di Rossana Salerno
Introduzione
Il caso specifico di questo studio sociologico, di ricerca qualitativa ed etnografica, ha come oggetto di analisi la comunità tamil delle nuove generazioni, nate e cresciute nella città di Palermo, e quella delle vecchie generazioni, per la maggior parte provenienti dallo Sri Lanka. Il punto di convergenza si può leggere durante le ritualità festive legate al culto della patrona di Palermo: Santa Rosalia. I due momenti principali sono il giorno dedicato al “dialogo interreligioso”, creato nell’intento di una “condivisione reciproca” del ciclo festivo, e i giorni del 3 e del 4 settembre di ogni anno, dedicati al pellegrinaggio verso il Monte Pellegrino.
L’analisi della socializzazione religiosa delle nuove generazioni tamil è stata espletato durante i due grandi momenti del ciclo festivo dedicato alla Santa. Lo studio è stato condotto attraverso l’etnografia sul campo, nella notte del pellegrinaggio, e l’analisi testuale dei discorsi e dei messaggi che l’Arcivescovo Lorefice ha diffuso nella giornata dedicata al “dialogo interreligioso”. La metodologia di ricerca etno-qualitativa si è avvalsa dell’osservazione partecipante ed è stata supportata dal software NVivo. Inoltre, vi è stato lo spoglio della documentazione video e fotografica relativa ai messaggi rivolti alla Santa e scritti in lingua tamil e in siciliano.
La partecipazione attiva delle comunità religiose alla giornata dedicata all’incontro tra le diverse religioni presenti nella città di Palermo ha creato una ritualità di incontro annuale sotto il segno di Santa Rosalia. La particolarità del pellegrinaggio, caratterizzato dalla presenza della comunità tamil, crea così un incontro tra le religioni induista e cristiana.
Tra gli stranieri che abitano a Palermo, i tamil della prima generazione hanno una storia particolare: sono dei rifugiati che con la concessione dell’asilo politico hanno cercato di ricostruirsi, a poco a poco, una vita dignitosa e serena nella città di Palermo. Qual è la motivazione che induce la comunità tamil alla condivisione del ciclo festivo di Santa Rosalia? Quale “tradizione” riconducibile alla “montagna sacra” li spinge ad avere e stringere uno stretto legame con il territorio palermitano e con la sua Santa patrona? Perché ogni domenica e non solo durante il pellegrinaggio di settembre essi “salgono” al santuario?
Negli anni della ricerca mi sono state date diverse spiegazioni in merito alle domande poste. Una tra tutte interpreta la devozione alla Santa come richiesta di protezione della città e dei bambini. Un’altra ancora intravede una similarità tra “una donna” tanto colorata e fiorita e le altrettanto fiorite e colorate divinità orientali. Se per Santa Rosalia si canta in italiano, per Shiva si canta in “hindu”. Inoltre, il santuario della patrona palermitana è divenuto un tempio, in cui Rosalia impersona per i tamil la loro divinità. All’interno della grotta, nel santuario sul Monte Pellegrino, l’altare centrale è dedicato alla “Vergine Madre di Dio”, alla “Concezione”: i tamil ritrovano in essa la “Grande Madre”, che protegge il matrimonio e i figli. Infatti, Durga, nella religione induista identificata con la moglie di Shiva, rappresenta l’energia femminile, la “donna archetipo”, l’elemento dinamico nella creazione del mondo.
La motivazione che induce i tamil alla partecipazione durante la giornata di dialogo interreligioso è data da un autentico radicamento territoriale ed anche dal valore identitario attribuitogli. Il senso di appartenenza delle seconde generazioni si rivela nella stessa devozione a Santa Rosalia, non più solo santa cristiana ma anche loro divinità. Proprio lungo il percorso dell’acchianata si esprime questo sentimento e questo legame al territorio. Questo spiega il perché del pellegrinaggio domenicale, e non solo nella notte del tre di settembre nel corso dell’acchianata “condivisa”.
Nell’analisi di ricerca fatta di “racconti di vita” da parte dello studioso Burgio si legge che:
«Ogni domenica mattina è possibile osservare la presenza di molti Tamil al santuario della patrona di Palermo, a Monte Pellegrino. Molti Tamil che lavorano presso case private hanno chiesto la domenica mattina come periodo di riposo appunto per realizzare questo pellegrinaggio. Spesso l’ascensione al Monte viene fatta a piedi, come è uso dei fedeli che vogliono impetrare delle grazie. All’inizio ho pensato ad una sorta di “parassitismo” religioso. Pensavo che qualcosa dell’iconografia della Santa potesse ricordare ai Tamil hindu le caratteristiche di qualche divinità e che quindi usassero il santuario risignificandone l’ambito simbolico. Pensavo, ad esempio, che la presenza del teschio della Santa (il memento mortis) potesse essere riconfigurato come attributo della dea Kali, spesso raffigurata con una collana di teschi. In realtà la motivazione non è questa ed è invece tipicamente induista: ‘Dio è uno ma ha molti aspetti, uno di questi è Santa Rosalia’. La Santa cattolica può rientrare nel pantheon induista, proprio in quanto Santa cattolica. Per venerarla bisogna seguire i riti che tutti le dedicano: riti cattolici. Ecco perché gli induisti pregano la Santa, non recitando un mantra o offrendo un bastoncino d’incenso, ma facendosi il segno della croce! Questo uso della venerazione della Santa palermitana è molto diffuso tra tutti gli hinduisti, non solo tra quelli Tamil» (Burgio, 2003: 9).
