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“Errori popolari”: dalla condanna scientifica alla riabilitazione estetica

da Gli errori popolari, di Scipione Mercurio

Tavola da Gli errori popolari, di Scipione Mercurio, 1645

di Paolo Cherchi

La nozione di “errore” è alquanto problematica se persino gli antichi sofisti, contestando tutta l’esperienza comune, ne negavano l’esistenza, e ancora oggi pensatori come Gilbert Ryle cercano ripetutamente di trovare una “categoria dell’errore”. Le difficoltà aumentano se lo abbiniamo alla nozione di popolare, un attributo piuttosto ambiguo e che copre una vasta gamma di significati e sfumature. Eppure, il tema del nostro studio sarà proprio la combinazione di questi due termini, entrambi caratterizzati da un diverso grado di ambiguità. Ma il lettore può rasserenarsi: non si vuol creare un problema solo per porre in luce la nostra audacia, ma studiare il concetto di “errore popolare” nato nella cultura della storia premoderna.

La formula “errori popolari” o “erreurs populaires” compare con notevole frequenza in molti titoli di opere riguardanti discipline diverse, in particolare in libri di medicina, religione e anche in altre discipline, come la fisica e la storia. La sua frequenza è limitata al periodo che va approssimativamente dagli ultimi del Cinquecento alla fine del Settecento. Quindi, tenendo conto di questi due fattori, ossia della vasta documentazione e della spanna cronologica, è chiaro che la formula “errori popolari” va studiata in termini storici, cioè con dati concreti piuttosto che con ragionamenti astratti. Perciò non ci attarderemo in disquisizioni di logica e di scienza, e tuttavia la nostra indagine non sarà per questo meno interessante perché se non si presenta come un dibattito accademico, ha il pregio e la ricchezza che risulta da un dibattito storico-culturale.

1038480212-0-xTuttavia, entrambi i termini richiedono qualche qualificazione, se non proprio una definizione precisa, per mantenere la nostra ricerca entro limiti chiari e per specificarne gli obiettivi. L’errore, nel senso più empirico del termine, è un’azione che si allontana dalla verità, ma la sua qualità e il suo livello di gravità non sono stabiliti da un dizionario, bensì dal suo impatto o dai suoi effetti sul sapere comune. Un errore grammaticale è diverso se viene commesso da un bambino o da uno scrittore, e un’errata comprensione di un testo sacro è diversa se commessa da una persona semplice o dal creatore di un’eresia o di uno scisma. Prenderemo in considerazione solo gli errori di rilevanza culturale, la cui “correzione” implica grandi cambiamenti scientifici o addirittura cambi di mentalità. È importante ricordare che la valutazione di ciò che deve essere considerato un errore è anche storica, nel senso che esprime il giudizio di coloro che vedono l’errore e suggeriscono i modi per correggerlo. Nella maggior parte dei casi, qualsiasi credenza o affermazione che manchi di prove o evidenze sarà considerata un errore. Questo criterio dice già che la differenza tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato deve essere decisa da un “metodo” di ricerca.

Per quanto riguarda la natura “popolare” di un errore, la questione è un po’ più complicata, data l’ampia gamma di significati dell’aggettivo, che a volte può avere un valore positivo (quando, ad esempio, significa “semplicità” o “ingenuità”), altre volte spregiativo (quando viene opposto a “dotto” o “culto”), e qualche volta denota ignoranza crassa. In inglese, l’accezione principale di “popolare” è quella di “largamente gradito”, o “ammirato dalla gente”. In italiano, così come in francese e in spagnolo, questo significato è solo secondario, mentre quello primario rimane quello di “appartenente alla sfera popolare”, qualcosa di “semplice o di qualità inferiore”, legato essenzialmente al vulgus prophanum odiato da Orazio e, un millennio e mezzo dopo, da scrittori come lo spagnolo Cosme Aldana, autore di un Discorso contro il volgo [1].

1174982119Nessuna di queste accezioni consolidate corrisponderà esattamente a quella utilizzata dagli autori che hanno creato la formula che qui esaminiamo, perché gli errori di cui si interessavano erano, sì, diffusi tra la gente comune, ma si trovavano anche tra i dotti e godevano del prestigio di tradizione libresca. Forse il miglior equivalente inglese dell’italiano “errori popolari” si trova nel titolo Pseudodoxia epidemica or vulgar errors del libro di Thomas Browne. Quel titolo accoglie la nozione di doxa che significa “opinione o conoscenza comune”, ma aggiunge anche che questa è pseudo o “falsa” perché appare “colta” ma di fatto è tutta erronea. Inoltre il titolo indica anche che tali nozioni sono epidemiche, vale a dire che questo tipo di pseudo-conoscenza è contagiosa e si diffonde come una pandemia. Esso sembra alludere non tanto a singoli errori, quanto a un insieme di credenze generali ampiamente diffuse tra la gente. Tale latitudine dimostra, ancora una volta, che il problema sta nel modo di conoscere le cose piuttosto che nella conoscenza di singole cose: quindi, sembrerebbe ancora una volta che ci sia un problema di metodo. In epoca moderna, nel periodo post-romantico, il significato di “popolare” subirà un profondo cambiamento e, negli ultimi decenni, definirà la cultura delle classi “subalterne”. Ma torneremo su quest’ultimo concetto.

Da quanto abbiamo appena detto dovrebbe risultare chiaro che solo la ricerca storica chiarirà il significato di “errori popolari”, un significato che non può essere estrapolato dal contesto in cui è nato. Infatti, se togliamo la formula dal suo contesto originario, il significato di ogni termine della diade cambia: “popolo” assume il significato di “popolare”, e di conseguenza gli “errori popolari” possono entrare in una sfera simile a quella dei “miti”, delle verità immaginarie indiscusse. Il senso di “errore” potrebbe acquistare una connotazione morale che non sembra avere nel contesto in cui l’analizziamo. I primi segni di un cambiamento si manifestano al tramonto del periodo compreso nel nostro studio, quando le preoccupazioni per i problemi di “metodo” cominciano a perdere il loro dominio e la loro urgenza. A quel punto, popolare acquisisce la connotazione di “appartenente al volgo”, e il volgo inizia ad acquisire l’aura sacra di “nazione”; e il concetto di errore caratterizza una mentalità più che una distorsione del modo di pensare.

Per il momento, ci concentriamo sul periodo che ha coniato la formula “errori popolari” con la quale si indicano gli errori che hanno un impatto sulla cultura del momento. L’idea che particolari “errori” possano segnare negativamente intere generazioni o addirittura epoche non è nuova, come dimostrano espressioni come quella di Tomaso d’Aquino che parla degli “errores gentium”, accusando l’intera civiltà precristiana; e Dante che parla di “le genti antiche nell’antico errore” (Par. VIII, 6), intendendo l’intera civiltà che ha preceduto la Rivelazione. Tuttavia, questi casi isolati non rappresentano una tendenza culturale simile a quella che stiamo per studiare, quando alcuni “errori popolari” radicati divennero il bersaglio dell’attacco che una nuova epoca e una nuova cultura erano pronte a portare avanti per smantellare un intero sistema di credenze, e per imporre un nuovo metodo di perseguire la conoscenza.

781_0In medicina 

La medicina è stata la prima e più operosa disciplina nell’individuare e respingere gli “errori popolari”. Tale primato non deve sorprendere, poiché la medicina è una disciplina che tocca tutti, indipendentemente dal ceto e dall’età. Inoltre, è molto antica, forse la più antica, e ha, quindi, una lunga tradizione di nozioni e cure e prevenzioni; costituisce anche un corpo di conoscenze aperto alle opinioni e ai rimedi individuali. Nella sua lunga storia la medicina ha subìto diversi cambiamenti epocali: la medicina di tipo ippocratico fu innovativa non solo nel senso che la separò dalla religione e dalla teologia, ma introdusse la teoria dei quattro umori che regolano la vita e la salute e determinano anche la personalità. Galeno la modificò ulteriormente tenendo conto dell’anatomia e dell’anima o pneuma. Ma poi la scienza medica si perse in Occidente insieme alla perdita del greco; quindi è stata recuperata attraverso la Scuola di Salerno e l’influenza araba. Alla fine del XV secolo, subirà un nuovo grande cambiamento, annunciato, come nella maggior parte dei casi, dalla denuncia degli errori commessi da una scuola precedente.

Niccolò Leoniceno può aprire la nostra indagine con una breve opera dal titolo che sembra un manifesto: De Plini et plurium aliorum medicorum in medicina erroribus (1492). Leoniceno era un medico ferrarese [2] e il suo opuscolo corregge molti dati botanici presenti nella Naturalis Historia di Plinio. Leoniceno individua gli errori di Plinio controllando le fonti greche (Teofrasto, Dioscoride, Galeno, ecc.), spesso fraintese dall’autore latino. Il lavoro di Leoniceno ebbe un impatto non previsto o non pienamente voluto. Una delle conseguenze fu un dibattito filologico che coinvolse Poliziano, Ermolao Barbaro (con le sue Castigationes plinianae), Pandolfo Collenuccio e altri, dimostrando che la filologia poteva avere un ruolo attivo nello stabilire l’autentica “scienza” degli autori antichi. Ancora più interessante è stata la conferma dell’importanza delle erbe e delle piante per la “farmacologia”, ma il loro valore era rigorosamente garantito da testi scrupolosamente curati e rappresentativi della vera medicina antica. Questo criterio restrittivo stabiliva la superiorità degli autori greci, assegnava un ruolo secondario a quelli latini (Plinio, Celso) e rifiutava completamente gli autori arabi ritenuti “erronei”, tra cui Avicenna che per secoli era stato ritenuto una delle massime autorità. Si trattava di un’innovazione, ma non ancora di una rivoluzione, poiché “tornava” alla tradizione ritenuta perduta da tempo. Tuttavia, il controllo degli antichi medici era costante e i loro errori venivano smascherati, come si può dedurre dal titolo De erroribus veterorum medicorum (1553) di Giovanni Argentiero.

