.
Per prima cosa, quindi mi sono appassionato a seguire alcuni di questi oggetti, protagonisti e personaggi di cui si parla, che di volta in volta con il loro pensiero, con le loro azioni e imprese o i loro scritti – o con la loro materialità, se si tratta di manufatti –, emergono nella trama del racconto. Ma nella narrazione così come poi scompaiono, possono improvvisamente ricomparire, muovendosi tra una città e un contado, tra un paese ed un altro, tra una costa e un monte, ma anche fra la Sardegna e vari altrove, e non solo mediterranei (per seguire tutto ciò potrebbe risultare utile far ricorso ad una “buona” carta geografica della Sardegna, per chi non conoscesse l’isola!). Apparire, riapparire, o rimanere nascosti… Una breve citazione per darne il senso:
«Sotto la San Sperate di oggi c’è quella di 2500 anni fa, di cui non possiamo vedere i resti, anche se possiamo immaginare la vibrante animazione della sua attività quotidiana» (ivi: 17).
Oggetti e personaggi; a volte delle vere e proprie saghe familiari, che dunque possono rivelarsi o essere risignificati anche in un’epoca diversa dal loro proprio tempo o dal loro luogo di origine, richiamati da qualcun altro per legittimare o delegittimare una narrazione, come è caso di Eleonora, la famosissima giudichessa dell’Arborea vissuta nella seconda metà del XIV secolo «il cui mito fu costruito nell’Ottocento (con qualche anticipazione settecentesca)», per operare nella reificazione di un “patriottismo sardo”, come scrive l’autore quando spiega come viene inventata e reinventata sua immagine e il suo volto. L’immaginazione. Perché la “storia popolare” per Luciano Marrocu è anche storia dell’immaginario collettivo che mette in immagine la Sardegna. In questa (ri)costruzione si tratta di considerare come tale immaginario nutra sottotraccia, e poi più esplicitamente, le idee e le aspirazioni di un popolo (?) – o forse, in primis di parti di élites, più o meno locali o corporative. Da qui varie correnti di pensiero andranno a supportare proprio quell’idea di alterità – di quella differenza dall’altro – che, a sua volta, porterà con sé discorsi e epiche sull’ambizione di una “nazione”, o sulle rivendicazioni di autonomia, invocando spesso una vocazione alla “resistenza”, come l’ha sostenuto l’archeologo Giovanni Lilliu, almeno per ciò che concerne l’età nuragica, e che in questo libro ritroviamo fin da quella società sardo-punica nei confronti della dominazione romana.
Ad ogni modo spicca, metodologicamente, per uno storico contemporaneista – che è anche scrittore – proprio il tema della scrittura, per di più per uno storico che si avventura sul terreno della lunga durata, lavorando narrativamente più sulla fluidità e le interconnessioni, più sulle continuità che sulle rotture repentine. Di fatto il tema della scrittura è richiamato dalla figura dell’antropologo-scrittore Giulio Angioni, scomparso di recente a cui è dedicato il libro (insieme a Francesco Manconi), e con cui l’autore ha a lungo collaborato, anche nell’invenzione di uno dei primi festival letterari della Sardegna, il Festival di Gavoi, nato nel 2004, di cui si accenna nelle ultime pagine del volume. Per comprendere pienamente il significato di questo libro ricordiamo che rappresenta il secondo “episodio” di una di trilogia in cui si è impegnato Luciano Marrocu, pubblicato fra una prima puntata dedicata all’Italia dell’Ottocento, apparsa anch’essa per i tipi di Laterza nel 2019, con il titolo suggestivo de La sonnambula, e un terzo episodio che dovrebbe arrivare a breve, dedicato alla città di Cagliari. Una bella sfida.
