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Dell’agire profetico nel tempo della catastrofe

ancora_1024xdi Vincenzo Guarrasi 

Al fondo dell’umano 

«[Natalia Ginzburg] traducendo e studiando Proust ha capito che è impossibile possedere il segreto di un essere umano e che il passato sprofonda inevitabilmente nella dimenticanza e nella cancellazione. Ma l’eco di una frase balorda, il proverbio strampalato che ci torna in mente, un’intonazione dialettale o il nomignolo con cui qualcuno veniva ribattezzato, ecco che ha il potere incantato di restituire l’attimo fuggitivo, la persona scomparsa, l’avvenimento trascorso. Non quello di dissiparne il segreto» (Petrignani, 2018: 282) 

Questa frase mi ha colpito fin dalla prima lettura: il segreto di ciascuna esistenza è inaccessibile ai più, inaccessibile agli altri, ma spesso anche al soggetto che ha vissuto quella vita lì. Evocato nella nostra mente, magari da un piccolo evento del tutto trascurabile, permane comunque difficile dissiparne il segreto. Proviamo adesso a comparare questa frase con un’altra, contenuta in Ancora. Cambiare il mondo nel tramonto della politica di Annibale Raineri (2022), un bel libro di recente pubblicazione (Navarra editore), opera di un caro amico: «l’idea che al fondo dell’umano ci sia qualcosa di intimo e irriducibile, un nucleo da preservare da ogni offesa» (ivi: 137).

Precisa Annibale Raineri che, quando prova ad attingere a questa dimensione del sacro, nascosta nell’esistenza umana, non si riferisce all’umano in astratto, alla persona umana, così presente nella nostra tradizione culturale, ma all’esistenza di ciascuno di noi, colta nella sua singolarità, nel suo divenire concreto. È all’esplorazione di questo nocciolo segreto che intendo muovermi in queste poche pagine con il conforto di un’opera e del suo autore, a me così caro. 

9788854511187_0_536_0_75L’eco di un’esperienza lontana

Io e Annibale ci conosciamo da più di cinquant’anni. Per la verità, in questi ultimi cinquant’anni ci siamo frequentati molto poco. Lo dico con rammarico. Malgrado ciò, io l’ho sempre considerato una delle persone più care e ho avvertito, sempre, una forte sintonia di fondo tra di noi.

Come spiegarlo? È semplice: quando ci siamo conosciuti, abbiamo vissuto insieme – lui liceale, io universitario – un’esperienza molto intensa di vita comunitaria: eravamo un gruppo di giovani che si riunivano attorno a padre Neri, una figura di gesuita molto particolare, segnata da una spiritualità intensa e sofferta. È stata una sorta di imprinting! 

Il libro e l’autore 

Anche dalla lettura del suo libro ho avuto la conferma dell’esistenza di un legame forte, indissolubile tra di noi due. Da tanti anni sono convinto che un libro e il suo autore vanno distinti nettamente. Sarebbe un errore – ho sostenuto in diverse occasioni – confrontarsi con un’opera senza separarla preliminarmente da colui che l’ha generata. Un’opera ha, infatti, una volta stampata, il diritto di esperire nel mondo una vita autonoma rispetto al suo autore. Non è possibile, però per me, in questo caso, separare l’una dall’altro senza compromettere la comprensione di entrambi.

Il libro in questione altro non è che uno specchio in cui si riflette l’anima dell’autore. Questo libro è una sorta di diario intellettuale di una persona di grande intelligenza e di straordinaria sensibilità – ciò era evidente, ve lo assicuro, fin dalla prima volta che, lui giovanissimo, l’ho sentito parlare. Questo specchio riflette l’anima dell’autore, come dicevo: un’anima travagliata che avverte su di sé tutto il dolore del mondo.