Una vera e propria rivoluzione si ebbe qualche decennio più tardi grazie a Paracelso. Questi fu studente a Ferrara e poi professore di Medicina a Basilea, dove, secondo una leggenda, durante la sua lezione inaugurale bruciò i libri di Galeno e Avicenna, i due pilastri della medicina occidentale. Paracelso abbandonò la guida di tutti gli auctores, sia antichi che arabi, e decise che l’unico modo di praticare la medicina era quello di osservare i pazienti piuttosto che leggere gli autorevoli tomi dei medici antichi. Ma fece molto di più e con ben altre conseguenze. Rifiutò la visione galenica secondo cui il corpo umano era regolato da quattro umori (sangue, bile nera, bile gialla e flegma) e la salute dipendeva dalla loro perfetta temperatura ed equilibrio. Paracelso sostituì gli umori galenici con tre elementi corporei, ovvero sale, zolfo e mercurio. La vita organica e la salute erano determinate dalle combinazioni e dalla separazione di questi elementi metallici e tutte le terapie mirano ad assicurare la stabilità della loro combinazione vitale.

51tdm82yubl-_ac_uf10001000_ql80_Si trattava di una medicina alternativa che si basava essenzialmente su una comprensione “chimica” o “alchemica” del corpo. Di conseguenza, la controparte farmacologica doveva abbandonare le sue basi erboristiche o vegetali a favore di una base metallica. Ciò significava affidarsi a fattori completamente nuovi e, invece di utilizzare intrugli e decotti di erbe e piante, i farmaci venivano preparati attraverso processi di distillazione, sublimazione e macinazione di minerali. Dato che i minerali erano elementi “sublunari”, e pertanto creati da influssi astrali, la medicina si legò strettamente all’astrologia. Una potente ondata di occultismo invase l’arte medica e nozioni come quelle di “simpatia” e “antipatia” tra gli elementi portarono la medicina vicino alla magia. Il paracelsismo divenne di gran moda e, allo stesso tempo, suscitò forti sospetti di magia e una vivace reazione da parte dei medici di formazione tradizionale. Non è questa la sede per discutere di quell’immenso fenomeno chiamato “medicina paracelsiana”; ma ciò che più conta per noi è che questo nuovo tipo di medicina favorì lo sviluppo della “spagirica”, un processo di estrazione di “essenze” e di ogni sorta di combinazione chimica che diede vita alla letteratura dei “segreti”, che a sua volta alimentò il fenomeno della ciarlataneria con i suoi eserciti di praticanti di medicina che servivano sia i re che la gente umile [3].

Lo scontro tra queste due diverse scuole di medicina creò per la prima volta la nozione di “errori popolari”. Quella più antica considerava le terapie paracelesiane assolutamente pericolose per la salute pubblica e privata e chiedeva un’azione ufficiale per contenere la pratica di questa medicina “errata” nelle sue concezioni fondamentali; da parte loro i medici paracelsiani mettevano in guardia dagli errori degli avversari ma non li chiamava “popolari”. L’allarme fu lanciato da un libro, ma la consapevolezza di questi errori e del loro pericolo si avvertiva già da tempo. Il libro in questione è di André du Breil, che rende l’idea della natura “politica” e delle imponenti misure di contenimento contro una sorta di errore diffuso avente forti implicazioni cognitive e morali. Il titolo tradisce un senso di urgenza: nel 1578, data della sua pubblicazione, in Francia imperversava una pestilenza “coqueluche”, forse una sorta di catarro o qualche altra malattia respiratoria contro la quale era urgente trovare un rimedio. L’elevato numero di decessi causati da questa malattia richiese l’intervento di tutta la scienza che l’università poteva mettere a disposizione, e infatti La Sorbonne emise un Consilium facultatis medicinae contra pestem.[4]

de-breilIl titolo e il sottotitolo del trattato di Du Breil sono La police de l’art et science de medicine, contenant la refutation des erreurs, et insignes abuse qui s’y commettent pour le jourdhuy: tres-utile et necessaire a toute personnes, qui ont leur santé et vie en recommendation. Ou sont viuement confutez tous sectaires, sorciers, enchanteur, magician, deuins, pythoniciens, souffleurs, empuisonneurs, et tout racaille de thericacleurs, et cabalistes: lesquel en tous lieux et pays, sans aucun art ne science, approbation ou authorité, font et exercent impudemment, et maleheuresement la medicine, au grand interest de la santé et vie des hommes, et detriment des Republiques. Pubblicato a Parigi (Cavallat, 1580) e dedicato al re, questo libro ha le modeste dimensioni di un saggio polemico, ma l’indignazione contro il branco di falsi medici è intensa. Il lettore di oggi può identificare solo alcuni di loro: certamente riconosce i “maghi” e gli “indovini”, ma deve cercare aiuto per identificare i “thericacleurs” e i “pytoniciens”, perché sono “specialisti”, possiamo dire, che praticavano un tipo di medicina che aveva una letteratura “ufficiale” che legittimava la loro pratica. La teriaca, per esempio, era un antico intruglio che aveva un potere omeopatico, ed era largamente utilizzato contro gli insetti nocivi [5]; i pythociens sono gli ammaliatori che curano i pazienti con il fascino. Come si vede, gli elenchi dei medici che non avevano mai messo piede alla Sorbona sono vari e numerosi. Du Breil è particolarmente ostile ai paracelsiani:

«Quant aux Paracelsistes, ou autres plus subtils inventeurs de leur secte, il ne me feront quitter les bons, et approuvez autheurs pour suivre leurs nouvelles inventions: par lesquelles ils pervertissent tout ordre divin, et humain, de tout temps, et ancienneté, et toutes nations, iusques icy tenu, gardé, et observé en la Medecine, ny moins d’approuver leur nouveaux secrets ou entrent toute sortes de mortiferes poisons: l’experience desquels a faict mourir une infinité de peuple, comme ils continuent chacun iour» (Epistre a Messieurs de Roven, with no page signatures). 

Il libro si apre tracciando una storia delle scuole o “sette” di medicina nell’antichità e ritiene che la migliore sia quella del medico definito “dogmatico e razionalista”, operante secondo le linee fissate da Ippocrate e da Galeno. Tutto ciò che è venuto a sovvertire gli insegnamenti di questa illustre tradizione è mal concepito, velenoso e nefasto. Du Breil copre di insulti i finti medici che non hanno mai prestato il giuramento di Ippocrate, che inondano il mercato con prodotti come “quintessenze”, “oro potabile” e ogni sorta di pozioni sconosciute ai medici “dogmatici e razionali”. Un solo estratto è sufficiente a darci il tono e il succo dell’intero trattato:

«Le faux medicins de nostre temps, desquels nous entendons icy parler, se peuvent aussi diviser ou rapporter à trois sects ou manieres, lesquels tous se couvrent du manteau d’Empirique, qu’il s’attribuent faulcement, ce qui facilment croient ceux qui ne sont pas versez en l’art de Medicine, et qui n’y prennent pas assez de pres garde. Et non seulement le pauvre peuple ignorant, mais aussy plusiers des mieux apprins et advisez, par curiosité ou nouveté, s’y entremeslent. Et par licence, et faux donner à entendre au Prince, et à la Iustice, sans reprehension, ne punition aucune, leur est permis d’abuser et prendre tel accroissement qu’en fin ils seront cause de la totale ruine, non seulement de l’art et science de Medicine, mais de tuout la Republique si en brief l’on n’y remedie, et si on n’y donne empechment. Car non seulement ils adulterant les metaux par leurs subtiles poisons et mixtion, mais aussy alterent par iceux , et font perir les corps , et bien de la terre, et qui pis est, comme harpyes diaboliques, infectent, et contaminent les autres choses de si pernicieuse consequence, qu’on ne sçauroit  estimer. A raison dequoy sont plus à reprendre que vrays homicide, et assasinateurs; et doivent estre expulsez, et dechassez des pays, forbanis et fuis comme une peste de la republique Chrestienne» (ivi: 27-28). 

ruscelli-segreti-1-frontespizioGli errori medici sono infatti crimini che meritano pene severe. Questa nozione di “erreur” attraversa il libro, e se si impara molto poco sulla scienza “corretta” difesa dal professore della Sorbona, si impara molto sulla nozione di “errore” in un campo in cui erano in gioco la vita e la salute. Per dare un’idea della marea di libri e opuscoli che diffondevano “segreti” medicinali e che circolavano nell’anno precedente la pubblicazione de La police de l’art, cioè nel 1579, ricordiamo che furono pubblicate in Francia due opere di grande successo, una dell’italiano Gerolamo Ruscelli (Lione), Les secrets, e l’altra dello svizzero Conrad Gessner, Quatre livres des secrets de medicine et de la philosophie chymique (Parigi), opere che hanno avuto un numero infinito di edizioni. La police de l’art non estinse il genere, visto che altri libri di “segreti” (ad esempio, Etienne Ydely, Des secrets souverain et vrais remedes contre la peste, Lyon 1581; Nicolas Bonfon, Le blazon des fleurs ou sont contenuz plusiers secrets de medicine), continuavano ad apparire perché erano ovviamente molto richiesti. Du Breil insiste su questo tipo di medicina (“Agripistes [cioè i seguaci di Cornelius Agrippa von Nettesheim], Paracelsistes, Piedmontistes [i lettori di Alessio Piemontese, alias Gerolamo Ruscelli], Margretistes, Acomistes et tels autres sectateures”: 43) che fa presa sugli ignoranti dal momento che vedono nelle loro pozioni e nel loro gergo astruso un potere magico. In effetti egli biasima i falsi medici, ma trova che anche i pazienti sono colpevoli (“Les fautes des malades”: 119-129) di essere così creduloni.

