di Sergio Todesco
Propongo un mio personale contributo alle celebrazioni dantesche. Ho conosciuto Lucio Oresti nel 2007. Si era da qualche mese inaugurato il Museo “Giuseppe Cocchiara”, a Mistretta, e una mattina trovai un anziano signore che si aggirava per le sale, mostrando un vivo interesse verso le collezioni ivi esposte, ma soprattutto verso i documenti audiovisivi che nel megaschermo presente in un ambiente venivano proposti e nei monitor disseminati lungo il percorso potevano a richiesta essere compulsati.
In seguito lo vidi più volte visibilmente commosso, e qualche volta in lacrime, nel vedere alcune scene di vita contadina o ascoltare canti e documenti orali del passato mistrettese che un generoso amico, Sebastiano (Tatà) Lo Iacono, mi aveva concesso di inserire nel software quale patrimonio immateriale della cultura che nel museo si intendeva rappresentare.
Lucio Oresti in breve non lasciava trascorrere molto tempo senza fare una capatina al Museo, soprattutto nei giorni in cui sapeva di poter contare sulla mia presenza. Fu questo l’inizio di un bel rapporto di amicale consuetudine, che molto presto lo indusse a parlarmi della sua vita assai travagliata trascorsa, come lui stesso scrive, «tra le insidie dell’umanità e le preoccupazioni della famiglia», nel corso della quale – orfano di padre in giovane età – aveva sin da piccolo iniziato a lavorare, dapprima come pastorello e in seguito svolgendo una miriade di mestieri sempre sotto padrone: guardiano di armenti, insaccatore di carbone, mediatore di paglia e fieno, operaio edile, raccoglitore di bietole, spesso costretto a dormire sotto le stelle con qualunque clima, disprezzato da molti e da molti tradito, sperimentando un’esistenza segnata dalla precarietà, da una fame atavica e da una serie interminabile di disavventure a volte decisamente tragiche, a volte tragicomiche…..
Era stato Lucio, nato nel 1928, anche un Piccolo Balilla, derivandone da allora per lui una sconfinata ammirazione verso Mussolini e una corrispondente avversione verso il Comunismo. Sottoproletario per tutta un’intera esistenza, Lucio Oresti non si era sottratto all’eterna sorte dei lazzari, condannati ad agire contro i propri interessi e a “far girare indietro la ruota della storia”.
«Miei cari figli, quando sarò morto e voi leggerete queste pagine, potete credere fermamente, che se non fosse stato per il tradimento fatto a Benito Mussolini – da tutti coloro che le stavano più vicino – l’Italia avrebbe vinto la guerra!.Malgrado i comunisti vi diranno; non è vero! O i democristiani potranno farvi capire che Mussolini fu un criminale, rispondete o figli criminali siete!! Voi e i comunisti! Perché avete barbaramente ucciso il più grande figlio d’Italia – Benito Mussolini – solamente per andare al governo, tutti voi buffoni! Portando l’Italia alla rovina!!… Riducendola avvolta nelle cambiali! Qualcuno vi dirà che io ho scritto queste parole perché sono un – fascista – una parola che nuoce ai venduti allo straniero! Ma vostro padre quando lo chiamano – fascista – si sente onorare! Se siete vero sangue di Oreste, onoratevi e siatene orgogliosi di essere – fascisti!! – Sappiate o figli, che durante il ventennio fascista l’Italia risorse! L’Italia fu civilizzata, disciplinata, ammontata di gloria, amata temuta e rispettata, con la riconquista dell’impero romano!- Se qualcuno vi parlerà di nuove leggi a favore dell’operaio, dite francamente che tutte le leggi circa a favore dei lavoratori sono state fatte da – Benito Mussolini – durante i suoi 20 anni di potere, come ad esempio; gli assegni familiari, la pensione a tutte le categorie, l’assistenza malattia, la maternità infanzia, la giornata di lavoro di 8 ore [detto da chi per tutta la vita aveva lavorato 12-14 ore al giorno, n.d.r.], la “conciliazione” tra “Stato” e “Chiesa” la ricostruzione dopo tanti secoli dell’impero romano, le rigorose e ferree istituzioni di legge contro la “maffia” era infatti stata estirpata questa onorata società tutta ben sistemata al confino! l’agricoltura e la pastorizia rinvigoriti dando il premio a chi più coltivava la terra facendo un buon raccolto, o agli allevatori bravi di bovini ovini ecc… quindi infervorava tutte le categorie, affinché la patria italiana fosse onorata, la moneta italiana portata quasi allo stesso valore della moneta degli Stati Uniti non come oggi che la lira italiana è più svalutata credo di tutti i paesi del mondo, ed altre leggi che sarìa lungo il dire, tutte a vantaggio del popolo italiano e della grande e gloriosa “Patria” che fu! Queste sono le leggi fasciste, fatte da quel grande patriota! Benito Mussolini. E voi della Democrazia cosa avete fatto in quasi vent’anni di governo?».
È, questo, uno dei tanti brani significativi di un singolare memoriale (… Non conosco i miei vent’anni…) consistente di ben 186 pagine in formato A4, iniziato presumibilmente intorno alla metà degli anni sessanta, significativamente dunque coevo a quella scomparsa delle lucciole avvertita dal lucido sguardo pasoliniano, e ultimato nel 2007, proprio l’anno a cui risale la mia conoscenza con l’autore.
