CIP
di Alessandro Parisi
La domanda di ricerca
«Accanto a me succedevano queste cose da anni e io non me ne sono mai accorto». È stata l’ultima cosa appuntata nel Diario di campo che ha accompagnato la presente ricerca. Chi scrive infatti, in quei luoghi conosce persone, svolge attività quotidiane e per quelle strade passa abitualmente, ma non si è mai accorto di nulla, così lo studio ha favorito la conoscenza che troppo spesso è catturata dall’abitudine e dalla poca attenzione. Parole, colori, odori e sapori acquistano un nuovo significato ed è la prova che l’antropologia coinvolge l’osservatore in ciò che studia e nel caso specifico l’ha condotto alla consapevolezza che la nocciola ha aperto un fazzoletto di terra (la Bassa Tuscia Viterbese) a scenari che senza di essa altrimenti non sarebbero così come si presentano oggi.
Il titolo riporta la traccia che ha guidato l’indagine che non è un argomento nuovo, però continua a suscitare attenzione grazie alla letteratura d’inchiesta che di tanto in tanto viene prodotta e dai gruppi d’interesse che intorno ad esso sono nati e continuano a nascere affrontando questioni molteplici. Sottointesi alla traccia vi sono tre ambiti (società, politica e d economia), analiticamente distinti, ma che di fatto coinvolgono gli stessi individui tanto che essi fanno contemporaneamente parte della società, sono soggetti all’attività politica e instaurano rapporti economici, e tenendo a mente questa sovrapposizione l’osservatore è stato chiamato a porre delle domande attente agli interlocutori e alle loro esperienze di vita.
Il tutto è stato declinato ulteriormente considerando la specificità del caso di studio: chi ha potere nel singolare rapporto tra le amministrazioni locali, la Multinazionale e quelli che orbitano attorno ad essi? Si ha a che fare con amministrazioni (democratiche) locali, ovvero alcuni comuni della Bassa Tuscia Viterbese, la Provincia di Viterbo, la Regione Lazio e varie forme di governance territoriale; la Multinazionale è la Ferrero, che porta con sé i soggetti ad essa collegati e che si trovano sul territorio come le aziende corilicole, le associazioni e le cooperative dei produttori; infine ci sono gli agricoltori con i loro noccioleti e il loro lavoro, senza poter escludere dal discorso i residenti di quei luoghi, che con tutti quelli citati instaurano necessariamente relazioni. Comparando la domanda con la letteratura scientifica si può dire che si ha intenzione di comprendere se ci si trova in un contesto di Postdemocrazia (C. Crouch, 2020)[1]. Con essa il Sociologo conduce alla consapevolezza non solo dello stato di salute della Democrazia così come è conosciuta in Occidente, ma vuole definire in essa la posizione e il ruolo degli “attori” di sempre, cioè i cittadini/elettori.
Le cose sono cambiate, si è difronte a un “regime” postdemocratico che al contempo ripropone e ridona per assurdo vigore ad aspetti predemocratici, elitari, in mano ai colossi finanziari. Si assiste alla lotta di supremazia tra la sfera finanziaria da una parte (le multinazionali con le loro lobby che si equipaggiano di argomenti e strumenti persuasivi come le competenze e il capitale) e la politica dall’altra (i partiti, i governi e gli amministratori che sembrano impotenti) e quest’ultima sottostà alla “promessa/ricatto” di una crescita economica e occupazionale. Se Democrazia significa potere del popolo nasce spontaneo chiedersi quale ruolo assumono i cittadini che da sempre ne sono i veri protagonisti. Essi in simili contesti occupano un ruolo marginale, non perché messi all’angolo da chi detiene il potere (le multinazionali), ma perché condotti lentamente, e spesso inconsapevolmente, verso l’abdicazione delle proprie prerogative, primo fra tutti il voto, ritenuto da essi stessi “ormai inutile”, nonostante i tentativi di riavvicinarli alla politica, ad esempio attraverso le campagne di sensibilizzazione. Crouch descrive così un sistema di potere globale dove gli interessi economici delle grandi aziende superano i confini nazionali e hanno la meglio sulla politica e sulla società. Insomma, si cerca di agganciare, con uno sguardo multidisciplinare, il caso “Ferrero e le nocciole della Tuscia Viterbese” al concetto di Postdemocrazia e si tenta di capire se essa vale anche in questa circostanza.
Questi contesti, sono i luoghi in cui l’osservazione è diventata operativa, quindi si parla di spazi fisici, dove gli aspetti di quegli ideali (società, politica ed economia) ricadono, con la loro veste di agenti antropici, sfidandosi e adattandosi l’un l’altro e assumendo fattezze uniche. Infatti i luoghi così come li conosciamo sono il risultato dell’azione antropica e dei linguaggi di cooperazione e interazione tra l’ambiente naturale e le dimensioni umane. Vi si riconosce, se si vuole utilizzare la terminologia di A. Appadurai in Modernità in polvere (2011), un caso di indigenizzazione dei flussi culturali globali. Senza dilungarsi sulle loro singole caratteristiche essi permettono una definizione di globalizzazione dalla quale sembra possibile trovare il nesso con il resto del discorso: essa non è un processo di omologazione (uniformità planetaria), ma è un sistema di flussi dinamici e non di oggetti statici che a cascata, non appena trovano spazi locali per assestarsi, vi si intrufolano e si indigenizzano assumendo la loro specificità e originalità [2]. In tal senso Appadurai sviluppa ulteriormente in Il futuro come fatto culturale (2014) il suo pensiero rilevando che la globalizzazione non è mai un progetto totalizzante che cattura tutti i tipi di geografia con la stessa forza, dove i flussi perdendo le qualità selettive che avevano avuto un tempo, con le quali molte delle società avevano trovato modo di accomodare sistemi di significato esterni alle proprie strutture cosmologiche. Oggi invece questi flussi globali, politici o del mercato, sono entrati nella produzione delle realtà locali tanto che in Occidente i cittadini, i legislatori e molti liberali dibattono idee sui diritti ad esempio dei rifugiati in termini di multiculturalismo, patriottismo duale, dignità diasporica e diritti culturali [3]. La globalizzazione per cui è un processo di trasformazioni che genera complessità e pluralità di forme e serve imparare ad accettarne le sue sfide; ciò non è lontano dalla Bassa Tuscia Viterbese a motivo del suo rapporto con la Ferrero.
Per tentare di capire concretamente come la globalizzazione penetra il contesto di ricerca si deve guardare all’azienda agricola, e corilicola nello specifico, che è da considerare come modello del connubio uomo-natura. Con essa l’attività antropica incontra l’ambiente naturale riconoscendola in tal modo quale luogo in cui gli spazi non geografici si intersecano con quelli geografici. Questo tipo d’impresa è il prodotto delle scelte e delle esigenze sociali, politiche ed economiche che incontrano i vincoli che l’ambiente naturale impone. Un caso concreto sposta lo sguardo in Umbria, sull’Altopiano dell’Alfina intorno Orvieto: il territorio sta cambiando (o già è cambiato) come pure la relazione tra corilicoltori e residenti. Il documentario di A. Koensler (2023) [4] che racconta tutto ciò, descrive cosa sta succedendo in quella zona e la presente ricerca etnografica può predire quale sarà il futuro: o una “Nuova Tuscia Viterbese”, o un’impresa già conclusa perché i dati confermano l’ormai compiutezza del Progetto Nocciola Italia (più avanti verrà ripreso e compreso).
Si passa ora a delineare e descrivere le aree come se fossero dei cerchi concentrici, procedendo dal più esterno (l’Unione Europea) a quello più interno (la Bassa Tuscia Viterbese) e verificare come l’economia politica riveli scelte di politica economica e la presenza in tutto ciò della Postdemocrazia.
EUROSTAT (2022) [5] descrive l’agricoltura anzitutto ponendo l’attenzione sulla finalità del lavoro, ovvero il sostentamento alimentare. In egual modo ritornano gli aspetti della globalizzazione come l’indigenizzazione di orientamenti europei (o flussi culturali globali quali finanziari, tecnologici e idee), nonché il sapere esperto che diventa un appello a raccogliere le sfide del tempo presente e una presa di coscienza per gli agricoltori di sempre. Inevitabilmente il discorso porta con sé il tema della flessibilità del lavoro come risposta al presente e dell’esclusione sociale quale rischio da evitare con i mezzi adeguati. Si attesta che la nuova PAC (Politica Agricola Comune), entrata in vigore l’1 gennaio 2023, presta una grande attenzione sociale e economica sempre in allerta per scongiurare crisi e prepararsi al cambiamento in atto. Vengono messi in risalto, oltre agli aspetti tipicamente agricoli, anche quelli socioeconomici, politici e nello specifico ambientali e fin qui le informazioni riportate contengono, senza dire come interagiscono tra di loro, i termini della Postdemocrazia perciò non è ancora possibile stabilirne la fattezza concreta, ma è utile per inquadrarne i termini dell’indigenizzazine nella Bassa Tuscia Viterbese.
Passando all’Italia, nel 2020 vi erano il 12,5% delle aziende agricole europee (1,1 milioni circa). Nello stesso anno la stragrande maggioranza (94,8%) erano a conduzione familiare e circa i due terzi erano di piccole dimensioni (<5 ettari di SAU – Superficie Agricola Utilizzata) e ciò viene visto dalle istituzioni con ottimismo perché possono rivestire un ruolo importante per ridurre il rischio di povertà rurale, fornendo in aggiunta il reddito. Dire se 5 ettari sono abbastanza, è poco significativo se preso solo come dato statistico, perciò il numero va calato nella pratica agricola, come testimoniato da un agricoltore di Civita Castellana: «Dire se un’azienda agricola di 5 ettari è piccola o grande non vuol dire un granché. È necessario capire cosa coltiva, se infatti si sta parlando di ortaggi è tantissimo, di uliveto sono pochi e di vigna ne bastano 2 ettari per produrre più o meno 10 mila bottiglie di vino». L’ISTAT (2022) [6] descrivendo la situazione italiana rende noto che dal 2000 al 2020 le aziende agricole nazionali sono praticamente dimezzate, approssimativamente da 2,4 a 1,1 milioni. L’estensione delle aziende rimaste ha avuto una tendenza inversamente proporzionale alla loro riduzione e infatti la SAU è passata da 5,1 ettari medi a 11,1 e la SAT (Superficie Agricola Totale) da 7,1 a 14,5 anche se in generale i due tipi di superfice sono diminuiti facendo spazio all’edilizia urbana o in parte “ricolonizzati” dalla vegetazione spontanea a seguito dell’abbandono.
Altro dato rilevante è il tipo di azienda agricola che continua a prevalere sul territorio nazionale e cioè, se pur in diminuzione, è ancora quella individuale o a conduzione familiare in una forma mista in crescita con terreni di proprietà e in affitto. Questa strategia diventa un necessario ammortizzatore delle spese sostenute per l’acquisto dei mezzi agricoli sempre più all’avanguardia e costosi (una semovente per raccogliere le nocciole può costare fino a 100.000€); non varrebbe la pena affrontare un investimento ingente se non per lavorare più terreno possibile e per lo stesso motivo si presta servizio per “conto terzi”, cioè in cambio di un compenso economico si lavorano appezzamenti altrui. Si può ancora una volta leggere in questa descrizione dei fatti il processo di indigenizzazione degli strumenti tecnologici che caratterizza e condiziona stili di lavoro e rapporti contrattuali. Parlando nello specifico della corilicoltura, la sua superficie in produzione dal 2017 al 2022 è passata da 73mila circa a più 84mila ettari con una diminuzione altalenante del raccolto che arrotondando va da 1.313.000 q a 986.000 q a causa delle forti e ripetute gelate del 2021. Dati di aprile 2023 (A. Romeo) hanno segnato un aumento della SAU a noccioleti arrivando a superare gli 85mila ettari in produzione ed è stato pronosticato un rialzo della produzione nazionale rispetto all’anno precedente nonostante la siccità, ma che tuttavia ha comportato un taglio di un terzo della capacità produttiva rispetto agli ultimi anni [7]. Le tre regioni che rendono l’Italia il secondo produttore al mondo di questo frutto a guscio, dopo la Turchia sono Lazio, Piemonte e Campania, e ultimamente si sta aggiungendo la Sicilia.
Il Lazio da parte sua, come si desume dalla cartina [8] (ARSIAL 2019) è chiaramente una regione a vocazione agricola con una superficie del 56% sfruttata per tale attività, oltre che turistica come viene considerata nell’imaginario collettivo grazie alla sua storia, all’arte e al paesaggio che possiede. Basti pensare a Roma e ai suoi dintorni, la stessa Viterbo, gioiello medievale ottimamente conservato, i borghi, e ancora le bellezze naturali quali il mare, le montagne, i laghi (nel Viterbese ci sono quello di Bolsena e quello di Vico) e le riserve e monumenti naturali come le forre. Scorrendo il Sito Ufficiale della Regione (2016), alla voce statistiche, si apre una cartina interattiva dell’Italia divisa per regioni, aggiornata al 9 settembre 2023: la Regione del Centro Italia, con i suoi noccioleti è la prima per estensione con 23.546 ettari contro i 21.211 del Piemonte e i 17.156 della Campania [9].
