I miei pomeriggi estivi, ostaggio della città, sono spesso accompagnati da letture disordinate e incomplete di libri accumulati nel corso dei mesi trascorsi, mesi troppo colmi di appuntamenti e corse fra un appuntamento e l’altro per potermi dedicare senza premura, nelle ore di tedio, ai testi scelti con attenzione, spesso sfogliati e segnalati tra le prossime imprescindibili letture, ma mai assaporati, insieme sovente a riflessioni e bilanci sulla strada sinora percorsa, come spesso avviene in seguito a letture imprevedibilmente rivelatrici. Mi ritrovo così nei primi giorni di agosto a ripescare titoli e a leggere senza una meta da raggiungere pagine a saltare, come i libri delle risposte aperti a caso, che offrono soluzioni o spunti di riflessione su quello che per uno strano caso del destino ci stavamo chiedendo proprio in quel momento.
Allo stesso modo avviene per me anche con un saggio, messo da parte qualche mese fa, ma rimasto in lizza sul comodino, in attesa di una breve parentesi di un pomeriggio. Le piccole virtù di Natalia Ginzburg è un libro che mi ha sempre incuriosito, perché pare che il contenuto smentisca in toto le premesse del titolo, e da tempo voglio scoprire perché. L’autrice, analizzando la grande responsabilità che hanno i genitori nell’educare i propri figli, sostiene che ciò che è importante trasmettere loro sono le grandi virtù, e non le piccole, come lascerebbe immaginare il titolo:
«Per quanto riguarda l’educazione dei figli, penso che si debbano insegnar loro non le piccole virtù, ma le grandi. Non il risparmio, ma la generosità e l’indifferenza al denaro; non la prudenza, ma il coraggio e lo sprezzo del pericolo; non l’astuzia, ma la schiettezza e l’amore alla verità; non la diplomazia, ma l’amore al prossimo e l’abnegazione; non il desiderio del successo, ma il desiderio di essere e di sapere» (Ginzburg, 1962: 121).
Facendo un improbabile volo pindarico, attraverso una serie di collegamenti sinoptici che non mi è dato capire a primo impatto, queste parole mi riportano direttamente, quasi ne fossero la naturale estensione, ad un’esperienza da poco trascorsa a cui ho partecipato in prima persona, che se dall’esterno può apparire molto lontana, attraverso un accostamento metaforico della mia mente risulta invece essere estremamente vicina: la XII edizione del Festival Sole Luna [1].
Cercherò di riassumere brevemente cosa mi ha portato ad accostare l’esperienza genitoriale dell’educazione alla realizza- zione di un evento culturale come quello di un Festival di documentari. I giorni che stiamo vivendo sono sempre più fortemente segnati da notizie scoraggianti, quando non avvilenti, sulla direzione che la politica del nostro Paese sta prendendo in relazione a molti temi scottanti che ci chiamano in causa in prima persona, in quanto cittadini e studiosi. Primo fra tutti è certamente il crescente clima di criminalizzazione che si va alimentando nei confronti delle Organizzazioni Non Governative, ma anche dei singoli [2], che si adoperano per soccorrere i migranti in mare, fenomeno che ha portato a coniare l’espressione ossimorica di “reati di solidarietà”. Insieme a questi fenomeni vanno menzionati i dibattiti aperti sulla questione dello ius soli, o sulla apertura o chiusura nei confronti dell’accoglienza dei migranti sul territorio. Altre sconfortanti notizie arrivano dai media e dal modo in cui tutte le agenzie di informazione, compresi i social media, divulgano notizie intrise di retorica velatamente o apertamente razzista e forniscono il proprio servizio alla società in modo del tutto irresponsabile.
Ebbene, tutte queste piazze aperte, infuocate dall’ardore con cui tutti, nessuno escluso, sentono la pressante necessità di esprimere la propria opinione, sono stracolme di piccole, piccolissime, virtù.
«In realtà la differenza è solo apparente. Anche le piccole virtù provengono dal profondo del nostro istinto, da un istinto di difesa: ma in esse la ragione parla, sentenzia, disserta, brillante avvocato dell’incolumità personale. Le grandi virtù sgorgano da un istinto a cui mi sarebbe difficile dare un nome. E il meglio di noi è in quel muto istinto: e non nel nostro istinto di difesa, che argomenta, sentenzia, disserta con la voce della ragione. […] Non che le piccole virtù, in se stesse, siano spregevoli: ma il loro valore è di ordine complementare e non sostanziale; esse non possono stare da sole senza le altre, e sono, da sole senza le altre, per la natura umana un povero cibo»(Ginzburg, 1962: 121-122).