Dell’ossidiana e di Carlo Luglié
Uno degli “oggetti”, o meglio dei minerali, con cui principia la Storia popolare è l’ossidiana. A interpretarne la lavorazione, a considerarne l’impatto tecnologico di questa roccia vulcanica e il suo valore e la sua commercializzazione – a vasto raggio dalla Sardegna al Mediterraneo a cavallo fra il VI e il V millennio a.C. –, si è dedicato il compianto amico e collega Carlo Luglié. Carlo, archeologo dell’Ateneo di Cagliari dove insegnava Protostoria, ci ha improvvisamente lasciati il 2 luglio 2023 su una delle spiagge più pericolose della Sardegna, nel pieno della sua maturità di studioso e di uomo di scienza. È lui che ha fortemente voluto il Museo dell’Ossidiana di Pau di cui era direttore, nato nel 1999 ai piedi del Monte Arci, regno dell’ossidiana nel centro della Sardegna. La prima, e forse la più lunga delle rare citazioni del volume di Luciano Marrocu, è proprio un suo passaggio. Testimonianza del valore scientifico di Carlo Luglié, rappresenta forse inconsciamente l’incipit di questo libro: si trova a pagina 4, ed è tratta da un suo saggio del 2018 sul ruolo del mare e l’emergenza del neolitico in Sardegna e in Corsica.
Ricominciando a leggere la Storia popolare durante quest’estate, segnata proprio dalla scomparsa di Carlo, mi sono trovato a riflettere con commozione su questo passaggio. Con il vuoto doloroso che ha lasciato in tutti noi, che queste poche righe valgano come un suo ricordo affettuoso e di stima, come pure altri autori hanno ricordato nel numero precedente di questa rivista (Atzori, 2023). Una delle grandi qualità umane di Carlo era quella dell’ascolto e dell’attenzione verso i suoi interlocutori: una dote molto preziosa e molto rara, come sappiamo, nelle aule dell’accademia. E, quasi sottotraccia, è proprio da qui che nella Storia popolare prende avvio quella riflessione su uno stereotipo classico della Sardegna, quello di un’isola che si costituisce come un microcosmo a sé, come dicevamo, fuori dalla storia, dal tempo e dalla geografia. E l’evidente smentita comincia a svelarsi proprio da quelle poche righe di Carlo Luglié, quando racconta di coloni che arrivano in Sardegna a partire dal 5.600. E ci arrivano secondo una direttrice Nord-Sud. Diremmo oggi, per stare nella cronaca, con “la rotta inversa dei migranti”, come se nella storia i migranti siano sempre ed esclusivamente venuti dal Sud.
Quei protagonisti che fanno le storie
I protagonisti sono tanti, l’indice dei nomi ci aiuta ad identificarli. Ma non tutti. Perché gli oggetti-protagonisti non hanno certamente un indice proprio. Ma è stato proprio Luciano Marrocu a suggerirmi qualche tempo fa la lettura di un bel libro dove è l’indice degli oggetti a costruire la struttura portante del racconto. Scritto da Amedeo Feniello e Alessandro Vanoli, s’intitola Storia del Mediterraneo in 20 oggetti (Laterza, 2018). Qui ci si muove esplicitamente fra il Pane e la Lucerna, fra l’Anfora e la Valigia, la Catena e il Barcone. Al di là dell’indice e oltre l’ossidiana, nella Storia popolare dei sardi, si tratta di oggetti che si ritrovano anche in vari musei archeologici della Sardegna, in primis quello di Cagliari, come monili e spade, ceramiche, utensili e pietre e metalli lavorate, bronzetti (autentici o falsi) e statue o iscrizioni, etc. Ci sono pure i «circa 2.000 sigilli-scarabei ritrovati». Ma per capirne il senso, ciò che conta secondo l’autore è che senza di esso «nessun esponente di rango dell’élite [romana] si sarebbe presentato in pubblico» (ivi: 21).
Fra i simboli identitari e sociali c’è anche il granito, il grano, il vino, ci sono le capre e le pecore (che non sono oggetti), e poi il treno (quella ferrovia che arriva in Sardegna dopo l’Unità e che ritroviamo sulla fotografia di copertina); tante lettere e tanti libri: dalla trattazione tecnica, agronomica o politica alla vera e propria letteratura. Cose incorporee come le canzoni o i proverbi, i detti sardi, la lingua. E poi ci sono le case, le case a corte, i castelli dei pisani, le torri genovesi, i palazzi catalani e aragonesi, le botteghe degli artigiani ebrei poi espulsi nel 1492, le dimore dei viceré, le domus de janas, e certo anche i nuraghi e giganti di Mont’e Prama, assurti oggi a icona della Sardegna. E qui vorrei evocare una simpatica discussione che ho avuto con Luciano qualche anno fa a proposito della scelta della copertina di un importante volume da lui curato insieme ai giovani studiosi Francesco Bachis e Valeria Deplano nel 2015, i cui saggi sono ampiamente richiamati nella bibliografia di questo libro. La mia perplessità riguardava il perché della scelta dell’effige di uno di questi giganti per illustrare uno studio critico e riflessivo su La Sardegna contemporanea. Idee, luoghi, processi culturali. Proprio sull’onda della riscoperta della statuaria dei Mont’e Prama in quegli anni, mi era parsa una contraddizione che in qualche modo prestasse il fianco proprio a quella reificazione mitologica dell’isola. Ma come ben sappiamo, convenimmo con lui, che sono gli editori a scegliere le copertine dei libri seguendo ben precise strategie di marketing! E questa copertina, molto bella e stilizzata a dire il vero, ha certo un suo appeal nelle vetrine delle librerie per un volume sulla Sardegna, benché di storia contemporanea. Ciò la dice lunga anche sulla resistenza del mito.
