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È l’ignoranza il nostro grande non detto

miccione_congiura_copertinadi Rosa Tinnirello 

Davide Miccione nell’ultimo suo libro  La congiura degli ignoranti (Valore italiano Editore, Roma, 2024)  offre una riflessione incisiva e provocatoria sulla crisi dell’istruzione e sul valore del sapere. Attraverso un’analisi dettagliata, l’autore illustra come la società odierna alimenti un vero e proprio “patto sociale” per incoraggiare la cultura dell’ignoranza.  La scelta del titolo, come scrive Miccione, non è casuale: «Congiurare, dal latino “coniurare”, significa giurare insieme, impegnarsi all’unanimità». Questo impegno a-culturale collettivo riguarda tutti noi, «dal cinquantenne che fino a qualche tempo fa leggeva ma ormai […]si fa vedere dal figlio in piena età formativa a digitare idiozie tutto il giorno sui social, all’assessore alla cultura […] che porta in giro senza alcuna vergogna il suo italiano privo di congiuntivi per conferenze e presentazioni».

Miccione, filosofo, saggista e docente di Filosofia alle scuole medie superiori, è immerso, suo malgrado, nella cultura dell’ignoranza di cui ci parla, una voce autorevole che resiste nel deserto “asinino”. “Il profiling della congiura” è difficile da delineare: «manca un modello pandemico dell’ignoranza che ci spieghi come e se sia possibile vivere senza contrarre questo virus». L’autore dichiara di aver scelto tre ambiti su cui porgere maggiore attenzione: il web, la scuola e la politica. Il volume di Miccione, come nei migliori romanzi di formazione, racconta la vita dell’ignorante dall’infanzia all’età adulta. Capitolo dopo capitolo ci viene svelato il percorso dis-educativo per raggiungere l’ignoranza, necessaria per ottenere la rispettabilità sociale e la realizzazione personale.

La scelta dei titoli di ogni capitolo della Congiura, non è solo esplicativa sull’argomento trattato, ma è soprattutto cifra stilistica dell’arguta ironia dell’autore, che passa da citazioni colte rivisitate ad hoc a spot dissacranti. Insomma, i titoli di ogni capitolo sono un’opera nell’opera. Ma torniamo all’infanzia dell’ignorante, trattata dall’autore nei capitoli (Homo Homini Herodes I, II, III). Miccione riprende il famoso assunto di Hobbes, “Homo homini lupus” (ogni uomo è lupo per un altro uomo), e lo trasforma in “Homo homini Herodes” (ogni uomo è Erode per un altro uomo). L’uomo contemporaneo è, infatti, affetto dalla sindrome di Erode. Erode, il famigerato infanticida biblico, è l’archetipo della nostra società della dis-educazione.

La decostruzione dell’intelligenza deve iniziare nell’infanzia con «l’entrata prepotente di playstation e smartphone, assieme alla perdita di controllo da parte dei genitori». Genitori che si professano innocenti con quello che Miccione definisce l’argomento del gregge: «lo avevano tutti e ho dovuto comprarglielo anche se ero contrario». Ma la tecnologia crea dipendenza proprio come le droghe, educando i ragazzi a una drammatica inconsapevolezza di sé e degli altri. Lo scenario fin qui delineato ci mostra il dramma di genitori inconsapevoli di essere degli ‘Erode’ per i loro figli; certo non sono aiutati, né dalle istituzioni né dalla scuola.

large_bhign7ouft5iws4-1Il processo di distruzione della cultura è in atto da almeno trent’anni, una inarrestabile malattia progressiva, o per meglio dire regressiva. «Giacché la scuola è concepita come un’azienda e il marketing ha il suo peso, i consumatori (gli studenti) si autoselezionano. Il messaggio implicito dei nuovi indirizzi è antintellettualistico: vi togliamo le materie inutili, quelle che non servono a nulla, che vi fanno perdere tempo e non portano lavoro, le cose antiche, le cose astratte». Così proliferano nuovi indirizzi, alleggeriti dalle discipline inutili, come ‘il liceo scientifico delle scienze applicate o il liceo scientifico sportivo’ senza latino (‘è inutile’) e con la filosofia ridotta a due ore (‘Dio non voglia, farli pensare’).

La scuola deve essere, costi quel che costi, capace di formare giovani intelligenze, pronte per il mondo del lavoro: tutti vogliono essere ingegneri, medici, economisti, esperti in tecnologia; così desiderano i genitori, così chiede la società delle “magnifiche sorti progressive”. Investire in una carriera lavorativa remunerativa è più importante che seguire le proprie inclinazioni, i propri desideri: «E attenti: non innamoratevi delle cose che studiate, chiedetevi invece se sono spendibili. Imparate a non contemplare la gratuità delle cose o, ancora peggio, a pensare che alcune cose possano essere valori di per sé». E se un ragazzo volesse fare lo storico, il filosofo, lo storico dell’arte? Eresia! Sarebbe una grave infamia per la famiglia che deve mantenerlo all’università.

