di Lella Di Marco
Facciamo parte, a Bologna, di una associazione di donne native emigranti, Annassim, associazione di volontariato sociale attiva da circa quindici anni. Annassim in arabo significa “brezza del mattino”, come ad indicare, nella metafora del nuovo giorno che sorge, un cammino nuovo di immigrazione con progetti positivi e voglia di integrazione. Il nome è stato proposto da Fatiha, proveniente da Casablanca, e arrivata a Bologna per ricongiungersi al marito già in Italia da alcuni anni.
L’associazione è nata spontaneamente da donne native e migranti incontratesi, per caso, ai giardinetti mentre i figli e nipoti giocavano litigando davanti all’unica altalena del parco. E così, senza remore e pregiudizi, allo stesso modo dei bambini, le donne hanno deciso di mettersi assieme per avere più forza, sostenersi a vicenda, scambiare saperi e amicizia, fare conoscere la cultura e le tradizioni dei loro Paesi di provenienza, insieme diventare interlocutrici delle istituzioni, di altre associazioni e realtà culturali ed essere riconosciute come soggetti giuridici.
Dopo tanti anni di attività assieme, avendo accumulato esperienza e conoscenza della realtà migrante in Italia, e a Bologna in modo specifico, desideriamo dare un contributo di pensiero per capire, conoscere meglio la vita con il suo quotidiano delle nuove cittadine, i loro figli e figlie, il loro percorso migratorio, i progetti per il futuro, le illusioni e le delusioni, il loro attaccarsi sempre di più al credo religioso, la nostalgia del proprio paese, la scarsa fiducia nel governo italiano, i problemi con i figli e con le figlie. Quei problemi spesso pesanti che hanno fatto dire ad una di loro: «i nostri figli pagheranno un prezzo troppo alto per scelte che non hanno fatto loro». Questione reale che segna un divario notevole fra la generazione dei genitori, la cosiddetta prima generazione, e la loro. Figli e figlie della migrazione.
Noi facciamo parte delle centoventi associazioni che gestiscono la vita del Centro Zonarelli, un punto storico di aggregazione tra nativi e migranti. Nato a metà degli anni ’90 con un progetto europeo per favorire incontri fra persone di culture diverse e promuovere l’integrazione, oggi è unico in Emilia Romagna e rappresenta un laboratorio culturale impegnato a valorizzare la ricchezza delle diversità, a favorire il dialogo interreligioso e interculturale, a valorizzare le competenze e la partecipazione dei migranti. Contrastando fenomeni di razzismo e discriminazioni.
«Sono andato nel quartiere S. Donato dove c’è il centro interculturale Zonarelli – così ha scritto sul quotidiano “La Repubblica” (7 maggio 2006) Tahar Ben Jelloun in visita al centro di Bologna. Ho visto bambini neri, indiani, marocchini giocare nel cortile. Ho visto famiglie immigrate spostarsi per vedere uno spettacolo di danza organizzato da una associazione». Se è vero che molti obiettivi, anche ambiziosi, sono stati raggiunti, la realtà, in continua mutazione, presenta sempre nuovi problemi da affrontare.
Il centro interculturale è diventato da subito il nostro luogo da abitare, quel luogo pubblico che le donne arabe abituate ad utilizzare lo spazio privato (ovvero la casa) hanno stentato ad accettare, ma che adesso considerano “il loro”, dove recarsi per incontrare, per conoscere e farsi conoscere. Riuscire a gestire convegni, visite istituzionali, assidui incontri con rappresentanti istituzionali dei loro Paesi in visita politica o commerciale o consoli a Bologna, è uno degli obiettivi del centro. L’accoglienza è fatta di datteri, dolcetti di mandorle e the alla menta; ed è subito Maghreb. Tra l’altro, l’Italia ha un rapporto privilegiato con il Marocco e la Tunisia, gestisce intense relazioni commerciali con il Cairo e ciò favorisce appunto l’emigrazione verso il nostro Paese. Ma qualcosa sta cambiando anche nei flussi migratori, nelle provenienze e sul programma di fermarsi a Bologna.
