di Massimo Minglino
La concezione cosmica della malinconia è rappresentata nella lingua e nella dimensione figurativa, con una estrema ricchezza di sfumature. Per la precisione, il greco elegeía, preso in prestito dal latino elegìa, è un derivato di élegos “canto funebre accompagnato col flauto”.
È elegiaco il sentimento personale del poeta, sia che esso parli con parola o in altri modi, fosse anche una “poesia scritta con la luce”: sentimento mestamente meditabondo, teneramente malinconico, blandamente dolente.
L’elegiaco è permeato di mestizia, ma in un modo particolare. Vive in quella porzione di tristezza che sta lontana dal tetro e dal disperato, quella che in lingua portoghese o, con esempio più calzante, nella concezione brasiliana, conosciamo come saudade, cioè quel sentimento di nostalgico rimpianto, di gusto romantico della solitudine, accompagnato da un intenso desiderio di qualcosa di assente perché perduto o non raggiunto.
È attributo di un’emozione, di uno stato d’animo, e non è un termine che possa essere assimilato alla tristezza. In una certa misura è condizione che presuppone una certa contemplazione.
Può essere elegiaco il ricordo condiviso dall’amica o di una persona che conoscevamo, o di un’esperienza lontana fatta insieme; può essere elegiaca l’atmosfera del giorno che si accorcia, o di una città in cui si vede sempre meno gente; elegiaco è un volto segnato da un’ombra, elegiaca è una reazione di conscia rassegnazione.
Elegia, è una parola che si fa notare per altezza, e che per essere intesa richiede la conoscenza di un significativo reticolo di riferimenti; a volte significare esperienze prossime è estremamente difficile, ma qui, in questi esempi di poesie scritte con la luce, una risorsa finissima velata e nascosta almeno l’abbiamo.
Elegiaco è il volto dell’anziana donna che beve il caffè tra il profumo e il rito ripetuto, sempre uguale, sempre diverso. Elegiaco è l’angelo evanescente dalle ali bianche e vellutate che si perde nel buio. Il maestro di musica che ad occhi chiusi e immaginando il suono, dirige la banda del paese in una estasi appagata.
È elegiaca la cappella di montagna baciata dal sole basso di un meriggio d’autunno o le venature appena mosse dal vento sull’acqua che disegnano la silhouette della Venere che ritorna al mare al tramonto.
La ragazza che, scostando i capelli, nasconde il viso e mostra un occhio vivo e ammaliante, sembra incarnare il ritratto di una poesia elegiaca. Non è meno elegiaco l’asino che parla con l’uomo e gli racconta la favola di Esopo.
Elegia è lo sguardo immobile e magnetico di Angelica diviso in due dal filo o il fanciullo adagiato sotto l’albero a sognare il futuro. Elegiaco è l’orizzonte che si apre dal teatro di Andromeda e il mare che si scorge dal molo di Mondello.
Elegiaca è l’offerta di un fiore, l’attesa indefinita, la magia di una festa, di un rito collettivo o di un gioco sull’acqua.
Gilberto Gil, in un suo componimento canta:
è la presenza dell’assenza,/ di qualcuno, un luogo, un qualcosa,/un improvviso no che si trasforma in sì/
come se il buio potesse illuminarsi della stessa assenza di luce./ Il chiarore si produce./ Il sole nella solitudine./ una capsula trasparente che sigilla e nel contempo offre la visione / di ciò che non si può vedere/ ma che si conserva nel proprio cuore,/ è un sentimento, è la struggente presenza di un’assenza.
Ecco che questo cerchio si chiude nella visione che ci accompagna verso la conoscenza e la coscienza di sé per comprendere ed esaminare di se stessi l’immaginario, il non detto, il desiderio un po’ velleitario ma autentico di tracciare con il rigore del bianco e nero fotografico il profilo di un sentimento, di un sogno, di una suggestione, di una emozione.
Dialoghi Mediterranei, n. 63, settembre 2023
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Massimo Minglino si appassiona alla fotografia all’età di 15 anni. Laureato in Architettura presso l’Università degli Studi di Palermo, con una tesi sul Museo della Fotografia della Città di Palermo, svolge attività professionale a Caltanissetta, accostando alla libera professione la passione per l’arte fotografica, che sovente utilizza per lo studio della città e dell’architettura in genere. Approfondisce la ricerca personale per il reportage e il racconto fotografico, attraverso lo studio di testi inerenti la fotografia e partecipando ad incontri, workshop e mostre personali e collettive.
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