Il trattato di Du Breil fa luce sulla “gravità” degli errori medici, che non si limitano a casi singoli e isolato, ma investono l’intero modo di intendere il corpo umano e le sue malattie. Sostiene che alcune false nozioni sono penetrate in vaste aree di pubblico mettendo in pericolo intere popolazioni. Di norma, qualsiasi medico “dogmatico e razionale” deve essere consapevole del livello di informazione dei suoi pazienti per applicare le cure al meglio; invece i medici di nuova scuola preferiscono che i pazienti siano del tutto ignoranti perché in questo modo viene accentuato l’aspetto “taumaturgico” della scienza medica dei “segreti”. La police dimostra che gli errori sono molto diffusi, soprattutto tra gli ignoranti. Per annullare l’insegnamento di questi impostori è importante non solo distruggere i loro libri, ma correggere le idee che hanno diffuso, cioè andare direttamente agli “errori popolari” e respingerli. Il tono comminatorio di Du Breil dice che si trattava di un “libro di emergenza”, una sorta di diffida scientifica che non ne favorì il successo, anche se ebbe una notevole importanza nel richiamare l’attenzione su un fenomeno che dilagava e si imponeva.

joubert_laurent_erreurs-populaires-au-fait-de-la-medecine-et-regime-de-sante_1578_edition-originale_1_66640Molto più misurato e convincente riusciva un altro libro pubblicato un anno prima de La police. Erano gli Erreurs populaires au fait de la medicine et regime de santé (Bordeaux, 1578), pubblicato da Laurent Joubert. Era un libro destinato ad avere successo anche per il tono moderato e lontano dai toni legali e rissosi usati da Du Breil. Joubert prevedeva che un attacco frontale avrebbe contribuito a diffondere la medicina paracelsiana, e preferiva screditare i suoi avversari mettendone in luce le pecche. A questo fine intese preparare un altro volume che non riuscì a completare a causa della sua morte. Comunque il suo scopo principale di informare adeguatamente i pazienti viene esposto in termini chiari. I medici devono instillare la “vera” scienza medica nelle menti delle persone che sono state alimentate da nozioni sbagliate da parte di cattivi medici: 

«Or les erreurs et fausses opinions sont si vulgaires et communes en l’ame , que rien plus. Il faut donc qu’elles viennent d’ailleur, et s’insinuent de par dehors: sçavoir est, de mauvais doctrine et fausse persuasion. […] C’est le devoir des medecins de luy dissuader ces fausses opinions et procedures, et l’instruire de faire mieux ce que luy concern: comme de servir et garder les malades, leur assistant fidellement soubz la conduite et gouvernement des doctes medecins. Aussi faut il que d’où est venu le mal, procede le remede. La mal, (c’est à dire, l’erreur engendré en l’ame du people ignorant) est venu de ce qu’il à ouy dire, ou veu faire aux medecins, les quelz il veut contrefaire, sans aucune fundament. Car ignorant plusieurs et diverses considerations requises, il fait son discours, et syllogissant mal, il se forge de fausses conclusions et erreurs, qu’il tient pour chose vrayes, tirees (comme il cuide) et confermees de l’experience. Voyla un mal tres-dangereux, duquel les medecins en sont cause, pour avoir trop divulgué et communiqué leurs regles et ordonnances, que le vulgaire prend cruément, et n’en sçait disposer bien à propos. C’est donc aux medecins de remedier à ce mal: à la guerison duquel ie me suis peiné assez longuement, le remonstrant à plusieurs: mais cela n’à guere servi: d’autant que la plus part, est incapable de raison et discours. Dont en fin ie me suis resolu de remonstrer au people ainsi desuoyé, ses erreur par escrit» (ivi: a3r- a8v).

Queste dichiarazioni – che si trovano nella lettera di dedica a Margherita di Francia, regina di Navarra – forniscono in sostanza la causa e lo scopo dell’opera. Joubert scrive soprattutto contro i cosiddetti “medici empirici”, che ignorano la medicina tradizionale insegnata dagli auctores e traggono le loro conoscenze dall’osservazione diretta dei pazienti. Non seguono principi generali o sistematici e la loro dottrina empirica si diffonde tra il popolo ignorante. Questi medici – che possiamo identificare con i paracelsiani e i ciarlatani – parlano il linguaggio della gente comune e competono ferocemente con i medici tradizionali, che hanno lanciato l’allarme e hanno fatto di tutto per proteggere la loro corporazione. Joubert, tuttavia, si differenzia da quei medici che si pongono in aperta polemica (valga l’esempio di Du Breil): si presenta, infatti, come il medico che intende correggere gli errori diffusi dai nuovi praticanti della medicina, e per farlo in modo efficace rileva un alto numero di “erreurs populaires”, derivanti dalla disinformazione dei medici di nuovo orientamento. 

Il libro è strutturato in un modo ordinato che ne consente un’agevole consultazione. Contiene sei parti, la prima delle quali è dedicata ai doveri sociali e allo status del medico; seguono poi i capitoli rispettivamente sulla gravidanza, sulla cura dei neonati; sul latte e il nutrimento dei bambini. Il secondo libro tratta delle esigenze fisiche: carnagione, abbigliamento, capelli, pasti e digestione. Il terzo parla delle abitudini alimentari e del bere. La quarta parte è dedicata alle malattie. La quinta tratta delle cure; l’ultima parte parla delle evacuazioni di ogni tipo, delle purghe e dei lassativi, e infine della morte. Questo schema copre tutte le fasi della vita ed è ricco di “errori popolari” di ogni tipo. I più interessanti sono quelli che riguardano le concezioni, perché l’origine della vita e la qualità dei prodotti sono spesso mescolati con ogni sorta di credenze magiche: per esempio, copulare quando c’è la luna piena produce una prole maschile; un cappello, messo sulla pancia di una donna che sta per partorire, facilita il parto; mangiare un testicolo sinistro di animale fa nascere una femmina… Combattere queste credenze popolari significa combattere l’ostetricia che stava invadendo la professione dei medici, e venivano a equipararsi ai barbieri che spesso sostituivano i chirurghi. Un altro aspetto di questo libro è il linguaggio che, oltre a essere in francese – cioè in una lingua comprensibile a tutti –, nomina gli organi sessuali e le loro funzioni senza usare metafore. Il fatto che suscitò un certo scandalo, ma Joubert si difese invocando il principio che stava dicendo la “verità” per correggere gli errori della gente e non aveva intenzione di stuzzicare la fantasia dei lettori.

Il libro ebbe un notevole successo in Francia e fu tradotto in italiano e in inglese. Uno dei suoi meriti maggiori rimane il fatto che coniò e diede legittimità alla nozione di “erreur populaire” che da quel momento in poi si sarebbe imposta ed entrata in modo permanente nel linguaggio scientifico. La formula aveva una connotazione fortemente negativa e combattiva, per cui ciò che prima appariva come nuovo e meraviglioso, diventava ridicolo e perfino pericoloso se lo si etichettava come “errore popolare”. È molto importante notare che la nozione di “popolare” non implica le differenze di classi sociali, ma indica un tipo di cultura che è in netto contrasto con l’apprendimento “universitario”, basato sull’autorità degli antichi studiosi.

11L’importanza dell’opera di Joubert è dimostrata dalle polemiche che suscitò e in diverse direzioni. Dominique Reulin scrisse un Contredicts aux erreurs populaires de Laurent Joubert (Montauban, 1580) in cui rimprovera a Joubert di aver “rivelato” segreti medici che possono corrompere la moralità delle persone (ad esempio, confutare la credenza che le ragazze non possono rimanere incinte prima dei nove anni, potrebbe invogliare alcune ragazze a fare l’amore prima di quell’età); il medico B. Cabrol difese il lavoro di Joubert in una lunga Epistre apologetique aggiunta come appendice all’edizione del 1601 degli Erreurs populaires. Mezzo secolo dopo Gaspard Bachot, fingendo di esaudire un desiderio dello stesso Joubert, aggiornò la sua opera: Erreurs populaires touchant la medicine et le regime de santé. Oeuvre nouvelle, desirée de plusieurs, et promise par feu M. Laurent Joubert (Lione, 1626), discostandosi un po’ dal suo modello e sottolineando l’intervento divino sul “colorito” e sulla vita del corpo. L’opera era oggetto di discussione ancora nel pieno Settecento, e infatti la troviamo citata da J. D. T. de Bienville nei suoi Des erreurs populaires sur la santé (La Haye, Gosse 1775). Le citazioni attestano insieme la vitalità dell’insegnamento di Joubert ma anche il suo progressivo estinguersi. De Bienville scrisse trattati sulla ninfomania e sull’onanismo, argomenti che ai tempi di Joubert erano del tutto sconosciuti. Nonostante tali differenze, rimane viva la nozione di errore popolare e che questo non abbia alcun significato di classe sociale, perché di tali errori sono vittime e responsabili sia i ricchi e gli aristocratici sia i poveri e ricchi. In ogni caso, la medicina è un settore in cui gli “erreurs populaires” persistono anche ai giorni nostri [6]. 

In Italia                                                    

Volgiamo lo sguardo all’Italia, l’area principale dei nostri interessi, dove il lavoro di Joubert trovò una situazione congeniale. Qui la scienza medica, compresi i campi dell’anatomia e della farmacopea, era più avanzata che in altre parti d’Europa. La Francia, certo, aveva alcuni centri medici rinomati come Parigi e Montpellier, e aveva medici eccezionali, come Jean Fernel (Fernelius Ambianus), che seguivano la tradizione galenica ma contribuivano in modo notevole ad ampliarne il campo; l’Italia non era da meno, anzi faceva progressi molteplici e notevoli in aree più ampie e aveva università prestigiose come Padova, Bologna e Napoli, dove venivano a studiare studenti da tutta Europa. E l’Italia accolse con entusiasmo maggiore che altrove la tradizione paracelsiana, e produsse un numero altissimo di “ciarlatani”. Questi, ancora presenti nell’immaginario odierno, grazie anche alle caricature presenti a teatro (ad esempio il Tartuffe di Molière o il Dottor Graziano della nostra commedia dell’arte) costituivano una categoria di medicina alternativa regolata da agenzie statali che rilasciavano licenze per praticarla.

piemonteseMolto prima di altre nazioni, l’Italia fu inondata da libretti di “segreti”, o formule per ogni sorta di cura (vermi nei bambini, raffreddori, malattie della pelle) così come per cancellare le macchie di grasso, per tingere i capelli, sbiancare i denti, e così via, tutti basati su qualche miscela chimica, gravitando così verso il campo della iatromedicina [7]. L’invenzione della stampa produsse best-sellers come I segreti di Alessio Piemontese (1555) che passò attraverso innumerevoli edizioni costantemente aggiornate, molte traduzioni e imitazioni [8]. La maggior parte dei libri di segreti erano solo spazzatura, ma alcuni erano opere elaborate da autori che godevano di buona reputazione presso ogni tipo di persona, in certi casi persino presso i re. Alcuni ciarlatani erano studiosi rispettati, come Cardano autore di un noto Libro di segreti. Il ciarlatano più famoso fu Leonardo Fioravanti, che arruolò il re di Spagna tra i suoi pazienti. Viaggiò per tutta la penisola e fu famoso per il suo “Elisir Fioravanti” e i suoi numerosi “capricci medicinali” o ricette mediche.