Da qui nasce l’idea di Fatiha di istituire degli orti sociali per le donne migranti. Ha pensato che, dal momento che moltissime immigrate a Bologna provengono da zone rurali, la cura della terra, la cultura del coltivare, del piantare semi e del raccogliere frutti, avrebbe fatto sentire loro in continuità con il luogo di provenienza, e avrebbe dato la possibilità di coltivare le loro piante, le erbe aromatiche di uso culinario, ritornare a percepire quegli odori tradizionali che hanno accompagnato le loro vite precedenti l’emigrazione. La richiesta ha trovato favorevole il presidente del quartiere Riccardo Malagoli, oggi assessore, ma ha significato impegno politico per la revisione del regolamento che prevedeva soltanto gli anziani quali destinatari dei pezzettini di terra da coltivare in città. Bisognava introdurre nuovi soggetti sociali come gli immigrati e i giovani, per favorirne anche l’integrazione e un rapporto diverso “di condivisione” con gli anziani già al lavoro sui campi.
Così, accanto alla coltura di pomodori, fave e piselli, comunque prodotti orticoli nostrani, hanno iniziato a diffondersi cespugli di coriandolo, distese di menta, altre erbe aromatiche tipiche della macchia mediterranea, e verdure diverse: come spinaci o zucche rampicanti o una varietà di zucchina, lunga e bianca che si coltiva anche in Sicilia. L’iniziativa ha avuto ampia risonanza, al punto che la facoltà di scienze politiche a Bologna ha sentito il bisogno di assegnare ad un laureando una tesi sulla integrazione delle donne migranti attraverso la gestione degli orti urbani.
Proponiamo frammenti di interviste, o meglio, libere discussioni realizzate dal laureando Saverio che è riuscito a partecipare per alcuni mesi all’attività di Annassim e al lavoro negli orti con le donne immigrate.
«Provengo dal Marocco, ho 40 anni, una laurea in legge e una specializzazione in elettronica; ho sposato un berbero di Casablanca, ho due bambini e vivo da dieci anni in Italia. Ho pensato a degli orti per le donne marocchine quando ho visitato gli orti di via Salgari al Pilastro, quartiere San Donato a Bologna, e vedendo la terra, sentendo odori nell’aria che evocavano gli odori dei nostri mercati, ho pensato a come sarebbero state contente le mie connazionali, soprattutto quelle provenienti dalle zone rurali e residenti a Bologna, se avessero avuto un pezzetto di terra che avrebbe permesso loro di avere un pretesto buono per uscire da casa per coltivare delle piantine.
Io ero presidente dell’associazione Annassim: donne native e migranti delle due sponde del Mediterraneo e quella di coltivare gli orti in città vicino a casa mi sembrava un’ottima opportunità per le donne immigrate. Io stessa provengo da Settat, un paese a 60 chilometri da Casablanca e mio padre, pure essendo un direttore didattico, ha nutrito sempre una grande passione per la terra. L’industrializzazione ancora non ha ricoperto le zone periferiche delle grandi città e i piccoli paesi, così in Marocco l’agricoltura continua ad essere ancora una grande risorsa.
Per noi, buona parte del cibo quotidiano per sfamare i nostri cari è ancora prodotto dalle donne in casa, e l’uso di spezie ed erbe aromatiche riesce a rendere più saporiti i cibi che spesso sono “poveri”, cioè costituiti da elementi essenziali come farina, olio, legumi e verdure.
Il progetto Coltiviamo-ci è stata un’idea mirata all’integrazione e fare approvare l’iniziativa dal Comune, che per regolamento allora assegnava gli orti soltanto a pensionati, è stata una bella scommessa… Su questo l’allora presidente del Quartiere San Donato ha appoggiato la nostra richiesta spingendo affinchè fosse modificato il regolamento dal consiglio comunale. Ne ho discusso con le altre socie dell’associazione e così abbiamo avuto in assegnazione sette orti da fare gestire a socie straniere.
Io, personalmente, in questo progetto vedevo la possibilità di una maggiore integrazione tra donne straniere e italiane sulla passione del coltivare la terra ed anche per noi una possibilità di avviare nuovi discorsi anche in termini culturali. La terra ha un alto valore simbolico, come le radici delle piante, e su questo abbiamo lavorato per allargare il nostro progetto. Fare uscire da casa le donne arabe da sole e riuscire a vederle attive è stato molto bello. È come avessero ritrovato un pezzetto del loro paese.