Hampsicora e la squadra di calcio del Cagliari
Uno dei primi protagonisti della vicenda sarda del libro è Hampsicora, leggendario eroe, forse di origine punica, che mette insieme tribù sarde e cartaginesi di Sardegna in una rivolta contro i romani. Confesso che per me, appena giunto nell’isola, Amsicora (così ora nella dicitura italiana) ha significato solo lo strano nome di uno stadio di calcio, situato a un paio di chilometri dal centro del capoluogo. È lì dove il Cagliari di Gigi Riva ha vinto il suo primo (e unico) scudetto nella stagione 1969-70, e di cui si è celebrato il cinquantennale nel 2020. Anche Marrocu evoca la “storica impresa”. Lo fa nel penultimo capitolo “Ricostruzione e Rinascita”: il primo Piano di Rinascita che porta con sé l’industrializzazione pesante dell’isola è del 1962. E lo fa ricordando argutamente che la vicenda «ebbe non poco a che fare con le strategie volte alla ricerca del consenso per quel tipo di industrializzazione», dal momento in cui le gigantografie dei due petrolieri Angelo Moratti e Nino Rovelli – che erano al contempo azionisti della Società del Cagliari e proprietari dell’industria petrolchimica Saras (tutt’ora attiva) – «campeggiavano nel grande corteo che percorse le strade di Cagliari per festeggiare lo scudetto». A pensarci un po’, oggi forse le due stesse gigantografie potrebbero figurare in una manifestazione di contestazione guidata da ambientalisti contro l’inquinamento prodotto proprio dalla Saras nel territorio di Sarroch e non solo. Se qui si tratterebbe di una semplice inversione di significato semiologico, collettivo e politico degli stessi oggetti (i.e.: le gigantografie) avvenuto in cinquant’anni, è un po’ a questo gioco di ricostruzione di senso attraverso gli oggetti e i protagonisti che si presta la nostra Storia popolare dei sardi e di Sardegna, estendendolo alla lunga durata.
(Per) le vie delle città
Con il beneficio di inventario e senza tener conto della cronologia, fra i tanti protagonisti di questo libro ritroviamo personaggi come lo storico Giuseppe Manno, il giurista Alberto Azuni, il rivoluzionario Giommaria Angioy, il Re di Sardegna Carlo Felice, lo studioso Ludovico Baille, il pittore Mario Delitala, il teologo Giovanni Maria Dettori, i politici Giorgio Asproni e Francesco Cocco-Ortu o un tale Sigismondo Arquer. Quest’ultimo, giurista e letterato, è stato redattore della Sardinae brevis historia et descriptio, quale voce della famosa Cosmographia Universalis pubblicata nel 1550 del luterano viennese Sebatian Münster, e gli è tradizionalmente attribuita la più nota incisione Calaris Sardiniae Caput apparsa nella stessa Cosmographia. La forma urbis ritrae a volo d’uccello la città di Cagliari della metà del XVI secolo, cinta da mura e da torri, divisa in quattro quartieri e il porto [2]. Riprodotta all’infinito questa sorta di matrice “di grado zero” della rappresentazione urbana sulla lunga durata ha avuto molto successo, tanto che oggi la possiamo ritrovare appesa al muro di tante case di Sardegna, come sulle cartoline e sulle magliette per i turisti, in alternativa a quelle con la bandiera dei quattro mori. Sigismondo Arquer morì sul rogo a Toledo nel 1571, condannato dall’inquisizione.