Restringendo ulteriormente il campo e focalizzando l’attenzione sulla Provincia di Viterbo, essa è una tra le prime in Italia con un’economia agricola, tanto che nel 2021 si registravano 167 addetti ogni 1000 abitanti. In questa Provincia o addirittura nella zona di ricerca tranne piccole eccezioni verso il mare, si trova praticamente la totalità della corilicoltura regionale. Riportando i dati ARSIAL (2020), anche se parlano un po’ in generale della frutta a guscio, dicono che si ha qui una superficie coltivata di 20.481,97 ettari su 20.958,82, ovvero 97,72% di tutto il Lazio [10].
Data questa percentuale viene da sé il parlare di monocoltura del nocciolo, oppure di specializzazione produttiva come sostenuto dal Presidente di una delle Associazioni di categoria e confermato da una Ricercatrice dell’Università della Tuscia, in un webinar del 18 novembre 2021, organizzato da Edagricole in collaborazione con Ferrero Hazelnut Company (FHCo). Per avere uno sguardo ancora più informato si può guardare la cartina ARSIAL (2020) [11] e con essa, riquadrata in rosso, è indicata la zona di ricerca che è ormai noto trattarsi di una parte della Provincia di Viterbo, nel nord del Lazio, ovvero la parte orientale della Bassa Tuscia Viterbese. L’area, corrisponde secondo la suddivisione del PAR (Piano Agricolo Regionale) in Ambiti Rurali Omogenei, alle macroaree “colline” (zona 13) e “pianure e isole” (zona 30), rispettivamente Sistema Cimino (solo la parte a est del Lago di Vico) e Valle del Tevere (solo la parte settentrionale che si trova nel Viterbese). La legenda individua con il colore azzurro le colture permanenti, sinonimo di specializzazione produttiva, e queste nell’area interessata sono identificabili principalmente con i noccioleti, senza dimenticare i castagneti che sono una produzione locale importante, infatti basti pensare alla castagna DOP di Vallerano e la conosciuta Sagra della Castagna di Soriano nel Cimino che celebra il frutto come un vanto locale e della sua storia.
Spostandosi intorno alla caldera del Lago di Vico, punto caldo del conflitto, grazie al materiale di ricerca fornito dall’ISDE (Medici per l’Ambiente), il fenomeno della monocoltura è visibile e nell’immagine (N. Ripa, 7 dicembre 2019) che descrive graficamente la situazione. Non si hanno soltanto noccioleti, ma è chiaro che sono la coltura prevalente e ad occhio, senza considerare lo specchio d’acqua corrispondono a più del 50% della superficie totale. Un’ultima considerazione su questa rappresentazione grafica è che il Lago si trova nei comuni di Caprarola e Ronciglione e la maggior parte dei suoi noccioleti sono nel territorio del primo che è il cuore della corilicoltura, tanto che uno dei sindaci intervistati ha parlato a tal proposito di «espansione caprolatta» in questi termini: «A Caprarola i terreni non bastano più, perciò gli agricoltori comprano o affittano terreni in altri comuni: Sutri, Ronciglione, Nepi e Civita Castellana, ma questo non toglie che ci sono anche corilicoltori del posto». Il dato può essere confermato anche dal caso di Castel Sant’Elia dove l’unico appezzamento coltivato a nocciole è di proprietà di un’Azienda agricola caprolatta.
L’espansione dei noccioleti in queste zone, cominciata dagli anni ’80, nell’ultimo decennio è legata al Progetto Nocciola Italia della Ferrero (primo modello antropico) con il conseguente conflitto che si sta sviluppando intorno ad esso, nel quale gioca un importante ruolo il Biodistretto della Via Amerina e delle Forre (secondo modello antropico). Per capire di cosa si tratta, va dato prima uno sguardo alle fonti locali e nazionali che aiutano a calare la riflessione nel contesto.
Fonti locali e modelli antropici
Ai fini della ricerca sul campo e per inquadrare la situazione sono stati scelti, e qui riportati, alcuni articoli e servizi tra i più rappresentativi ed essi, accanto ai dati descrittivi ampiamente citati, hanno ricollocato lo sguardo dell’osservatore. Primo fra tutti un pezzo a firma di D. Camilli (29 ottobre 2018):
«Alla terza multinazionale al mondo nell’ambito dell’agroalimentare – prosegue Crucianelli – chiediamo invece che rispetti la biodiversità e che una parte del territorio della Tuscia previsto dal Progetto [Nocciola Italia] produca nocciole con metodo biologico. La Ferrero deve occuparsi anche delle ricadute economiche per il nostro territorio senza rischiare di trasformarlo in una colonia. Infine, chiediamo alla Ferrero di investire in ricerca. Una ricerca che migliori la qualità dell’ambiente e della vita delle persone. In sintesi, come coltivare senza inquinare» [12].
Il Presidente del Biodistretto, F. Crucianelli, avanzando alla Ferrero tre richieste, fa emergere le tre dimensioni d’indagine (società, politica ed economia) e i rispettivi ruoli nell’esercizio del potere. Si parla di un rispetto del territorio e dell’ambiente, attraverso l’agricoltura biologica e la ricerca, finalizzato alla salute pubblica che vuol dire interfacciarsi con le società e i gruppi locali che reclamano le proprie esigenze e l’uscita dalla logica coloniale tipica delle multinazionali. Non si possono neanche scrollare le spalle davanti alle dinamiche economiche eventualmente disastrose che ogni stagione dell’anno potrebbe presentare. È allora fondamentale il ruolo della politica chiamata a fare la sua parte senza essere estromessa o considerata un ostacolo per la massimizzazione del profitto che dall’articolo pare giovare moltissimo al “Gigante” della situazione, poco agli agricoltori e per nulla alle società locali chiamate in causa.
Il caso Ferrero nella Tuscia è finito anche sulla stampa nazionale con un’inchiesta di S. Liberti (9 giugno 2019). Il giornalista inizia tracciando un profilo dell’Azienda e intrecciando aspetti familiari, aziendali, politici e del suo prodotto di punta che è la Nutella, etichettando il fenomeno della scalata finanziaria come modello del capitalismo familiare italiano. Continua illustrando la situazione prima in Turchia, poi in Italia e con esattezza nella Tuscia Viterbese. La Ferrero è una potenza “inarrestabile” che stabilisce prezzi, fa accordi e riempie i vuoti commerciali di iniziativa imprenditoriale e statale acquisendo aziende di intermediazione, trasformazione e distribuzione, ma senza occuparsi veramente dei territori e diversificando intelligentemente e sempre di più il suo approvvigionamento di materie prime [13].
Ritornando alla cronaca locale, Camilli (24 giugno 2019) scriveva che uno dei sindaci della zona, promettendo denunce, parlava di procurato allarme e danno per l’economia locale e si rispondeva alle minacce, volendo capire lo stato di salute dell’ambiente e dei cittadini, parlando di terrorismo psicologico. Come se non bastasse il Sindaco di Gallese D. Piersanti, l’anno prima, sposando a pieno il pensiero del Biodistretto e sfidando una lettera di un Ufficio Legale della zona, emise un’Ordinanza che interpretava in modo restrittivo il PAN (Piano d’Azione Nazionale) sull’uso di pesticidi. Camilli, nello stesso pezzo, continua scrivendo della concentrazione dei noccioleti in alcuni comuni tanto da poter parlare di monocoltura [14].
Da questi scritti il problema sembra che sia essenzialmente di tipo ambientale, anche se con inevitabili ricadute sociali, politiche ed economiche, ma in realtà sono cronache che fanno da ponte tra il loro tema principale e quello della ricerca presente; diventa evidente in un comunicato (25 giugno 2021) di Crucianelli, dove ammonisce la presidenza di un’Associazione locale per l’atteggiamento che contrasta l’interesse collettivo e la salute pubblica [15]. Ancora quest’ultimo scriveva sulla stampa nazionale Una strage di ulivi per i signori delle nocciole (18 novembre 2021):
«Un anno fa la Conferenza dei servizi della Regione Lazio ha autorizzato in due diverse località del comune di Gallese “l’abbattimento” di 164 piante di ulivi con l’argomento del “miglioramento” aziendale: una strage legale di ulivi. Grave è stata la richiesta dei signori delle nocciole, peraltro non stiamo parlando di contadini, di piccoli agricoltori che lottano per mettere insieme il pranzo con la cena, ma di proprietari di decine e decine di ettari di nocciole […]. Ma ancor più grave della ingordigia dei proprietari di nocciole è la normativa della Regione Lazio e la latitanza della legislazione nazionale» [16].
Si evincono da queste righe la commistione degli interessi economici di alcuni e di quelli politici di altri; da parte della politica si può anche leggere un disinteresse per quelle zone che sono un bacino elettorale definibile inconsistente. Reagendo a quello che è stato chiamato «vandalismo ambientale» autorizzato fu inviata una richiesta di moratoria [17] (22 novembre 2022) all’allora Assessora Regionale alle Politiche Agricole della Giunta Zingaretti e per il 7 marzo 2023 fu organizzato un flash mob a Viterbo davanti la sede dell’Area decentrata dell’Assessorato all’Agricoltura Lazio Nord della Regione Lazio. Quanto riportato dimostra che la società interpella la politica che a sua volta è chiamata in causa da dinamiche e interessi economici.
Merita una menzione particolare il caso di Nocciole, contaminazione delle falde e tumori: i prodotti chimici costano la metà di quelli biologici, è come se ci incitassero ad usarli, a firma di I. Lodigiani sulle pagine di Pianeta 2023 del Corriere della Sera (16 settembre 2023)[18]. Questo pezzo è di importanza cruciale in quanto ha mosso e coordinato la risposta di diverse associazioni di agricoltori sul territorio e quindi parte della società. Pochi giorni dopo la sua pubblicazione (21 settembre) fu rimosso dalla pagina web del giornale e sostituito con un altro articolo, sempre della medesima penna, epurato di alcune posizioni radicali (a detta degli interessati calunnie, accuse senza fondamento scientifico, approssimazioni) e con un nuovo titolo: Noccioleti e contaminazione delle falde: timori dei produttori e gli sforzi per la sostenibilità [19]. La variazione sembra dovuta alla risonanza dello scandalo provocato dall’articolo tra i corilicoltori della zona, ma data la rilevanza nazionale di una testata quale il Corriere della Sera i diretti interessati hanno ritenuto opportuno muoversi per vie legali formalizzando una denuncia Querela alla Procura di Viterbo (2 novembre 2023). Inevitabilmente la Lodigiani ha generato una frattura di carattere sociopolitica e etica, fra gli agricoltori della zona e l’opinione pubblica locale e nazionale, testimoniata da alcuni corilicoltori.
Per concludere questo spaccato non si può non fare riferimento a ciò che ha acceso i riflettori sul tema, vale a dire la puntata di Report su Rai3 (15 novembre 2021): E che nocciola sia. Il punto di vista che viene sottolineato è ancora una volta quello ambientale e della salute umana in una porzione di terra del Viterbese. Vengono affrontati problemi come la monocoltura, l’inquinamento da prodotti fitosanitari (il gliofosato nello specifico) e la potabilità dell’acqua del Lago di Vico, ma fra le parole degli intervistati (molti dei quali incontrati da chi scrive) si rintracciano i rapporti di potere sui quali si sta lavorando. Nella puntata parlano i trasformatori della materia prima, gli agricoltori, i residenti, i medici, gli amministratori locali, i tecnici e così via, ognuno portando le sue motivazioni e sostenendo la sua causa circa l’impatto della corilicoltura sugli ecosistemi della zona e sull’approvvigionamento idrico ad uso umano [20].
L’ambiente diventa il luogo e contemporaneamente l’oggetto conteso tra la Ferrero, presente ma silenziosa che risponde alle domande di Report con una nota scritta (M. Brambilla, 2021) [21] inviata alla redazione Rai qualche giorno prima di mandare in onda la puntata, e tutti gli altri attori in gioco, che con punti di vista differenti si sono esposti con la propria voce e la propria faccia. Da parte sua le risposte del Colosso agroalimentare sono abbastanza rispondenti ai quesiti posti, ma un particolare fra tutti che deve catturare l’attenzione è che nelle domande si parla della Provincia di Viterbo facendo riferimento alla monocoltura della nocciola e alla biodiversità, mentre le risposte rimandano più in generale alla Regione Lazio così che i dati forniti sono diluiti in un area più estesa tanto da risultare “irrisori” e non gravosi come appaiono, perciò sembra non avere alcun senso parlare di monocoltura. Dato questo stato delle cose, si può passare ai due modelli antropici antagonisti e protagonisti della vicenda: il Progetto Nocciola Italia e il Biodistretto della Via Amerina e delle Forre.
Il Progetto Nocciola Italia, nasce nel 2015 da un accordo siglato tra alcune regioni, ovviamente vi è il Lazio, ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) e la Ferrero. Il Progetto è affidato alla divisione interna di quest’ultima dedicata alla nocciola, la già menzionata FHCo, la cui finalità è valorizzare e riqualificare i terreni agricoli che rischiano di diventare improduttivi, se non addirittura ricolonizzati dalla vegetazione spontanea perché abbandonati. Nasce così una vera e propria collaborazione tra le parti ponendo l’accento sugli imprenditori agricoli, veri custodi del territorio promuovendo una filiera totalmente tracciabile e con caratteristiche squisitamente italiane. La Multinazionale della Nutella cerca così di disporre di materia prima certificata da trasformare in prodotto finale commercializzabile e di qualità. Per la produzione vera e propria delle nocciole nel Comunicato dell’Ufficio Stampa (L. Censi, 2018) della Ferrero si dichiara:
«L’Italia rappresenta oggi il secondo player a livello mondiale con una quota di mercato di circa il 12% della produzione globale di nocciola e segue a distanza la Turchia che rappresenta il 70% del mercato complessivo. L’Italia però ha un grande potenziale di sviluppo grazie ad un territorio che, da Nord a Sud, è particolarmente vocato alla coltivazione di eccellenti varietà di nocciola. Ad oggi [2018] in Italia vengono dedicati oltre 70.000 ettari di terreno alla coltura della nocciola, con una produzione media di nocciola in guscio di circa 110.000 tonnellate/anno […]. L’obiettivo auspicato dal Piano Nocciola Italia è quello che, entro il 2025, 20.000 ettari di nuove piantagioni di noccioleto (+30% circa dell’attuale superficie) possano essere sviluppate. […] una specifica attenzione sarà rivolta alla produzione italiana» [22].