Nel mio orto ho coinvolto mio marito, mio fratello, una mia amica e i nostri bambini. Gli uomini ci hanno aiutato a vangare e per noi seminare con i piedi nella terra è stato un vero piacere. Abbiamo fatto questo lavoro soprattutto nei giorni di sabato e alla domenica, perché i bambini non vanno a scuola e mio marito non va in fabbrica.
I nostri vicini di orto sono stati subito molto gentili e disponibili. Hanno dimostrato simpatia per noi e i bambini, ci hanno prestato gli attrezzi, si sono incuriositi alle nostre piante. Noi abbiamo seminato i semi di coriandolo, erba di cui facciamo un grande uso in cucina soprattutto per l’harira, la zuppa di legumi che siamo soliti mangiare durante il Ramadan. In primavera nello spazio sociale dell’orto dove ci sono tavoli e panchine abbiamo fatto dei pic- nic.
Dal Marocco ho portato i semi di lino e di nigella le cui foglie in decotto sono molto utili per combattere i dolori mestruali e quelli dopo parto. Le piante di nigella non hanno attecchito molto bene. I semi hanno un potere energetico e purificatore. Li usiamo in cucina ma anche come decotti, oltre che per produrre un ottimo “sapone nero”, usato soprattutto nell’hammam.
Io non ho riscontrato mai segni di avversione da parte dei nativi nei nostri confronti, nell’orto i vecchietti poi si fermano volentieri a parlare con noi. Del progetto si sono occupati la stampa e siti web per delle testate on line ed è diventata una proposta di integrazione anche in altre città. Oggi vedo con piacere che siamo indicate come esempio di integrazione anche da certe riviste di politica economica, che si occupano di commercio equo e solidale. Ma la soddisfazione più grande l’abbiamo avuta quando la facoltà di Agraria ci ha invitate a discutere sulle nostre coltivazioni, soprattutto dei semi portati dal Marocco. Il prof. Bonaga, studioso di etnobotanica, ci ha anche invitate a relazionare ad un convegno su Italia-Marocco.
Il nostro contributo sulla biodiversità e sull’uso delle erbe in medicina naturale ci è stato richiesto anche ad un convegno organizzato da un gruppo di ecologisti di Bologna. Abbiamo capito che c’è interesse per queste conoscenze, allora stiamo pensando all’opportunità di scrivere un libretto informativo, soprattutto considerando come in Paesi tipo l’Egitto, la conoscenza e l’uso delle erbe hanno una tradizione molto antica e sempre attuale. Vogliamo dare un contributo anche culturale alla nostra presenza in Italia».
Piante di coriandolo
Bouchera
«Io provengo da Rabat (Marocco) e vivo da 16 anni in Italia, sono sposata ed ho tre figli. Mio marito lavora in fabbrica ma, quando ha un po’ di tempo libero, scappa subito nell’orto. Ho saputo del progetto da una mia amica marocchina che abita vicino casa mia, ho incontrato le donne di Annassim e così ho avuto questo pezzetto di terra. L’estensione non è molta, però, se la terra è coltivata bene in certi periodi produce tanta verdura che non riusciamo a consumare, così la regalo volentieri. Questo mi fa piacere perché quando ci sono i cavoli, le zucche , le rape…riusciamo a fare un cous cous che poi mangiamo assieme con altri connazionali. I vicini di orto sono gentili, ma mio marito non ha piacere che io parli con gli uomini che non conosco. Per me non è un problema , mi piace lo stesso stare fuori casa all’aria aperta con i bambini e le mie amiche.
Il mio piacere è coltivare la menta e le melanzane. Per noi la menta è fondamentale per il nostro tè. Lo beviamo al mattino a pranzo, al pomeriggio, anche di sera. È una specie di tocca sana, per noi come un pretesto per stare assieme e socializzare. A volte portiamo la teiera con il nostro tè verde alla menta , anche nell’orto. Abbiamo coltivato molti pomodori e zucche gialle. Nella nostra cucina si fa molto uso di questo vegetale. Una mia amica libica fa un cous cous soltanto di cipolla e zucca: è buonissimo, insaporito anche di spezie come cumino e zenzero
Io non partecipo molto alle iniziative che a volte gli ortolani organizzano, sto in disparte con i miei bambini e le amiche, anche per evitare di litigare con mio marito; però, devo dire che, da quando frequenta l’orto, mio marito ha un passatempo sano, è gratificato dai prodotti che, raccoglie e li regala anche ai suoi amici. Quando piove o nevica, pensa alle piante che possono gelare, insomma è più occupato anche mentalmente e forse riesce a bere di meno».