La sensazione strana che provo è che in tale specchio non si rifletta solo l’esperienza umana di Annibale Raineri. Ma anche la mia. Sì, la mia. Com’è possibile? Vi domanderete? Non lo so. Ma la sensazione che provo, il mio sentire profondo è proprio questo e non sarebbe onesto non dichiararlo: alla mia lettura empatica questo libro racchiude in sé anche la mia autobiografia. 

Catastrofe e profezia 

Che cosa si evidenzia fin dalle prime battute? Un interrogarsi rispetto al mondo contemporaneo e alle sue contraddizioni, di fronte alla catastrofe che incombe su di noi (guerre, pandemie, riscaldamento globale) alla ricerca di un senso e di una via d’uscita.

Il libro è profetico. Contiene in sé una pulsione verso il futuro indifferibile come i più naturali bisogni umani – la fame, la sete, la gioia, intendo. La catastrofe potrebbe avere come effetto l’annichilimento dell’intelligenza e della volontà, ma anche in un momento così tragico non possiamo smettere di mangiare o di bere o gioire. Sopravvivere, innanzitutto, dice Annibale.

Non ci si può misurare con il presente senza chiamare in causa il passato e senza attuare una messa in prospettiva del mondo. Il libro ci parla di un futuro a cui abbiamo diritto. Cui hanno diritto i nostri figli e i nostri nipoti. 

L’impegno civico (politico) e l’arte di ritrarsi 

Nella biografia di Annibale Raineri troviamo due momenti particolarmente rilevanti sotto il profilo dell’impegno sindacale e politico, a cui corrispondono due clamorosi ritiri:

- quando diventa segretario della struttura sindacale aziendale della CGIL, che ha contribuito a fondare, e dopo un breve periodo si dimette perché gli sembra venire meno la possibilità per questa struttura di rappresentare un caposaldo nel movimento dei diritti e delle regole, cui tiene tanto;

- oppure quando, dieci anni dopo, diviene segretario del Circolo “Tina Modotti” di Rifondazione Comunista, che per Annibale rappresenta non tanto la cellula di un partito quanto una piccola comunità. Anche in questo caso pratica l’arte di ritrarsi quando per lui il circolo stesso si trasforma in un luogo povero di senso in quanto in esso «la parola vera diviene impossibile» (Raineri, 2022: 134).

La stessa pratica rigorosa di un’etica della responsabilità, che l’ha indotto ad assumere un impegno di fronte a se stesso e al mondo che lo circonda, lo induce a ritrarsi quando a suo parere non esistono più le condizioni per realizzare un agire senza confini e dotare di senso lo spazio che si è aperto nel discorso pubblico per una parola di verità (Foucault, 2011).

Anch’io, in circostanze analoghe, ho praticato l’arte di ritrarmi. Proprio, a pensarci, in corrispondenza dei due momenti di massimo impegno civile: la fondazione di una sezione sindacale a Lettere e Filosofia e l’impegno come segretario della sezione universitaria del PCI. Quanto alla prima, ricordo il commento sprezzante del segretario provinciale di allora sul fatto che eravamo riusciti a unire insieme i comunisti di stretta osservanza e i militanti della nuova sinistra – per lui, contava solo la “linea” – quanto alla seconda, il mio impegno in prima persona venne meno quando avvertii che io e persone, che non facevano della coerenza tra il dire e il fare la prima preoccupazione, usavamo le stesse parole e il nostro linguaggio era di fatto indistinguibile. Ben altra esperienza avevo vissuto negli anni precedenti quando ero stato impegnato come militante di base presso la sezione del Borgo Vecchio dello stesso partito. 

foucaultIl marchio del vero è l’alterità 

Annibale Raineri aspira a un agire profetico. Ciò spiega il grande risalto che nella sua opera assegna alla Cassandra di Christa Wolf (2009). Abbiamo a che fare – appare evidente da ogni suo gesto e parola – con una persona che fa professione di ateismo, ma il suo ateismo non gli impedisce di attingere alla dimensione del sacro più nascosta (Raineri, 2022: 137).