Questa vasta letteratura costituiva un patrimonio di “errori popolari” agli occhi dei medici di formazione universitaria. E di certo, le orde di ciarlatani, levatrici e barbieri che praticavano la flebotomia e la piccola chirurgia, rappresentavano una seria concorrenza per i medici, come abbiamo visto in Francia. In Italia, la campagna contro questi medici “empirici” è iniziata forse un po’ più tardi rispetto alla Francia perché i ciarlatani godevano di protezione legale e il medico tradizionale condivideva occasionalmente alcuni dei loro segreti. Un medico famoso come Girolamo Fracastoro amoreggiava con la tradizione magica, parlava spesso della “quintessenza” e della “fisica corpuscolare” della tradizione epicurea-lucreziana e teorizzava l’esistenza di una dinamica di simpatia e/o antipatia tra gli elementi dell’universo. Ma rimase soprattutto un medico razionale o dogmatico e un praticante di una farmacia basata sui “semplici”, o elementi vegetali. Questo celebre medico, che studiò la sifilide e le ragioni delle malattie contagiose, era anche un sostenitore del ruolo dell’astrologia nella scienza medica [9].

Questo equilibrio, tuttavia, non era la norma. Nella stessa Verona, città natale di Fracastoro, un ammiratore di Fioravanti e anche di Fracastoro, si schierò decisamente contro i medici “razionalisti” e sostenne la causa della medicina empirica ispirata a Paracelso. Questo medico non accademico era Tomaso Zefiriele Bovio il quale prese il nome di Zefiriele, l’angelo della fecondità e della serenità, che ben si adattava alla missione da lui abbracciata   che si proponeva di aiutare i pazienti poveri, anziché far pagare loro parcelle salate come facevano i medici accademici. L’avidità era solo uno degli “errori” di cui accusava i medici tradizionali. Li attaccò in una serie di opere i cui titoli non lasciano dubbi sull’animus che li ispira. Eccone alcune: Flagello contro i medici communi detti razionali (Venezia, 1583); Melampigo overo confusione de’ medici sofisti che s’intitolano rationali (Verona, 1585), e Fulmine contro de’ medici putatitii rationali, nel quale non solo si scoprono molti errori di questi ma s’insegna ancora il modo di emendarli et correggerli (Verona, 1602, pubblicato per la prima volta nel 1592 con un titolo più breve). In queste opere promuove le sue medicine, in particolare quella che chiama “Ercole, buona per uccidere i vermi e curare la sifilide o la peste francese” [10]. Nella sua “medicina empirica” fece largo uso di erbe conosciute dalla gente semplice e raccomandò in particolare quelle coltivate localmente, che ne aumentavano l’efficacia. Difese l’uso della magia e dell’astrologia.

12I suoi attacchi suscitarono forti reazioni, come quella di Claudio Gelli, Risposta dell’Eccellente Dottor Claudio Gelli, ad un certo libro contra medici rationali, (Milano, Gio. Battista Bidelli, 1617). In Italia, l’opposizione tra le scuole di medicina era intensa come quella vista in Francia. Ma c’erano alcune differenze: l’Italia non aveva un Re che imponesse una guida generale; la presenza di ciarlatani era di gran lunga più visibile e i progressi della disciplina erano di gran lunga maggiori, soprattutto in anatomia (ricordiamo soltanto il Vesalio e Gabriele Falloppio professore a Padova,), in embriologia (Fabrizio D’Acquapendente, Fortunio Liceti) e in farmacologia (Pietro Andrea Mattioli). Durante il Rinascimento la medicina “razionale” fece passi da gigante in settori destinati a cambiare molte nozioni apprese nelle opere tradizionali di Galeno e Avicenna. Le loro conoscenze si basavano sempre più sull’osservazione diretta ed erano acquisite attraverso “esperimenti” e confermate da “prove”, termini che iniziarono ad accompagnare le nuove scoperte.

I medici razionali mostravano grande preoccupazione per la medicina concorrente che non aveva tradizioni, né auctoritates, né libri di riferimento venerati. Sicuri della loro scienza, cominciarono a parlare degli “errori popolari” diffusi o perpetuati dagli avversari “empirici”. Con questa definizione si intendevano tutte le credenze non convalidate da alcuna analisi accademica, credenze diffuse da ampi strati della popolazione e acquisite attraverso i sensi e le tradizioni superstiziose. Rifiutando gli “errori popolari” i medici “razionali o dogmatici” attaccavano i ciarlatani o paracelsiani che erano la principale fonte di nozioni errate in campo diagnostico e terapeutico. Combattere queste tendenze, anzi un’intera cultura, divenne una sorta di crociata per i medici accademici. Essi intendevano stroncare una scuola di principi diversi e salvare la vita delle persone dai ciarlatani e dai loro “segreti”, perfezionando al contempo la loro conoscenza del corpo, delle malattie e delle cure. La lotta non mirava tanto a correggere o modificare errori specifici, quanto invece a cambiare il modo di considerare i fenomeni naturali, il ruolo stesso della conoscenza e i mezzi per acquisirla. Non era un’impresa da poco smantellare un insieme di assunti, alcuni dei quali basati sul principio che il corpo è legato alla composizione e alle leggi del cosmo: richiedeva un’intera modifica di una “mentalità”. Occorre quindi vedere il ruolo storico e la funzione che gli “errori popolari” possono aver svolto nella cosiddetta “rivoluzione scientifica”.

L’Italia, imitando il modello francese, produsse una letteratura contro gli “errori popolari”. L’opera di Joubert, attraverso la traduzione di Alberto Luchi (La prima parte degli errori popolari, Firenze, Giunta, 1592), aprì la strada a questo tipo di letteratura. Poco dopo la traduzione di Luchi, un medico romano, Scipione Mercurio – che da frate prese il nome di Girolamo Mercurio –, scrisse Gli errori popolari (Verona, Ciotti,1603), che ebbe un discreto successo (con ristampe nel 1645, una a Verona, Rossi, e un’altra nello stesso anno a Padova, Bolzetta). In precedenza aveva scritto La commare, o la raccoglitrice, un libro di ostetricia, un argomento piuttosto “popolare” poiché tratta della gravidanza e del parto. Da tempo immemorabile le levatrici sostituivano i medici e la loro area di competenza era il concepimento e il parto dei bambini, per cui si trattava spesso di credenze superstiziose e pratiche magiche. Il libro di Mercurio è molto interessante, come testimonia il suo grande successo internazionale, e mostra l’attenzione dell’autore per la medicina popolare, che lui trova incline agli errori e aperta all’influenza dei ciarlatani.

contentDegli errori popolari d’Italia fu pubblicato nel 1603 (Venezia, Ciotti) e ristampato più volte [11]. È strutturato nel modo seguente: i primi due libri trattano degli errori che i medici e gli altri operatori commettono nel curare i malati; i quattro libri successivi trattano delle diagnosi sbagliate dovute a nozioni e idee generali errate sulla costituzione del corpo umano e sulle sue malattie; il settimo e ultimo libro dà alcune regole igieniche per vivere in salute e a lungo. La struttura ricorda quella degli Erreur populaires di Joubert, ma ci sono punti e approfondimenti originali. Per Mercurio, uno degli errori più frequenti è l’ostilità nei confronti del medico, ostilità che ha radici storiche, prima nell’atteggiamento negativo dei Romani nei confronti del medico e poi nel primo cristianesimo. Ci sono poi errori di vario tipo commessi dalle persone, come cambiare medico e parlare contro la sua scienza. Allo stesso tempo Mercurio rimprovera ad alcuni medici di esercitare male la loro professione: tra questi medici inaffidabili ci sono i Giudei e i ciarlatani e paracelsiani. Altri errori tipici dei medici sono: «servirsi di cirugici, empirici, et Barbieri nelle infermità gravi de’ suoi amalati» (II, 8: 205-208), affidando quindi la propria salute a “empirici” piuttosto che a medici “razionali”. Gli “errori popolari” riguardano le nozioni relative al corpo e alle sue malattie, e sono gli errori che i popolani condividono con i medici “empirici”. L’elenco delle loro convinzioni errate è piuttosto lungo e questo rende difficile scegliere degli esempi validi. Uno di questi, presente anche in Joubert, riguarda la pulizia delle lenzuola. Vale la pena di trascrivere alcune frasi: 

«Strano humore è questo che regna in Italia, quasi appresso ogni popolo, che il mutare gl’ammalati di lenzuola [e] le camice gl’indebolisca. Io per me, quantunque sopra di ciò habbi spesso fissato il pensiero, confesso nondimeno di non aver mai saputo ritrovare la causa da cui un cotale errore prendesse la sua origine. Così io benissimo che molti errori popolari hebbero il suo principio da qualche radice buona, ma per la mala intelligenza o ignoranza del popolo diventò un errore» (III, 12: 217).

L’idea popolare che la biancheria bianca sia malsana deriva dall’ignorare che la sporcizia chiude i pori della pelle e impedisce la secrezione degli umori cattivi; quindi questo errore popolare causa un danno piuttosto che una cura. Lo stesso argomento si trova in Joubert [12]. Altri errori frequenti dipendono dalla richiesta di aiuto a streghe e maghi. Sono errori, ad esempio, come quello di lavarsi le gambe gonfie prima di andare a dormire (IV, 19: 326-329). Altri sono spesso commessi da donne incinte, ad esempio trattenere le feci o prendere lassativi dopo il parto. Altri ancora vengono commessi nella scelta dell’ambiente fisico in cui vivere, nelle abitudini alimentari e sociali, nell’esercizio fisico, nel sonno e così via. Tra gli errori, Mercuri ne cita uno commesso da uno stimato medico che somministrò del vino per curare un caso di diarrea, e in seguito la stessa terapia fu utilizzata da ciarlatani per curare qualsiasi tipo di irregolarità flemmatica: è un caso di come una medicina buona e “razionale” possa diventare “popolare e sbagliata”.