Inoltre, lo studioso rileva che nelle storie di vita si delinea uno stile di vita identitario e di “adattamento” per cui
«venerare le stesse divinità venerate dai palermitani sarebbe una sorta di ‘dovere di ospitalità’: queste sono come dei geni loci, entità protettrici del luogo che bisogna ingraziarsi. Anche per un motivo pratico: esporre l’immagine di Cristo può essere una sorta di captatio benevolentiae, un modo non solo per prevenire la xenofobia dei palermitani nei loro confronti, ma anche e soprattutto un modo per non far sentire a disagio i cattolici. I palermitani che entrano nei ristoranti Tamil riconosceranno un simbolo della loro religione non sentendosi così degli estranei» (ibidem).
Dunque, non si tratta solo di una “condivisione” delle ritualità esclusivamente per ingraziarsi la divinità o per condividere in modo “comunitario” la Santa dei palermitani cristiani: l’intento è quello di integrarsi nel territorio non come “stranieri”, “immigrati” ma come “ospiti graditi”.
Una scatola per gli attrezzi
La struttura dei festeggiamenti di Santa Rosalia a Palermo durante i giorni del “ciclo” festivo assumono forme strutturali diverse riguardo soprattutto alla partecipazione degli attori sociali. Nuovi stili di vita e nuove forme di tradizioni si associano a quello che è definito il “Festino” e “nuovi” attori sociali sono presenti lungo il “percorso” del pellegrinaggio la notte del 3 settembre.
Affrontare il caso della festa di Santa Rosalia implica il ricorso ad una serie di concetti: il “Festino”, il “Pellegrinaggio” e l’“Incontro annuale con i rappresentanti delle altre religioni” nella festa della Santa patrona.
Il ciclo calendariale del Festino di Santa Rosalia a Palermo ha un andamento che non rispetta la costante di celebrazioni intervallate di dodici mesi in dodici mesi, ma si caratterizza per performance reiterate a distanza di qualche settimana nella stagione estiva. Tale rapprochement temporale consente interventi in corso d’opera in modo da ricalibrare adeguatamente tempi, modi e contenuti secondo le necessità del momento, gli eventi intercorsi, le contingenze estemporanee. Da questo punto di vista i discorsi ufficiali e altri pronunciamenti rituali, ma anche i manifesti e i programmi, divengono allo stesso tempo indizi ed indicatori preziosi ed illuminanti per cogliere dinamiche in corso e cambiamenti in atto.
La festa di Santa Rosalia si tiene a Palermo in giorni distinti tra luglio e settembre di ogni anno, dal 1625 ad oggi. La volontà è di non arrestarsi al più noto “Festino” del 14 luglio, ma di guardare alle tre celebrazioni ufficiali dedicate alla Santa, includendovi così tanto la processione dell’urna reliquiaria del 15 luglio, quanto il pellegrinaggio del 4 settembre.
Una tale chiave di lettura, ovviamente, ha un valore puramente esplorativo ed è valida specialmente sul piano metodologico. Può essere ragionevolmente praticata solo nella misura in cui consente un approccio più approfondito del rapporto tra il sacro, attraverso il rito che viene celebrato, e il territorio, inteso non solo come spazio socialmente abitato ma anche come insieme di istanze culturali e sociali che vi insistono.
Il rapporto con il territorio non si limita solo al confronto e all’interazione incessante tra un’interpretazione istituzionale e una popolare dell’evento. Esso acquista una sua dimensione fisica in cui le logiche si ribaltano: ad un sacro che transita nella città fa da contrappeso e quasi da “restituzione” una città che si reca dal sacro e ne attraversa lo spazio. Il Pellegrinaggio notturno del 3 settembre mette in moto un’altra dinamica, quella del “sacro inamovibile”, dove il soggetto, “il devoto” si sposta secondo un’espressione rituale specifica: ad esempio, pregando o cantando, a piedi nudi o in ginocchio, in silenzio o recitando il rosario.
Si osserva, così, l’utilizzo di simboli specifici, come la fiaccola tenuta accesa durante il percorso del pellegrinaggio (notturno) al Monte Pellegrino, la coroncina del rosario utilizzata per la preghiera e la presenza simbolica della “bandierina” di Santa Rosalia (valore non solo simbolico di per sé ma anche spirituale, poiché sono raffigurate le immagini devozionali della Santa da un lato e della Madonna dall’altro). Va notato, inoltre, che l’uso e il movimento della bandierina assumono anche una forma e funzione apotropaica.