Sul valore della singolarità nella sua riflessione abbiamo già avuto modo di soffermarci, ma ad Annibale non sfugge quanto è rilevante anche per Michel Foucault. Questo interrogarsi appartiene all’ultima fase della vita di Foucault, quando esso diventerà un assillo ancora più impegnato e tragico rispetto alle opere precedenti: cioè quando, nell’ultimo corso tenuto da Foucault al Collège de France nel 1984, pochi mesi prima della sua tragica scomparsa, dal senso della vita si passerà a sondare il senso della vita e della morte. Così il grande pensatore conclude il suo corso: «Ecco, ascoltate, avevo delle cose da dirvi sul quadro generale di queste analisi. Ma insomma, è troppo tardi. Allora, grazie» (Foucault, 2011: 321).

Sottolineo che c’è uno scarto nell’ultima lezione di Foucault tra ciò che effettivamente disse e ciò che aveva intenzione di dire:

«Ma ciò su cui vorrei insistere per finire è questo: non vi è instaurazione della verità senza una posizione essenziale dell’alterità; la verità non è mai il medesimo; non può esserci verità che nella forma dell’altro mondo e della vita altra» (ibidem).

In questo pensiero che si interrompe ravvisiamo una forma alta di impegno con la vita che contiene una critica del mondo esistente e la tensione verso una vita “altra”, e insieme una cura di sé come cura del mondo. La vera vita invoca l’avvento di un mondo altro in cui si conosca che il marchio del vero è l’alterità. In sostanza, Foucault oltre Foucault.

Nel nocciolo segreto della vita di ciascuno ravvisiamo – dice Annibale Raineri – uno spazio tridimensionale in cui agiscono tre tipi di relazioni:

- con l’Altro;

- col prossimo (le donne e gli uomini che ti circondano);

- con la Terra (esplicito il riferimento qui a Laudato si’. Enciclica sulla cura della casa comune di papa Francesco).

Una nozione espansiva del sé radicata nella relazione con l’altro che porta il sé, letteralmente, fuori di sé. Potrà apparire paradossale quello che dico, ma è proprio così. In questo consiste la forza della parola profetica di Annibale Raineri. La parola di verità non può agire nel mondo, non può farsi pubblica se non trova espressione nella comunità e se non si radica nella Terra. 

Il tempo della catastrofe 

La parola di verità è in qualche modo invocata, anzi reclamata dal tempo presente: il tempo della catastrofe segnato da:

-  la guerra;

-  la moltiplicazione dei muri;

-  la rinascita dei muri simbolici;

- in qualche modo, il passaggio «dal disordine mondiale verso i totalitarismi e la guerra totale» (Raineri, 2022: 276).

Se la sensatezza del discorso politico sembra dissolversi per la crisi profonda e il venir meno della dimensione collettiva dell’esistenza umana, frantumata dal logorio esercitato su di essa da un’economia improntata al neoliberismo, acquista rilievo per converso la costruzione di ambiti comunitari, l’assunzione del femminile e della sua potenza generativa come dimensione primaria, il compito di prendersi cura della Terra come priorità dell’agire umano (Raineri, 2022: 201-3). In questo senso Annibale Raineri riscopre la lezione del femminismo, capace tra l’altro di impedire la repentina chiusura di quegli spazi di libertà inaugurati dal Sessantotto. 

italia-p1010957-opt-1Il lavoro nell’Arca 

La consapevolezza acuta in Annibale Raineri di vivere un tempo presente che apre alla catastrofe – non si tratta di vincere, afferma, ma di poter dire «non tutto è perduto» (Raineri, 2022: 197) – motiva la sua sorprendente adesione a una esperienza di vita che per la complessa sua formazione filosofica e politica (ispirata a un marxismo ampiamente ripensato, ma mai rinnegato) che avrebbe potuto apparirgli in qualche modo aliena: l’Arca fondata nel 1948 da Lanza del Vasto.