La spinta ad aumentare le superfici coltivate a nocciolo ha reso per la corilicoltura italiana, il Lazio e il Piemonte le regioni trainanti e l’obiettivo da raggiungere entro il 2025 è ormai vicino (o meglio raggiunto se si pensa agli ettari impiantati e non solo a quelli in produzione) anche se a detta di alcuni dei coltivatori di nocciole, la Regione del Centro Italia si sta arenando. Da questa impressione sorge spontaneo il dubbio se il perché è da reperire nell’obiettivo raggiunto, oppure se sta venendo a mancare uno sguardo d’insieme (a questa perplessità si troverà risposta più avanti). Dalle parole del Comunicato della Ferrero, sembra che il suo voglia rimanere un prodotto e un vanto del made in Italy promuovendo le eccellenze agricole nazionali e allo stesso tempo operando strategie di marketing per rendere i suoi prodotti dolciari veramente italiani, nonostante la delocalizzazione degli approvvigionamenti della nocciola in nove diversi paesi del mondo. Il Progetto potrebbe essere una risposta ad una certa corrente politica di stampo nazionalista e protezionista quale quella di M. Salvini che durante un comizio a Ravenna, nel dicembre 2019, disse che aveva scoperto che per la Nutella si usano per lo più nocciole turche, e quindi preferiva aiutare gli agricoltori italiani (M. Kacmaz, 2021) [23].
Se pur vero che il Progetto è stato pensato e ha preso il via prima delle parole di Salvini, sono, quelle di quest’ultimo, frasi che possono lasciare il segno e ostacolare le strategie di marketing e la reputazione dell’Azienda agli occhi di un determinato gruppo di consumatori e la Ferrero tiene a questo aspetto perché è attenta alla realizzazione di prodotti di massa. È reperibile un secondo motivo (forse il principale) che spinge la Multinazionale di Alba a incrementare la produzione italiana: il problema sembra essere geopolitico e coinvolge il terzo produttore al mondo di nocciole, ossia la Georgia. Questo Paese ha stretto ultimamente rapporti commerciali con l’UE che chiede la certificazione del prodotto nel momento in cui viene esportato verso l’Italia, in quanto Paese membro. La Regione georgiana dell’Abkhazia, che produce il 10% delle nocciole utilizzate dalla Ferrero, dal 2008 ha chiesto l’indipendenza ed è sotto il controllo russo, così che il commercio del frutto a guscio, non senza difficoltà soprattutto per la certificazione, è l’unico consentito tra la Regione e la vecchia Madre Patria. Essendo chiaramente i rapporti tesi, la Multinazionale rischia di perdere dall’oggi al domani una buona parte della materia prima che le occorre per i suoi prodotti (S. Montrella, 2018) [24]. Oggi con la Guerra in Ucraina e il clima conflittuale tra Russia e Occidente tutto ciò è ancor più vero, anche se nel 2015 forse non si poteva immaginare questo aggravamento della situazione, oppure è stata una scelta lungimirante. In Postdemocrazia si sostiene che «le aziende [in particolar modo le multinazionali] non sono semplici organizzazioni, ma concentrazioni di potere» [25], ma sia nel primo caso di portata nazionale che nel secondo di tipo internazionale, questo assunto viene smentito. La propaganda politica viene presa in considerazione come possibile danno all’immagine del marchio italiano e così si tenta di sollecitare l’attenzione al voto con portafoglio dei consumatori patriottici. Invece, la complicazione geopolitica mette in discussione il potere economico (il vantaggio del capitale) della Ferrero che, nonostante la possibilità di interrompere i rapporti commerciali sottraendo ricchezza al territorio e tutto ciò che ne deriverebbe in termini di occupazione e perdita di investimenti, non sortisce nessun passo indietro dell’Abkhazia sostenuta politicamente ed economicamente dalla Russia. Al contrario, dunque, è la Multinazionale che sta correndo ai ripari rivolgendosi in casa propria, dove la situazione politica è stabile, se pur conflittuale in termini socioambientali.
Tornando al ruolo della FHCo, essa offre competenze e conoscenze nel settore corilicolo concedendo gratuitamente la strumentazione agricola tecnologica per una gestione ottimale, sostenibile e trasparente del territorio e per il monitoraggio sullo stato di salute degli alberi. Opera pure un servizio di assistenza per l’individuazione di aree particolarmente vocate al tipo di coltivazione in esame e di consulenza per i tecnici che sono chiamati dagli agricoltori a gestire i loro noccioleti. Ultimo aspetto è quello del reddito e cioè da parte della Ferrero si ha un impegno nel lungo periodo ad assicurare l’acquisto della materia prima e quindi onorare l’impegno preso con i corilicoltori che hanno investito capitali e lavoro.
In riferimento alla situazione della Bassa Tuscia Viterbese, non sono mancate nel passato e nel presente, nei confronti del Progetto le polemiche legate, primo fra tutte, alla trasformazione del paesaggio a causa della pratica agricola industriale, in altre parole della monocoltura e la conseguente perdita della biodiversità vegetale. Questa e le altre controversie sono state sollevate con voce autorevole dal Biodistretto, rappresentativo dei tredici comuni che lo costituiscono e da associazioni di cittadini. In sintesi i problemi emersi sono: l’inadempienza della Ferrero circa il suo impegno di tutela e valorizzazione del territorio; il silenzio davanti a impegni presi circa una collaborazione con le amministrazioni locali che da quanto riportato in un’intervista di un personaggio autorevole la causa principale è stata l’assenza significativa della Regione Lazio ai tavoli di confronto; la monocoltura, ma stavolta in relazione ai suoi effetti collaterali quali ad esempio il problema dell’acqua (potabilità e portata di fossi e pozzi); per ultimo lo scarso potere contrattuale delle imprese locali rispetto al potere di una Multinazionale al quale sembra fare argine il ruolo da intermediario operato da Assofrutti di Caprarola e dalle altre associazioni di agricoltori presenti sul territorio (Viconuts di Ronciglione, Bionocciola di Carbognano e altre meno conosciute). Per contro e per chiudere il cerchio, c’è da riconoscere un aspetto importante, vale a dire che i compensi pattuiti sono stati sempre onorati dalla Ferrero, anche in anticipo su stime dell’anno precedente, diversamente da quanto è avvenuto nel passato con un altro Colosso agroalimentare che operava nella zona incoraggiando investimenti costati sacrifici, ma pagando a fatica e ad un certo punto andandosene, lasciando senza soldi e con ettari di prodotto seminati.
L’altro grande modello antropico della zona, ovvero il Biodistretto della Via Amerina e delle Forre è un protagonista attivo della realtà osservata e studiata, anche se sui generis perché si può definire come un soggetto collettivo, fatto da più persone e gruppi quali possono essere le amministrazioni locali. È uno strumento di partecipazione democratica e di confronto con il territorio dando a quest’ultimo visibilità su scala nazionale e voce ai suoi protagonisti. Più che considerarlo con Crouch un gruppo d’interesse che si occupa di un singolo aspetto (l’ambiente e ciò che gli è connesso) contrapponendosi all’azione politica con scetticismo e sfiducia [26] è, più vicino a quella che L. Pellizzoni e G. Osti (2008) definiscono una lobby d’interesse pubblico tipicamente italiana, in virtù della sua istituzionalizzazione, centralizzazione, professionalità e perciò poco movimentista preferendo una pressione soft su istituzioni e politici che a loro volta ne fanno parte [27].
È una vera e propria forma di governance territoriale la cui finalità è la valorizzazione di esperienze virtuose di produzione, consumo e gestione del territorio che in sinergia fra loro conducano al pieno sviluppo sociale, culturale, politico, economico e paesaggistico dei luoghi. Per produzione si intendono tutte quelle attività agricole che vanno dall’impianto, mantenimento e cura fino alla raccolta del prodotto; la filiera alimentare, che prevede i vari passaggi di trasformazione e lavorazione delle materie prime, fa da ponte tra produzione e consumo e accorciandola sempre di più sarà (secondo uno degli intervistati) l’unico modo possibile per assicurare il valore reale del prodotto e per garantirne la qualità, proprio perché il consumatore sa chi è il produttore/trasformatore e non ne perde le tracce. Infine la gestione del territorio è la capacità di produrre e consumare senza deteriorare e impoverire, o senza pensare esclusivamente al qui ed ora, ma avere una progettualità con una vera e propria solidarietà generazionale. Si propone un’alternativa, un cambiamento del modo di fare agricoltura ed economia. Si può aggiungere che in vista del valore reale e della qualità del prodotto e dell’ambiente, sia necessaria anche la biodiversità, che non solo rende il territorio diversificato dotandolo di un “sistema immunitario” autonomo e naturale escludendo, o riducendo, l’uso massiccio di prodotti chimici, ma garantisce pure diverse fonti di approvvigionamento alimentare ed economico per gli agricoltori. Contrariamente da una multinazionale che diversifica i produttori della materia prima a livello globale (più aziende per un prodotto), l’azienda agricola locale è chiamata a diversificare il prodotto all’interno dei suoi stessi confini aziendali (più prodotti per un’azienda).
Gli attori in gioco nel Biodistretto sono ovviamente gli agricoltori, ma si aggiungono privati cittadini, associazioni, operatori turistici e inevitabilmente le amministrazioni pubbliche locali che si decidono ad una cooperazione sottoscrivendo un vero e proprio accordo per uno sviluppo green e sostenibile del territorio nel tempo. Attualmente in Italia vi sono molteplici biodistretti, ma solo quattro sono riconosciuti in virtù di una normativa regionale e tra questi vi è proprio quello di cui si sta parlando, riconosciuto dalla Regione Lazio con Deliberazione della Giunta il 15 ottobre 2019, n. 737.
Il nome richiama l’antica Via Amerina che attraversava alcuni dei comuni che ne fanno parte ed è conservata anche grazie al lavoro degli agricoltori di quelle terre proprio perché a tratti attraversa i loro campi e i loro noccioleti, come segnalato da Google Maps [28] nel Comune di Corchiano, e le meraviglie naturali che caratterizzano la zona, ovvero le forre, strette valli scavate nel tufo con pareti ripide. Esso si trova in provincia di Viterbo ed è costituito da tredici comuni: Civita Castellana, Castel Sant’Elia, Corchiano, Fabrica di Roma, Faleria, Gallese, Nepi, Orte, Vasanello, Calcata, Vignanello, Vallerano e Canepina, con importanti ripercussioni anche sulle località limitrofe e la sua idea è inclusiva nei confronti di altri comuni dell’area. I comuni si sono prefissati strategie collettive non solo direttamente in ambito agricolo, come ad esempio affrontare il problema dell’agricoltura intensiva di nocciole che quale effetto collaterale porta l’inquinamento da chimica di sintesi con l’impoverimento del suolo, ma anche promuovendo la biodiversità per evitare l’appiattimento del territorio, che per chi non conosce la situazione «sembra di vivere in un grande bosco» secondo quanto confidato ad un’imprenditrice agricola da persone che vivono a Roma. Si cerca poi di ridurre il consumo di acqua che i noccioleti richiedono, attraverso la promozione e la conoscenza di tecnologie e strumenti idonei e innovativi come semplicemente può essere l’irrigazione a terra che lascia umido il sottosuolo piuttosto che quella a goccia che rischia l’evaporazione.
Gli altri temi, tutti connessi alla questione ambientale in generale, sono il turismo, la gestione dei rifiuti, il risanamento e il problema delle cave di tufo dismesse e le risorse energetiche coerentemente con uno sviluppo sostenibile del territorio. È allora fondamentale una sensibilità pubblica che abbia una visione d’insieme. Un’azione politica diversa, attenta alle istanze della società, libera di vivere in uno spazio accogliente e un’economia altrettanto nuova che deve assicurare il reddito, ma non succube di scelte miopi. A partire da un’ampia documentazione, e per essere concreti si può citare un esplicativo: il Regolamento comunale di Castel Sant’Elia. Qui non si vive il problema della monocoltura del nocciolo, ma è il Documento è un modello di gestione comune del territorio insieme alle altre dodici municipalità, di valorizzazione delle proprie risorse naturali (le Forre e l’acqua), di promozione del turismo religioso legato al suo Santuario e di riqualificazione urbana compromessa dagli orti dismessi a ridosso del centro storico e i pericoli associati per persone e animali (cinghiali, volpi e vipere).