Humhoeni
«Provengo da Tata (Marocco), una zona vicina al deserto. C’è l’acqua e riusciamo a coltivare la terra in una specie di piccola oasi, ad allevare animali e a tessere tappeti di lana di pecora. Sono arrivata a Bologna quindici anni fa in seguito di ricongiungimento familiare. Ho tre figli, una già sposata, un ragazzo che frequenta l’università e il piccolino che frequenta le medie.
Ho conosciuto le donne di Annassim tramite una mia amica tunisina che assieme alle altre aveva costituito l’associazione. Con loro ho frequentato i corsi di cucito e di italiano; adesso aderisco a questo progetto. Vengo qui con mio marito; lui vanga, prepara il terreno anche per non farmi stancare molto, ma anche io so vangare, lo facevo al mio paese. A me piace seminare, annaffiare e soprattutto sentire il profumo della terra bagnata e della verdura.
Coltiviamo, al mio paese, verdure, come in Italia, nulla di diverso. Io coltivo piante aromatiche per condire i cibi: coriandolo, menta, rosmarino, salvia, origano. Con i vicini di orto abbiamo buoni rapporti. Sono quasi tutti uomini e con loro mio marito è molto amico. Loro apprezzano molto come noi curiamo il nostro pezzettino di terra, ma io parlo soltanto con le donne e se incontro delle amiche marocchine mi fa piacere parlare in arabo con loro. Io non sono molto padrona della lingua italiana oltre al fatto che sono molto timida. Continuo a vestirmi come le donne in Marocco, ho il velo e l’abito lungo, ma non ho mai riscontrato ostilità nei miei confronti».
Donne marocchine estraggono l’olio di argan
Hend
«Ho 29 anni, sono egiziana, sono nata al Cairo e sono venuta in Italia quando avevo 16 anni, avendo sposato un imprenditore italiano conosciuto in Egitto che aveva abbracciato l’Islam. Ho tre figli e l’ultimo ha 18 mesi. Venivo nell’orto anche quando ero incinta del mio bambino. Sono fra le fondatrici dell’associazione Annassim e mi trovo molto bene sia in Italia che nella mia condizione di donna, di madre e di moglie. Ho molte amiche anche dentro l’associazione, ho imparato molto da loro e a loro cerco di trasmettere un po’ di conoscenza del mio paese.
Ho cominciato a curare il mio orto con l’aiuto di mio marito, ma adesso lui ha sempre meno tempo ed io preferisco venire con le mie amiche. L’estate scorsa il mio bambino si divertiva a rincorrere le farfalle e questo faceva sorridere i vecchietti degli altri orti che cercavano di regalargli le fragoline, i pomodori e qualche zucchina dei loro orti.
Sono sempre gentili con me ed anche educati. Mi chiedono, quando mi vedono, se faccio loro assaggiare il nostro tè. A me piacciono molto le erbe aromatiche, le zucche e le melanzane. Ho piantato una specialità di menta portata dalla Palestina. Ha un sapore molto forte, è diversa da quella marocchina, ma a me piace di più. Anche i nostri cibi in Egitto sono simili a quelli palestinesi, per il resto non abbiamo molto di tradizionale egiziano, in quanto la dominazione inglese ha sostituito quello che c’era in Egitto con le sue tradizioni e le sue usanze.
Noi cuciniamo molto la zuppa di verdure e legumi come in Medio Oriente, usiamo molto le spezie, il cumino e il cardamomo che abbiamo tentato di coltivare anche qua senza successo. L’orto per me è un motivo di svago e una opportunità per nuove conoscenze. Mi piacciono anche le assemblee degli ortolani dove gli assegnatari degli orti sono molto vivaci nella discussione. Partecipano con passione e fanno degli interventi agitatissimi su questioni che a me sembrano di piccolo conto, come l’uso dell’acqua, in quanto alcuni annaffiano anche tre volte al giorno, riducendo l’orto ad una specie di laghetto, o altre discussioni su piante di un orto che invadono quello del vicino, etc etc.