In questo volume ripropone tre ampie relazioni – ciascuna di esse ha la densità di un trattato – tenute in occasione di incontri promossi, per l’appunto, da diverse comunità dell’Arca operanti in diversi contesti europei: 

-  “Soprattutto vivere” (Belpasso, Casa dell’Arca Tre finestre, 2011) (Raineri, 2022: 49-69);

-  “Economia e felicità. L’Arca nel nostro tempo e le regole della casa comune” (Belpasso, Casa dell’Arca Tre finestre, 2013) (Raineri, 2022: 145-215);

-  “Tempi del mondo, tempi dell’Arca” (Communauté de l’Arche de Saint Antoine, Saint Antoine l’Abbaye (Lyon) 2014) (Raineri, 2022: 241-64). 

Se il mondo artificiale che ci siamo costruiti attorno, piuttosto che darci sicurezza, genera un massimo di incertezza delle esistenze umane, dobbiamo prendere atto che: «il nostro mondo, materiale e simbolico, è saturo di oggetti, non può esservi spazio per l’altro» (Raineri, 2022: 187). In un mondo così strutturato, assume valore la via intrapresa dall’Arca, tesa a lavorare con le mani e alla costruzione di forme di vita nelle comunità:

«Questa idea del lavoro – dice Annibale – è quindi un’idea di vita in comune, l’inizio, l’apertura vero un’altra civiltà. Realizzarla in piccole comunità sarebbe un grande passo, un atto di dirompente forza simbolica, ma anche realizzarlo in una frazione della propria vita, dargli lo spazio di vita che si riesce, in un processo che non è la conquista della libertà ma un percorso di liberazione, che sottrae parti delle nostre esistenze a quelle forze, quei modelli che in atto la dominano» (Raineri, 2022: 192-3). 

51z5o9jg4kl-_sr600315_piwhitestripbottomleft035_sclzzzzzzz_fmpng_bg255255255Interazione umana e pluralità delle voci 

Se assumiamo che l’alterità irrompe nella nostra vita e la rimodella (Guarrasi, 2019), allora acquista un valore nuovo per me ciò cui ho dedicato gran parte della mia personale ricerca. Anch’io mi sento legittimato a concedermi qualche breve cenno autobiografico. Negli ultimi cinquant’anni della mia vita mi sono dedicato con passione agli studi antropologici e geografici. Ho cercato così di mettermi in sintonia con il mondo variegato delle società e delle culture umane. Negli ultimi anni, poi – fin dalla sua costituzione – ho fatto parte del Dipartimento Culture e Società dell’Università degli Studi di Palermo. Ero, e sono, fiero di questa denominazione. Essa contiene una grande conquista: l’umano si può cogliere soltanto attraverso la molteplicità delle culture e delle società. Non è patrimonio esclusivo di un gruppo umano, magari più ricco, istruito e potente degli altri. La conseguenza implicita, ma evidente, è che per ogni cultura che scompare l’umanità si impoverisce. Perde in varietà e complessità. Nessuna singola società può compendiare in sé – come il mondo occidentale ha a lungo preteso – tutto il repertorio dei saperi, delle tecniche, delle competenze e delle abilità che l’universo delle esperienze umane è in grado di esprimere.

Ne La città cosmopolita. Geografie dell’ascolto (2011) un intero ciclo di riflessioni si condensava in poche frasi: 

«In una società cosmopolita l’arte di ascoltare si completa, dunque, con la capacità di tradurre. Per esercitare l’arte dell’ascolto nella società cosmopolita è necessario tradurre da una cultura all’altra, da una lingua all’altra: l’ascolto è un atto e un’attitudine, che si sviluppa in ambienti polifonici, in cui voci e sguardi si incrociano […]». (Guarrasi, 2011: 59). 