Non mancano però le accuse a questa forma di governance tacciandola di essere uno strumento di visibilità politica a livello locale e nazionale che rallenta l’economia del territorio. Chi ne fa parte sostiene invece di essere davanti a un nuovo modo di concepire le cose e di fare politica senza la ricerca del consenso che ne porta ben poco; oltretutto non si perde la specificità dei propri indirizzi politici o dei programmi elettorali, ma si va oltre l’orientamento isolazionista dei sindaci e dei consigli comunali coinvolti per il bene comune; infatti le tredici municipalità sono guidate da partiti e per lo più liste civiche con posizioni e “colori” differenti, ma che hanno chiara l’urgenza di mettere insieme forze, strumenti, idee e saperi e proprio per questo il Biodistretto è un acceleratore dei fattori economici e della sostenibilità ambientale, economica, sociale e antropologica.
La lettura antropologica del fenomeno. Gli agricoltori e le loro nocciole
Le statistiche presentate dimostrano l’ormai compiutezza del Progetto Nocciola Italia sia su scala nazionale che locale, ma la maggioranza dei corilicoltori viterbesi, riporta la “realtà” di una battuta d’arresto nell’estensione dei noccioleti. Essa sembra legata alla riduzione della produzione annua in quintali a seguito delle recenti condizioni climatiche avverse (le gelate del 2021 e la siccità degli ultimi anni), o il territorio in parte non vocato. Viene spontaneo chiedersi il perché di questa percezione e si possono avanzare due ipotesi. La prima, di carattere geomorfologico, si riscontra nei comuni con territori e clima non adatti alla corilicoltura come possono essere i casi “estremi” sul mare (Montalto di Castro e Tarquinia), oppure i terreni vicini al Tevere (Orte, Gallese e Civita Castellana); le parole di un’imprenditrice agricola: «Papà ha dedicato il suo lavoro agli ulivi e alle noci da legno e non alle nocciole perché questo non è un luogo vocato a tale coltivazione. Ottima è la zona tra i Cimini e il Lago di Vico con il suo microclima». L’habitat ideale è quello collinare, con terreni umidi, ma senza ristagno di acqua rischioso per la salute delle piante (funghi e muffe) e con temperature medie che possono oscillare tra i 12° e i 16° C. È evidente che soprattutto le località di mare non forniscono le condizioni ideali dove il primo ostacolo è la grande quantità di acqua richiesta nonostante l’aiuto delle nuove tecnologie. La zona verso il Tevere invece, con acqua in abbondanza, ma con orografia e temperature diverse sono più adatte a colture foraggere, infatti sono presenti in modo predominante sulla sponda reatina dello stesso Fiume.
Il secondo motivo può essere legato alla percezione comune visto che raggiunto l’obiettivo del Progetto Nocciola Italia (per ora solo in termini di ettari impiantati e non di ettari in produzione) si sono fermati i nuovi impianti e gli investimenti. Ciò potrebbe essere poco significativo, ma alla luce di altri fattori diventa più chiaro; contemporaneamente si sono verificate condizioni climatiche avverse, che hanno diminuito la produzione e i prezzi del punto resa non accontentano del tutto i produttori. Il prezzo al quintale del 2023 è stato di 350€, contro i 700€ del 2003, come affermato con rimpianto da alcuni. Questa percezione alimenta il pensiero di qualche agricoltore, addirittura portandoli a pensare di espiantare i propri noccioleti ritenendo che ormai non convenga più in termini economici una simile produzione.
Inevitabilmente da qui si aprono altre strade complesse di lettura del fenomeno. Anzitutto il tema del reddito da lavoro: «Dobbiamo dare qualcosa da mangiare ai nostri figli e per questo lavoriamo» è stato dichiarato da un agricoltore. Lo stesso Crucianelli ha preso in seria considerazione tale aspetto parlando di investimenti e interventi concreti nei bilanci pubblici a sostegno del settore primario con l’idea di un «reddito di contadinanza» (Crucianelli, 2024)[29] per fronteggiare le perdite ormai sempre più frequenti generate della crisi climatica e per sostenere l’agricoltura biologica che, nel breve periodo, fa ancora fatica a fornire la ricchezza necessaria per il sostentamento, a fronte di una riduzione delle esternalità negative e del consumo attento, sempre più insistente, ma ancora di nicchia. A proposito dell’attività agricola biologica, essa viene utilizzata da alcuni subito dopo l’impianto di nuovi noccioleti per ottenere fondi pubblici così da sopperire alla mancanza di produttività e di reddito dei primi anni; non appena le piante escono dalla fase improduttiva si passa all’agricoltura convenzionale, diventando, tramite gli sgusciatori, partner della Ferrero e beneficiari di un nuovo profitto. La doppia fattispecie, biologico/convenzionale, in questo caso è finalizzata a massimizzare il profitto e non alla produzione di una nocciola di qualità, rispettosa dell’ambiente e promotrice del territorio.
È l’introito economico che deriva dall’attività professionale lo strumento che scongiura l’eventuale esclusione sociale, che a cascata coinvolge la resilienza dell’impresa, o meglio la flessibilità del lavoro che fenomeni contingenti avversi possono interpellare. Se Marx parlava di «cittadino astratto», qua si può coniare l’espressione di “agricoltore astratto”, poiché spesso si incoraggia la sua capacità di reinventarsi, ma non si parla dei mezzi (economici e formazione) idonei per farlo. Tra le righe si scorge la forza propositiva delle parole di J. A. Schumpeter, ma altresì il loro limite e cioè che l’imprenditore innovatore rompe lo stato stazionario delle cose con un nuovo mercato così da creare sviluppo economico, dove «assumersi i rischi può essere, in molte circostanze, un’importante prova di carattere […] il rischio diventa una cosa normale, invece del “dramma vitale”» [30] (R. Sennet, 2020). Schumpeter dimentica l’equità, cioè non tutti possiedono gli stessi strumenti in termini di capitali, mezzi e competenze per poter essere artefici dello sviluppo. Tra le proposte che mirano ad evitare la dipendenza esterna di risorse c’è quella di avviare un’attività autonoma di trasformazione delle nocciole, anziché fermarsi alla sola produzione come già avviene in diversi casi. Ciò accorcerebbe la filiera e produrrebbe un cibo di qualità, senza sottostare al prezzo “imposto” dalle multinazionali lasciando il valore aggiunto che la materia prima trasformata offre al territorio e ai produttori. A tale proposta la risposta empatica di uno dei produttori fu: «Sicuramente non è un’idea da scartare a priori, ma non ci si può dimenticare che impianti, macchinari e formazione costano denaro e tempo, così che non tutti possono permetterselo». Oltretutto non si deve dimenticare che la maggior parte delle aziende corilicole sono di piccole dimensioni e lo sforzo non sarebbe ripagato. Lo stesso è vero per il cambio di coltura che richiederebbe costi altissimi che solo in pochi possono affrontare rapidamente.
Il non riuscire ad essere flessibili a causa di condizioni pregresse che limitano la libertà di scelta, può lasciare il posto a una crisi di prima generazione dovuta alla precarietà estrema che questo sistema può innescare. Una proposta che va verso una possibile flessibilità abbastanza agevole è la biodiversità (graduale), che procede nell’ottica della differenziazione del prodotto come nel caso di alcuni degli intervistati che vivono esclusivamente del lavoro agricolo. Un altro caso che va in questa direzione è la pratica contemporanea della corilicoltura biologica e convenzionale con un duplice obiettivo: la diversificazione della filiera e un doppio canale di produzione per accaparrarsi un’altra fetta di mercato non limitandosi ad avere come unico partner la Ferrero. Diversificare può essere una strategia contro l’eventuale fallimento. Un caso locale di collasso del mercato è quello del fagiolo bianco di Sutri che da un momento all’altro non ha più prodotto reddito e ha costretto i coltivatori a convertire le proprie terre a noccioleti (in quel momento convenienti), con importanti investimenti che non tutti sono stati in grado di sostenere. Probabilmente la biodiversità e la differenziazione dei prodotti non avrebbe lasciato nessuno indietro. Perché la storia non insegna? Tornando al valore aggiunto e alle proposte di flessibilità vanno riportate le parole di R. Parenti, Presidente di Confagricoltura Viterbo-Rieti che descrivono la sua proposta:
«Quando la Ferrero è arrivata, ormai diversi anni fa, era vista come un’opportunità, perché una grande Azienda veniva a lavorare un prodotto locale e portava sicuramente tanta occupazione, sviluppo e valorizzazione della nocciola che è una delle produzioni tipiche dei Monti Cimini con una lunga storia. Dall’altra parte invece la Provincia di Viterbo ha una grande potenzialità per quello che riguarda il settore agroalimentare, ma non sufficientemente sfruttata o utilizzata; va bene la Ferrero, ma forse un consorzio viterbese al quale partecipano gli agricoltori per trattenere il valore aggiunto in zona, per portare ricchezza al territorio, secondo me è il traguardo che ognuno di noi che fa l’agricoltore, ma che poi anche chi cerca di rappresentare gli altri agricoltori si dovrebbe porre: guidarli verso strutture che c’erano nel passato, ma che non avevano le giusta fondamenta […]. Ti faccio l’esempio dell’olio, che in provincia di Viterbo ce ne sono due DOP tra i quali quello di Canino: ci sono una serie di oleifici, quasi uno in ogni paese e che alla fine fanno da semplici raccoglitori per un’Azienda spagnola che lo compra a meno di quello che è il suo valore e lo mischia e lo taglia con quello tunisino o spagnolo stesso [senza valorizzare quello nostrano]».
Parenti proponendo la realizzazione di un consorzio provinciale cerca di scongiurare, o ormai correggere, quello che di fatto sta succedendo con la nocciola e le olive. Il passo successivo, condizionato sicuramente dal pericolo della precarietà, dal cambiamento degli stili di vita e dagli impegni professionali, riguarda la riduzione delle piccole azienda assorbite dalle grandi: nella Tuscia Viterbese resistono le prime, ma è innegabile che nel corso degli anni siano stati acquistati, o presi in affitto terreni e convertiti in noccioleti dalle seconde. Singolare è il caso di un’Azienda, testimoniato da Facebook, che ha addirittura investito nel settore corilicolo in America Latina. Al di là di questo esempio è opportuno ricordare le parole di alcuni sindaci della Bassa Tuscia Viterbese che hanno dichiarato: «Molti dei terreni coltivati a nocciole qui da noi non sono di residenti, ma di gente che viene da fuori. Oltretutto non sempre conoscono bene la zona e non sono conosciuti dai residenti»; probabilmente si può leggere fra le righe che l’unico scopo sia la massimizzazione del profitto utilizzando sempre più terreni e il fenomeno che meglio descrive il contesto è probabilmente quello delle cooperative e una fra tutti è Assofrutti. I corilicoltori si associano per scongiurare soprattutto due problemi legati al prezzo di vendita delle loro nocciole. Il primo (ormai risolto) era quello dei “sensali”, che passavano con i loro “carretti” dopo la raccolta e prendevano il frutto dai produttori per rivenderlo ai grossisti e capitava che truffavano i produttori sul peso, misure e prezzo; il secondo è il potere di acquisto della Ferrero che in quanto maggior acquirente riesce a influenzare il prezzo, perciò le associazioni, ponendosi come intermediario tra questa e i corilicoltori locali contrattano e lo bloccano a favore dei secondi, puntando sulla quantità (il totale dell’ammasso), un vantaggio che il singolo agricoltore non ha. Le organizzazioni dei corilicoltori, vanno poi a sfidarsi tra di esse sul prezzo del punto resa che in ultima analisi deve accontentare produttori e acquirenti.
In questo discorso un appunto a favore della Ferrero è lo stabilimento Korvella di Caprarola che smentisce le “accuse” mosse contro la Multinazionale che si limiterebbe a portar via la materia prima senza apportare alcun valore aggiunto al territorio. L’impianto si occupa di una prima trasformazione (sgusciamento, selezione, crema, granella e vari sottoprodotti) e ad oggi conta un centinaio di dipendenti del posto e delle zone limitrofe e per i piccoli comuni non è un numero irrisorio. Inoltre la Ferrero insieme alle organizzazioni/cooperative assicura un reddito immediato ai produttori, garantisce la sicurezza contro possibili fallimenti davanti al rischio di una scarsa domanda del mercato locale, come anche da un insuccesso di un eventuale impianto proprio di trasformazione e da ultimo apre al costo opportunità, cioè alla possibilità di scegliere un partner con il quale istaurare un rapporto commerciale che lascia al produttore il solo onere della produzione senza dover pensare al dopo.
A fronte di questo prospetto positivo, non si può non considerare l’altra faccia della medaglia. La Multinazionale, sprona gli investimenti, arriva in un momento successivo alla raccolta, ma tutto quello che c’è prima non è affar suo: mancato raccolto, calamità naturali, infortuni, costi imprevisti, manutenzione e acquisto dei mezzi e ecc. sono tutti a carico dell’agricoltore, in piena logica della libertà d’impresa, dimenticando che si sta parlando di un settore fondamentale, ovvero quello agroalimentare. A proposito del Progetto Nocciola Italia si diceva che la Ferrero offrisse assistenza e consulenza alle aziende, ma spesso questo impegno è stato disatteso. Crouch in uno dei suoi scritti (2019) parlando dei lavoratori della gig economy, e questo modo di fare impresa la rispecchia, propone per essi un fondo sociale a carico dell’utilizzatore [31], e secondo l’opinione di chi scrive potrebbe essere integrato da fondi pubblici secondo la proposta del «reddito di contadinanza».