La festa, invero, riunisce espressioni diverse e si rivela essere un vero e proprio contenitore nel quale convergono devozione religiosa, riti penitenziali, identità locale, impegno ecclesiale e presenza istituzionale. Un altro momento identificativo e significativo per l’analisi della festa è l’Incontro annuale con i rappresentanti delle altre religioni che dal 2014 ha luogo nel Palazzo arcivescovile, durante le celebrazioni in onore della Santa patrona di Palermo.
La comunità tamil a Palermo
La città metropolitana di Palermo ospita la più grande comunità tamil d’Italia: sono circa ottomila persone presenti già dagli anni ’80, di cui una parte abbraccia la fede induista e l’altra, ovvero poco meno della metà (si stimano 3500 individui), quella cattolica. La maggioranza dei tamil abita nel centro storico di Palermo. La chiesa di riferimento per i devoti tamil di fede cristiana è quella di San Nicolò da Tolentino (che si trova in via Maqueda), dove la messa è officiata in lingua tamil.
Burgio in merito alla presenza territoriale della comunità tamil evidenzia che
«l’identità dei Tamil dello Sri Lanka è oggi costituita da un rapporto basato su tre pilastri: le comunità della diaspora, i loro paesi ospitanti e la patria. L’identità Tamil appare come un’entità complessa, composta da diversi strati. I Tamil dello Sri Lanka si identificano con questo tamilness globale e tuttavia, allo stesso tempo, differiscono per alcuni aspetti linguistici, culturali e storici. La loro diasporizzazione ha prodotto un rafforzamento dell’identità e i Tamil della diaspora tendono a costruire – all’interno del Tamil globale – comunità distinte. L’identità della comunità è costantemente alimentata da una riproduzione culturale attiva, collettiva. Allo stesso tempo, ogni individuo Tamil è connesso – attraverso reti familiari e di amicizia – a vari nodi della diaspora e alla patria. E le pratiche transnazionali – che sono politiche, economiche e culturali – collegano la patria alle comunità diasporiche. Insomma, parlare di Tamil significa includerli nella cornice teorica della transnazionalità» (Burgio, 2016: 116).
Le prime generazioni di immigrati hanno subito ritrovato nella Santa patrona di Palermo una figura guida e una divinità alla quale fare riferimento. Allo stesso tempo la Santa è stata messa sullo stesso piano di protezione personale, in forma “trans-migratoria” e “trans-figurale”, dei riferimenti sacri induisti protettori dal male, come la figura di Durgai (avatar di Amman, con teschio e rose, simboli condivisi con Santa Rosalia) o di Ganesh (residente nella montagna sacra). L’induismo è una religione incline all’accoglienza e che contempla una moltitudine di dèi, pur nella consapevolezza della presenza di un unico dio.
Le tipologie generazionali tamil a Palermo sono due: la prima rivolge sempre il proprio pensiero alla terra di origine e la seconda invece reputa la città come propria ed identificativa per la persona stessa. Il responsabile spirituale degli srilankesi cattolici a Palermo è padre Vimal Rajan Omi, il quale ogni anno partecipa alle celebrazioni festive di Santa Rosalia. I tamil cattolici presenti nella città di Palermo identificano Santa Rosalia come “una Santa ed una madre” che abita nella montagna. Infatti, la presenza della comunità tamil, nel pellegrinaggio che conduce verso la figura sacra “che tiene lontano il male”, ha luogo non soltanto nel periodo di settembre di ogni anno, ma in ogni domenica dell’anno: “questo è il vero rito o rituale” della comunità tamil che abita nella città di Palermo.
Il fatto stesso che il santuario di Santa Rosalia sia posizionato in alto richiama esplicitamente l’espressione «lo sguardo verso l’alto» ed evoca nella comunità tamil ricordi legati al proprio territorio dello Sri Lanka. L’azione stessa intrapresa del peregrinare verso il santuario in cima al Monte Pellegrino, “il camminare sui ciottoli a piedi nudi”, con le mani giunte in segno di preghiera e di chiusura verso il mondo e in connessione con il sacro cui si va incontro, denota il senso mistico, privato, personale e intimo di ogni pellegrino.
L’andare a passo lento, da soli od in gruppo, rappresenta una sorta di filo diretto con le tradizioni della prima generazione e del Paese di provenienza. L’azione dell’“acchianare”, salire, e del “ritorno nella discesa” crea uno status identitario con il luogo in cui si vive senza dissociarlo da quello da cui si proviene. Secondo Burgio,
«dentro i ristoranti Tamil, e dentro le poche case che ho visitato, si può ammirare un piccolo altare dove l’immagine di Ganesh, il dio hindu con la faccia di elefante, sta accanto al Sacro Cuore (l’immagine di Gesù̀ Cristo che mostra il proprio cuore esposto e sanguinante) o all’immagine di Santa Rosalia (la patrona di Palermo) sdraiata con la sua corona di rose e con un teschio in mano» (Burgio, 2003: 7).
