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Emmy Andriesse, una luminosa stella cometa

Emmy Andriesse, Sestri Levante, 1950-1951, Archivio MuSel - museo archeologico e della città di Sestri Levante

Emmy Andriesse, Sestri Levante, 1950-1951, Archivio MuSel – museo archeologico e della città di Sestri Levante

di Silvia Mazzucchelli

1955, New York, MoMa. Si inaugura una mostra epica, che ruota attorno alla ricerca e al riconoscimento del mistero dell’umano e della vita, The family of man.

Concepita da Edward Steichen, coinvolge 273 fotografi, provenienti da 68 Paesi, tra cui Helen Levitt, Ruth Orkin, Sabine Weiss, presentati tutti sullo stesso piano, senza gerarchie legate alla notorietà e senza nessuna concessione ad estetismi e ricercatezze.  We two form a multitude, la sezione finale del catalogo, con le fotografie di August Sander, Alfred Eisenstaedt, Dimitri Kassel, si apre con un’enigmatica e austera coppia di anziani olandesi.

dal catalogo, The family of man,  Moma, 1955

dal catalogo, The family of man, MoMa, 1955

Il corpo della donna, informe e maestoso, ricorda quello di una madre che ha generato molti figli, mentre l’uomo indossa un abito nero. I volti non lasciano trapelare alcuna emozione, mentre le mani che parlano di lavoro e fatica, rappresentano la loro vera identità. A scattarla è una fotografa morta due anni prima a soli 39 anni, Emmy Andriesse, una stella cometa per la brevità della vita, ma decisamente luminosa, una fotografa che al pari di Steichen, mette l’accento sull’universalità dell’esperienza umana e sulla capacità della fotografia di esserne testimone.

Nata il 14 febbraio del 1914 a L’Aia, unica figlia di genitori ebrei di buona famiglia, dopo la morte prematura della madre, viene cresciuta dalle zie godendo di notevole libertà. Dal 1932 al 1937 studia design pubblicitario all’Accademia di arti visive, dove incontra due docenti, Gerrit Kiljan e Paul Schuitema, che ispirati dall’estetica del Bauhaus, rivendicavano la specificità della fotografia come linguaggio esclusivo.

Emmy Andriesse, Sestri Levante, 1950-1951, Archivio MuSel - museo archeologico e della città di Sestri Levante

Emmy Andriesse, Sestri Levante, 1950-1951, Archivio MuSel – museo archeologico e della città di Sestri Levante

La nuova condizione femminile emersa dopo l’avvento della Prima guerra mondiale, apre la strada alle donne in diversi settori professionali fino a quel momento inaccessibili, e la fotografia assume grande importanza come strumento per esplorare e mettere in discussione la propria dimensione esistenziale e, allo stesso tempo, rivendicare la possibilità di auto-affermarsi.

Usavamo quelle enormi scatole con i soffietti e un panno nero sulla testa, e le lastre di vetro e tutto il resto, a quel tempo uscì la fotocamera da 35 mm e l’Accademia acquistò una Leica. Ogni tanto si poteva usare, ed Emmy la adorava. E per questo la chiamavano “Emma Leica”, racconta l’amica Hans Brusse Ijzerman.

19377-1730779239668Eva Besnyö, che nel 1937 era tra i principali organizzatori della mostra internazionale Foto’37 allo Stedelijk Museum, cui partecipano fra gli altri Brassai, Cartier-Bresson, e László Moholy-Nagy, racconta che Paul Schuitema invita anche alcuni studenti del suo corso. Emmy, conciliando due prospettive apparentemente opposte, realizza un reportage nel quartiere “Jordaan” di Amsterdam e il manifesto  per la mostra, il fotomontaggio di un volto femminile con gli occhi chiusi, entità misteriosa che emerge dallo sfondo bianco.  Nel giugno 1941  sposa il grafico  Dick Elffers,  ma a causa delle sue origini ebraiche, durante l’occupazione nazista, è costretta a nascondersi. Alla fine del 1944, grazie al medico e antropologo Arie de Froe, impegnato a salvare gli ebrei olandesi dalla deportazione, ottiene un documento d’identità falso e si  unisce al gruppo di fotografi De Ondergedoken Camera (Camera nascosta) tra cui Cas Oorthuys e Charles Breijer, che lavorano clandestinamente.

Emmy Andriesse, Sestri Levante, 1950-1951, Archivio MuSel - museo archeologico e della città di Sestri Levante

Emmy Andriesse, Sestri Levante, 1950-1951, Archivio MuSel – museo archeologico e della città di Sestri Levante

È proprio nel 1944, durante l’ “inverno della fame” e dell’occupazione nazista, quando morirono migliaia di olandesi, che Emmy Andriesse realizza una fra le sue immagini più famose. Un bambino magro in cerca di cibo, che indossa abiti logori e pesanti, tiene una padella vuota fra le mani, appoggiandola sul suo stomaco. Emmy si avvicina vertiginosamente, lo sfondo di una strada deserta, con la luce naturale che enfatizza il volto e le mani, erge quel minuto corpo indifeso a emblema della sofferenza, come il bambino con le mani alzate in segno di resa nel ghetto di Varsavia.