Il mio pensiero di allora era permeato da alcune parole chiave che ancora adesso ne restituiscono il senso: interazione umana, contingenza, società del presente, divenire. I singoli esseri umani non venivano concepiti in astratto, ma nell’interazione con gli altri. Tale interazione era il fuoco dell’attenzione e la nozione di luogo assumeva non la centralità – non sarebbe stato coerente – ma una sorta di nodalità. Nessun agire umano può essere compreso se si prescinde dal contesto. 

9788817079273Ambiente naturale e pluralità degli agenti 

Quello che oggi costituisce un problema è semmai cosa intendiamo per contesto. Dopo gli appelli accorati all’azione provenienti da Greta Thunberg e le lettere encicliche Laudato si’. Enciclica sulla cura della casa comune (2015) e Fratelli tutti. Sulla fraternità e l’amicizia sociale (2020) di papa Francesco, non ci possono essere dubbi: il contesto dell’azione umana si amplia fino a comprendere l’ambiente naturale, la pluralità degli agenti che lo animano e il profondo sconvolgimento che in esso abbiamo irresponsabilmente procurato.

D’altronde, appare ormai manifesto che se l’appello degli scienziati e dei giovani rimane inascoltato, ciò dipende dal fatto che le politiche ispirate dal neoliberismo economico reclamano come complemento forme di autoritarismo in campo politico. L’unico modo di coniugare la tendenza alla mutazione dei valori e degli stili di vita individuali con un’efficace politica delle istituzioni nazionali e sovranazionali è riporre fiducia nel motto di Naomi Klein, condensato nel titolo del suo ampio saggio: Una rivoluzione ci salverà (2015). Il sottotitolo dell’opera, Perché il capitalismo non è sostenibile, chiarisce il senso della perentorietà dell’enunciato. La crescita ad ogni costo, sostiene l’autrice americana, sta uccidendo il pianeta. La risoluzione non è più una questione ideologica. È una questione di sopravvivenza, per dirla alla Raineri. 

mancuso-la-nazione-delle-piante-laterza-2019-ottimoRiscoprire il senso della solidarietà e della cooperazione 

Un intero sistema economico e sociale è entrato in rotta di collisione con il delicato e complesso funzionamento degli equilibri dinamici espressi dall’ecosistema terrestre. Il rischio del collasso globale dei due sistemi appare sempre più prossimo e catastrofico. Non si tratta a questo punto di apportare qualche piccolo correttivo marginale quanto piuttosto di assumere su di noi tutto il peso di una radicale inversione di rotta.

Due autori ho incontrato sul mio cammino che attribuiscono alla mobilitazione straordinaria e inedita che dobbiamo necessariamente mettere in campo qualche possibilità di successo, a condizione di rivedere profondamente il nostro modo di concepire l’ambiente dell’azione umana. Si tratta – come in altra occasione ho avuto modo di mostrare su questa rivista (Guarrasi 2020 e 2021) – di Stefano Mancuso e di Bruno Latour. Richiamo qui brevemente il pensiero dell’uno e dell’altro.

Come scrive Stefano Mancuso ne La Nazione delle piante (2019), l’ambiente della vita è il frutto di un processo di creazione e di manutenzione costante da parte delle piante. Il punto sta proprio qui: il pur breve percorso evolutivo – tale appare se commisurato alla scala del mondo abiotico – che ha interessato la comparsa e la diffusione della vita sulla Terra ha come protagonista assoluto il mondo vegetale. Esso prevale sul mondo animale, non soltanto per il suo ruolo attivo e generativo, ma anche per la durata e per la dimensione quantitativa. E non finisce qui, le piante costituiscono la nostra unica opportunità di sopravvivenza di fronte alla sfida epocale che ci troviamo dinnanzi: 