Di recente la sociologia si è avvicinata alla tematica delle festività religiose e della pietà popolare creando un ampliamento del “contenitore” del “ciclo festivo” di Santa Rosalia a Palermo (Salerno, 2017). L’antropologa Giulia Viani nel suo studio sulle comunità mauriziane a Palermo, pone in rilievo la dimensione temporale delle ritualità tamil e mauriziane in concomitanza con i riti e le tradizioni siciliane:
«le prime discrepanze evidenti riguardano la percezione stessa (purtroppo spesso distorta) della migrazione, l’accentuarsi dell’inquietudine da parte dell’opinione pubblica unita tuttavia a un maggiore interesse a riguardo, la presenza sempre più significativa e stabile dei gruppi migranti visibile nel territorio attraverso negozi e ristoranti ‘etnici’, ma anche mediante riti e processioni che rappresentano ormai un appuntamento fisso e si vanno ‘tradizionalizzando’ accanto alle feste siciliane. (…) Da parte della popolazione locale c’è molto interesse e curiosità (anche se magari con uno ‘sguardo esotico’), ma la conoscenza dei culti e delle pratiche cerimoniali dei migranti – e del loro senso – sembra ancora scarsa: problemi tipici della contemporanea ‘città globale multireligiosa’, dove i simboli delle religioni coesistono, ma non godono di reciproca conoscenza e non sono inclusi in un comune patrimonio culturale» (Viani 2011: 73).
La studiosa pone in discussione anche la “confusione” che si può creare tra le diverse etnie e la loro “religiosità”, analizzando il caso dei mauriziani, presenti come una grande comunità nel territorio palermitano ma in minoranza rispetto ai tamil:
«la molteplicità̀ delle feste e dei calendari induisti riproduce, pertanto, la complessità del mondo mauriziano e induista in particolare. (…) L’assenza di una sede adeguata ai bisogni della comunità è un leitmotiv delle interviste ai migranti, per i quali la ricerca di un ‘luogo’ per la e della comunità risponde probabilmente al bisogno di ricreare quello spazio, innanzitutto fisico, venuto meno in seguito alla migrazione. A Palermo, i Mauriziani non hanno un tempio vero e proprio e sono stati costretti a prendere in affitto un garage in un semi-interrato, adibendolo a luogo di culto. Il ‘Tempio’ riveste un ruolo fondamentale di collante sociale, evidenziato dal fatto che la partecipazione dei Mauriziani ai riti, a volte, è maggiore nel contesto migratorio rispetto a quello di origine» (ibidem).
I tamil e mauriziani “palermitani di seconda e terza generazione” si riuniscono non solo nelle proprie comunità ma anche nell’associazionismo che ne deriva. Allo stesso tempo, però, il fattore “identitario” non è forzatamente “pubblico” ma soprattutto “privato”. L’antropologa Viani cerca di ricomporre questo assetto:
«le feste considerate più importanti dai gruppi di Palermo non corrispondono necessariamente a quelle annoverate tra le festività pubbliche del calendario nazionale dell’Isola Mauritius. I Tamil, per esempio, sarebbero in realtà maggiormente devoti a Mourouga, venerato nel rito di Cavadee. Le pratiche rituali di tale festa sono, però, estremamente complesse e sono rari gli officianti in grado di eseguirla, soprattutto al di fuori del contesto d’origine. In Sicilia viene celebrata solamente a Catania, dove risiede la più numerosa comunità di Mauriziani d’Italia. Per avere comunque una ricorrenza che li rappresentasse nella comunità d’appartenenza, i Tamil di Palermo hanno scelto Govinden» (ivi: 74).
A questo proposito, nel seminario “Riti religiosi e trasformazioni territoriali: il caso di Santa Rosalia a Palermo”, svoltosi il 18 aprile 2016 nel Museo Antonio Pasqualino a Palermo, avevo messo a confronto la ritualità e la pluralità delle dimensioni religiose che convergono all’interno del ciclo festivo di Santa Rosalia. A Palermo, nello specifico nel centro storico e segnatamente ai “Quattro canti” (fulcro centrale dell’incontro tra più religioni presenti sul territorio, ovvero piazza Villena, incrocio fra via Maqueda e via Vittorio Emanuele) sono presenti “sincronie di rituali” che creano una concomitanza di rappresentazioni nelle quali si manifestano le tradizioni culturali delle diverse professioni di fede caratterizzanti il centro della città. Per questo risulta rilevante la creazione da parte della curia arcivescovile della “Giornata dedicata al dialogo interreligioso”.