In Italia mi ha impressionato molto l’uso in cucina del basilico. Da noi il basilico a foglia molto larga è una pianta ornamentale, si mette nelle aiuole, si usa per profumare i morti e non ci saremmo mai sognati di usarlo in cucina. Quando ho mangiato la pasta con il pesto, l’ho trovata buonissima e mi si sono aperte delle altre possibilità di giocare in cucina con le erbe ed i sapori.
Mi piacciono molto tutte le erbe profumate, anche perché in Egitto abbiamo una grossa tradizione di fitoterapia e di uso delle erbe per la cura e la bellezza del corpo. Così coltivo cespugli di lavanda e moltissima menta e salvia che uso una volta essiccate per profumare gli ambienti, i cassetti, la biancheria pulita. Abbiamo mescolato tali erbe con il sale marino grosso, quello di Cervia, e abbiamo distribuito, durante una festa al centro interculturale Zonarelli, i sacchetti confezionati con un bigliettino augurale e il nome del progetto e della nostra associazione.
Adesso quando vengo nell’orto, se non saluto io per prima sono gli altri a dirmi Salam Aleikoum e io rispondo Aleikoum Salam. Loro hanno imparato il saluto arabo come io ho imparato quello italiano. Questo mi piace.
La conoscenza del nostro progetto è stata richiesta anche da alcuni comuni limitrofi per capire la fattibilità anche in quei territori. Ne abbiamo parlato con gli assessori e le comunità di donne straniere, facendo loro assaggiare la nostra bevanda al timo e cedrina e le nostre frittelle alle erbe. Abbiamo preparato delle boccettine con olio alle erbe per fare dei massaggi rilassanti e le abbiamo regalate per Natale».
Songul
«Io sono nata in Iraq, sono laureata in ingegneria, ho sposato un ingegnere curdo conosciuto durante gli studi universitari. Ho tre figli e sono in Italia da sei anni. L’Italia è molto bella, ha tante opportunità, mi piace la cultura che circola, la grande ricchezza artistica ma mi manca molto la mia Patria, la mia terra. Io abitavo in un piccolo paese al confine con il Kurdistan, una zona agricola dove avevamo una bella casa con giardino ed anche il giardiniere. Mio padre era un ingegnere amante dei fiori e della natura. Da lui ho imparato a studiare, a conoscere, ad apprezzare le piccole cose della natura.
La parola Iqra che significa studia, conosci, impara , è espressa nel Corano e per noi è uno stile di vita, un comandamento, la conoscenza, l’istruzione per tutti: uomini e donne, perché davanti ad Allah siamo tutti uguali. Mi sento bene quando studio, quando prego e quando sento il profumo delle piante e i miei piedi e le mie mani nella terra.
Aderisco al progetto Coltiviamoci, perché ho conosciuto delle donne italiane di Annassim e mi hanno invogliato soprattutto a coltivare piante della mia terra. Nell’orto sono riuscita a produrre piantine di aneto e di peperoncino che uso molto in cucina e poi tutte le verdure: dai peperoni agli zucchetti, alle melanzane, che cucino farciti di riso. Mi piace venire nell’orto con i miei figli. Noi ci spostiamo sempre in bicicletta, anche quando il tempo è brutto. Non abito in questa zona ma quando arrivo qui mi piace molto sentire l’aria che olezza di fiori. Anche l’odore del cavolo in questo luogo mi sembra gradevole, sarà perché mi mancano tanto le piante e gli odori del Medio Oriente.
Se incontro delle persone, parlo volentieri. Sono gentile se loro sono gentili con me. Mi piace conoscere soprattutto i saperi di cui sono portatrici, ma non vado volentieri a casa loro né le invito a casa mia. Ho amiche italiane di cui mi fido molto e che invito anche a casa mia, per mangiare assieme i dolci che preparo io e per bere assieme il nostro tè al cardamomo o il caffè turco».