Il generale andamento della politica nazionale e dell’opinione pubblica non solo italiana, ma “occidentale” in senso lato, focalizza le proprie energie su principi che quando non sono del tutto condannabili, sono comunque limitati ad aspetti fortemente parziali dei fenomeni che attraversano il mondo che stiamo vivendo. Difendersi dal terrorismo, contrastare il traffico di vite umane nel Mediterraneo, regolamentare l’attribuzione della cittadinanza italiana ai giovani figli di immigrati, sono tutte azioni di per sé ragionevoli, se non fosse che, concentrandosi su questi soli aspetti di questioni invece molto più complesse, sia nella loro estensione sociale che storica, i rappresentanti (politici e non) della nostra società, perdono di vista, e di fatto negano, i principi fondanti su cui i nostri Paesi posano le proprio basi: libertà, uguaglianza, democrazia.
«Di contraddizione in contraddizione, i processi di reificazione delle culture si trasferiscono nella dimensione politica e diventano dispositivi sicuritari associati a disposizioni umanitarie, provvedimenti di esclusione rappresentati quali beffardi strumenti di salvaguardia e valorizzazione delle differenze» (Cusumano, 2016:12).
La mia personale percezione è dunque che in una società civile in cui tutti sono chiamati a partecipare attivamente all’edificazione di una collettività che abbia a cuore tutti i singoli che la compongono, a partire dall’ultimo per arrivare al primo, i principali portavoce del Paese, dalla dirigenza politica, agli organi di stampa e all’opinione pubblica in senso generale, conducano le fila del proprio discorso in modo irresponsabile, fomentando e alimentando sempre più un clima di paura e sfiducia, fondato su pregiudizi ed informazioni scorrette. Ecco dunque che le parole di Natalia Ginzburg ritornano in mente come un monito: educare i propri figli non è poi tanto diverso da educare la società civile in cui viviamo.
L’etimologia stessa del termine “educare”, dal verbo latino composto ex ducere, rimanda all’idea di condurre, trainare fuori da un certo percorso preordinato. Educare la società significa dunque in primo luogo prendersene cura per sé e per le generazioni future, tentare di instillare speranza a piccole gocce, piantare semi di fiducia nell’umanità e aspettare che germoglino, provare a costruire ponti.
Trovo che ci siano diversi modi per educare la società, uno tra questi è studiare, fare ricerca; questo tipo di azione rischia tuttavia di coinvolgere sempre un numero limitato di persone e di addetti ai lavori, escludendo spesso un’ampia fetta di cittadinanza, che difficilmente ha accesso a prodotti culturali che si sviluppano al di fuori dell’esperienza mainstream. Promuovere allora iniziative culturali diventa un modo per coinvolgere sempre più persone alla fruizione di un patrimonio intellettuale che deve essere di tutti. Prendendo in prestito le parole usate da Antonella Agnoli per definire le biblioteche pubbliche, è necessario istituire quante più “piazze del sapere”, occasioni di confronto e condivisione in cui tutta la cittadinanza abbia la possibilità di conoscere l’alterità da vicino e dunque di «espandere il senso delle possibilità della vita» (Clemente, 2013:122) perché è di ciò che non si conosce che si ha paura. Educare dunque alle grandi virtù.
In questo senso gli eventi culturali come i Festival (di tutti i generi: letterari, musicali, cinematografici) sono una piazza di imprescindibile importanza, di cui oggi abbiamo più che mai bisogno. Il Sole Luna Doc Film Festival costituisce a tal proposito una delle principali piazze del panorama palermitano (ma anche nazionale), offrendo ormai da dodici edizioni una selezione di documentari d’autore, che altrimenti sarebbero difficilmente fruibili ad un ampio pubblico. Sin dalla sua fondazione l’associazione Sole Luna. Un ponte tra le culture si adopera per realizzare iniziative che promuovano la conoscenza reciproca come «il naturale ponte di trasmissione di valori positivi»[3].
La brillante esperienza degli anni scorsi si è tradotta in questa XII edizione, tenutasi tra il 3 e il 9 luglio 2017 presso il complesso monumentale della chiesa di Santa Maria dello Spasimo, in un intenso programma che ha conciliato gli aspetti ormai tradizionali del Festival a novità, introdotte con l’obiettivo di ampliare la proposta culturale offerta al pubblico. Tra gli aspetti ormai classici la presenza di due filoni tematici per i film in concorso, provenienti da tutto il mondo: Human Rights e The Journey, insieme ad una rassegna fuori concorso dedicata all’arte nel documentario; nonché la partecipazione di una giuria internazionale e, elemento entrato ormai a far parte in pianta stabile dell’organizzazione del Festival, il coinvolgimento di una giuria composta da studenti delle scuole superiori, che ogni anno vede accrescere il numero dei suoi giurati, grazie soprattutto alla dedizione dei docenti promotori dell’iniziativa.