La tematica dell’identità è stata trattata recentemente da parte di Piraino e Zambelli, i quali nel loro articolo “Santa Rosalia and Mamma Schiavona” ricostruiscono delle interconnessioni rituali che riguardano sia il territorio “il Monte” (come riferimento spazio/temporale), sia soprattutto forme di “inter-connessione spirituale” ed “identitaria” che s’intrecciano all’interno della “pietas religiosa”. Infatti, secondo gli studiosi
«questa devozione non può essere ridotta alle categorie di sincretismo, assorbimento e appropriazione del culto, né a una strategia di adattamento o a una rielaborazione individuale; sarebbe meglio descritta come una porosità specifica innata alla religiosità indù, come un’azione coerente e collettiva di rielaborazione religiosa e sociale, fondata sulla permeabilità dell’induismo e del cattolicesimo Tamil. In effetti, la religiosità del popolo Tamil, indipendentemente dalla loro religione attuale, mostra una dimensione esplorativa nei confronti delle altre religioni. I confini tra le religioni sono più sfumati rispetto alle categorie teologiche e sociologiche occidentali” (Piraino F., Zambelli L., 2015: 275).
Dal diario etnografico
Durante la ricerca etnografica, prima della pandemia, ho potuto notare la presenza di fedeli e di pellegrini stranieri che intraprendono, a partire dalle falde del Monte Pellegrino, la strada a ciottoli che conduce per i tornanti al santuario. Non posso fare a meno di mettere in evidenza la presenza di giovani scout che radunati iniziano il cammino verso la cima pregando. Un altro gruppo di devoti, fermo in uno spiazzale poco distante dall’entrata, sulla parte destra della strada vecchia, aspetta che il gruppo sia completo per iniziare ad acchianare.
Verso le ore venti cominciano ad arrivare devoti con i tratti somatici che caratterizzano il gruppo della comunità tamil. Non chiedo la loro provenienza. Potrebbero anche essere di origine cingalese. Mi attengo solo ad osservare silenziosamente il loro percorso: si uniscono a quelli già presenti (uomini, donne e bambini) ed intraprendono il percorso con delle candele di cera, accendendole una per una, partendo da una fiamma che accende le successive. Formano un semicerchio per l’accensione dei ceri votivi e poi in fila per tre formano un corteo.
La comunità tamil di Palermo, induista, prega Santa Rosalia. Non si tratta di un fenomeno di “sincretismo religioso”, ma di un vero e proprio trasferimento: la Madre della montagna di Sri Lanka abita anche Monte Pellegrino come in Sri Lanka abita il Monte Kataragama. Alla Montagna si devono fare per nove giorni consecutivi i pellegrinaggi rituali e ad essa si possono consegnare sofferenze e dubbi, difficoltà di rapporti, desideri, integrazioni e disintegrazioni sociali. Le preghiere a Santa Rosalia sono rivolte per iscritto e consegnate al santuario sulla Montagna e nel loro complesso sono una testimonianza qualche volta angosciosa, qualche volta buffa, sempre commovente e ricca di sentimenti, non mediati ed espressi in una lingua riservata (il tamil), che non dovrebbe essere letta da occhi estranei.
La devozione dei tamil a Santa Rosalia inizia con un miracolo fatto a una donna tamil che saliva al santuario in ginocchio, piangendo per la sua bambina che non si era più risvegliata dal coma. Dopo quella impetrazione della madre la fanciulla si è svegliata infatti dallo stato comatoso e vive tutt’oggi. Un’altra grazia è stata concessa ad una coppia che non poteva avere bambini e che adesso ha tre figli. Inoltre accade che tra i tamil ci siano bambine che portano il nome di Rosalia come segno di gratitudine e che tra i doni votivi si trovino foto di bambini tamil e preghiere scritte in lingua tamil.
Può essere difficile comprendere come una comunità indù possa pregare la Santuzza che ha salvato Palermo dalla peste nel 1624, ma entrando nello spirito dell’induismo, religione di base etnica che ha inglobato a poco a poco culti differenti, questa loro devozione non è poi così incomprensibile.
L’induismo si apre facilmente ad altre manifestazioni religiose. Profondamente diversificato al suo interno in base alle diverse regioni e culture in cui si è sviluppato, presenta un panorama religioso aperto e sensibile agli altri culti. I tamil cercano il rapporto con gli elementi naturali e ne sfruttano l’energia. Così anche sul Monte Pellegrino, al santuario di Santa Rosalia, riescono a percepire una forza cosmica. Il tempio rappresenta il luogo di congiungimento con la loro terra, lo spazio in cui vivere la loro speranza di pace, di liberazione dalla guerra e dalla morte, i sentimenti più profondi per i loro cari unitamente al desiderio di riunire le famiglie disperse. La Santuzza li accoglie e li ascolta e le loro preghiere si rinnovano in attesa del miracolo.
I devoti tamil sono sempre più numerosi: quattromila circa i tamil indiani dello Sri Lanka, di religione indù, ai quali la Santa sembra concedere la grazia, esaudendone le preghiere. Il presidente della comunità italiana dei tamil a Palermo, il signor Metha, designa il santuario di Santa Rosalia, per la posizione geografica e per la collocazione nella parte più alta del Monte Pellegrino, come punto di riferimento che riconduce la memoria ai templi dello Sri Lanka. I tamil che vivono a Palermo dagli anni Ottanta non hanno un luogo in cui praticare la loro religione e celebrare i loro riti. Dunque, il santuario sul Monte Pellegrino sovrastante il mare è diventato il loro tempio e Rosalia la loro Santa.