«Che dalle piante dipende la nostra unica possibilità di sopravvivenza dovrebbe essere insegnato nelle scuole ai ragazzi e agli adulti in ogni altro luogo. I registi dovrebbero farne film, gli scrittori libri. Chiunque è chiamato a mobilitarsi, e se credete che stia esagerando e non vedete alcun vero motivo per alzarvi dal divano per difendere l’ambiente e le foreste, sappiate che questa è l’unica, vera, emergenza mondiale. La maggior parte dei problemi che affliggono l’umanità oggi, anche se apparentemente lontani, sono collegati al pericolo ambientale e rappresentano gli innocui prodromi di ciò che verrà se non l’affronteremo con la dovuta fermezza ed efficienza» (Mancuso, 2019: 94). 

latourAnche Bruno Latour ci suggerisce che l’ambiente non può più essere interpretato come qualcosa di inanimato. Esso non costituisce lo sfondo e la cornice in cui la storia umana e i conflitti sociali prendono forma, ma si anima di una serie d’intenzionalità tali da mettere in forse la distinzione tra soggetti umani e non umani. Anche su questo piano, soltanto se assumiamo coscienza della pluralità e singolarità degli agenti in gioco, possiamo comprendere la lezione che proviene dalla Nazione delle piante.

Una visione olistica di Gaia, dice Bruno Latour ci indurrebbe a sottovalutare la sua più importante proprietà: essa non funziona come un superorganismo che tutto contiene e comprende, quanto piuttosto come la risultante mobile, fluida, complessa e imprevedibile di un pullulare continuo e costante di una molteplicità di agenti, ciascuno dei quali appare mosso da una propria intenzionalità: 

«In senso stretto, per James Lovelock e ancora più chiaramente per Lynn Margulis, non esiste più ambiente a cui potersi adattare. Poiché tutti gli agenti viventi seguono costantemente le loro intenzioni, modificando i loro vicini quanto più possibile, è del tutto inconcepibile discernere quale sia l’ambiente a cui l’organismo si adatta e quale sia il punto in cui la sua azione cominci» (2020: 151). 

Se proviamo a incrociare il pensiero di Mancuso con quello di Latour, ne deriva una miscela esplosiva. Le implicazioni di tale miscela non possono sfuggire ai cultori della ricerca storica e delle discipline sociali e umane: ora sì che comprendiamo perché la vecchia storia evenemenziale aveva comunque una presa sull’animo umano: «tutto quel che accade non accade che una volta sola, non accade che a noi, qui» (Latour, 2020: 125). Sta tutto in quel “qui”, la dimensione locale dell’esistenza esplode con forza incomprimibile nel divenire globale del mondo. Si fondono così locale e globale, naturale e culturale, e precipitano insieme con la stessa forza rivelata nel mondo fisico dalla scissione dell’atomo. Tutto ciò appare difficile, anzi quasi impossibile da governare entro un quadro teorico ed epistemologico coerente, che potremmo chiamare geostorico, ma dobbiamo comunque provarci. Come accade a tutti i viventi, anche ai ricercatori non è dato sottrarsi alla dittatura della contingenza. 

178320-ldl momento è propizio 

Quanto dico vi potrà apparire ingenuo, ma ne sono fermamente convinto: il momento è propizio per operare la necessaria inversione di tendenza nel nostro rapporto con l’ambiente per due ordini di fattori. Entrambi suggeriti da quel prezioso osservatorio costituito dalla rivista Internazionale. In due diversi numeri del gennaio 2023 gli articoli di copertina erano dedicati uno a Aveva ragione Marx (Schulz, Beyer, Book, 2023: 40-47) e l’altro a Il ghiacciaio del destino (Gertsch, Krogerius, 2023: 38-47)

Nel primo articolo leggiamo che l’effetto diretto di decenni di mercato senza controllo è stata la crisi finanziaria del 2008 che ha segnato anche l’inizio della fine del neoliberismo. Per la prima volta, dopo decenni di dominio incontrastato della più perniciosa concezione della crescita economica senza vincoli, il pensiero di Marx comincia a fare breccia persino nelle roccaforti dell’economia e della finanza mondiali e ci si comincia non solo a interrogare sul ruolo di indirizzo che in una congiuntura così sfavorevole possono avere le istituzioni dello Stato, ma si cominciano ad approntare strumenti atti all’uopo e a finanziarli adeguatamente (pensiamo a quanto avvenuto per contrastare gli effetti della pandemia sia in Europa che in America).