Tra le novità, l’istituzione della giuria speciale “Nuovi Italiani”, composta da giovani di “seconda generazione” per la maggior parte studenti presso l’Ateneo di Palermo e l’organizzazione di incontri di presentazione di realtà associazionistiche locali che sono impegnate nei processi di inte(g)razione con i migranti presenti in città e/o che si adoperano per mantenere vivo l’ambiente culturale e politico dei giovani palermitani, insieme all’allestimento di una mostra, un’installazione e alla presentazione, non nuova ma rinvigorita, del progetto “Classici in Strada”, che vede il coinvolgimento in un laboratorio teatrale dei detenuti del carcere Ucciardone. Tutte queste iniziative sono state promosse nell’ottica di “creare legami”, tra le associazioni invitate e Sole Luna, tra tutte le associazioni, le une con le altre, ma soprattutto tra le associazioni e la cittadinanza [4].
Lo spazio offerto ai giovani ed in particolare alle due giurie, quella delle scuole e quella dei “Nuovi Italiani”, ha un valore inestimabile e racchiude in sé il senso ultimo di tutta l’iniziativa: offrire ai giovani, che non sono solo il nostro futuro, ma sono già il presente della nostra società, una chiave di lettura del mondo diversa da quella che i media e il senso comune gli porgono quotidianamente su un vassoio d’argento, invitarli invece a porre e porsi domande, riflettere, confrontarsi ed esprimere giudizi, «con l’obiettivo ambizioso ma ineludibile di contribuire a creare un mondo migliore con e per le nuove generazioni» (D’Agati, 2017: 24). L’istituzione della giuria “Nuovi Italiani”, inserendosi in questo ampio progetto “educativo”, vuole lanciare un segnale forte, offrendo all’interno del Festival un posto d’onore a coloro che, a dispetto dei documenti che custodiscono nei propri portafogli, italiani lo sono già, e a cui si è chiesto di esprimere un giudizio per arricchire ancora di più le prospettive di osservazione con cui partecipare alle proiezioni.
Il Festival si è così trasformato in una piazza aperta, luogo di opportunità per conoscersi, confrontarsi e soprattutto scoprire, incuriosire, assaporare realtà lontane, ma anche molto vicine, altrimenti precluse, registrando quasi 9mila presenze. L’idea di costruire ponti, in opposizione alla costruzione di muri, tanto bramata da una certa parte della classe politica e della società civile, rimane dunque alla base del lavoro messo in atto dal Festival e da tutto lo staff che lo supporta.
Guardare altrove ci costringe a guardare noi stessi. È questo il motivo per cui una rassegna di documentari incentrati su temi trasversali e che ci sono molto vicini, ma affrontati da prospettive culturali e storiche molto diverse da quelle a cui siamo abituati, ha un valore fortemente politico e sociale, e coinvolgendo un pubblico certamente più numeroso di quello che raggiungerebbe una conferenza o un seminario di ambito accademico, riesce a parlare direttamente agli spettatori con un linguaggio, quello visuale e cinematografico, che è in grado di avvicinare il soggetto all’oggetto, rivolgendo al primo domande e riflessioni che altrimenti non si sarebbe posto. «L’effetto “specchio” prodotto dallo sguardo sull’alterità ne ribalta la traiettoria che da soggetto parte e al soggetto comunque ritorna» (Cusumano, 2016:11). Un Festival internazionale come quello qui presentato mette dunque a disposizione dei fruitori un approccio, quello antropologico, che difficilmente è invece preso in considerazione nella società attuale, in cui a dispetto della sconfinatezza raggiunta dalla globalizzazione (soprattutto grazie ad internet, ai social media e alle aziende che li gestiscono) l’etnocentrismo, declinato poi in razzismo e xenofobia, rimane comunque un inespugnabile baluardo della società occidentale.
I film che hanno concorso al Sole Luna Doc Film Festival hanno affrontato un ampio raggio di questioni, alcune delle quali molto vicine al nostro sentire, altre lontane, e per questo piacevoli da scoprire.