Sonia
«Vengo dal Bangladesh, ho 30 anni, due figli ed ho raggiunto mio marito cinque anni fa. Noi abitavamo in campagna per cui coltivare la terra era un lavoro di tutti miei familiari. Prima di avere questo orto, mio marito aveva fatto un piccolo orto nel terrazzo con ortaggi rampicanti, zucchine e peperoncini. Poi ho conosciuto le donne di Annassim e fare parte di questa associazione per me è molto bello, ma la cosa che mi appassiona di più è coltivare le piante soprattutto quelle del mio Paese.
Lo scorso anno sembrava che l’assegnazione dell’orto non mi venisse confermata e allora mi sono messa a piangere. Sono affezionata a questo pezzo di terra, alle piante che coltivo. Ci vengo sempre con mio marito, lui conosce meglio di me la lingua, è meno timido e riesce a parlare con la gente molto più facilmente di me. I vicini sono curiosi di conoscere meglio le piante del nostro paese, una specie di cetriolo dolce piccolo e spinoso che abbiamo cominciato a coltivare subito, un’altra pianta che somiglia molto come sapore agli spinaci, e poi il nostro coriandolo che usiamo in insalata o per insaporire le pietanze. Abbiamo invitato a casa nostra a pranzo degli amici “ortolani” e sono rimasti entusiasti della nostra cucina. È piaciuto molto soprattutto il riso basmati alle erbe aromatiche. Non appena tornerò al mio paese voglio prendere i semi di tante altre piante e fare anche scambio con altri coltivatori».
Karima
«Provengo dalla Palestina, sono nata e cresciuta a Nablus. Ho studiato in Siria per la laurea in medicina e la specializzazione in odontoiatria. Ho due bambini e sono venuta in Italia otto anni fa per sfuggire alle bombe e alle distruzioni. Mio marito era già stato in Italia come studente universitario, era tornato in Palestina e poi non ha più resistito all’idea che i suoi figli potessero morire sotto qualche bomba e siamo venuti in Italia dove lui aveva delle conoscenze ed anche uno zio.
La proposta di curare un orto me l’ha fatta un’amica di mio marito conosciuta ai tempi dell’università a Bologna. Ho accolto volentieri la proposta sia perché non ho un’attività lavorativa, sia per non rimanere sempre in casa e poi per riuscire a ri-produrre gli odori della mia terra. È un’aspirazione riuscire a costruire un pezzetto di orto come fossimo in Palestina; del resto quando siamo partiti nella valigia abbiamo messo, assieme ai nostri pochi effetti personali, una pianta di menta e alcuni semi, per esempio, di luffa. La nostra menta è una delle settanta varietà che nascono in molti Paesi del Mediterraneo. È molto aromatica e per noi è indispensabile per preparare il tè. Cominciamo a berlo al mattino a colazione e poi tante volte durante la giornata assieme ad amici e parenti. Da noi, anche nei negozi viene offerto il tè ai clienti ed è la prima cosa che viene offerta agli ospiti. Poi nessun pranzo può finire senza questa bevanda aromatica.
La luffa è una pianta rampicante che riesce ad essere collocata come in pergolati e produce dei frutti come delle lunghe zucche che mature si disidratano e le fibre possono essere usate come spugna vegetale. Così abbiamo una “ folta” produzione di menta che ci viene richiesta dai vicini di orto che prima la consideravano soltanto pianta infestante. Loro non sono abituati e bere il tè bollente come noi e così ci hanno chiesto, in estate, se potevamo preparare una bevanda fresca che secondo loro è più dissetante.
Abbiamo piantato anche una pianticella di alloro e una di ulivo. L’alloro a Nablus è molto usato per il sapone all’olio di olive profumato con foglie di alloro, e l’ulivo è la pianta delle nostre terre che dà da mangiare a tante persone. Come in Marocco per noi è usuale fare colazione con pane e olio. Facciamo molto uso anche di purè di melanzane arrostite da mangiare con il pane.
I nostri vicini di orto sono gentili e rispettosi delle nostre colture. Sono interessati alla storia del nostro Paese, al nostro modo di preparare i cibi e soprattutto alle caratteristiche del pranzo in situazioni diverse, come le feste di nascita, matrimonio, le cerimonie religiose o semplicemente per onorare i defunti. In Italia abbiamo trovato molta sensibilità nei nostri confronti».