Miccione ci racconta una sua esperienza personale con un alunno molto dotato in matematica, che aveva svolto i test di ingresso universitari per iscriversi in Ingegneria o Fisica, ma che era davvero eccellente in storia. Ecco il dialogo tra il docente e lo studente: «Su, ammettilo che il tuo sogno è fare storia e che di ingegneria non ti frega nulla!». La risposta dello studente è molto indicativa del dramma che stiamo vivendo: «Si è vero. Ma non ho il coraggio di dirlo a mio padre, in fondo è lui che fa sacrifici per mandarmi all’università». Di contro, la maggior parte degli studenti non ha mai letto un libro e studia su YouTube o con slide fornite dai professori (anche la maggioranza dei docenti si è arresa allo status quo del semplificare le discipline umanistiche per ridurle a nozioni in pillole, più facili per gli studenti). E infatti la maggior parte dei maturandi possiede un vocabolario poverissimo.

Ecco come abbiamo disimparato a pensare. Le parole in estinzione formano intelligenze in estinzione. A chi possiamo attribuire la colpa di questo inesorabile declino? La politica ne è responsabile in primis. Le innumerevoli riforme della scuola, una peggio dell’altra, hanno sottratto la libertà di insegnamento ai docenti, soffocati nelle spire della burocrazia. Docenti che vengono abilitati collezionando crediti formativi: una raccolta punti nel grande supermercato della scuola. La ciliegina sulla torta è stata anche l’introduzione dell’alternanza scuola-lavoro, come sottolinea l’autore: una inutile perdita di tempo, spacciata per indispensabile misura per avvicinare gli studenti al mondo del lavoro.

9788807883965La scuola ha un compito ben preciso: non forgiare menti pensanti, pericolose e potenzialmente intelligenti. A essere destinati agli studi umanistici sono gli studenti meno dotati, quelli che non possono fare carriera con la C maiuscola. Così la scuola, con il benestare delle famiglie degli studenti e dell’intera società, persegue una volontà politica precisa: fare trionfare l’ignoranza per il bene comune, ovvero, per incoraggiare la fine del libero pensiero e della libera scelta, sottolinea l’autore. Mi fa pensare alla riflessione sempre attuale di Lyotard: «siate operativi, cioè commensurabili o sparite!»[1].

Per qualche anno ho fatto la docente di italiano alle scuole medie inferiori e di italiano e latino alle superiori e vorrei raccontare la mia esperienza. Da un lato ci sono studenti molto demotivati e notevolmente maleducati, ragazzi che protestavano per i voti; ho ricevuto anche minacce più o meno velate. Naturalmente i genitori li difendevano a spada tratta e non esisteva un possibile contraddittorio. Ma ho incontrato anche studenti motivati e curiosi. Molti di loro hanno apprezzato di imparare passi dell’Iliade a memoria, hanno amato recitare il Carpe diem di Orazio in latino; non avevano mai imparato nulla a memoria. Si sono cimentati anche nella scrittura di fiabe, racconti e addirittura di poesie.

A questo punto la tesi di Miccione sulla congiura dell’ignoranza diventa ancora più forte e inesorabile; nella mia breve esperienza di insegnamento ho potuto essere più libera in quanto supplente. I docenti di ruolo sono sempre di corsa per completare i programmi ministeriali e per portare a termine numerosi impegni burocratici; non hanno più il tempo di insegnare.

Miccione, ci ha comunque lasciato una speranza, che mi sembra la conclusione più adeguata per questa recensione: «Proprio ai resistenti è dedicato questo libro, nella speranza che si sentano meno soli e scoprano magari di non essere un numero così ridotto da non provare perlomeno a collegarsi fra loro se non per invertire il processo, almeno per rallentarlo; e se non per rallentarlo, almeno per non viverlo in solitudine». 

Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025
Note
[1] J.F Lyotard, La condizione postmoderna – rapporto sul sapere, Feltrinelli, Milano 2004: 6 -7. 

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Rosa Tinnirello laureata in Lettere moderne all’università di Catania, ha conseguito un master in management culturale presso l’università Lumsa di Roma. Si occupa di social media management in ambito culturale. Ha scritto sul Giornale dell’Arte e ha collaborato con il portale Teknemedia.net. Scrive articoli e saggi critici seguendo il metodo warburghiano, alla ricerca delle ‘sopravvivenze’ dell’antico nella contemporaneità. Su Warburg ha pubblicato il saggio “Lo stile della ripetizione. Una lettura warburghiana” nel volume collettaneo Sullo stile, singolarità e formularità di un concetto edito da Lettere da Qalat nel 2019.

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