Ogni domenica durante tutto l’anno, alle prime luci dell’alba, le famiglie tamil nei loro abiti tradizionali s’incontrano ai piedi del Monte per salire insieme, immerse nell’atmosfera festosa di chi va verso l’alto per raggiungere la Santa. Acchianano con un’andatura leggera, in religioso silenzio, a piedi nudi. Ci sono anche numerosi bambini dai grandi occhi scuri. Giunti ai piedi del santuario di Monte Pellegrino a capo chino proseguono in ginocchio, lungo la scalinata che li conduce alla grotta, lentamente: accendono un cero, nello spazio a cielo aperto del luogo sacro destinato ai ceri votivi, entrano nella grotta trasformata in cappella e pregano davanti all’altare.
Per la comunità tamil gli elementi naturali quali acqua, aria, terra e fuoco sono manifestazioni del divino in terra. Tale è anche Santa Rosalia per loro, che considerano altresì una materializzazione dell’energia cosmica. Tra gli stranieri che abitano a Palermo, i tamil hanno una storia particolare: sono rifugiati e con la concessione dell’asilo politico hanno cercato di ricostruirsi, a poco a poco, una vita dignitosa e serena. Si riuniscono nei locali di una scuola vicino via Dante, dove al pomeriggio alcuni volontari dedicano del tempo ad insegnare ai bambini dai 3 ai 13 anni le loro tradizioni, la lingua e la cultura.
Tra gli eventi che coinvolgono tutto il popolo tamil il più importante è la festa del 27 novembre, quando si celebra l’anniversario della morte di Shangar: una lunga cerimonia con danze, canti e spettacoli tradizionali, più o meno come i festeggiamenti durante il nostro periodo di Natale. La presenza di nuovi attori sociali e di nuove culture, che abitano la città, vedono ad esempio protagonista la comunità tamil il 14 luglio 2012, nella notte del Festino di Santa Rosalia, quando anche l’elefante sacro Shiva si ritrova nel corteo che precede il carro tradizionale in onore della Santa.
I biglietti in cui sono espresse le richieste di grazia sono tratti da un lavoro La diaspora Tamil a Palermo di G. D’Alia e G. Fiume (Maniscalco Basile, 1998: 65), che rappresenta una sorta di violazione del muro di mistero linguistico, mediante la traduzione di Nancy Triolo, che apre una finestra all’interno di un popolo immigrato rivolto a Santa Rosalia per richiedere un supporto spirituale. Nei biglietti lasciati al Santuario si leggono le pene amorose, la mancanza di accettazione sociale e le difficoltà etniche: sono confessioni sincere perché chi scrive non si aspetta di essere letto da altri che dalla Madre della Montagna. Essi contengono tutto il dolore, l’umanità e la passione di chi vive la sua vita in una terra difficile, ma con la quale non rinunzia a fare i conti perché proprio quella è la terra nella quale deve vivere.
Di seguito riporto alcuni testi:
«Cara Santa Rosalia nel nostro paese vorrei che venisse la pace per sempre. Qui con me non c’è nessuno. Poi vorrei un lavoro e benedici i miei figli e mia moglie».
«Madre della Montagna io vengo a Te, e chino la testa dinanzi a Te e cado ai tuoi piedi chiedendoti di risolvere i miei problemi. Non so se i miei parenti stanno bene. Nel nostro paese. Le bambine senza madri soffrono. Ti posso chiedere una cosa? Ma perché tu non sei una madre? Scusami se Ti ho chiesto questa cosa. Rispondi alle mie domande. Adesso io purifico il mio cuore e spero di non sporcare di nuovo il mio cuore» (Natale 1995).
«Madre Santa Rosalia, Noi non abbiamo figli e siamo disperati. Ormai abbiamo perso la speranza dacci un modo di avere figli».
«Madre della Montagna, io e questa donna ci amiamo per favore fai che noi due ci sposiamo senza i problemi che ci dà la nostra famiglia. Madre, conducimi Tu la mia amata donna. Grazie. Se tu mi farai questo favore io ti prometto che darò cibo ai poveri».
Il Giornale di Sicilia del 5 settembre 2013, nella cronaca di Palermo, titola: “Monte Pellegrino – Il tradizionale percorso a piedi scalzi e non al santuario attira ogni anno centinaia di persone”, “L’Acchianata tra Fede e folklore” – “In fila con un cero acceso per chiedere alla patrona benedizioni e grazie. Ma anche per suggellare unioni”.