Ma giunto sull’isola, per mia ignoranza o perché non conoscitore di cose di Sardegna, questi nomi per me identificavano semplicemente alcune vie o piazze di Cagliari o di altre città sarde. In via Cocco-Ortu rammento di aver preso la mia prima multa. La ferrea vigilanza comunale del capoluogo aveva riscontrato che l’orario del ticket dell’auto che avevo parcheggiato davanti al mercato di San Benedetto era scaduto. Come dimenticarlo? Aymerich (il nome di un illustre casato locale) era per me un bel palazzo del quartiere Castello o una cappella, che si presta oggi alla celebrazione del rito ortodosso legato al Patriarcato di Mosca. Bacaredda era la sede del comune di Cagliari, per poi scoprire che Ottone Bacaredda era stato a lungo quel Sindaco che, a cavallo fra Ottocento e Novecento, ne aveva profondamente rivoluzionato il volto e l’urbanistica. Altri corrispondevano ai nomi delle vie del mio quartiere o di piazze importanti. Ho imparato pian piano a conoscerli ma continuo a confondermi. Certo altri protagonisti che ritroviamo nel libro, soprattutto nei capitoli finali, avevano un senso evidente nella mia deriva odologica: Giuseppe Garibaldi, Emilio Lussu, Antonio Gramsci, Grazia Deledda per citarne alcuni.
Potrà apparire una semplice questione aneddotica o di toponomastica appunto, quasi che questo libro ci portasse a spasso per le strade della città della Sardegna. Ma qui si tratta considerare la forza della “denominazione”, in quanto potente atto di “controllo simbolico del territorio”, cioè dell’uso della parola, di un nome, come “designatore” di un territorio che si governa e si controlla, come suggerisce il geografo Angelo Turco (2001). La domanda a questo punto è: chi ha scelto questi nomi? Perché e quando sono stati selezionati e attribuiti a quelle vie? Molte risposte le troviamo fra le righe di questa Storia popolare. Si potrebbe a questo punto ragionare in maniera comparativa per capire che peso hanno i nomi di protagonisti della vita locale o regionale nell’economia toponomastica di altre città italiane rispetto a quelle delle Sardegna? E cosa significhi tutto ciò? Oppure domandarci perché le donne rappresentino appena il 5% dell’intera toponomastica in Sardegna, dato che il resto non si discosta molto dai valori italiani [3]. In Sardegna al di fuori di qualche santa, regina o giudicessa (Eleonora d’Arborea), ritroviamo solo alcune poetesse (Ada Negri) e qualche scrittrice, e da pochi anni una donna costituente come Nadia Gallico Spano, moglie del comunista Velio, o un’intellettuale come Joyce Lussu, queste ultime che hanno “adottato” la Sardegna come scelta di vita e di impegno civile e politico, pur sempre qualificate anche con il nome del marito. Mi sarebbe piaciuto – da geografo – trovare in questo libro anche la figura ottocentesca di Alberto La Marmora, militare, naturalista e cartografo, ma è evidente che su appena 250 pagine la selezione sia stata ferrea.
Sul governo del territorio e sull’attualità
Dietro la digressione dei nomi dei protagonisti appena accennata si nasconde di fatto la questione del governo del territorio: quel “sistema di autonomia subalterno” come ha brillantemente scritto Costantino Cossu per argomentare la sua chiave di lettura di questo volume (Cossu, 2023). A tal proposito, mi aiuta, in conclusione di queste note lo spunto di Jean-Marie Miossec geografo esperto di Mediterraneo e di isole, quando individua i “quattro choc” successivi che hanno trasfigurato nell’ultimo secolo la struttura tradizionale delle isole del Mediterraneo [4]. E la Sardegna non sfugge a questa interpretazione.