Il secondo, invece, ci induce a seguire con il fiato sospeso quanto avviene in Antartide e specificamente a seguire le sorti del ghiacciaio Twaites, che come una sorta di tappo impedisce all’Antartide occidentale di sciogliersi e defluire in mare. I glaciologi sono, infatti, concordi nell’affermare che lo scioglimento di questo ghiacciaio, con i suoi effetti disastrosi, sia un evento ineluttabile anche se non riescono a determinare con certezza quando tale evento avverrà. A proposito viene citato Anthony Leiserowitz, che ha voluto riassumere il cambiamento climatico in cinque semplici frasi: «It’s real. It’s us. Experts agree. It’s bad. There’s hope» (2023: 47). Il cambiamento climatico è reale. È colpa nostra. Gli esperti sono d’accordo. È grave. C’è speranza. Non ci resta che prendere per buone le affermazioni di questi scienziati e di aggrapparci a quello scampolo di speranza che essi ancora ci riservano. Ancora.

In ultimo, propongo una constatazione che ci consente di riprendere il filo del discorso di Annibale Raineri: non è un caso che oggi alla guida dei movimenti di protesta – da Fridays for Future a Black lives matter, dalla Bielorussia del 2020 all’Iran ci siano soprattutto donne. Il lavoro delle donne segue i bisogni delle persone, non le esigenze del mercato. Forse è per questo che oggi le donne hanno più chiaro degli uomini che qui è in gioco la sopravvivenza dell’umanità.

Con loro mi domando: se non ora, quando? 

Dialoghi Mediterranei, n. 60, marzo 2023 
Riferimenti bibliografici
Gertsch, C., Krogerius, M., “Il ghiacciaio del destino” in Internazionale, 1493 (2023): 38-47;
Foucault, M., Il coraggio della verità. Il governo di sé e degli altri II. Corso al Collège de France 1984, Feltrinelli, Milano, 2011.
Guarrasi, V., La città cosmopolita. Geografie dell’ascolto, Palumbo, Palermo, 2011.
Guarrasi, V., “Frontiere e diaspore mediterranee” in Dialoghi Mediterranei, n.36, 1marzo 2019.
Guarrasi, V., “Pandemia, migrazioni e riscaldamento globale” in Dialoghi Mediterranei, n. 46, 1 novembre 2020.
Guarrasi, V., “Sulla geostoria come scienza di Gaia” in Dialoghi Mediterranei, n. 47, 1gennaio 2021.
Klein, N., Una rivoluzione ci salverà, Rizzoli, Milano, 2015.
Latour, B., La sfida di Gaia. Il nuovo regime climatico, Meltemi, Milano, 2020.
Mancuso, S., La nazione delle piante, Laterza, Roma-Bari, 2019.
Petrignani, S., La corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg, Neri Pozza, Milano, 2018.
Raineri, A. C., Ancora. Cambiare il mondo nel tramonto della politica, Navarra editore, Palermo, 2022.
Schulz, T., Beyer, S., Book, S., “Karl Marx aveva ragione” in Internazionale, 1495 (2013): 40-47.
Wolf, C., Cassandra, Edizioni e/o, Roma, 1983.

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Vincenzo Guarrasi, professore emerito di Geografia presso l’Università di Palermo è stato Preside della Facoltà di Lettere e vicepresidente dell’Associazione dei Geografi Italiana. I suoi principali campi di ricerca sono stati: la condizione marginale; le migrazioni internazionali; le città cosmopolite. Ha pubblicato numerosi saggi e monografie su vari temi connessi alle dimensioni della geografia urbana e culturale.

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