di Stefania Donno
Il territorio milanese è disseminato di edifici, un tempo fulcro di attività industriali e di pubblica utilità, oggi abbandonati e in disuso. Questi spazi, pur non assolvendo più al loro scopo originario, custodiscono memorie storiche e architettoniche di fascino e grande valore.
Il progetto fotografico che qui propongo si propone di rappresentare tali luoghi, tentando da una parte di metterne in evidenza la storia attraverso le rovine e, dall’altra, di evidenziarne le potenzialità in vista di una possibile riqualificazione. La documentazione fotografica, per mezzo di pellicola analogica in bianco e nero, assume in questo contesto un duplice significato.
Da un lato, cattura l’essenza di edifici che rischiano di essere dimenticati, restituendo attraverso le immagini una testimonianza del presente e del passato. Dall’altro, invita a una riflessione sulla possibilità di recuperare questi spazi e trasformarli in risorse per la comunità, evitando che il loro valore storico e sociale si perda nell’incuria e nel degrado.
Molti di questi edifici, d’altra parte, vengono già utilizzati e reinterpretati, diventando luoghi di sperimentazione per giovani artisti che ne riscoprono il fascino in chiave contemporanea, nonché spazi di marginalità e informalità.
Il primo caso qui documentato è l’ex stabilimento Innocenti di Lambrate, fondato nel 1933 da Ferdinando Innocenti e divenuto celebre per la produzione dei giunti per le impalcature e per la Lambretta. Per decenni lo stabilimento è stato un centro di innovazione industriale, contribuendo allo sviluppo economico di Milano e dell’Italia intera.
La sua chiusura, nel 1993, ha segnato la fine di un’epoca e ha lasciato dietro di sé un’enorme area dismessa ai margini del tessuto milanese. Oggi, dell’antico stabilimento, rimangono travi in ferro, scale che portano verso il nulla, pannelli elettrici ormai inutilizzabili. Oggetti scolpiti dal tempo e dall’incuria, che tuttavia continuano a testimoniare la vita che un tempo animava il luogo. Il ferro si ossida, il cemento si sgretola, ma questi segni non cancellano la memoria, semmai la trasformano in qualcosa di nuovo. Un mutamento che suggerisce la concreta riflessione sulla possibilità di restituire a questo spazio una nuova funzione, senza tradirne l’identità.
Il secondo caso è costituito dal manicomio di Mombello, situato a Limbiate (MI), all’interno della Villa Pusterla-Crivelli, una residenza settecentesca che nel 1865 fu convertita in ospedale psichiatrico. Per oltre un secolo, il manicomio ha ospitato migliaia di pazienti, diventando uno dei più grandi istituti psichiatrici d’Italia.
Dopo la chiusura definitiva nel 1999, il complesso è stato in gran parte abbandonato e oggi si presenta come un luogo sospeso nel tempo.
I padiglioni vuoti, le stanze spoglie e le pareti ricoperte di graffiti evocano un passato carico di storie, a volte drammatiche, che sembrano ancora riecheggiare tra i corridoi.
Nonostante il degrado, l’area continua a esercitare un fascino particolare: negli ultimi anni è stata riscoperta da fotografi, studenti e artisti, che utilizzano gli spazi come location per shooting e riprese, spesso come si trattasse di un set dal sapore post-apocalittico, dunque lontano dall’originario senso del luogo, e in molti casi lasciando rifiuti che si sommano alle macerie già esistenti.
È interessante notare come parte degli edifici del Manicomio di Mombello siano ancora utilizzati dall’ASL di Limbiate, cosa che crea un curioso contrasto tra le aree riqualificate e le zone abbandonate. Questo dualismo tra passato e presente, tra utilizzo e abbandono, arricchisce ulteriormente la narrazione visiva e la stratificazione storica e simbolica del luogo.
Nel caso dell’ex stabilimento Innocenti, invece, è attualmente in corso un ambizioso progetto di riconversione territoriale.
L’area, stando ai progetti, vedrà l’ampliamento del Parco della Lambretta, raddoppiando così la sua superficie verde, e la realizzazione della “Magnifica Fabbrica”, la nuova sede dei laboratori e dei depositi del Teatro alla Scala. Questo tipo d’intervento mira non solo a preservare la memoria storica del sito, ma anche a integrarla con nuove funzioni culturali e ricreative, offrendo alla comunità spazi rinnovati e vitali.
Attraverso questo progetto fotografico si intende non solo preservare la memoria di edifici storici abbandonati, fissandone i contorni, ma anche stimolare una riflessione sulla loro possibile trasformazione.
Spazi come l’ex Innocenti o il Manicomio di Mombello potrebbero tornare a essere risorse per la collettività, trasformandosi in centri culturali, poli artistici o aree di aggregazione.
Il loro recupero, se attuato nel rispetto della loro storia, potrebbe dare loro una nuova identità senza cancellare il passato. In un’epoca in cui la memoria urbana rischia di essere cancellata dal cemento indiscriminato, è fondamentale riflettere su questi luoghi affinché non diventino “terra di nessuno”, bensì occasioni di rinascita e reinterpretazione.
Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025
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Stefania Donno, vive a Milano e lavora come Art Digital Director freelance e docente in Discipline Audiovisive e Multimediali presso il Liceo Artistico Statale di Brera. Si è specializzata in fotoreportage seguendo workshop formativi con Stefano De Luigi e Jodi Bieber. Dal 2007 collabora come fotografa e Art Director per numerose aziende e fondazioni non profit. Ha realizzato reportage in Italia e nel mondo e ha seguito campagne pubblicitarie di comunicazione. Dal 2014 al 2019 è stata l’assistente dell’artista contemporanea Julia Krahn per cui ha curato la comunicazione e l’editing delle opere video artistiche.
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