«Dalla condizione della donna in Afghanistan, agli stereotipi razziali che vivono gli attori stranieri in Italia, dalla disabilità fisica al coming out di un omosessuale israeliano, dall’osservazione quotidiana di un gruppo di pescatrici giapponesi all’estate di due ragazzi nella provincia italiana. Grande attenzione inoltre è dedicata alla libertà di espressione e di informazione, rappresentata in un nucleo di film che riflettono sul ruolo del reporter e della stampa. Non poteva mancare, vista la drammaticità e l’attualità della questione migratoria, una serie di film sull’immigrazione, con prospettive che a volte si limitano ad osservare e denunciare, altre a fornire nuovi sguardi e possibili alternative di accoglienza» (Andrich, Mura, 2017: 22).
Senza alcuna presunzione di possedere una verità da rivelare agli altri, e senza alcuna gerarchizzazione tra promotori e fruitori, le agenzie culturali in senso lato hanno la grande responsabilità, condivisa da tutti soggetti civili, di far circolare visioni e prospettive, di offrire opportunità a tutta la cittadinanza. È questo che intendiamo per “educare la società” ed è questo che crediamo sia il fine ultimo di un’azione intellettuale militante nel vero senso del termine. Siamo tutti dunque chiamati alla responsabilità di agire per il bene comune, promuovendo occasioni per conoscere ed imparare, e trasmettendo quelle che in fondo sono grandi virtù:
«non la prudenza, ma il coraggio e lo sprezzo del pericolo; non l’astuzia, ma la schiettezza e l’amore alla verità; non la diplomazia, ma l’amore al prossimo e l’abnegazione; non il desiderio del successo, ma il desiderio di essere e di sapere» (Ginzburg, 1962:121)
Dialoghi Mediterranei, n.27, settembre 2017
Note
[1] Il Sole Luna Doc Film Festival, che quest’anno è stato dedicato alla Memoria di Antonino Buttitta, vanta la presidenza di Lucia Gotti Venturato, la direzione scientifica di Gabriella D’Agostino e la direzione artistica di Chiara Andrich e Andrea Mura.
[2] Recenti sono infatti le notizie di inchieste a carico dell’ONG JungedRettet e del sacerdote eritreo MussieZerai, (il cui numero di telefono è stato definito al giornalista Alessandro Leogrande come “il numero verde che salva la vita”), per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Non sono questi i primi episodi, si ricorda, infatti, il caso di CédricHerrou, un contadino francese accusato di avere aiutato alcuni profughi ad oltrepassare clandestinamente il confine tra Italia e Francia. Senza volere entrare nel merito delle questioni legali, penso che qualcosa ci stia sfuggendo di mano e che fra alcuni anni il giudizio degli storici sul nostro operato attuale in merito all’accoglienza dei migranti sarà, ragionevolmente, spietato.
[3] http://solelunadoc.org/associazione/scopo-e-attivita/
[4] In particolare le associazioni e gli enti ospitati sono stati: l’associazione Enzima che è stata presente con una mostra fotografica e l’esposizione del progetto Photo Marathon 2016; il Teatro Atlante che ha presentato il sul Laboratorio teatrale all’Ucciardone;Itastra, Welcome Refugees e il gruppo Di Arte Migrante che hanno realizzato una performance all’interno dello Spasimo; Rete PaWorking, Arci Palermo, Orto Capovolto, PUSH, PYC&Giosef che hanno parlato del percorso che ha portato alla nomina di Palermo come Capitale dei giovani 2017. Tutto il programma del festival, nonché i premi assegnati dalle giurie e tutte le informazioni relative alla scorsa edizione e ai prossimi passi dell’Associazione Sole Luna, sono visionabili sul sito www.solelunadoc.org.
Riferimenti bibliografici
Andrich C., Mura A., Catalogo XII edizione Sole Luna Doc Film Festival, Zeta Printing, Palermo, 2017
Agnoli A., Le piazze del sapere. Biblioteche e libertà, Laterza, Roma-Bari, 2009
Clemente P., Le parole degli altri. Gli antropologi e le storie della vita, Pacini, Pisa, 2013
Cusumano A., (a cura di), Dialoghi Mediterranei. Antropologia delle migrazioni, Istituto Euroarabo di Mazara del Vallo, 2016
D’Agati F., Catalogo XII edizione Sole Luna Doc Film Festival, Zeta Printing, Palermo, 2017
Ginzburg N., Le piccole virtù, Einaudi, Torino, 1962
________________________________________________________________
Cinzia Costa, dopo aver conseguito la laurea in Beni demoetnoantropologici all’Università degli Studi di Palermo si è specializza in Antropologia e Storia del Mondo contemporaneo presso l’Università di Modena e Reggio Emilia con una tesi sulle condizioni lavorative dei migranti stagionali a Rosarno, focalizzando l’attenzione sulla capacità di agency dei soggetti. Si occupa principalmente di fenomeni migratori e soggettività nei processi di integrazione.
________________________________________________________________