L’esperienza degli orti urbani è in corso da quasi un decennio. Donne migranti coltivano la terra assieme a noi native, ma adesso non sono più quelle che hanno iniziato e costruito il progetto. Negli anni, con la crisi economica, alcune sono tornate al Paese di provenienza, poi ritornate in Italia per ripartire verso il Belgio o la Francia. Karima è ritornata in Palestina con i suoi due figli dopo la morte del marito, mentre Songul, dopo la morte del padre, ha preferito vivere accanto alla sua tomba, in Turchia. Altre donne hanno preso il loro posto negli orti, ma le storie di ciascuna sono insostituibili come il rapporto che tutte hanno con la terra. Questo vale maggiormente per chi proviene da zone rurali, dove l’agricoltura con i suoi ritmi, i tempi, il susseguirsi delle stagioni, la fisicità e la conoscenza materica, porta anche ad una cura diversa del corpo, della persona, delle relazioni. In buona parte ancora lontane dalla tecnologia e dalla farmacologia di sintesi.
Così, adesso Hajiba è felice quando può passeggiare fra i filari di fichi, ricordando come sulla strada per la Mecca alberi da frutto sono il fico e le palme, i cui datteri sono collocati appositamente per i pellegrini, perché in assenza di acqua e cibo possano rifocillarsi. Del resto il fico nella tradizione islamica è pianta sacra mentre lo stesso profeta Maometto dichiarava di potersi nutrire sufficientemente con soli tre datteri al giorno. Hajiba, proveniente dalla provincia di Casablanca, ci ha anche insegnato l’uso terapeutico di molte piante aromatiche o spezie, dal coriandolo alla polvere di zenzero al cardamomo, piante alle cui proprietà terapeutiche soltanto di recente la medicina ufficiale sta elargendo riconoscimenti. Come l’olio di argan dal grande potere di ricostruzione delle cellule, utilizzato nell’alimentazione dei bambini e degli anziani. La pianta dell’argan, che cresce soltanto in alcune zone del Medio Atlante in Marocco, ha una produzione limitata e veniva tagliata per essere utilizzata come legna da fuoco, prima che fosse riconosciuta come presidio con tanto di certificazione, in seguito alla scoperta delle sue virtù ricostituenti, ad opera di una biologa dell’università di Casablanca.
Il lavoro negli orti è sempre accompagnato dalla nostra Associazione da un impegno culturale e sociale, come il convegno sull’etnobotanica, realizzato in collaborazione con la Facoltà di Agraria dell’università di Bologna, o i contatti con i circuiti di orti urbani, ormai presenti in molte città d’Italia, che ogni tanto si danno appuntamento nel capoluogo emiliano. Momenti di festosa socializzazione sono le merende green sotto gli alberi con scambio di semi e piantine o la raccolta delle verdure eseguita da tutti gli orti e socializzata per un Cous cous green da consumare nel quartiere.
Ma le zone ortive da sole non bastano per l’integrazione. L’esperienza è interessante ma va seguita e non isolata dal resto. Le cose cambiano: cambiano le consapevolezze, gli uomini delle istituzioni, irrompono le crisi economiche che hanno conseguenze anche sul piano sociale e culturale. Le donne migranti adesso vivono una situazione assai precaria con la paura del terrorismo, con l’ostilità che sentono da parte dei nativi, con i contrasti che aumentano nella relazione con i loro coniugi, spesso licenziati o in cassa integrazione. Il contesto complessivo in grande trasformazione sta facendo mancare certezze e punti di riferimento per tutti. Le donne continuano ad essere in larga parte invisibili anche nelle statistiche e nelle indagini ufficiali. Ma loro da sole, spesso in assenza di marito e reddito garantito, continuano a mandare avanti la famiglia e ad occuparsi dei figli, nel disagio e nel dolore che soltanto una emigrazione forzata può procurare.
Dialoghi Mediterranei, n.18, marzo 2016
_______________________________________________________________
Lella Di Marco, laureata in filosofia all’Università di Palermo, emigrata a Bologna dove vive, per insegnare nella scuola secondaria. Da sempre attiva nel movimento degli insegnanti, è fra le fondatrici delle riviste Eco-Ecole e dell’associazione “Scholefuturo”. Si occupa di problemi legati all’immigrazione, ai diritti umani, all’ambiente, al genere. È fra le fondatrici dell’associazione Annassim.
________________________________________________________________