Emmy Andriesse, Sestri Levante, 1950-1951, Archivio MuSel - museo archeologico e della città di Sestri Levante

Emmy Andriesse, Sestri Levante, 1950-1951, Archivio MuSel – museo archeologico e della città di Sestri Levante

Il fotoreporter è un testimone con il dovere di informare e scuotere chi osserva le sue immagini, nella speranza di cambiare lo stato delle cose, pur accettando di essere spettatore impotente della sofferenza altrui. Come Margaret Bourke-White era riuscita a stare al passo con la storia, ma distante da Gerda Taro che dalla storia era stata travolta e trasformata in mito, o da Lee Miller che dopo gli orrori della guerra aveva smesso di fotografare, Emmy Andriesse ha saputo fondere avanguardia artistica e umanesimo, moda e reportage, etica ed estetica. Nel dopoguerra  passa disinvoltamente dalla rivista socialista Wij,  al settimanale di moda Margriet,  prima fotografa a ricevere un incarico, come racconta la giornalista Hanny van den Horst, divenuta a sua volta la prima caporedattrice donna della rivista.

Emmy Andriesse, Sestri Levante, 1950-1951, Archivio MuSel - museo archeologico e della città di Sestri Levante

Emmy Andriesse, Sestri Levante, 1950-1951, Archivio MuSel – museo archeologico e della città di Sestri Levante

Il suo modo di lavorare risultava eccentrico. Si rifiutava di ritoccare rughe ed imperfezioni e non usava la luce artificiale, faceva posare le modelle vicino alle finestre affinché i loro volti fossero lambiti dalla luce naturale. A Parigi ritrae Juliette Gréco mentre cammina per strada. La riprende dal basso verso l’alto, creando un contrasto tra la luce che illumina il suo volto e l’ombra che lo avvolge. Gli occhi, grandi e magnetici, guardano oltre la fotocamera, verso qualcosa che non possiamo vedere, e le sue labbra sembrano sul punto di parlare, ma scelgono il silenzio, lasciando che sia l’immagine a narrare la sua storia.

Emmy Andriesse, Sestri Levante, 1950-1951, Archivio MuSel - museo archeologico e della città di Sestri Levante

Emmy Andriesse, Sestri Levante, 1950-1951, Archivio MuSel – museo archeologico e della città di Sestri Levante

Si percepisce una smisurata fiducia nella fotocamera con cui cercare punti di vista atipici, sperimentare tecniche per vedere il soggetto in modi nuovi, e un’attenzione maniacale verso la luce, capace di riprodurre la realtà con la massima precisione, di condurre a una visione diretta più ricca di quella a cui il nostro occhio ci permette di accedere, come  scrive Moholy-Nagy.

La presa di coscienza di questa possibilità insita negli oggetti di riflettere o assorbire la luce avrebbe infatti indotto a rendere visibile per mezzo dell’apparecchio fotografico fenomeni che sfuggono alla percezione o alla ricezione del nostro strumento ottico, l’occhio.

Emmy Andriesse, Sestri Levante, 1950-1951, Archivio MuSel - museo archeologico e della città di Sestri Levante

Emmy Andriesse, Sestri Levante, 1950-1951, Archivio MuSel – museo archeologico e della città di Sestri Levante

Ed è  grazie alla luce che il  realismo spoglio e asciutto delle foto di Amsterdam assume una nuova forma, la luce che rimanda alla luminosità della cultura classica e mediterranea, la “dolce luce”  che Emmy conosce a Sestri Levante. Vi giunge nel 1950 con l’amica Corinne figlia dello scrittore olandese Arthur van Schendel che dal 1932 aveva eletto il paese ligure a meta preferita delle lunghe vacanze estive e come  residenza permanente dal 1934 al 1945.

La bella ‘casa bianca’ in faccia al mare che si distingueva subito fra tutte le altre case multicolori fu identificata a lungo dai sestresi con la figura dello scrittore, così per molti degli amici intellettuali che lo raggiungevano durante l’estate.  Con la guida di Corinne, la fotografa ritrae la vita di una comunità, i pescatori al lavoro, il sonno pomeridiano sulla spiaggia, la pesca con la sciabica nella Baia del Silenzio, le reti distese sulla sabbia,  le giovani e vecchie pescivendole con le ceste colme di pesce, i bambini  all’asilo infantile “Maria Teresa Balbi”, i giochi, il pranzo, le attività in classe con le suore a fare da maestre, la processione del Corpus Domini.