La scalata a piedi per raggiungere il luogo in cui Rosalia Sinibaldi trovò un rifugio è durata circa un’ora. L’evento ha richiamato esperti e curiosi da tutta Italia. Così scrive Fundarotto sul Giornale di Sicilia:
«Con un cero acceso in mano, la cera bollente che cade sulle pietre che si fanno via via sempre più lisce, scivolose e la luce che illumina il ripido e lungo cammino in salita. C’è chi porta i calzini ai piedi, bianchi, chissà perché. Chi, invece li ha già tolti, negli scorsi anni ha visto qualcuno che lo faceva e adesso è lui a farlo. Forse ha un motivo ben valido che lo spinge. Qualcuno porta anche il proprio bambino ancora in fasce tra le braccia o nel passeggino, sulle spalle, “a cavalluccio”. O ancora gli dà la mano e stando attento che non cada lo conduce lassù sino in cima al Monte. Volti, sguardi, stati d’animo diversi. Persone per una notte accomunate da un cammino di fede e devozione che porta loro a intraprendere insieme quella ripida e faticosa salita, chilometri e chilometri, circa un’ora di scalata a piedi per raggiungere il luogo in cui la giovane Rosalia Sinibaldi trovò un rifugio silenzioso: Monte Pellegrino. Un luogo che da allora fu sacro nel ricordo di lei che poi diventò Santa e patrona della città per aver salvato Palermo dalla peste del 1624 [...]. Una tradizione che si ripete ogni anno, la notte del 4 settembre, data in cui Rosalia fu trovata morta dai pellegrini all’interno del Monte. Oggi si narra che proprio qui sia stato eretto il santuario in sua memoria. Tanti sono coloro che lo raggiungono ogni anno per chiedere una “grazia” alla Santa affinché curi un familiare da una malattia difficile, porti serenità in famiglia per un figlio che tarda ad arrivare o di questi tempi anche per un posto di lavoro che non si trova. Antica è infatti la tradizione degli ex-voto in argento portati dai fedeli in santuario alla Santa in segno di ringraziamento, raffiguranti la grazia ricevuta. “Io non ho portato un ex-voto ma da tre anni la notte del 4 percorro a piedi questa salita” racconta I. M. che vive a Castellammare del Golfo. “Ho chiesto alla Santuzza una grazia quando ero in ospedale e dovevo affrontare un’operazione difficile all’intestino e lei mi ha aiutato. Verrò qui ogni anno finché avrò le forze”. Ma c’è anche chi vede questo giorno come una vera e propria giornata di festa per coronare e suggellare il proprio sogno d’amore [...] “La Santa ci ha donato l’amore, ci ha fatto incontrare” hanno detto felici “e da tre anni ogni anno facciamo insieme questo percorso in segno di gratitudine. Se un giorno dovessimo mai sposarci penseremo di sicuro al santuario”. La prima salita a piedi scalzi di P. L. Preferisce non rivelare la grazia che sta per chiedere, si tratta di un segreto: “Sicuramente mi ascolterà, ne sono sicura” dice con convinzione [...] Poco prima di intraprendere la salita ha anche detto: “Sarà faticosa ma per la Santuzza questo ed altro”. Al suo fianco c’era R.P. anche lei a piedi scalzi, mano nella mano con i due figlioletti. “La mia grazia sono loro” racconta. “Otto anni fa intrapresi sempre a piedi scalzi questo percorso dato che i bimbi tardavano ad arrivare e io non riuscivo a rimanere incinta. Ebbene la mattina del cinque ho fatto il test di gravidanza ed era positivo. Adesso loro sono con me».
Secondo Lanternari, bisogna fare riferimento al folklore in una prospettiva antropologico-culturale, come «l’insieme delle tradizioni d’origine preborghese, che come tali implicano qualsiasi costume – atteggiamento, comportamento, stile di vita, prodotto culturale legato ad una cultura precedente al livello borghese – riportandolo ad un livello contadino» (Lanternari, 1983: 86). Alberto M. Cirese indica la nozione di folklore come la «traccia di un prodotto culturale di un tempo già trascorso» (Cirese, 1973: 24) ma anche come componente del comportamento ed atteggiamento in atto nel presente. Burgio, d’altro canto, in base ad una ricerca del 2003 sulla comunità tamil, sostiene che
«accostare Santa Rosalia a Vishnu è irreligioso, per un hinduista è assolutamente naturale. Questo, se da un lato ha influito dal punto di vista storico sulla conversione al cattolicesimo di molti Tamil, dall’altro, dà connotazioni precise a tale conversione. Se da un lato gli induisti non hanno difficoltà a confrontarsi con la spiritualità̀ cattolica, è anche vero, al contrario, che i cattolici Tamil non sentono i simboli, le divinità̀, la spiritualità̀ hinduista, che condividono a livello storico-culturale e folklorico, come antagonistici alla loro fede cattolica. Questo porta naturalmente ad una grande tolleranza verso le religioni degli altri, che non è, come potrebbe sembrare, indifferenza, ma consapevolezza profonda di una non opposizione. Quanto detto rende conto delle motivazioni religiose che rendono possibile la coabitazione sullo stesso altare di S. Rosalia e di Shiva, ma non spiega perché questa convivenza si è realmente verificata» (Burgio, 2003: 10).