Tralasciando l’enumerazione delle meraviglie compiute dal Regime, pressoché doverose da parte di chi, pur vivendo l’intera sua esistenza in una condizione segnata dalla marginalità, non aveva ricevuto altri messaggi se non quelli roboanti della propaganda fascista, i cui luoghi comuni continuano purtroppo ad avere anche oggi scandalosa circolazione, ciò che in questo brano mi colpisce è quel “ed altre leggi che sarìa lungo il dire” che fa capolino alla fine del suo panegirico, e mi riporta al tema dantesco.
Tra le diverse vicende in cui si era venuta dipanando la sua Odissea Oresti mi parlò infatti anche delle sue passioni nei confronti di Dante e del suo poema, di come alla fine degli anni ’50 da contadino già pratico di letture bibliche ma mai confrontatosi con altre scritture fosse riuscito, nel corso di ben due anni e mezzo di duro e spontaneo apprendistato letterario e senza guida alcuna, a leggere la Divina Commedia giungendo addirittura ad impararne a memoria oltre trenta canti. E me ne diede prova recitandomene alcuni, con voce stentorea e con un pathos che niente aveva da invidiare alle letture dantesche di Roberto Benigni.
Questo straordinario dantista popolare, autodidatta nel senso più ampio del termine, lo frequentai per tre anni, divenendone in qualche modo amico e confidente, tanto che finì con l’affidarmi quel suo diario manoscritto, il resoconto della sua vita, chiedendomi se lo ritenevo meritevole di una pubblicazione. E io lo lessi, appassionandomi a una scrittura scarna ed essenziale ma rigorosa e spietata, da testimone oculare del secolo breve quale lui si era trovato ad essere. Gli resi però il diario sconsigliandone la pubblicazione per la presenza in esso di crudi e assai delicati episodi di gioventù.
Andato via da Mistretta non ebbi più occasione di incontrarmi con Lucio Oresti, fin quando nel 2012 un giorno venni informato, con dispiacere, della sua scomparsa. Un suo parente però aveva lasciato presso il Museo Cocchiara un plico che Oresti stesso mi aveva destinato, aperto il quale mi trovai in mano una delle poche copie dattiloscritte che lui stesso aveva provveduto a far rilegare, con tanto di sopracoperta, del diario-memoriale, che adesso tornava a me – per così dire da un’altra dimensione – come testimonianza di un uomo che per qualche tempo mi aveva camminato accanto regalandomi le sue memorie.
Non c’è forse testimonianza simbolicamente più significativa del concetto di lingua come patria, come casa, come memoria del Dante patrimonio della cultura popolare, dei suoi versi sillabati sulle labbra degli analfabeti. Non c’è forse modo migliore di celebrarne nell’anniversario la vitalità, il radicamento nazionale, la irresistibile potenza. Un felice antidoto all’imbarbarimento dell’italiano di oggi [1].
Dialoghi Mediterranei, n. 49, maggio 2021
Note
[1] Di lui, di questa voce subalterna e contraddittoria della Sicilia del XX secolo, mi piace in questa sede offrire quattro documenti orali raccolti da Sebastiano Lo Iacono, da molti anni a Mistretta appassionato raccoglitore e custode delle tradizioni locali, gli ultimi due dei quali appunto dedicati alla sua passione dantesca.
Com’era Mistretta una volta:
http://www.mistretta.eu/Audio/Tecaudio/Com’era%20Mistretta%20Lucio%20Oresti.mp3
Vi racconto il Martuòriu:
http://www.mistretta.eu/Audio/Tecaudio/U%20Martuoriu%20Lucio%20Oresti.mp3
Come ho conosciuto Dante:
http://www.mistretta.eu/Audio/Tecaudio/Intervista%20Lucio%20Oresti%20Divina%20Commedia.mp3
Canto 3° dell’Inferno:
http://www.mistretta.eu/Audio/Tecaudio/Divina%20Commedia%20Inferno%20Canto%20III%20Lucio%20Oresti.mp3
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Sergio Todesco, laureato in Filosofia, si è poi dedicato agli studi antropologici. Ha diretto la Sezione Antropologica della Soprintendenza di Messina, il Museo Regionale “Giuseppe Cocchiara”, il Parco Archeologico dei Nebrodi Occidentali, la Biblioteca Regionale di Messina. Ha svolto attività di docenza universitaria nelle discipline demo-etno-antropologiche e museografiche. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni, tra le quali Teatro mobile. Le feste di Mezz’agosto a Messina, 1991; Atlante dei Beni Etno-antropologici eoliani, 1995; Iconae Messanenses – Edicole votive nella città di Messina, 1997; Angelino Patti fotografo in Tusa, 1999; In forma di festa. Le ragioni del sacro in provincia di Messina, 2003; Miracoli. Il patrimonio votivo popolare della provincia di Messina, 2007; Vet-ri-flessi. Un pincisanti del XXI secolo, 2011; Matrimoniu. Nozze tradizionali di Sicilia, 2014; Castel di Tusa nelle immagini e nelle trame orali di un secolo, 2016; Angoli di mondo, 2020.
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