Emmy Andriesse, Sestri Levante, 1950-1951, Archivio MuSel - museo archeologico e della città di Sestri Levante

Emmy Andriesse, Sestri Levante, 1950-1951, Archivio MuSel – museo archeologico e della città di Sestri Levante

La scelta dei soggetti di queste foto sarebbe stata molto più difficile senza l’aiuto dell’amica che di Sestri aveva imparato a conoscere ogni angolo, ogni tradizione e forse potremmo anche dire, ogni singolo abitante, e ha saputo perciò far da guida all’amica nel fissare le immagini di un mondo che sarebbe scomparso con l’arrivo in Riviera della ricca borghesia lombarda e del turismo di massa, ricorda Dina Aristodemo.

Nelle fotografie di Emmy Sestri Levante è il luogo della contaminazione tra realtà e immaginazione, territorio liminare, ma anche centro radiante e spazio intenso di storie e di riflessioni, come avviene in una sequenza realizzata nello studio del fotografo  Giacomo Borasino.

Emmy Andriesse, Sestri Levante, 1950-1951, Archivio MuSel - museo archeologico e della città di Sestri Levante

Emmy Andriesse, Sestri Levante, 1950-1951, Archivio MuSel – museo archeologico e della città di Sestri Levante

Emmy lo ritrae mentre sistema con cura una bambina che deve fare la Prima Comunione, mentre una fotocamera dalla presenza imponente campeggia in primo piano su un treppiede, occhio meccanico che osserva, sceglie, cattura. Lo sfondo dipinto con le colonne e il paesaggio agreste, aggiunge un elemento di teatralità e idealizzazione, tipico dei ritratti formali dell’epoca.

Nel fotogramma successivo si vede la bambina, e sul lato destro dell’immagine sulla soglia di una porta semiaperta inondata di luce, appare una donna, probabilmente la madre, che osserva la scena. L’immagine non si limita a fissare un istante, ma diventa una riflessione sulla fotografia, la bambina in posa nello studio del “vecchio” fotografo, si contrappone alla madre, alter ego della fotografa, nella luce della modernità, come accade nei quadri di Veermer o De Hooch, in cui la porta/finestra si apre ad uno spazio nuovo.

Jan Vermeer, Soldato con fanciulla sorridente, 1655

Jan Vermeer, Soldato con fanciulla sorridente, 1655

Pieter de Hooch, La Buveuse, 1652

Pieter de Hooch, La Bevitrice, 1652

Emmy Andriesse, Sestri Levante, 1950-1951, Archivio MuSel - museo archeologico e della città di Sestri Levante

Emmy Andriesse, Sestri Levante, 1950-1951, Archivio MuSel – museo archeologico e della città di Sestri Levante

La fotografia nello studio ci rivela anche che la fotografia è “trucco”, perciò come per il suo predecessore Hyppolite Bayard, i pescatori di Emmy potrebbero fingere di dormire placidamente sulla spiaggia.

Le maglie della tenda, attraverso cui una donna guarda la realtà, sono il reticolo  con cui il fotografo suddivide l’immagine, un insieme di linee che conferisce ordine al caos, guida l’occhio e crea un ritmo nella composizione. In una fotografia scattata dall’alto, si vedono solo i piedi nudi dei pescatori, i pesci che  giacciono in disordine con le scaglie che brillano alla luce, e la rete scura sullo sfondo. È il ritmo della quotidianità, del lavoro, della fatica, che si fonde con il prodigio della pesca miracolosa, la rete, come lo sguardo, lanciata sulla realtà che raccoglie e trattiene gli istanti luminosi del mondo.

Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025 
Note
L’archivio fotografico di Emmy Andriesse è conservato nel Gabinetto delle stampe della Biblioteca dell’Università di Leiden ed è stato riscoperto da Natalino Dazzi. Una parte delle foto di Emmy Andriesse  sono esposte alla mostra  Sestri Levante attraverso gli occhi e le parole, a cura di Marzia Dentone, Simona Bo e Daniela Olivier, in collaborazione con Mario Dentone e Natalino Dazzi,  visibile sino al 12 gennaio presso la Sala Espositiva di Palazzo Fascie.
Un caloroso ringraziamento a Roberto Montanari e Marzia Dentone per il loro prezioso aiuto.

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Silvia Mazzucchelli, laureata in Scienze umanistiche, ha conseguito un master in Culture moderne comparate e un dottorato in Teoria e analisi del testo presso l’Università di Bergamo. Per Einaudi ha curato Un intenso sentimento di stupore (2023) della fotografa Giulia Niccolai. È autrice di due saggi dedicati alla fotografa e scrittrice Claude pubblicati da Johan & Levi. Di Claude Cahun ha curato anche Les paris sont ouverts (Wunderkammer, 2018) e scritto il saggio introduttivo per la traduzione in italiano del pamphlet. Ha curato la voce “Inge Morath” per il catalogo “A-Z Steinberg”. Scrive di fotografia per numerose riviste e fa parte della redazione della rivista on line Doppiozero. Sulla fotografa Giulia Niccolai, della quale conserva l’archivio, sta completando uno studio per cui è prevista una monografia. Di prossima pubblicazione sono anche un volume di recensioni a venti donne fotografe vissute a cavallo del secolo scorso e un volume di interviste a dodici protagoniste e protagonisti della fotografia.

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