Altro aspetto è quello della globalizzazione. Il rapporto con le multinazionali inserisce la Tuscia Viterbese in una rete di approvvigionamento globale delle materie prime diventandone un nodo. Il dibattito politico del made in Italy e il conflitto politico-militare dell’Abkhazia aprono questo “fazzoletto di terra” a dinamiche di politica interna e geopolitiche inaspettate, diventando terreno fertile per l’indigenizzazione dei flussi culturali globali, o con l’etnografia del sistema-Mondo di G. Marcus (2009), questi spazi globali individuano le loro connessioni con i siti di ricerca, quali il locale osservato e le fonti scritte [32]. Continuando con il ragionamento di Marcus e seguendo la cosa emergono i processi del sistema capitalistico simboleggiato dalla Ferrero, che corre ai ripari da possibili perdite scaturite dalle due cause appena ricordate e sposta denaro (reddito ai corilicoltori), merci (le nocciole), strumenti (consulenza tecnica e mezzi agricoli sempre più all’avanguardia) verso luoghi per essa sicuri e familiari come l’Italia. Viene calato nel Viterbese un modello agroalimentare con cicli di connessioni globali per prodotti comuni come quelli per la merenda dei bambini, o per uno sfizio veloce per gente di ogni età alla cassa di un supermercato prima di pagare il conto.
Il consumo, secondo la logica di mercato, apre nuove rotte commerciali e di approvvigionamento per la Ferrero, rafforza il suo potere economico e rende la corilicoltura viterbese un’attività industriale (A Koensler – P. Meloni, 2019) [33]. Seguendo la trama e la vita, esse aiutano a capire la memoria dei luoghi e di chi lì vive e del modo in cui hanno visto e hanno contribuito a cambiare il paesaggio non solo rurale. Nei paesi come possono essere quelli della Tuscia, la memoria sociale (anima del campanilismo) è “palpabile” passeggiando per le vie, ascoltando i discorsi di chi siede davanti un bar o di chi ha messo a disposizione il suo tempo per questa ricerca. In un simile spaccato si devono ricordare le parole ascoltate e accompagnate dall’azione concreta delle molte associazioni per la difesa e promozione al territorio. Basti pensare anche alla vocazione agricola della Tuscia che non ha ceduto all’urbanizzazione sfrenata mantenendo intatto il patrimonio archeologico conservando nei secoli la Via Amerina che attraversa quei campi di nocciole (P. Rella, 2022): strutture etrusche, paleocristiane e agricoltura sono diventate una sola cosa, le prime hanno assunto la funzione di impianti drenanti e di canali che convogliano l’acqua per uso agricolo e per evitare allagamenti, mentre l’ultima ne ha assicurato la conservazione nel sottosuolo nel corso del tempo [34]. Sempre in questo senso l’esperienza di chi scrive è ricordata nel suo Diario di campo:
«Siamo usciti dal palazzo del Comune e per strada mi indicava cose, mi diceva nomi e mi raccontava aneddoti. Storie, persone, castagne e nocciole sembravano una sola cosa: “Lì, difronte alla tua macchina c’era un grosso magazzino dove si ammassavano le ‘nocchie’, poi ha chiuso e ora c’è la frutteria degli egiziani. La strada è cambiata”».
Seguire la vita pertanto vuol dire riportare l’attenzione alle esperienze degli agricoltori, che sono cresciuti in quei luoghi e ricordano i nonni e i genitori, dai quali spesso hanno ereditato i propri noccioleti e sono preoccupati per la gestione futura: «Ho solo una figlia femmina che non ha la minima intenzione di continuare il mio lavoro, quindi fra qualche anno devo cominciare a pensare seriamente se vendere tutto e andare in pensione». È la storia del mondo che scorre e passa nel Viterbese e Piero di Carlo lo ricorda (2010) ripercorrendo il cambiamento del paesaggio di Vallerano dove nel 1778 c’erano 6 misurelle (0,033 ettari) di “nocchieti” [35] cosa che oggi sembra impensabile.
Seguendo il conflitto, si percorrono le strade della vita quotidiana, delle istituzioni e dei mezzi di comunicazione di massa: la vita dei corilicoltori, dei residenti, le amministrazioni, associazioni, tribunali, uffici legali e giornalisti. Tutto confluisce verso un unico punto di conflitto, la nocciola, aprendo il discorso al tema della salute umana. Oltre a ricordare il controverso articolo della Lodigiani e la Querela delle associazioni, si fa riferimento ad un Comunicato di ClientEarth e LIPU (2023) circa la non potabilità dell’acqua del Lago di Vico legata alla presenza dei nitrati dovuta alla monocoltura della nocciola. Sono stati chiamati in giudizio, al TAR e al Consiglio di Stato, i comuni di Ronciglione e Caprarola, l’Autorità dei Servizi Idrici, l’ASL di Viterbo e prima fra tutti la Regione Lazio che «ai sensi della normativa dell’UE, […] non ha adottato le misure necessarie per evitare il degrado degli habitat protetti nel sito Natura 2000 – Lago di Vico» [36]. Si è davanti a un tema scottante, che i residenti dei due comuni vivono in prima persona e che li costringe a non poter utilizzare quell’acqua, che secondo studi recenti dell’ISDE presenta una grande presenza algale causata dal dilavamento di azoto e fosforo contenuti nei fitofarmaci. Ciò ha prodotto circa 90 microcistine e la LR, secondo l’AIRC, è cancerogena e non viene abbattuta neanche con la bollitura, tanto che recenti studi (da confermare) ne stanno dimostrando la presenza nel cordone ombelicale di donne incinta che hanno bevuto l’acqua: le abitudini quotidiane non possono essere più le stesse.
Per finire con Marcus e pertanto seguendo la metafora, essa permette di comprendere i segni e i simboli che ruotano attorno al sentire comune e alla tonda gentile romana (nocciola simbolo della Tuscia Viterbese). Da qui si aprono temi come la «criminalizzazione ingiusta di noi agricoltori» secondo la dichiarazione di questi davanti ai casi riportati, o alla puntata di Report e all’atteggiamento che qualche anno fa (ora non più) il Biodistretto sembrava avere: si possono citare una donna che disse a produttore dal quale era solita comprare olio: «Ma a Viterbo cosa state combinando?» e il cambio di etichetta di un’Azienda di produzione e trasformazione della nocciola per i suoi prodotti, il cui titolare ha detto che non avrebbe più messo “Prodotto della Tuscia Viterbese”, ma “Prodotto dall’Azienda agricola…”; ha continuato dichiarando che si dicono un sacco di falsità o esagerazioni e che se poi faranno il Deposito Nazionale delle Scorie Nucleari nessuno comprerebbe più i prodotti locali, compreso la Ferrero che non vorrà perdere la faccia fino a tal punto. La tonda gentile romana è anche il vanto di questa terra insieme alla castagna, e senza dimenticare l’olio e il vino, secondo il progetto di promozione, ricerca e informazione del Distretto Agroalimentare dei Monti Cimini che ha mosso ufficialmente i suoi primi passi nel settembre 2023 e prima di esso, è celebrata da sagre e feste che non sono solo folclore, ma eventi culturali e di valorizzazione dei prodotti, del territorio e in ultima analisi del turismo.
Da quest’ultima prospettiva si apre il discorso al sapere esperto e in tal senso i gruppi che nascono, operano diverse forme di attivismo concreto per amore della propria terra e del proprio lavoro e vanno a riempire il sapere troppo spesso inoperoso delle associazioni di categoria che non prendono posizione difronte ai problemi e che, nonostante la buona volontà dei singoli (in molti hanno fatto il nome di Parenti mostrando stima nei suoi confronti), rimangono bloccati in dinamiche ideologiche e politiche. Secondo la testimonianza di un agricoltore di Civita Castellana, lui insieme ad altri colleghi suoi compaesani e di Nepi hanno dovuto organizzare da soli e sostenere autonomamente le spese per le analisi sulle acque andando a dimostrare la loro innocenza circa l’inquinamento dei fossi e dei pozzi. Fu segnalata così la presenza di sostanze nocive che provengono da usi umani e domestici (prodotti per l’igiene personale e per la casa, scarichi e zanzaricidi in estate), denunciando il mal funzionamento dei filtri e dei depuratori, per non parlare dei dearsenificatori, indispensabili a causa della presenza del tufo. Questa era pure la situazione di uno dei fossi al di sopra di una falda dell’Acqua di Nepi.
Sempre in relazione al sapere entra in gioco quello promesso e disatteso della Ferrero che si è defilata non appena la Regione Lazio ha abbassato la guardia, nonostante i tentativi del Biodistretto di intavolare un confronto costruttivo. C’è pure il sapere di quest’ultimo che offre perizie continue e la pubblicazione settimanale di bollettini con l’indicazione dei trattamenti (e non solo) adatti per le coltivazioni sia biologiche che convenzionali di difesa integrata. Ciò è prova del suo sapere e nel contempo che non è un antagonista dei produttori, ma un interlocutore per il bene della produzione stessa e della salute umana attraverso una gestione consapevole delle colture. Dalla lettura dei bollettini si comprende la conoscenza interdisciplinare che ormai deve contraddistinguere chi opera nel settore primario, dato confermato nelle interviste dove si utilizzavano termini tecnici menzionando prodotti e principi attivi. Tra l’altro per la somministrazione delle varie sostanze occorre un patentino, rilasciato alla fine di un apposito corso e che va rinnovato ogni quattro o cinque anni. Spesso accade (senza generalizzare) che le indicazioni non sono tenute in considerazione dagli agricoltori per hobby se non si affidano a quelli di mestiere o a consulenti del settore, agendo come meglio credono, fino ad arrivare alla «criminale» somministrazione a calendario dei fitosanitari, vale a dire anche quando non servono secondo un eccesso di precauzione ed è un segno del non sapere che i trattamenti al nocciolo se ne fanno generalmente solo tre all’anno, tra maggio e luglio, gettando discredito sull’intera categoria. Il poco lavoro che il nocciolo richiede rispetto ad altre coltivazioni, ha trasformato i paesaggi rurali riportando alla memoria le vigne di Vignanello e le patate di Corchiano. Negli anni ’80 molti dei residenti in questi comuni trovarono lavoro a Roma come portinai di palazzi e questo nuovo impiego impediva loro di continuare a curare le terre nel paese di origine, così che pensarono di sostituire le vecchie colture che richiedevano un grande dispendio di energie e tempo, ormai non più disponibili, con qualcosa di meno impegnativo, ma redditizio: la nocciola.
Un ultimo aspetto riguarda l’agricoltura biologica: c’è chi sostiene che il futuro deve essere così, chi invece continua a essere scettico, c’è chi è preoccupato per il reddito necessario al proprio sostentamento, chi per le esternalità negative di un’agricoltura convenzionale senza regole e chi ritiene che con essa non ci sarà abbastanza cibo e mentre in Europa «si farà giardinaggio», in Asia e in America continueranno per la loro strada tanto da produrre il necessario per tutti. Probabilmente il biologico nel breve periodo comporta una riduzione delle esternalità negative e della produzione fino al 30%, ma nel lungo periodo preserverà il settore con il suo reddito e la storia ne è testimone. Il Nord America infatti nella prima metà del ‘900 era diventato il granaio del mondo grazie alla coltivazione industriale, che per contro a lungo andare ha causato un impoverimento del suolo, tempeste di polvere, desertificazione e quindi sottrazione di terreno all’agricoltura. Per molti anni si pensò ad una semplice catastrofe naturale, ma con l’avvento dei movimenti ambientalisti il fenomeno fu interpretato quale conseguenza dell’attività umana nel nome del libero mercato e dell’attività agricola intensiva [37]. Se si volesse far riferimento ad uno scenario nazionale, i dissesti idrogeologici, che mesi fa hanno colpito l’Emilia – Romagna, sono anche la conseguenza di un uso massiccio della chimica che ha reso il terreno impermeabile e incapace di assorbire acqua. Il dilemma è quindi davanti agli occhi di tutti e deve accendere il dibattito politico e l’opinione pubblica.
Gli amministratori della Bassa Tuscia Viterbese
Occorre un’ampia presentazione della realtà politica locale e anche se può sembrare lontana dall’oggetto di ricerca, è essenziale per poterne capire il collegamento e per coglierne gli elementi di continuità o di rottura con la Postdemocrazia. Un dato di fatto è che la politica, a qualsiasi livello, con i suoi politici o amministratori frequentemente sottostà alle logiche del consenso. In tal senso nei comuni medio-piccoli come quelli della Tuscia Viterbese si guarda alla persona piuttosto che all’orientamento ideologico, cioè alla storia personale e alle relazioni che nel tempo sono state costruite e spesso è per questo motivo che si preferisce formare una lista civica, piuttosto che presentarsi alle elezioni con il simbolo di un partito ben preciso. Questo avviene perché gli elettori guardano in faccia i propri amministratori, sanno chi sono e il confronto è diretto anche andando ad incontrarli nei luoghi della quotidianità. Questa è una realtà confermata dalle parole del dott. M. Amori, Sindaco di Sutri, che dal parcheggio al Municipio impiega a volte un paio d’ore e non perché la strada sia molta, ma a motivo della gente che lo ferma. Per di più il lavoro del Sindaco non finisce con i suoi concittadini, ma continua anche con pratiche burocratiche e di partito, ma fermando l’attenzione sui cittadini, essi vivono situazioni e vite diverse e uno degli amministratori incontrati, alla domanda se fosse preoccupato del possibile collasso del mercato della nocciola e se concretamente si poteva pensare ad un fondo comunale o intercomunale per correre ai ripari, ha risposto: «Più che sensibilizzare ad avere una progettualità, una visione a lungo termine, mostrare i vantaggi della biodiversità, cosa dobbiamo fare? Noi non possiamo pensare solo ai corilicoltori; in un Comune c’è tanta gente e dobbiamo pensare un po’ a tutti con i mezzi e con le risorse che abbiamo a disposizione». Può sembrare una risposta cinica, ma di fatto i comuni non hanno grandi risorse su cui contare e quindi sono chiamati a ridistribuirle in modo equo e a fissare priorità.