Da quella ricerca sono trascorsi molti anni e il verificarsi nel 2014 della creazione di una giornata comunitaria tra tutte le religioni getta le basi di una cooperazione fraterna ed inclusione identitaria strutturata nel territorio. Inoltre, la realtà comunitaria è ben diversa da quella del singolo. Tale ragionamento è applicabile a quasi tutte le religioni.
Conclusione
Il tempo festivo si pone, rispetto al tempo ordinario, come un completamento dialettico, come l’essere rispetto al fare e, nelle feste religiose, come il sacro rispetto al profano. La scissione, spesso introdotta nell’osservazione antropologica, fra tempo sacro e tempo profano, tra festa sacra e festa profana, appare tanto più difficilmente applicabile quanto più si è dinanzi alle innumerevoli contaminazioni e alle trasformazioni che si sono compiute nel corso degli anni e dei secoli.
Secondo i tradizionalisti, sarebbe delittuoso interrompere, dopo più di tre secoli, una continuità storica e culturale che ha catalizzato anno dopo anno l’entusiasmo religioso della maggioranza dei palermitani. Il processo di secolarizzazione non legittima, d’altronde, la tesi secondo cui la società post-moderna si avvierebbe verso la cancellazione della festa, omologando i giorni e le ore: a smentirla basterebbe il clima di coinvolgimento emotivo e d’identificazione collettiva, che si registra durante i giorni della festa rosaliana sia a luglio che a settembre.
Il ciclo di festività ha un suo ruolo che tiene incorporati, congiuntamente, elementi di conservazione e trasformazione. L’uso del linguaggio simbolico nei rituali che costituiscono il complesso festivo palermitano fa comprendere come il ciclo esistenziale cui si fa riferimento è riconducibile ad un quadro ben più ampio in cui la figura di Santa Rosalia funge da semplice contenitore.
Resta tuttavia la dimensione di ricomposizione permanente della sensibilità religiosa e quindi di reazione alle trasformazioni. Alle specializzazioni della festa sia civile (festino) sia religiosa (processione) fanno seguito le feste di quartiere e gli altari di vicolo: vera e propria operazione di recupero popolare di una festa le cui dimensioni sono oramai tali da non poter più essere realizzate sulla base del libero volontariato.
L’utilizzo del software NVivo aiuta a comprendere come, attraverso gli anni, dal 2017 al 2019, durante le giornate d’incontro tra le comunità religiose del territorio, la linea che unisce le parole “Dio”, “Preghiera” e “Comunità” mette in evidenzia la “Fede” e la conseguente capacità del culto di essere potenzialmente legittimato ad autorizzare qualsiasi comunità a recuperare la “propria festa” ed a ricostruirla sul proprio territorio.
La frequenza di alcune parole giustifica e favorisce la realizzazione del dialogo e lo sviluppo dell’inclusione sociale, contribuendo al mantenimento di un equilibrio stabile tra le istituzioni politiche e quelle religiose che operano sul territorio. Allo stesso tempo, la religione popolare contemporanea mantiene alcuni elementi di pietà sia premoderna che moderna, garantendo una certa indipendenza dalla religione istituzionale dovuta ad una «energia creativa» (Isambert, 1977: 179).
In definitiva, si utilizza come strumento per la memoria collettiva la pietà popolare, attraverso la preminenza del linguaggio corporeo e simbolico. Inoltre essa è un mezzo di affermazione in opposizione alla religiosità/religione ufficiale. Tuttavia, pur essendo un mezzo di conservazione della memoria collettiva, la religiosità popolare, portatrice di antiche tradizioni, diviene anche un luogo privilegiato per le innovazioni religiose che riflettono i cambiamenti intervenuti nella società.
Dialoghi Mediterranei, n. 55, maggio 2022
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Rossana Salerno, ha studiato presso la Facoltà di Sociologia dell’Università degli studi di Trento, si laurea in Sociologia Territorio ed Ambiente nel settembre 2008. Prosegue i suoi studi con il Master I in Comunicazione, Educazione ed Interpretazione Ambientale presso il Dipartimento Ethos e Dismot dell’Università degli studi di Palermo. Nel 2010 vince il Dottorato di Ricerca in Sociologia, seguita dal prof. Salvatore Abbruzzese nello svolgimento delle attività di ricerca, presso la Libera Università “Kore” degli studi di Enna. Nel 2013 diviene membro di diverse associazioni accademiche nazionali ed internazionali e nel 2014 consegue il Dottorato di Ricerca in Sociologia dell’Innovazione e dello Sviluppo. Nel 2016 prosegue i suoi studi specializzandosi con il master universitario internazionale di II livello in Sociologia – teoria, metodologia e ricerca – interuniversitario Roma tre, La Sapienza di Roma e Tor Vergata sotto la tutela direttiva del prof. Roberto Cipriani. Nel 2017 prosegue la sua attività di ricerca come “Researcher” in Francia in partenariato con A.R.S – Università di Lille2 ed Università Kore degli studi di Enna. Ad oggi è autrice di testi ed articoli nazionali ed internazionali sulla Sociologia della Religione, del Territorio e dell’Ambiente.
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