In chiusura del libro Mercurio ricorda i motivi che lo hanno spinto a scriverlo. Voleva scrivere un libro utile per la salute dei suoi lettori, e l’ha scritto in volgare perché i lettori comuni sono abituati a leggere libri in volgare che raccontano storie d’amore e di seduzione, opere di puro intrattenimento; scrivendo in volgare entrava nel mondo di quelle abitudini, e così incoraggiare i lettori a leggerlo e a ricavarne diletto e profitto. In questo libro troveranno argomenti utili per la salute fisica e mentale; inoltre, devono sapere che il suo autore ha voluto dimostrare che l’italiano è di gran lunga superiore alle altre lingue moderne (cioè il francese e lo spagnolo) perché i suoi scrittori sono superiori a chiunque. Mercurio è consapevole di imitare un autore francese, ma soprattutto vuole rassicurare i suoi lettori che non ha perso tempo nel farlo e si augura che il suo non sia uno sforzo superficiale e inutile.

Il libro è naturalmente molto ricco, ma per noi è soprattutto il libro di un autore che vuole sfatare gli “errori popolari” in campo medico. La gente comune, ovviamente, non è da biasimare per i propri errori, la cui origine e longevità dipende in massima parte dal lavoro dei medici “empirici” e dei ciarlatani che ne sono i più stretti collaboratori. Questi ultimi sono sempre presenti nell’opera di Mercurio e costantemente incolpati di aver alimentato convinzioni sbagliate. Correggere il lavoro di questi impostori è un compito urgente, che può cambiare il modo di vedere un’intera disciplina. Mercurio è impegnato in una battaglia epocale, una vera crociata in difesa della medicina accademica e della salute dell’umanità. Questo scopo elevato non consente alcuna benevolenza quando si tratta di errori. L’autore è consapevole che gli errori nel campo della medicina sono spesso letali e devono essere evitati a tutti i costi. Ma non è un obiettivo facile da raggiungere perché le credenze popolari hanno la profondità, l’ampiezza e l’ostinata durevolezza delle mentalità.

E non furono sforzi infruttuosi. Grazie ad essi e alla loro formula linguistica e “narrativa” la nozione di “errore popolare” si imponeva come valore culturale che accende discussioni e battaglie destinate a modificare la mentalità, che è come dire una struttura del sapere e della civiltà. La vitalità del tema è dimostrata dalla presenza nei titoli della diade “errori popolari”. A riprova ne ricordiamo alcuni: in latino, Jacob Primerose, De vulgi erroribus in medicina libri IV, (Londra, 1631); in francese: Gaspar Baschot, Erreurs populaires touchant la medecine et regime de santé (Lione, 1626]; e ancora nel tardo Settecento, insieme al ricordato Bienville, possiamo ricordare Luc d’Iharce, Erreurs populaires sur la médecine (Parigi, 1783). Anche in Spagna non mancarono i castigatori degli “errore vulgares”, come si deduce dall’opera di Francisco Lloret y Marti, Apologia de la medicina, y sus doctos profesores, contra criticos y defensa de la doctrina de Hypocrates, y Galeno contra los errores vulgares (Madrid, Juan de Moya, 1726) e un insieme di titoli dello stesso tenore [13]. Quanto all’Inghilterra vedremo presto che la nozione di “errore popolare” investe altre aree del sapere oltre a quelle della medicina.

compendioNella religione

La medicina è un campo tanto universale che ogni suo profondo cambiamento influenzerebbe la comprensione generale delle strutture e delle funzioni del corpo e potrebbe persino cambiare un’intera mentalità. Anche le minime correzioni degli “errori popolari” in settori come l’alimentazione o la cura dei bambini potrebbe portare a veri e propri cambiamenti culturali. Un’area molto simile per ampiezza e importanza vitale è quella della religione. Ci sono importanti differenze tra le due sfere, poiché le nozioni di “giusto” e di “erroneo” sono nettamente distinti perché la Verità è affermata in modo dogmatico dalle Scritture e dalle Chiese, e per “errore” si intende tutto ciò che si discosta da queste due autorità. Gli errori in materia di religione possono portare alle eresie, per cui era comune parlare, ad esempio, degli “errori” dei luterani, come fa il domenicano Ambrosius Catharinus nel suo opuscolo Compendio di errori et inganni luterani (Roma, Cartolari, 1544) e in così tanti altri libri che è impossibile e perfino inutile enumerarli in questa sede.

In teoria, nelle religioni occidentali o nelle “religioni del Libro” non dovrebbe esistere un “errore popolare”, poiché i credi religiosi sono condivisi da una moltitudine di credenti che costituiscono collettivamente il “populus”. Tuttavia, i libri e le scritture sono soggetti a interpretazioni che possono essere più o meno accurate, più o meno semplicistiche, per cui è possibile incorrere in un livello di approssimazione che rasenta l’erroneità. Un’illustrazione di questo fenomeno è fornita da Jean d’Espagne (1591-1659), un sacerdote francese divenuto calvinista, vissuto in Olanda e in Inghilterra, autore di Les erreurs populaires dans les poincts generaux: qui concernent l’intelligence de la religion; rapportez à leurs causes, & compris en diverses observations, pubblicato nel 1639 e più volte stampato e tradotto. Apprendiamo che per lui “popolare” è essenzialmente un modo intenso ma primitivo di avvicinarsi al divino, un modo di filtrare attraverso i sensi ciò che in realtà deve essere compreso con la ragione. Le Scritture vengono lette alla lettera perché gli interpreti incolti non sanno leggere una metafora e usano il criterio dell’“analogia” piuttosto che gli strumenti dell’intelletto per cogliere le verità rivelate. Credono quindi in ciò che suggeriscono i loro sensi e, di conseguenza, hanno un insieme di “opinioni” piuttosto che un insieme di verità.

Questo è il succo di tutte le dimostrazioni di D’Espagne. Il suo libro non antepone un credo all’altro, ma sostiene che le religioni, così come vengono predicate dalla Chiesa cristiana, sono “popolari”, cioè ingenue e anti-intellettuali, e guardano sempre agli effetti senza mai indagare le cause [14]. Intesa in questo modo, la religione cristiana è popolare in quanto vede solo la superficie delle cose, le forme piuttosto che la sostanza, quindi è erronea e popolare, e i suoi errori sono diffusi. Ma poiché questa visione è condivisa da teologi e pensatori, è sbagliato considerare “popolare” come l’equivalente di bassa classe. È una sorta di problema epistemico, un modo di pensare. Di conseguenza, correggere questi “errori popolari” rappresenta un compito immenso: solo superando questo modo “sensuale” o superficiale di intendere le verità della religione, è possibile raggiungere la salvezza che la religione promette.

Tuttavia non dobbiamo sopravvalutare questa posizione “libertina”, che ci è utile solo nella misura in cui fornisce un’altra sfumatura all’aggettivo “popolare”. E in effetti, i rappresentanti ufficiali delle nostre religioni monoteiste non si preoccupavano troppo di questo tipo di errori. Semmai c’erano altri errori che venivano considerati veramente insidiosi e pericolosi perché mettevano in dubbio o travisavano il potere divino. Erano le credenze nella “magia” la quale poteva controllare la realtà e offrire un’alternativa al potere divino. Che cos’è questo potere che sfida e sovverte le leggi naturali? L’argomento è incalcolabilmente vasto perché abbraccia molti fenomeni ed era piuttosto vivo in quel secolo quando cominciò a emergere la nozione di “popolare”.

Per capire quanto la magia fosse diffusa e insidiosa per la religione ufficiale, consideriamo una semplice domanda: qual è la differenza tra un miracolo e un atto magico? I teologi e i filosofi potevano rispondere a questa domanda, ma per i popolani la differenza non era evidente, se non nel fatto che nei miracoli vedevano un potere divino, mentre nella magia vedevano un potere diabolico. E non era un argomento da poco poiché il potere magico, le streghe e i roghi erano una presenza ossessiva nei secoli del Rinascimento e della Riforma. La Chiesa mise un freno a questa ossessione distinguendo tra magia nera e magia bianca: la prima implicava l’ausilio di un potere diabolico, mentre la seconda era solo un fenomeno naturale che sembrava avere cause soprannaturali. Ad esempio, una statua che suda potrebbe essere interpretata come un miracolo o un evento magico; in realtà non è né l’uno né l’altro, ma solo un fatto naturale: la statua potrebbe essere costruita con un materiale poroso che assorbe l’umidità che poi trasuda non appena la temperatura esterna aumenta. Questo sarebbe un caso di “magia bianca” spiegabile con la scienza. E tuttavia, tali spiegazioni chiarivano solo una percentuale minima di casi, e si era lontani dal conculcare la presenza e l’insidia delle pratiche magiche.