Da questi esempi emerge la teoria e con essa Crouch sottolinea un aspetto importante per la politica locale italiana che può essere confusa con il movimentismo scettico nei riguardi della politica stessa. Il sociologo muove il suo pensiero da una critica a uno studio di R. Putnam: «[Questi fa] un resoconto piuttosto idealizzato di come in varie zone d’Italia forti valori e prassi di cooperazione e fiducia all’interno della comunità si siano sviluppati fuori dalla sfera statale. Gli studiosi italiani sottolineano però come Putman trascuri il ruolo fondamentale dell’attività politica locale» [38]. È palese come quest’ultima si serva della forza popolare dei movimenti, o dei singoli, quali strumento di ancoraggio al territorio dove il contatto politico/amministratore – cittadino/elettore è diretto e continuo, faccia a faccia o sui social laddove vengono postate comunicazioni, traguardi del programma elettorale, elogi e critiche, al punto che alcuni degli intervistati hanno suggerito all’osservatore di seguire la loro pagina: «Se mi segui su Facebook puoi vedere le nostre proposte e attività e forse c’è pure qualcosa che può interessarti». Ancora, la ricerca etnografica in un certo senso contraddice ciò che il sociologo britannico asserisce in Postdemocrazia circa il personalismo, dove a suo dire esso è tipico delle dittature e di quei sistemi partitici poco sviluppati [39]. Il confronto politico in queste piccole realtà è tutt’altro che poco sviluppato ed esso è all’ordine del giorno e la competizione elettorale del leader, del candidato Sindaco, assume le fattezze di una ricerca di personalità di carattere e con una buona reputazione. Per scavare nella vita dei candidati, tentando di dimostrare il contrario basta il parlare schietto dell’opinione pubblica: chiacchiere da bar o dibattito politico? Non c’è una vera risposta perché il confine è sottile e le due cose quasi inscindibili.
Passando a uno sguardo più ampio e ritornando alla specificità del focus della ricerca, l’indagine ha menzionato più volte la Regione Lazio. La vicenda “Ferrero e le nocciole della Tuscia Viterbese” muove i suoi primi passi con la Giunta Zingaretti, di centro-sinistra coinvolta nell’espianto degli ulivi, nel Progetto Nocciola Italia, nell’inerzia rispetto alle conseguenze della monocoltura sulle acque del Lago di Vico e nel silenzio che ne è seguito a fronte degli impegni presi e poi disattesi dalla Multinazionale; l’attuale Giunta Rocca, di centro-destra, per ora sembra tacere sul tema e a giudizio di chi scrive non senza consapevolezza se si guarda alle forti politiche a livello nazionale del Governo con lo stesso orientamento ideologico, che pongono l’accento sul made in Italy qui rappresentato dalle nocciole locali e dalla Ferrero. Per quanto riguarda la Provincia di Viterbo all’epoca della puntata di Report era guidata da P. Nocchi, Sindaco di Capranica, mentre ora da A. Romoli, Sindaco di Bassano in Teverina, con il quale, a causa di impegni, non è stato possibile realizzare un incontro e in definitiva c’è stato solo uno scambio di messaggi sufficienti a confermare, salvo qualche piccola variazione, l’attuale validità delle Linee guida provinciali per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari in agricoltura e per l’adozione di regolamenti comunali o intercomunali dove si affrontano questioni sulla normativa nazionale (PAN), i soggetti coinvolti, controlli, registri, formazione, informazione, rischi, DPI e la ripartizione delle competenze secondo la logica della sussidiarietà.
Per questo aspetto viene in aiuto quanto dichiarato dall’ex-Presidente della Provincia nella puntata di Report dove sosteneva che a fronte di una linea di mediazione con tavoli di confronto tra le parti in causa, occorrevano urgentemente delle Linee guida provinciali e formazione per compensare la scarsità dei mezzi per il controllo e in grado di mettere i comuni nelle condizioni di poter fare i propri regolamenti chiari e rispettabili effettivamente [40]. I singoli comuni da parte loro, hanno i propri regolamenti e le ordinanze che, in molti casi sono di tipo restrittivo rispetto il PAN. Una delle problematiche più care sono le distanze dai confini, dalle strutture (ad esempio scuole e parchi pubblici) e dai corsi d’acqua o pozzi, da rispettare quando si utilizzano prodotti fitosanitari. Ciò che si cerca di fare è tenere vivo l’equilibrio tra la salute umana e la concretezza del lavoro agricolo fatto da appezzamenti di terreno che molto spesso sono piccoli e quindi stabilire distanze troppo ampie vieterebbe a priori l’utilizzo di quelle sostanze comunque consentite dalla legge nazionale. Al contrario se troppo modeste potrebbero mettere a rischio la salute e la sicurezza dei residenti e di chi lavora in quei luoghi.
Un caso di equilibrio sembra essere quello del Comune di Sutri che con un’Ordinanza sindacale (15 giugno 2023) ha ridotto l’ampiezza del raggio oltre il quale è possibile la somministrazione dei prodotti menzionati, andando a modificare quanto stabilito dal precedente Regolamento della vecchia Giunta, considerato troppo stringente. Parlando ancora di distanze emerge un ulteriore problema ossia l’abusivismo edilizio che, ha caratterizzato il secondo ‘900 non solo nel Viterbese, ma in tutta Italia; un consigliere comunale che ha accompagnato chi scrive dall’ufficio dei Vigili urbani a quello del Sindaco e rimasto per quasi tutto il colloquio con quest’ultimo, ha dichiarato: «Le case che oggi sono a ridosso dei noccioleti, in zona ad uso agricolo, sono sorte trasformando vecchie strutture rurali come quelle per la rimessa degli attrezzi e poi condonate». È stato fatto capire, che chi vive in quegli edifici poteva e doveva immaginare a cosa sarebbe andato incontro ed è stato detto con altrettanta chiarezza: «Di fatto condizionano la normativa comunale e il lavoro, come pure la reputazione, dei corilicoltori». Non si sta giustificando l’uso indiscriminato della chimica, ma che ora si deve fare i conti con quelle abitazioni condonate.
Un altro aspetto riguarda l’acqua, che di per se è già un problema a causa della forte presenza di arsenico dovuta al terreno tufaceo che qualifica il Viterbese e alla siccità connessa alla crisi climatica odierna; i regolamenti vietano di utilizzare l’acqua delle fontane per preparare i composti chimici da somministrare alle piante, stabilisce per la somministrazione distanze dai fossi e dai pozzi, distinguendo quelli che alimentano l’acquedotto da quelli privati, e proibiscono di disperdere nell’ambiente e nelle fognature l’acqua contaminata usata per il lavaggio di contenitori e attrezzature. Un caso in tal senso è quello dell’Ordinanza del Sindaco di Nepi F. Vita che lo ha condotto in giudizio davanti al TAR uscendone vincitore; la linea è quella adottata dal Biodistretto, ma adeguata alla situazione contingente del suo Comune e cioè affrontando il problema della coltivazione industriale del nocciolo e il conseguente rischio dell’inquinamento delle falde acquifere da cui attinge l’Acqua di Nepi e quindi in quei particolari siti ha autorizzato la sola agricoltura biologica. Sempre in riferimento ai regolamenti è prevista una serie di accorgimenti che vanno dalla domanda di inizio somministrazione da presentare al Comune, alla cartellonistica da esporre che non sempre è ben visibile, e ai tempi (carenza, persistenza ambientale e di rientro) non solo per la salute pubblica generale dei residenti e dei consumatori, ma anche dei corilicoltori e della biodiversità animale e vegetale. Può sembrare un elenco di cose da fare, adempimenti e accorgimenti, ma in realtà è collegato al tema del controllo sul territorio; se esistono le regole deve esserci chi le fa rispettare e chi si accerta che ciò avvenga. Fondamentalmente è compito dei Vigili Urbani e dei Carabinieri, ma purtroppo come spesso accade questi sono chiamati a dare delle priorità alle loro attività che rispecchiano, secondo un principio di realtà quanto si ha a disposizione in termini di personale, mezzi e risorse economiche. È stato dichiarato apertamente in un Comune che nessuno controlla a meno che non ci siano segnalazioni o non si è colti in flagrante. Per contro ci sono amministrazioni che richiedono le verifiche in modo costante e severo. Spesso i controlli devono contare sulla dedizione dei singoli membri delle forze dell’ordine ed è il caso virtuoso di uno dei due vigli urbani di Gallese. Esiste poi un’altra circostanza che è quella del conflitto di interessi degli amministratori e dei controllori, poiché possiedono noccioleti o perché questi sono di parenti o amici.
Riprendendo il discorso del consenso, sempre caro alla politica, i primi interlocutori degli amministratori sono i propri cittadini, nella veste di corilicoltori e tutti gli altri, dovendosi muovere ancor una volta con grande prudenza e abilità nelle pieghe del compromesso, ma prima è necessaria una premessa su quella che si può etichettare come “inconsistenza elettorale”. La Provincia di Viterbo è la seconda più estesa del Lazio dopo Roma, ma la quarta per residenti prima solo di Rieti. Su 307.446 residenti, quelli con diritto di voto sono circa 200.000 e data l’affluenza alle elezioni regionali di febbraio 2023, poco sopra al 44%, hanno votato grosso modo 88.000 elettori pari a un quartiere medio-piccolo di Roma. Le cose non sarebbero state molto diverse anche se avessero votato tutti gli aventi diritto e va riconosciuta scarsa incidenza sugli andamenti politici, nazionali e regionali, e conferma il fatto che questa Provincia ha solo tre consiglieri in Regione (due di maggioranza e uno di opposizione) su un totale di cinquanta. Ritornando al discorso sul consenso e conoscendo questo nuovo dato che può spiegare l’atteggiamento delle giunte regionali nel corso del tempo, gli aspetti da tenere in considerazione sono molteplici, ma al centro del problema ci sono la salute umana, la tutela ambientale e il reddito. In questi fragili equilibri non mancano i risvolti legali e un esempio è quello di un’Associazione nei confronti del Sindaco Piersanti dopo la sua Ordinanza (2018) con la quale si vietava e vieta l’uso del gliofosato in tutto il territorio comunale di Gallese; si cercò di non dare grande risonanza all’accaduto che però vide ben presto il sostegno di alcuni residenti dei paesi vicini (Soriano nel Cimino, Bomarzo e Chia) e l’offerta di consulenza legale gratuita da parte di un Avvocato di Civita Castellana.
Per approfondire il discorso circa la conciliazione, si può tentare di farlo con un principio ricavato dal diritto comunitario e recepito da quello amministrativo italiano tanto da regolare le attività di governo, a tutti i livelli e in tutti i suoi settori: il principio di precauzione. Esso a livello internazionale è riconosciuto nella Dichiarazione di Rio e dall’Organizzazione Mondiale del Commercio dove, parlando della tutela dell’ambiente si chiede agli Stati di adottare tutte le misure necessarie anche davanti ad una insufficiente evidenza scientifica e di continuare la ricerca dei dati oggettivi per colmare le lacune conoscitive nel quadro del sapere esperto. Questo è ciò che ha condotto i comuni del Biodistretto all’imposizione del divieto dell’uso del glifosato e dei i suoi derivati, come pure dei neocotinoidi, su tutto il territorio comunale. Per contro alcuni agricoltori contestano tale decisione e hanno dichiarato: «Il glifosato? Se tanto non lo utilizziamo noi lo utilizzano altrove. In Canada, visto che le temperature sono troppo basse, circa venti giorni prima della mietitura lo danno al grano per farlo seccare, poi lo vendono a noi». Altri invece, escludono l’utilizzo del controverso prodotto, sostenendo che le nuove attrezzature altamente tecnologiche aiutano il lavoro agricolo, lo velocizzano e rispettano l’ambiente se pur a fronte di costi maggiori che devono in qualche modo essere ammortizzati e di scarsi incentivi pubblici incoraggianti in tal senso.
Pare essere una questione di sensibilità, di percezione del problema/opportunità e di possibilità economiche, sia delle amministrazioni che degli agricoltori. I trattati UE dal canto loro, ampliano il principio di precauzione rispetto al suo ambito generale delle politiche ambientali e lo applicano a garanzia della salute umana, della sicurezza alimentare e dei diritti dei consumatori. Questo principio incide sull’attività dei privati, qui dei corilicoltori, destinatari delle ordinanze e dei regolamenti più volte citati, ma essendo anche loro cittadini con doveri e diritti la precauzione deve essere accompagnata dal principio di proporzionalità, che stabilisce mezzi idonei per prevenire danni, per pensare misure meno restrittive in vista del fine e per il bilancio costi/benefici (non solo economici) dove i secondi devono prevalere sui primi: il lavoro è senz’altro difficile. Gli amministratori, facendo i conti con la realtà, devono scegliere una linea di condotta che stabilisca le priorità e cosa invece è “sacrificabile”, con la consapevolezza che spesso il compromesso (mai nel mezzo) è il fine da raggiungere. La politica viterbese, con le sue risorse, è chiamata a fare la sua parte tra tutte le istanze in gioco (la Ferrero con le sue lobby, i corilicoltori, i residenti più o meno consapevoli, le associazioni, i gruppi d’interesse e i consumatori), dove qualcuno rimarrà sicuramente scontento. E. Morin (2001) concentra tutto questo in una frase: «La Democrazia presuppone e nutre la diversità degli interessi come la diversità delle idee» [41], ma si può aggiungere che spesso è pregiudicata per la mancanza di risorse che obbliga a determinate scelte e pertanto libere e democratiche solo apparentemente o in parte.