Il primo è il “deflusso demografico”. Possiamo seguirlo trasversalmente per tutto il libro: dal primitivo popolamento dell’isola al crollo demografico fra Trecento e Quattrocento, segnato anche dalla peste; dallo spopolamento del dopoguerra quando «tra il 1955 e il 1971 partirono circa 400 mila sardi e sarde, per la maggior parte diretti verso altre regioni d’Italia, gli altri all’estero» (ivi: 242) a oggi, laddove l’isola è segnata dallo spopolamento drammatico delle aree interne, da una nuova emigrazione giovanile e dal fatto che, seppur regno dei centenari, la Sardegna risulta fra le regioni con l’indice più basso di fecondità al mondo. Il secondo choc secondo Miossec è la “costruzione nazionale”, dove l’acculturazione linguistica e la scuola, le infrastrutture (porti, aeroporti, strade), il rafforzamento dei poli urbani e dei capoluoghi, le bonifiche, i piani di riforma e di rinascita con il peso dell’amministrazione regionale, strutturano la tutela nazionale.
La questione nazionale e dell’autonomia a guardarla dall’oggi è ancora pienamente aperta. Quante sono le province della Sardegna? Nel volume possiamo in qualche modo seguirne l’evoluzione sulla lunga durata, passando per i territori dei giudicati alla consacrazione di Nuoro durante il fascismo, alla proliferazione di province quando, dal 2001 al 2016, modificando i ritagli di quelle esistenti, la Regione Autonoma della Sardegna ne istituisce ben otto: aggiungendo a quelle tradizionali Carbonia-Iglesias, il Medio Campidano, l’Ogliastra e Olbia Tempio; nel 2016 sono ridotte a cinque: Nuoro, Sassari, Oristano e Sud Sardegna a cui si aggiunge la città metropolitana di Cagliari. Poi in qualche modo il caos: in un post del TGR Sardegna del 7 settembre 2023 si può leggere: «in Sardegna tornano 6 province più 2 città metropolitane» [5].
Il terzo choc è quello delle “isole per turisti”. Non dimentichiamo che nei primi anni Sessanta mentre nel Sud dell’isola si costruiva l’impianto petrolchimico della Saras, nel capo opposto decollava la Costa Smeralda. Nel turismo l’insularità risulta apparentemente un vantaggio: tenendo conto anche dell’attrazione per le cose raccontate in questo libro: dai siti archeologici, ai nuraghi e alla statuaria dei Mont’e Prama, dai paesaggi allo straniamento dell’alterità. Ma l’attuale polemica sull’aumento del costo dei traghetti e degli aerei per raggiungere l’isola ne disvela tutta la fragilità. Per ultimo Miossec evidenzia “l’ancoraggio all’Europa”. Cosa significa oggi per la Sardegna l’UE? Riesce la Regione Autonoma della Sardegna a spendere i fondi che le giungono dall’Europa? E come lo fa? Come costruisce i suoi progetti? Anche questo è attualmente terreno di polemica. Tante le cose irrisolte. Così il campo della “storia popolare” di Luciano Marrocu diventa pienamente quello della public history, traghettando con la ricostruzione delle sue storie il dibattito di tante cose irrisolte e dei fantasmi dei miti sul terreno civile e politico.
Dialoghi Mediterranei, n. 64, novembre 2023
Note
[1] Mi riferisco all’espressione di Marcello Serra che dà il titolo al volume Sardegna quasi un continente del 1958, poi riedito insieme alla fotografa Chiara Samugheo con il titolo, Sardegna quasi un continente 30 anni dopo (1989). La formula è stata poi ripresa in una campagna pubblicitaria lanciata dall’assessorato a Turismo Regione Autonoma della Sardegna, nel 2009,
https://www.regione.sardegna.it/documenti/1_46_20090702140230.pdf.
[2] Si vedano gli studi di Marco Cadinu 2009; 2018 e di Sabrina Abis, 2021.
[3] Di veda il sito https://www.dols.it/2014/03/23/toponomastica-femminile-tra-le-strade-della-sardegna/.
[4] Si veda a proposito Jean-Marie Miossec, 2001 e Cattedra 2019.
[5] https://www.rainews.it/tgr/sardegna/articoli/2023/09/in-sardegna-tornano-6-province-piu-2-citta-metropolitane-334452aa-c979-4ff7-a28f-d8b8c91dd3f9.html#:~:text=Confermato%20quindi%20lo%20schema%20a,città%20metropolitane%2C%20Cagliari%20e%20Sassari.
Riferimenti bibliografici
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Atzori Nicolò, 2023, “Cose di Sardegna: Luciano Marrocu e la storia lunga dell’isola”, Dialoghi Mediterranei, n. 63
Cadinu Marco, 2009, Cagliari: forma e progetto della città storica, CUEC, Cagliari.