È stato notato infinite volte che la mentalità pre-moderna era impregnata di credenze magiche, fomentate dalle tradizioni neoplatoniche ed ermetiche; e ciò alimentava le credenze che i poteri alchemici e occulti potessero vincere la battaglia contro la natura ostile, una credenza che spiega perché la medicina paracelsiana ebbe un così grande successo. Solo quando la spiegazione razionale cambiò gradualmente la comprensione di molti misteri naturali, queste nozioni furono screditate. Furono così scritte molte opere per mettere sotto controllo la presenza della magia e far comprendere meglio le leggi della natura e la reale presenza divina nei miracoli. Le apparenti “meraviglie” prodotte dalla Natura – i “mostri” ne sono un esempio – sono state lentamente spiegate come il risultato di leggi naturali, anche se il fascino del “meraviglioso” tende a sopravvivere a lungo tra le persone di livello culturale più basso, cioè tra il “popolo”. Con il tempo queste credenze hanno formato una sorta di cultura, un patrimonio di “errori popolari”.

gar1613La letteratura utilizzata per spiegare gli apparenti frutti del lavoro magico è stata talmente vasta che alla fine ha avuto l’effetto di creare due strati di cultura, uno incline a cercare una spiegazione razionale e un altro convinto che dietro le meraviglie di questo mondo ci fossero poteri nascosti. Possiamo ricordare opere come Il serraglio di tutti gli stupori del mondo di Tomaso e Bartolomeo Garzoni (1613), che è una sorta di enciclopedia dei fenomeni para-naturali come quello della statua sudata. Anche se non abbiamo trovato alcuna menzione esplicita di “errori popolari”, queste opere esaminano un alto numero di autori che indicano le “cause” di eventi e di fatti che sembrano generati da forze invisibili e insolite. Nella maggior parte di esse, i criteri prevalenti per ritenere “popolare” una credenza (lo abbiamo appena visto in Jean D’Espagne) era il fatto che ignorava le cause dei fenomeni e si affidava alla testimonianza dei dati sensoriali. Come esempio della vasta letteratura dedicata a questo tipo di conoscenze, potremmo ricordare Charles Sorel con la sua enciclopedica La science des choses corporelles, première partie de la Science humaine, où l’on connoist la vérité de toutes les choses du monde par les forces de la raison, et l’on treuve la réfutation des erreurs de la philosophie vulgaire (Paris, Billaine 1634) che è solo la prima di quattro parti, pubblicate tutte tra il 1634 e il 1644. La Francia e l’Italia non furono gli unici luoghi in cui gli “errori popolari” furono portati alla luce e respinti. Già alla fine del Cinquecento in Inghilterra Francis Bacon era impegnato in una maestosa operazione che chiamò Instauratio Magna, che stabiliva nuovi principi (un Novum Organum) per acquisire la conoscenza e dimostrarne la validità. Bacone era impegnato in una battaglia epocale contro tutti gli errori che, nella misura in cui si allontanavano dai principi dell’evidenza e della prova sperimentale, erano “popolari”. I principi su cui si basano molti errori sembrano essere di natura “logica”, e su di essi si basa la filosofia tradizionale e in particolare quella Scolastica. Da questo modo di ragionare nascono “nozioni volgari” che di fatto non dimostrano alcuna verità, anzi il più delle volte rafforzano le nozioni sbagliate. Si veda il seguente assioma: 

«Logica, quae in usu est, ad errores (qui in notionibus vulgaribus fundantur) stabiliendos et figendos valet, potius quam ad inquisitionem veritatis; ut magis damnosa sit, quam utilis» [15] 

Bacone promuove l’idea di creare un “Kalendarium falsitatum et errorum popularium vel in historia naturalis vel in dogmatibus grassantium” (De augmentis scientiarum, III, 4: 212, ed. Amsterdam, 1662), non lasciando così dubbi sull’impegno programmatico di distinguere nettamente il sapere vero dagli errori popolari. Alla fine della sua opera (“Novus orbis scientiarum desiderata”) Bacone lascia un elenco di tali errori che i posteri dovranno correggere. La logica procede deducendo conseguenze da cause presunte, mentre una nuova scienza deve procedere “induttivamente” andando dai fenomeni alle loro cause. Solo questo modo di ragionare è in grado di eliminare gli idola che costituiscono gran parte del sapere popolare.

L’autore che applicò sistematicamente il metodo di Bacone agli “errori popolari” fu il già citato Thomas Browne nella sua Pseudodoxia epidemica, pubblicata per la prima volta nel 1646 e poi più volte rivista fino alla sessantesima e ultima edizione del 1672, che porta il sottotitolo Enquiries into very many received tenents and commonly presumed truths. Si tratta di una sorta di enciclopedia degli errori popolari, suddivisa in sette libri e ripartita nei seguenti argomenti: 1. Considerazioni Generali; 2. Minerali e vegetali; 3. Animali; 4. Uomo; 5. Immagini; 6. Geografia e storia; 7. Scritture e storia. Non abbiamo modo di ripercorrere questa immensa rassegna di errori, ma a titolo di esempio possiamo citare la credenza che il vetro sia velenoso (2, 5), che «le mandorle amare sono un conservante contro l’ebbrezza» (3, 7), che «un elefante non ha articolazioni» (3, 1) che «gli ebrei puzzano» (4, 10) e simili. Fondamentale è l’indagine sulle cause degli errori popolari. Oltre all’imperfezione naturale dell’uomo e delle sue disposizioni, le «cause più immediate degli errori popolari, sia nel genere più saggio che in quello più comune, [sono] l’incomprensione, la fallacia e la falsa deduzione, la credulità, la supinità, l’adesione all’antichità, alla tradizione e all’autorità» (1, 4), tutte cause esaminate nel primo libro. Errori popolari sono tutte nozioni acquisite attraverso i sensi senza alcun filtro razionale e ricevute senza mai interrogarsi sulla loro causa. Sono radicate nella tradizione e nel complesso rivelano un modo o un sistema di pensare e di conoscere, un’episteme o un paradigma scientifico o una mentalità, una sorta di subconscio culturale molto difficile da afferrare e da scalfire.

13La battaglia prese ripetuti impegni e da diverse angolazioni. Tanto per rimanere in Inghilterra, autori come Meric Casaubon (On Credulity and Incredulity in Things natural, civil and divine, [1668], e A Treatise Concerning Enthusiasme, [1655]) vacillavano tra le credenze classiche e le nuove conquiste della scienza; o autori come Joseph Glanvill che difendeva lo scetticismo e attaccava la filosofia scolastica (The Vanity of Dogmatizing, or Confidence in Opinions, [1661]) e tuttavia credeva nella stregoneria (Saducismus triumphatus, [1668]). In queste e in molte altre opere emergeva costantemente la nozione che esiste un tipo di errore che è piuttosto una credenza basata su una conoscenza primitiva o sensoriale o addirittura su una tradizione mai messa in discussione. Questo tipo di credenze sono ampiamente diffuse nelle classi sociali inferiori, ma anche tra i filosofi di alcune scuole. La nostra ricerca si è limitata soprattutto all’ambito medico, dove questo tipo di errori è radicato nella cultura ed è molto difficile da correggere. Sappiamo però che gli stessi tipi di errori sono comuni nel campo delle superstizioni e della magia. Lo spazio non ci permette di addentrarci in altri settori come la meteorologia e di vedere quante spiegazioni “fantasiose” sono state date a fenomeni come i terremoti, i venti e le maree. Ma dobbiamo ricordare almeno un caso di credenza errata universalmente diffusa e semplicemente corretta da un “esperimento”, parola chiave della rivoluzione scientifica.

Francesco Redi, intendendo sfatare la nozione di “generazione spontanea”, è consapevole di dover affrontare l’opinione comune, cioè abbracciata sia dai dotti che dal volgo: 

«Gli antichi e i novelli scrittori e la comune opinione del volgo voglion dire, ogni fragidume di cadavero corrotto, ed ogni sozzura di qualsisia altra cosa putrefatta, ingenera i vermini» [16]. 

I suoi esperimenti, come è noto, dimostrano che non è così, e che la generazione degli insetti dipende da altri animali piuttosto che dal semplice processo di putrefazione. Questa nozione era condivisa da tutti i tipi di persone prima che Redi la dimostrasse sbagliata, e chi l’ha mantenuta in vita in seguito ha commesso un errore popolare. Un altro esempio può far luce sulla natura di tali errori. Si tratta del fenomeno del magnetismo noto fin dall’antichità. L’unica spiegazione data a questo insolito fenomeno di attrazione era quella magica, e solo nel XVII secolo questa spiegazione fu sostituita dalla legge fisica, anche se la causa magica persisteva, come ci ricorda Vico il quale indica che nella mentalità popolare il magnetismo è visto come una forma di attrazione meglio conosciuta come “amore” [17]. Vico sottolinea che la “fantasia” è spesso alla base della creazione di errori popolari, e la stessa idea troveremo in Leopardi, il quale, però vedrà nella facoltà della fantasia la causa prima degli errori popolari.

Abbiamo limitato la nostra indagine al campo delle “scienze naturali”, ma potremmo trovare iniziative parallele in campo storico e religioso. La ricerca storica, utilizzando un nuovo tipo di filologia critica, si impegnò a correggere decine di dati errati e trasformò la storia in una disciplina rigorosa basata su fatti accertati. L’ambito religioso era in grande fermento non solo per questioni dottrinali, ma perché il culto popolare aveva riempito le chiese di così tanti falsi santi che i bollandisti lavoravano sistematicamente per sradicarli dal calendario cattolico [18]. Insomma, gli “errori popolari” erano così diffusi che erano diventati una sorta di macchia culturale a tal punto che si organizzarono varie crociate culturali per cancellarli. Crociate, certo, non coordinate né organizzate da qualche organismo, ma fu la stessa cultura a produrre quasi spontaneamente gli anticorpi per vivere senza più errori, e quegli anticorpi si coordinavano tutti sotto la bandiera del razionalismo.

Nelle scienze 

I cambiamenti voluti dalla rivoluzione scientifica non avvennero da un giorno all’altro e non furono tutti omogenei e sincronizzati; quasi tutti però avevano il combustibile comune costituito dagli “errori popolari”. Erano il bersaglio più vistoso, e anche quello che aveva le radici più resistenti, per cui arrivare a sradicarli significava smuovere lo strato più profondo del terreno da cui traevano alimento, ossia la mentalità che li legittimava. Le crociate si mossero affiancate dalle scoperte scientifiche che in quel secolo furono così numerose da determinare una rivoluzione epistemica. Le nuove scoperte nel campo dell’anatomia prospettarono visioni assolutamente nuove in campo medico; l’invenzione del microscopio rivoluzionò la cosmologia e la biologia; le invenzioni di macchine modificò profondamente il campo della meccanica e dell’ingegneria, il mondo delle miniere e dei trasporti.  Non tutte queste rivoluzioni avvennero simultaneamente, ma il fatto che la maggior parte di esse sia avvenuta nel giro di un secolo spiega perché gli storici lo chiamino il secolo della rivoluzione scientifica. Va aggiunto che non tutte le innovazioni hanno avuto lo stesso impatto culturale, anche quando la portata delle scoperte sembrerebbe un fattore decisivo. Sappiamo che le scoperte cosmologiche rimasero confinate nella sfera accademica prima di raggiungere il “popolo”, che, comprensibilmente, fu molto più colpito dalle idee sugli effetti del salasso o dalle discussioni biologiche sulla generazione dei mostri.