Casi originali di questa vicenda sono il Biodistretto e il Distretto Agroalimentare: entrambi sono espressione di una chiara politica locale che consentono al presente studio di rileggere e riformulare le affermazioni di Appadurai in Modernità in polvere nel seguente modo: “i municipalismi nei comuni della Bassa Tuscia Viterbese possono fondarsi su forme di campanilismo che non sono né esclusivamente né fondamentalmente di tipo territoriale in senso stretto e mentre i singoli comuni entrano in crisi perché non hanno incisività (troppo piccoli e nella politica regionale e nazionale elettoralmente inconsistenti), ci si può certamente aspettare che gli elementi di un immaginario postcomunale siano già presenti” [42]. Le amministrazioni locali mettono in atto una nuova modalità di fare politica, di costruire il bene comune e di affrontare i problemi che nel caso specifico guardano alla nocciola e a tutto quello che ruota intorno ad essa senza dover ripetere quanto detto fin qui. Si vedono in questi tentativi le politiche di concerto collegate al Biodistretto considerato l’Assessore all’Ambiente e all’Agricoltura dei tredici comuni che vi hanno aderito. Se ciò fosse vero o no, è comunque lo strumento in grado di dare continuità nel tempo alle idee e di dialogo condiviso nei e tra i consigli comunali, superando l’isolamento dei piccoli centri e delle logiche faziose di partito diventando una forma di governance transcomunale, che consente di dare voce a chi non ne aveva, o tuttavia era troppo debole per porsi come interlocutore con i “grandi” sia a livello istituzionale che economico.
Agricoltori e amministratori che hanno sposato questa linea di riflessione e di intervento vedono un nuovo modo di fare politica e forse U. Beck (2017) avrebbe visto in questo tentativo gli elementi della «metamorfosi» e riformulando anche il suo pensiero “degli spazi d’azione non più circoscritti in un quadro municipale, ma a differenza di quello che sostiene ancora di tipo istituzionale” [43]. In questa organizzazione, che qui la si sta guardando attraverso il suo legame con le istituzioni, si ritrovano contemporaneamente le istanze democratiche anche se in modo indiretto e quelle del sapere esperto rappresentato dal comitato scientifico composto da medici, biologi, agronomi e ricercatori dell’Università della Tuscia per poter affrontare temi di un certo tipo e spesso con caratteristiche estremamente tecnico-teoriche. Gli agricoltori però lamentano la loro poca partecipazione e coinvolgimento diretto e in definitiva la mancanza di competenze tecnico-pratiche tipiche del settore agricolo, non solo nel comitato scientifico, ma anche nelle decisioni politiche: «Non vogliamo sostituire nessuno, ma chiediamo di essere consultati sui temi che ci riguardano direttamente». Questa sembra essere una formula a metà strada tra la Democrazia rappresentativa e quella diretta, o addirittura tra la Democrazia e l’Espertocrazia con il suo sapore postdemocratico.
Si devono pure ricordare le accuse sollevate contro i corilicoltori, sempre in riferimento alla politica locale, alle quali questi rispondono appellandosi ai loro diritti, cercando di dimostrare la propria innocenza davanti un’opinione pubblica avversa su temi ambientali, attenta alla qualità dei prodotti e forte della propria percezione della realtà. Gli agricoltori perciò interpellano le istituzioni, rendendosi protagonisti delle istanze democratiche e della società. È questa tensione ottimale fra le parti (non in modo esclusivo) a rendere visibili i rischi, tradotti come problemi dove ognuno può e deve assumersi la propria responsabilità e avviare il dialogo che a volte è sordo e fatto di riscontri assenti da tutte le parti.
Un caso riguarda il Lago di Vico, per il quale i corilicoltori, accusati del disastro dell’eutrofizzazione delle acque e tutto ciò che è ad esso collegato, chiedono risposte alla politica su quanto abbiano inciso gli scarichi comunali con depuratori non sempre funzionanti e soprattutto la caserma abbandonata di Ronciglione che produceva fino alla Seconda Guerra Mondiale veleni come iprite, arsenico, fosgene e admsite. Anni fa, prima della bonifica, furono trovate cisterne in pessime condizioni e un tubo dal quale ancora fuoriusciva del liquido nero. Non sono mancate interrogazioni parlamentari, prima fra tutti quella dell’allora senatore Crucianelli e appelli al Governo da parte dell’on. F. Battistoni (viterbese anche lui) al Ministro dell’Ambiente S. Costa. Una vicenda cominciata lontana nel tempo e dimenticata fino al 1996 e rinvenuta per caso da un ciclista. Essa ha suscitato moltissimi quesiti e dubbi ancora irrisolti, ma che coinvolge una certa politica nazionale, forse con la complicità degli amministratori locali, o viceversa. A questo punto il dubbio è se si sta gettando la responsabilità dell’inquinamento sul lavoro dei corilicoltori per nascondere la mala gestione pubblica di una struttura militare altamente pericolosa, ma fino ad oggi ancora non c’è una risposta (Camilli, 2020) [44].
Per concludere il quadro, e per fare una sorta di sintesi, dal punto di vista politico e della gestione pubblica va assolutamente ricordato che in provincia di Viterbo sono in atto tre conflitti ambientali e in ordine cronologico il terzo (anno di inizio 2015 e ancora in corso) riguarda proprio la monocoltura delle nocciole interpellando tutti i protagonisti quali i comuni, il Biodistretto, gli agricoltori, le associazioni e la Ferrero. Si dice che i comuni maggiormente esposti siano Caprarola e Ronciglione che hanno dovuto emettere ordinanze di non potabilità dell’acqua del Lago di Vico a causa della forte concentrazione di sostanze derivate dal dilavamento dei fitosanitari, oltre all’arsenico presente naturalmente e in particolare per l’uso del glifosato che invece è ormai vietato nei comuni del Biodistretto (J. Martìnez Alier, 2024) [45]. In nome della completezza va aggiunto a proposito del Lago il punto di vista di Legambiente, Goletta dei laghi: nonostante quanto sostenuto fin qui e i problemi emersi circa le sue acque, esse nei tre punti principali di balneazione e considerati più critici per la presenza di scarichi, risultano con un inquinamento entro i limiti e i livelli sono rimasti invariati negli ultimi tre anni e quasi un obbligo è il paragone, con l’altro Lago della stessa Provincia, ossia quello di Bolsena che invece presenta criticità e inquinamento (Legambiente, 2022, 2023 e 2024) [46].
La multinazionale della Nutella
La Ferrero è il soggetto rappresentativo dello spazio economico calato in quello geo(etno)grafico della Tuscia Viterbese. Essa è un esempio di impresa del capitalismo familiare italiano e per conoscerla è opportuno far riferimento al libro di G. Padovani (2014). Il testo analizza ed esalta la Multinazionale, la famiglia che le ha dato il nome, i personaggi chiave con le loro doti imprenditoriali e le strategie che le hanno aperto la strada verso il successo.
Nell’Introduzione Padovani delinea il contesto socioculturale degli anni ‘60 in Italia, periodo del “sogno americano all’italiana” e celebra i cinquanta anni del prodotto simbolo dell’Azienda, ovvero la Nutella, dal nome evocativo e familiare in tutta Europa e nel Mondo, che le ha permesso di superare ostacoli e spopolare in mercati difficili, come quello tedesco con abitudini alimentari diverse rispetto a quelle italiane [47]. A tal proposito facendo un salto in avanti nel libro e continuando a guardare il caso della Germania, qui la Ferrero arrivò negli anni ‘50 riconvertendo gli stabilimenti bellici di Allendorf voluti da Hitler e prima della Nutella (è a Francoforte che fu ribattezzata da Michele con questo nome) il mercato tedesco fu conquistato a sorpresa da un altro prodotto Ferrero: il Mon Chéri[48]. La crema spalmabile, a detta dell’autore, oltre ad essere il marchio di un gusto che passa da una generazione all’altra, prodotto di massa, socializzante, icona del made in Italy, è un vero modello di creatività imprenditoriale. I segreti del successo sono il pane, elemento tipico della cucina italiana con il quale la Nutella genera abitudine e familiarità, la Old Economy che non le fa perdere di vista i prodotti, la socialità che passa attraverso la rete social e infine il family business che rende l’Azienda salda nelle sue radici familiari e territoriali nonostante la delocalizzazione. La Ferrero riprende le categorie antropologiche della presente indagine: cultura, simbolismo, abitudini alimentari, cicli di connessine globale e flussi culturali globali diventando un caso di ricerca etnografica.
Il trasformato di punta è ancora oggi, senza il minimo dubbio, la Nutella, contenente il 13% di nocciola sul totale degli ingredienti (approssimativamente 50% zucchero, 20% olio di palma e quasi 9% cacao), ma serve lo stesso frutto a guscio anche per tanti altri suoi prodotti che sono riusciti ad ampliare il successo della crema sul pane, anche in quei luoghi dove quest’ultimo elemento, tipico della cucina mediterranea, non viene utilizzato. Nel Viterbese, molti dei trasformatori della materia prima tentano di “imitare” il successo della Nutella, ma allo stesso tempo cercano di superarla, o di compensarne la distanza sul mercato, realizzando creme di altissima qualità: Luca di Piero di Civita Castellana che ne produce una con il 70% di nocciola, o con il 60% e cacao al 14%, ci sono poi la Fattoria Lucciano anch’essa di Civita Castellana, che produce una crema di nocciole biologiche proprie, DeaNocciola di Gallese che utilizzando materia prima altrui, ha optato per un’estensione di linea e ha iniziato a vendere nei grandi supermercati e Nellina di Caprarola con la sua crema abbastanza liquida ai gusti classico, caffè e senza glutine. Se ne potrebbero citare anche altri, ma il nodo dove soffermarsi è che tutte utilizzano solo materia prima locale, sia biologica che non, mentre la Ferrero essendo una multinazionale ha un approvvigionamento diversificato su scala planetaria e uno dei nodi di questa rete di connessioni globali è proprio la Bassa Tuscia Viterbese, nella quale tornano le nocciole trasformate altrove negli stabilimenti del Gigante agroalimentare.
Quando la Nutella è sugli scaffali dei supermercati locali e poi sul pane non ha più né l’odore, né il sapore del lavoro dei corilicoltori o della terra viterbese; forse il Duplo mangiato in Turchia ha tre nocciole viterbesi e quello in Francia altrettante turche, andando così a mordere un frutto ormai “smarrito”, ma riconosciuto perché contrassegnato dal nome Ferrero. Ancora legato al successo della Nutella è il sapore inconfondibile; esso sembra un aspetto lontano dalla coltivazione vera e propria della nocciola, ma in realtà è il fattore che contraddistingue la cura della pianta e la lotta alla cimice con sostanze biologiche o chimiche ne diventa il simbolo. Anche qui un caso concreto richiama alla dimensione globale e a una particolare forma di indigenizzazione (di specie animali), ovvero la cimice asiatica e del suo antagonista naturale che è la vespa samurai. Dal cimiciato (quantità di punture dell’insetto su un campione) dipende la classificazione delle nocciole al momento dell’ammasso e di conseguenza il prezzo di mercato con cui vengono vendute dagli intermediari alla Ferrero. Nell’iconico barattolo il sapore finale, immutato nel tempo grazie ai correttori utilizzati dall’industria alimentare, va ad incidere e a qualificare il lavoro dei corilicoltori viterbesi. Infine, sul primo aspetto evidenziato da Padovani, c’è da dire che la scelta della Multinazionale per le nocciole prodotte dall’agricoltura convenzionale, escludendo le biologiche, è per non avere due linee di produzione che potrebbero mettere in crisi il mercato davanti la domanda dei consumatori più esigenti.
Il secondo aspetto è l’attenzione ai prodotti dolciari che hanno caratterizzato le strategie imprenditoriali dell’Azienda, ma dal 2015 sotto la guida di Giovanni la spregiudicatezza ha fatto la sua comparsa. L’Old economy che ha contraddistinto l’attività del nonno Pietro, dello zio Giovanni e del padre Michele si è adattata al mercato, tanto che nel 2015 sono stati rilevati diversi comparti di aziende concorrenti e mentre molti marchi italiani vengono ceduti a interessi stranieri, la Ferrero percorre la strada opposta sfidando i grandi gruppi sul loro stesso terreno, quello della competizione globale [49]. La Multinazionale esce dalla confort zone nella quale è diventata un colosso, per crescere ancora, ma rimanendo salda nel suo settore agroalimentare dolciario. La sua politica di diversificazione degli approvvigionamenti e di acquisizioni di aziende concorrenti e satelliti a livello planetario ha posto, come detto più volte, la provincia di Viterbo in un circuito di connessioni globali che probabilmente fino agli anni ‘80 e ‘90 del Secolo scorso neanche immaginava. Appare chiara una scarsa valorizzazione del prodotto e del lavoro che esso richiede e ne sono una prova le proteste (in tutta Europa) contro i prezzi sempre più bassi con cui vengono acquistate le materie prime agricole rispetto ai prezzi con cui i trasformati vengono commercializzati. Infatti, all’inizio di febbraio 2024 i corilicoltori della Tuscia Viterbese, insieme agli agricoltori in generale, si sono uniti alla “Protesta dei trattori” bloccando il casello autostradale di Orte A1 e l’E45 Viterbo-Cesena.