Cadinu Marco, (2018, “I primi disegni di Cagliari dal Mare”, in Ladogana P.R. (a cura di), La Collezione Luigi Piloni dell’Università degli Studi di Cagliari, Ilisso: 50-61.
Cattedra Raffaele, 2019, “La Sardegna nel contesto del Mediterraneo”, in Andrea Corsale e Giovanni Sistu (a cura di), Sardegna. Geografie di un’isola, Franco Angeli, Milano: 408- 430.
Cattedra Raffaele, 2021, “Prefazione. L’Immagine di un’isola nella fotografia del lungo dopoguerra: sguardi, protagonisti, attualità”, in Di Bella Carlo, L’altrove in camera oscura. Fotografi e fotografie in Sardegna negli anni Cinquanta e Sessanta, Rubettino, Soveria Mannelli: 5-39.
Cossu Costantino, 2023, “L’ossimoro sardo: un sistema di autonomia subalterna”, Dialoghi Mediterranei, n. 63.
Feniello Amedeo, Vanoli Alessandro, 2018, Storia del Mediterraneo in 20 oggetti, Laterza, Bari/Roma.
Giua Rosi, 2010, Lawrence in Sardegna. Fotografie ispirate ai testi del volume “Mare e Sardegna” di David Herbert Lawrence, Prefazione di L. Marrocu, ed. RG, Cagliari.
Luglié Carlo, 2108, “Your path led the sea… The emergence of Neolithic in Sardinia and Corsica”, Quaternary International, 450: 285-300.
Marrocu Luciano, Bachis, Francesco, Deplano Valeria, Miossec Jean-Marie, 2001, “Les îles”, in J. Bethemont, Le Monde méditerranéen.Thèmes et problèmes de géographie, Sedes, Parigi.
Regione Autonoma della Sardegna, Assessorato al Turismo, Artigianato e Commercio, 2009, Campagna promozionale Sardegna,
https://www.regione.sardegna.it/documenti/1_46_20090702140230.pdf
Serra Marcello, 1958, Sardegna quasi un continente, Editrice Sarda Fratelli Fossataro, Cagliari
Samugheo Chiara, Marcello Serra, 1989, Sardegna quasi un continente 30 anni dopo, Maga, Cagliari.
Turco Angelo, 2010, Configurazioni di territorialità, Franco Angeli, Milano.
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Raffaele Cattedra, professore di Geografia umana presso l’Università di Cagliari, si occupa di Mediterraneo, di città e migrazioni adottando anche linguaggi multimediali. È stato ricercatore all’Institut de Recherche sur le Maghreb Contemporain (IRMC) di Rabat e ha insegnato per una decina d’anni presso l’Università Paul-Valéry di Montpellier. Nel 2013 con il gruppo Geotelling ha realizzato il web doc Al centro di Tunisi. Geografie dello spazio pubblico dopo una rivoluzione (http://webdoc.unica.it/tunisi/it/index.html#Home). Fra le ultime pubblicazioni, ha curato in collaborazione: Cagliari. Geografie e visioni di una città, Franco Angeli, 2021 e la special issue di RiMe (2022), Trame cosmopolite. Minorità, migrazioni e città intorno al Mediterraneo, https://rime.cnr.it/index.php/rime/issue/view/44/46.
Rosi Giua, fotografa e attivista culturale, vive a Cagliari. Impegnata in reportage su temi sociali e culturali in Italia e all’estero, ha collaborato come fotoreporter per Il Giornale di Sardegna e vari quotidiani e periodici. Ha lavorato su diversi set cinematografici e in festival culturali. Le sue collaborazioni riguardano anche progetti con artisti visuali e performativi, poeti o scrittori, università e musei per la realizzazione di mostre e prodotti editoriali e multimediali. Fra le sue pubblicazioni: Donne. Trenta ritratti tra passato futuro (Tam Tam, 2005); Lawrence in Sardegna (ed. RS, 2010); contributi in Overlap (ICEMURA, 2022, http://www.senzaconfinidipelle.com/wover.html). Con l’associazione culturale Tusitala di cui è presidente ha animato per alcuni anni laboratori fotografici e culturali in ambito carcerario e ha prodotto nel 2021 il docufilm Dove nasce il vento (regia Francesco Tomba, 2015).
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