14Vari fattori contribuirono a correggere e respingere gli errori in cui incorrevano tutti, e in particolare le classi subalterne o “popolari”. Erano errori nati da credenze superstiziose contro le quali l’Inquisizione lottava ormai da secoli; ma siccome è un tipo di errore non tipico del “volgo”, non lo abbiamo preso in considerazione, e tuttavia lo si può ricordare perché contribuiva a suo modo a formare una disposizione “critica” verso il sapere. Un fattore che favorì il mutamento generale fu la perdita di prestigio dell’antichità con il suo lascito di credenze erronee. Ricordiamo che Thomas Browne vedeva nella “supinità” verso gli autori antichi una delle cause principali delle nozioni sbagliate che ostacolavano la nuova scienza. Lentamente questa dipendenza dagli antichi fu scossa e la loro auctoritas perse molto peso, e fu sentita a volte con grande fastidio. Ci volle una lunga campagna per promuovere il distacco dagli insegnamenti degli antichi, una campagna che è collettivamente nota come La querelle des anciens et des modernes. Il punto di partenza di questa polemica fu segnato dal Parallèle des anciens et des modernes di Charles Perrault, ma ebbe dei precursori in alcuni storici francesi come Luis Le Roy [19], seguito da La Popelinière [20]. Il loro confronto tra antichi e moderni fu ripreso da Alessandro Tassoni, nei suoi Pensieri diversi, e da Secondo Lancellotti, nel suo Hoggidì, overo il mondo non peggiore né più calamitoso del passato (1623). Non è il caso di tornare su quella celebre polemica, ma è utile ricordare che anch’essa combatteva contro gli “errori” che in questo caso non erano di natura “popolare” ma erano spesso dovuti agli storici.

Comunque è vero che lo spirito critico, specialmente dopo il successo dell’opera di Browne, si espanse ad altre aree del sapere e la medicina non fu il solo campo ad avere l’esclusiva nel “castigare” gli errori popolari.  Lo spirito “scientifico”, ossia quello legato all’esperimento e all’osservazione anziché all’auctoritas del libro, si manifestò anche nella produzione di una letteratura che divulgava le conquiste della scienza. L’Italia, oltre al celebrato Newtonianismo per le dame di Francesco Algarotti, produsse una serie di opere che divulgavano un sapere nuovo, opere che vanno da Le perle del gesuita Giovanbattista Roberti, a Della coltivazione dei monti di Bartolomeo Lorenzi (1778), alle opere del più illustre Carlo Castone della Torre di Rezzonico (Il sistema dei cieli (1775), L’origine delle idee 1778), all’Invito a Lesbia Cidonia (1793), di Lorenzo Mascheroni [21]. Ma il più pugnace conculcatore di errori popolari fu senz’altro il benedettino spagnolo Benito Jerónimo Feijóo che nei suoi molti volumi del Teatro crítico universal (1726-1739) e delle Cartas eruditas y curiosas (1742-1760), che refuta numerosissimi errori popolari riguardanti ogni tipo di materia, dalla medicina alla meteorologia, dalla scienza dei sogni alla genetica. L’opera di Feijóo ebbe una vasta risonanza anche fuori dalla Spagna grazie anche alla verve satirica che conferisce grande vivacità all’opera e ne raccomanda la leggibilità.

È anche vero, però, che con il passar del tempo, i toni della campagna contro gli errori popolari sembrano smorzarsi, e la volontà di ripulire l’aria dal peso degli antichi, di imporre un modo razionale di vedere i fenomeni della realtà sembra perdere molta dell’urgenza che aveva negli anni in cui la battaglia era stata avviata. La letteratura di distinse sempre più dalla scienza. E il popolo cominciava a presentarsi come un corpo politico perché l’Europa era agitata da venti rivoluzionari. Se ne rese conto Joseph-Marie Lequinio, un rivoluzionario francese e autore di Le préjugés détruits che attacca la “credulité vulgaire[22] identificata come le credenze religiose e la nozione di nobiltà che i precedenti detrattori degli “errori popolari” non avevano mai criticato. Gli “errori popolari” avevano assunto un significato politico che non era mai stato inteso da nessuno dei precedenti osservatori di questo particolare tipo di errore. E sulla stessa linea possiamo vedere l’opera di Vincenzo Cuoco che proprio nel “sapere popolare” vedeva la maggiore responsabilità del fallimento della rivoluzione napoletana.  Il popolo diventa una massa di persone che fa parte a sé per cultura e interessi, e per questo è difficile correggerlo ed educarlo.

15Ci si rende conto di un vero cambiamento nella nozione di “popolo” quando si legge il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi di Giacomo Leopardi. Fu scritto nel 1815, quando l’autore aveva appena 18 anni, ma fu pubblicato postumo nel 1845. È un prodotto del “periodo erudito” della giovinezza di Leopardi, e per molti aspetti appartiene alla tradizione che abbiamo descritto. Leopardi cita molti degli autori che abbiamo analizzato – nella prefazione cita Joubert, Browne, Feióo, Lequinio e Denesle – ma era anche consapevole di aver trattato l’argomento in modo diverso dai questi antesignani [23]. Infatti inizia utilizzando le loro premesse, ovvero che «Il mondo è pieno di errori, e la prima cura dell’uomo deve essere quella di conoscere il vero». Tuttavia, egli si differenzia da loro in quanto ritiene che non vi sia modo di correggere la disposizione dell’uomo a cadere in errore. L’uomo tende a credere a ciò che vede e a ciò che sente, perciò le cause e le possibilità di fare e trasmettere gli errori sono infinite. Gli errori più diffusi si verificano quando il pensiero razionale – cioè l’indagine sulle cause dei fenomeni – non viene applicato e l’immaginazione primitiva o sensuale fornisce la spiegazione della realtà percepita. Questo approccio è intrinseco alla natura umana, quindi non è possibile cambiarlo. Nel concludere il primo capitolo “Idea dell’opera”, egli afferma:

«Una volta si venerava superstiziosamente tutto ciò che veniva dagli antichi; ora si disprezza da molti senza distinzione tutto ciò che loro appartiene. Dei due pregiudizi l’uno non è minore dell’altro. Si vedrà in questo Saggio che gli antichi non andarono esenti dagli errori i più grossolani; ma agevolmente si comprenderà che il volgo dei moderni non li cede quasi in verun conto. Non pochi anzi dei pregiudizi che regnavano un tempo sono anche al presente in tutto il loro vigore. Dopo queste riflessioni, il rispetto, non altrimenti che il disprezzo per l’antichità, viene a moderarsi, le età si ravvicinano nella mente del saggio, e si comprende che l’uomo fu sempre composto degli stessi elementi» (ivi: 66).

È interessante notare che Leopardi documenta questi “errori” utilizzando fonti poetiche: 

«Il mio intento fu di presentare un quadro delle false idee popolari degli antichi, e di descrivere colla possibile esattezza qualcuno dei loro errori volgari intorno all’Ente Supremo, agli esseri subalterni e alle scienze naturali. Per eseguire questo disegno, giudicai di dovere attenermi alla scorta dei poeti. È facile distinguere quando questi scrivono a norma delle opinioni dei filosofi, o seguono un sentimento particolare. D’ordinario essi parlano il linguaggio più comunemente inteso, che è quello del popolo» (ivi: 65).

Leopardi analizza 18 di questi errori, partendo, come dice, dai beni, quindi passando ai loro messaggi (oracoli, sogni, starnuti, ecc.), e poi al cosmo (stelle, comete, tuoni, ecc.), per finire con il mondo animale (pigmei, centauri, legami, ecc.). Come promette, le sue fonti sono poeti classici, e lui lo fa con un un’erudizione sorprendente per i suoi 18 anni! Questa scelta non fu senza conseguenze. Leopardi non mira tanto a correggere gli errori ma a capire il modo in cui vengono fatti. Chi non ha criteri “scientifici”, cioè del rapporto causa-effetto, spiega i fenomeni ricorrendo al criterio dell’analogia o della personificazione e quindi anche a motivi animistici e magici, con un processo simile a quello con il quale si formano i miti. In altre parole si dà una spiegazione fantastica o fantasiosa di fenomeni naturali, e la mente che produce spiegazioni simili è alquanto simile a quella del poeta che esercita la propria fantasia. Pochi anni dopo, Leopardi considerò la poesia come un’alternativa alla filosofia nel trasmettere verità, un tipo diverso di verità che rasserena l’anima: l’illusione che nasce dall’immaginazione e dalla fantasia.

Con questa conversione, Leopardi si avvicina alla visione romantica dell’immaginazione, la facoltà che crea ‘belle favole’. In quell’atmosfera, gli errori popolari persero gran parte dello stigma posto su di loro da secoli di razionalismo e sperimentalismo scientifico. Anche la nozione di vulgus stava subendo un importante cambiamento e stava diventando Volk o Folk. La cultura pre-romantica in Germania e in Inghilterra stava rivalutando il corpo di persone che rappresentavano la “nazione”, una nozione sacra definita dai suoi valori, dai suoi modi di pensare, dalle sue credenze che non potevano più essere giudicate con il metro della “correttezza” o della razionalità.

Fu un cambiamento importante che eliminò dal dizionario delle idee la voce “errori popolari” e li spostò tutti nell’area del “folklore”. Si trattava di una nuova classificazione, un modo completamente nuovo di vedere i fenomeni culturali, e dove gli antichi “errori popolari” diventano chiaramente una delle tante categorie appartenenti a una mentalità. Il semplice fatto che Leopardi abbia scelto di trattare “gli errori popolari degli antichi” piuttosto che “gli errori popolari” tout court, li colloca, forse inconsapevolmente, in quell’epoca remota in cui le verità assumevano spesso la forma di miti. 

Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025
Note
[1] Cosimo Aldana, Discorso contro il volgo in cui con buone ragioni si riprovano molte sue false opinioni, Firenze, Marescotti, 1578, e poi in spagnolo, Invectiva contra el vulgo, Madrid, 1591, e più tardi incluso nella BAE (Biblioteca de Autores Españoles), Madrid, Ribadeneyra, vol. XXXVI, 1886: 495-514.  
[2]  Ferrara fu una culla della medicina umanistica: si veda Vivian Nutton, The Rise of Medical Humanism: Ferrara, 1464-1555, in «Renaissance Studies”» 11 [1997: 2-19.
[3] Su Paracelso si vedano: Massimo Luigi Bianchi, Introduzione a Paracelso, Bari, Laterza, 1995, e Signatura rerum. Segni, magia e conoscenza da Paracelso a Leibniz, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1987; Pirmin Meier, Paracelso, medico e profeta, Roma, Salerno, 2000; Antonio Miotto, Paracelso, medico e mago, Milano, Ferro, 1971; Walter Pagel, Paracelso. Un’introduzione alla medicina filosofica nell’età del Rinascimento, Milano, Mondadori, 1989; Eva Stahl, Paracelso, medico, filosofo, mago, Genova, ecig, 1995; Charles Webster, Magia e scienza da Paracelso a Newton, Bologna, il Mulino, 1984
[4] L’occasione per questo libro è un celebre episodio che coinvolge la scuola di medicina della Sorbona e un medico di Renne, Roch le Bailiff, che aveva pubblicato un libro Le demonstration … auquel sont contenue trois cens Aphorismes Latins et François. Sommaire veritable de la Médicine Paracelsique, extraict en la plus part, par le dict Bailiff, Renne, Pierre Bret, 1578. Questo libro spinse André du Breil a pubblicare il suo libro. Sull’episodio si veda Didier Kahn, La faculté de medicine de Paris en échec face au paracelsisme: enjeux et dénuement reel du procès de Roche Le Bailiff, in Paracelsus und seine internationale Rezeption in der Frühen Neuzeit,- Beiträge zur Geschichte des Paracelsismus, herausgegeben von Heinz Schott und Ilana Zinger, Leiden-Boston- Köln, Brill, 1998: 146-221. Sul paracelsismo in generale, si veda Allen George Debus, The French Paracelsians, The Chemical Challenge to Medical and Scientific Tradition in Early Modern France, Cambridge, Cambridge University Press, 1991.
[5] Si veda Christiane Nockels Fabbri, Treating Medieval Plague: The Wonderful Virtues of Theriac, in «Early Science and Medicine», 12 (2007): 247-283. 
[6] Cfr. Joël Coste, La littérature des “erreurs populaires”: une ethnographie médicale à l’époque moderne, Paris, Champion, 2002. La letteratura medica è talmente vasta che non è nemmeno pensabile indicare le principali indagini. Tuttavia ne abbiamo consultate alcune: Mirko D. Grmek, a cura di, Histoire de la pensée médicale en Occident, in 3 vol., 1995-1999. Vol. 2., De la Renaissance aux Lumières, Paris, Seuil, 1997.
[7] Su questa categoria di ciarlatani, basti consultare due importanti opere: William Eamon, Science and the Secrets of Nature: Books of Secrets in Medieval and Early Modern Culture, Princeton, Princeton University Press, 1996, e David Gentilcore, Medical Charlatanism in early Modern Italy, Oxford University Press, 2006.
[8] Eamon, op. cit.: 282 elenca tutti i libri noti di “segreti” pubblicati in italiano e in traduzione, e ammontano a 104.
[9] La letteratura su Fracastoro è vastissima. Qualche indicazione su questo autore e in generale sul ruolo storico dell’astronomia nella scienza medica, si veda Ernesto Riva, Astrologia e magia nella medicina dei secoli XV e XVI, Roma, Aracne, 2018.
[10] Su Zefiriele Bovio si veda: Alfonso Ingegno, Il Medico de’ disperati e abbandonati: Tomaso Zefiriele Bovio (1521-1609) tra Paracelso e l’alchimia del Seicento, in Cultura popolare e cultura dotta nel Seicento, a cura di Lucilla Borselli, Giancarlo Carabelli, Chiaretta Poli, Paolo Rossi, Franco Angeli, Milano, 1983: 164-174. Mariacarla Gadebusch Bondio, Paracelsismus, Astrologie und ärtztliches Ethos in den Streitschriften von Tommaso Bovio, in «Medizin Historisches Journal», 38 (2003), n. 3-4; Maria Pia Vannoni, Il “medico della spada”: Tomaso Zefiriele Bovio, in «Bruniana & Campanelliana» 17 (2011): 81-96; Ernesto Riva, Zefiriele Bovio e la magia al servizio della natura, che è il cap. XV, del suo Astrologia e magia nella medicina dei secoli XV e XVI. Pref. di Chiara Beatrice Vicentini, Roma, Aracne, 2018: 173-178.
[11] Lo consultiamo in un’edizione successiva che sembra abbastanza fedele alla princeps: Scipione Mercurii, Degli errori popolari d’Italia, Verona, Rossi, 1645. 
[12] L’opera era stata ristampata nel 1615 e nel 1621. 12. Joubert: op. cit., II: 5: “Qu’il faut souvent changer le linge aux febricitans”: 63 ss.
[13] Sul tema si veda Augusto Salinas Araya, Tradición e innovación en la medicina española del renacimiento, in «Ars médica. Revista de ciencias médicas», 30 (2016): 14-53, in particolare la sezione “Publicaciones de medicina popular”. 
[14] Il trattato andrebbe letto nella sua integrità, ma non potendo farlo, si dovrebbe leggere almeno il capitolo VII, della sezione II: “Des raisons populaires, tant en la Religion Romaine, que parmi le vulgaire des Eglises Ortodoxes”: 134-137 nell’edizione di Le Haye, Maistre, 1649.
[15] Novum Organum scientiarum, Parte I, sect. I, aforisma 12: 2 dell’edizione di Le Haye, Maistre, 1649. Traduciamo: “La logica comune è più adatta a correggere e stabilire gli errori che si trovano nelle nozioni volgari, piuttosto che a ricercare la verità; quindi risulta più dannosa che utile”.
[16] Francesco Redi, Esperienze intorno alla generazione degl’insetti, in Opere, Milano, Società de’ Classici Italiani, vol. III, 1810: 16.
[17] Giambattista Vico, Scienza nuova, Elementi, XXXII, «Gli uomini ignoranti delle naturali cagioni che producono le cose, ove non le possono spiegare nemmeno per cose simili, essi danno alle cose la propria natura, come il volgo, per esemplo, dice la calamita esser innamorata del ferro». Ed. Nicola Abbagnano, Torino, UTET: 259.
[18] Per questa pulizia della casa e per le ricerche storiche, si veda Paolo Cherchi, Ignoranza ed erudizione. L’Italia dei dogmi di fronte all’Europa scettica e critica (1500-1750), Padova, Libreriauniversitaria.it, 2020.
[19] De la vicissitude et varieté des choses en l’univers, il cui ultimo libro ha il titolo “Comparaison de ce siècle avec les precedens plus illustres, pour sçavoir en quoi il leur est supérieur, inférieur, ou égale, et premièrement touchant la militie moderne avec l’ancienne, grecque et romaine” (1575).
[20] Nella sua Histoire des histoires e ne L’idée de l’histoire accomplie (1599).
[21] Una raccolta di queste e altre opere dello stesso tenore è offerta dalla Raccolta di poemi didascalici e di poemetti vari nel secolo XVIII, Milano, Società tipografica de’ Classici italiani, 1828. Sul tema si vedano gli studi di Renzo Cremante e Walter Tega (a cura di), Scienza e letteratura nella cultura italiana del Settecento, Bologna, il Mulino, 1984; e Andrea Battistini, Il compasso delle Muse. L’ardua osmosi tra scienza e letteratura nel secolo dei Lumi [2002], che si consulta nella ristampa in Svelare e rigenerare. Studi sulla cultura del Settecento, a cura di A. Cristiani-F. Ferretti, Bologna, Bononia University Press, 2019: 57-75.
[22] J.-M. Lequinio: “Qu’est-ce que la noblesse, par exemple, pour l’home qui pense? Sont tous ces êtres abstraits, enfans d’une imagination exaltée, qui n’ont d’existence que dans la crédulité vulgaire, et qui cessent d’avoir été sitôt que nous cessons d’y croire? (Joseph-Maria Lequinio, Le préjugés détruits, séconde edition, Paris, s.e., 1793, cap. II: 10.
[23] «Chi mi opponesse a Joubert, Browne, Feijòo, Denesle, Lequinio, mostrerebbe di non aver vedute le loro opere, o di non aver letta la mia», Giacomo Leopardi, Sopra gli errori popolari degli antichi, Ed. Giovanni Battista Bronzini, Venosa, Edizioni Osanna, 1997: 60. Tutte le citazioni sono tratte da questa edizione.

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Paolo Cherchi, “professor emeritus” della University of Chicago, dove ha insegnato letteratura italiana e spagnola e filologia romanza dal 1965 al 2003, anno in cui è stato chiamato dall’Università di Ferrara come Ordinario di letteratura italiana, e da dove è andato in congedo nel 2009. Si è laureato a Cagliari in filologia romanza, ha conseguito un PhD a Berkley (1966). Si è occupato prevalentemente di letterature romanze nel periodo medievale e rinascimentale. Fra i suoi lavori più recenti ricordiamo Il tramonto dell’onestade (Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2016); Petrarca maestro. Linguaggio dei simboli e della storia (Roma, Viella, 2018); Maestri. Memorie e racconti di un apprendistato (Ravenna, Longo, 2019); Ignoranza ed erudizione. L’Italia dei dogmi verso l’Europa scettica e critica (1500-1750) (Padova, libreriauniversitaria.it.edizioni); Quantulacumque lucretiana. Nuove piste di ricerca sulla fortuna di Lucrezio nel tardo Rinascimento (Generis Publishing, 2022); Studi ispanici. Fonti, topoi, intertesti (Milano, Ledizioni, 2022). Nel 2016 è stato cooptato come socio straniero dall’Accademia dei Lincei.

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