Per l’aspetto social e la socialità è possibile parlarne riconducendoli al marketing. Ma prima si deve far riferimento alla predilezione della nocciola che divenne elemento evocativo: essa nel 1946 fu scelta per la crema, che all’epoca si chiamava Giandujot, per risparmiare dato che il cacao costava troppo e così quel gusto divenne popolare nel senso che poteva essere per tutti senza distinzioni, diventando un elemento socializzante e ideale. Oggi continua ad essere tale, non più per la scelta del frutto che nel passato ha abbattuto i costi, ma probabilmente per il gusto e per familiarità. Per la dimensione pubblicitaria si può asserire che essi sono legati al nome Ferrero (ciò va letto insieme al family business) e agli attenti slogan e probabilmente il più famoso è «Che mondo sarebbe senza Nutella» proponendo un cibo adatto a tutti, universalmente riconosciuto, attraverso un linguaggio semplice e con significati immutati nel tempo (dal 1946 ad oggi quando ancora si chiamava Giandujot e poi Supercrema) e nello spazio (dalle Langhe al Mondo).
Viene spontanea una proiezione che offre un passaggio antropologico e antropico: se il mondo senza Nutella non sarebbe più lo stesso, questa verità dovrebbe valere anche per la Tuscia Viterbese e visto che nut (in italiano noce o frutto a guscio in generale) in questo caso specifico vuole indicare proprio nocciola (hazelnut) si potrebbe dire “Che Tuscia sarebbe senza nocciola” aprendo scenari di ricerca capaci di stravolgere società, politica ed economia. Proseguendo, una campagna pubblicitaria di qualche anno fa, per l’esattezza del 2020, si presentò con la special ediction dal nome Ti amo Italia. Vennero messi in commercio vasetti della Nutella con su fotografate trenta meraviglie nazionali, tra le quali Civita di Bagnoregio (non è nella Bassa Tuscia Viterbese, ma pur sempre nella stessa provincia) proponendo la valorizzazione dei luoghi e animando una sorta di orgoglio nazionale. Il Biodistretto polemizzò nei confronti di questa iniziativa e indirettamente lo fece pure nei confronti del Sindaco di Bagnoregio a colpi di slogan, invitandolo ad essere solidale con quei comuni che subiscono l’atteggiamento coloniale e disinteressato della Ferrero con l’inciso (2020) «“Il borgo morente di Civita”, ricorda “il Lago di Vico morente”» [50] che evidenzia la contraddizione, ovvero la promozione delle bellezze nazionali da una parte e la loro degradazione dall’altra.
Infine il quarto aspetto conduce al marchio, che aleggia nel Viterbese, che ha entusiasmato amministratori e produttori perché visto come opportunità e risorsa, ne parlano giornali, TV, residenti e esperti, ma non compare in modo esplicito neanche nel caso del piccolo stabilimento di produzione Korvella tanto che è stato difficile ricostruirne la storia. La Multinazionale è silenziosa, si serve di intermediari senza rivolgersi ai singoli corilicoltori, rende anonime le nocciole e così pure il lavoro degli agricoltori viterbesi confondendoli con quelli del resto del mondo. Una delle intervistate si chiede: «La Loacker da noi dicono compri solo il 5% delle nocciole [contro il 75% della Ferrero] eppure nel suo museo a Linz, in Austria, c’è un angolo dove si parla della Tuscia Viterbese e del suo prodotto. Perché la Ferrero non lo fa?». Secondo alcuni è a causa dell’ostilità che trova sul territorio o perché ha una pluralità di fonti di approvvigionamento, ma le risposte non soddisfano il quesito altrimenti dovrebbero essere applicate parimenti alla Loacker. A giudizio dell’osservatore sembra più plausibile una scelta di base associata al marchio e alla storia dell’impresa che è legata al nome della famiglia e dei suoi prodotti che devono essere popolari. A tal proposito Padovani fa notare la mancanza di personalità del cinema e della TV, preferendo sportivi e personaggi animati nelle pubblicità perché il marchio Ferrero deve essere forte, riconoscibile, eloquente e bastare a se stesso. Per chiudere il cerchio è evidente che la Multinazionale di Alba influenza e modella oltre il suo habitat naturale, cioè l’economia, anche la società, la politica e l’ambiente naturale e rurale del Viterbese e allo stesso modo il dibattito.
Conclusione
È utile ricordare che si è tentato di scavare in quelli che sono i rapporti di potere che si instaurano tra società, politica ed economia a partire dal caso “Ferrero e le nocciole della Tuscia Viterbese” e il primo nodo che va sciolto è quello della Postdemocrazia: essa, come già visto per alcuni punti, non è presente nella Bassa Tuscia Viterbese allo stato puro come descritto da Crouch, né tanto meno è radicata allo stesso modo in tutti i suoi comuni in cui si è svolta la ricerca, nonostante il libero mercato sia inevitabilmente penetrato nel loro tessuto sociale e che la Ferrero sia vista come un’opportunità di crescita economica per i piccoli paesi. Non si deve dimenticare che c’è gente che vive principalmente di corilicoltura da almeno tre generazioni e la Ferrero arrivando in un momento successivo ha garantito un reddito sicuro, ha incrementato quello dei possessori dei noccioleti non come prima occupazione, ma che grazie ad esso sono riusciti a fare cose che altrimenti non potevano (casa, automobile, università e soddisfazioni di vario genere) e il piccolo stabilimento Korvella e altri impianti di lavorazione e raccolta che fanno del frutto a guscio il loro core business, offrono lavoro a persone che dai paesi si vedrebbero costretti a spostarsi verso i grandi centri quali Roma, Viterbo e Terni, come spesso accade nelle realtà di Provincia.
Lo stesso Crucianelli definisce la Ferrero come un’opportunità per il territorio senza demonizzarla a priori, ma ciò che contesta è la modalità coloniale attuata di fatto della Multinazionale. Quindi al concetto di Postdemocrazia, per essere come quello descritto dal sociologo, gli occorrerebbe un potere legislativo ampio sulla fattispecie di quello regionale o meglio parlamentare nazionale. I comuni fondamentalmente non hanno poteri legislativi così ampi e forti e in ultima analisi hanno funzioni amministrative e si ritrovano ad applicare leggi regionali e statali secondo il principio di sussidiarietà e con la possibilità di modalità restrittive nell’applicazione delle norme superiori. Da ciò si evince che l’eventuale pressione lobbistica della Ferrero, convenientemente, non va a concentrarsi sull’attività di sindaci, consiglieri e assessori, quanto piuttosto su quella dello Stato o della Regione senza dubbio più incisiva, meno dispendiosa in termini di impegno e uniforme su larga scala. È proprio nei confronti della Regione Lazio che, seppur con gli indizi più volte citati senza prove schiaccianti, sono emersi importanti tracce di Postdemocrazia. Invece, per i comuni della Tuscia Viterbese e per i singoli amministratori locali hanno svolto un ruolo fondamentale la sensibilità a determinati temi fra cui quello ambientale, la salute umana e la sostenibilità economica sul lungo periodo, nonché l’amore per il proprio territorio.
C’è da dire che si aggiunge in alcuni casi un certo conflitto d’interessi della politica locale e dei controllori difficile da scovare, perché protetto dalla discrezione dovuta alla stima personale tra compaesani, alla familiarità tra le persone e alla diffidenza nei confronti dell’interlocutore. Altro indizio in questa direzione è che, escluso un solo Sindaco di quelli intervistati, è sembrata evidente la mancanza di comunicazione tra loro e il Gigante dolciario. I ricorsi al TAR, le denunce e le polemiche contro le ordinanze e i regolamenti comunali da parte delle associazioni dei produttori possono essere una prova di questa mancata comunicazione. In un certo senso si è già risposto alla domanda centrale, ma in ultima analisi la Ferrero sa di non aver bisogno di agire sulla politica locale, oltre per quanto appena detto, anche per la sua forza economica capace di offrire reddito ai corilicoltori. Essa sembra non curarsi neanche della ripercussione mediatica all’interno dell’opinione pubblica circa gli eventuali danni ambientali che la monocoltura, o la specializzazione produttiva possono arrecare al territorio, responsabilità che alla fine ricade sugli agricoltori viterbesi che si associano pure per far fronte ai problemi e alle accuse e non solo per essere forti nella contrattazione sul prezzo di vendita della materia prima.
Proprio sul prezzo in un paio di interviste è venuto alla luce un elemento interessante, volto anch’esso a smentire il regime postdemocratico. Questo elemento, riportato solo ora perché non rintracciabile in fonti scritte, è nuovamente di carattere internazionale aprendo il confronto con la Turchia e la sua politica. Qui va ripetuto che la Ferrero acquista il 70% delle nocciole che utilizza per i suoi snack e inevitabilmente i corilicoltori turchi hanno “l’arma” della quantità e il Presidente Erdoğan riesce ad essere influente sulla contrattazione del prezzo a vantaggio dei suoi produttori. Tutto ciò, insieme al fatto che in Turchia le nocciole si raccolgono circa due settimane prima rispetto all’Italia, va a beneficio dei produttori viterbesi che vedono aumentare, anche se di poco, il valore dei loro frutti. Paradossalmente la politica di un altro Paese incide positivamente sull’economia agricola della Tuscia Viterbese e se tutto ciò fosse vero andrebbe a rendere meno forte ciò che sostiene Liberti nella sua inchiesta, con la quale definisce la Ferrero il vero Ministro alla Politiche Agricole di Ankara [51]. Per di più con la vicenda geopolitica dell’Abkhazia la Ferrero ha dato prova di saper essere flessibile sapendo correre ai ripari per tutelare i propri interessi, ma nel contempo anche in questa occasione la politica non si è mostrata postdemocratica. Turchia e Abkhazia parlano della Tuscia Viterbese più di quanto si possa immaginare e Appadurai, probabilmente senza conoscere questo angolo d’Italia, insegna come sia possibile attraverso, l’ormai nota, indigenizzazione dei flussi culturali globali.
Invece per la forma associativa, essa riguarda anche i comuni e il modello più eloquente nell’area di ricerca è l’ormai noto Biodistretto della Via Amerina e delle Forre che sfida, attraverso un’uniformità di provvedimenti di politica ambientale e agricola, il degrado e i rischi di logiche politico-economico più in alto, superando il singolo caso di studio. Esso struttura e promuove la società, la politica e l’economia locale, come pure il territorio secondo il funzionamento e le strutture dell’esercizio del potere e questo perché negli ambiti appena elencati si instaurano necessariamente relazioni tra individui e gruppi assumendo dei ruoli, che a loro volta prefissano obiettivi da raggiungere secondo interessi e sensibilità.
Per concludere, secondo chi scrive, l’organizzazione del Biodistretto è un originale modello di comunità intesa nel senso delle «città mondiali» definite da Beck in La metamorfosi del mondo:
«Per fare subito chiarezza una “comunità” è cosa diversa da una “rete”: va al di là del fatto di essere connessi e interdipendenti e di scambiarsi informazioni o incontrarsi abitualmente e regolarmente per discutere problemi comuni. Tra gli indicatori delle comunità di rischio vi sono progetti congiunti di produzione legislativa e decisione politica e forme di partecipazione civica che oltrepassano i confini delle singole città» [52].
Beck sostiene che è nello spazio esperienziale delle grandi città che i rischi invisibili diventano spesso visibili, prendendone consapevolezza e potendo perciò intervenire con progettualità condivisa a lungo termine e non in modo occasionale e questo vale anche per le tredici municipalità del Biodistretto, quindi il paragone, se pur con dei limiti e le dovute specificità, è tutt’altro che azzardato. Ulteriore conferma è data dai progetti comuni di produzione legislativa, o meglio amministrativa, di risoluzione politica e forme di partecipazione civica che vanno oltre i campanilismi e i confini comunali.
Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024
Note
[1] C. Crouch, Postdemocrazia, La Terza, Bari 2020. È il testo di riferimento principale e qui si va a descrivere brevemente il suo contenuto.
[2] Cfr. A. Appadurai, Modernità in polvere, Raffaello Cortina Editore, Milano 2011: 44-59.
[3] Cfr. Idem, Il futuro come fatto culturale. Saggi sulla condizione globale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2014: 90-96.
[4] Cfr. A. Koensler, Il confine. Resistere alle monocolture in Italia centrale, in https://youtu.be/eZGNlzvh3uQ.
[5] Cfr. Eurostat, Aziende agricole e terreni agricoli nell’Unione Europea: statistiche, in https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Farms_and_farmland_in_the_European_Union_-_statistics.
[6] Cfr. Istat, 7° Censimento Generale dell’Agricoltura: primi risultati. Meno aziende agricole (ma più grandi) e nuove forme di gestione dei terreni, in https://www.istat.it/it/files//2022/06/REPORT-CENSIAGRI_2021-def.pdf: 1-2.
[7] Cfr. A. Romeo, Nocciole, l’Italia importa metà del fabbisogno. La Turchia resta lontana, in https://www.ilsole24ore.com/art/nocciole-l-italia-importa-meta-fabbisogno-turchia-resta-lontana-AExr0EED.
[8] ARSIAL – Regione Lazio, Atlante dei suoli del Lazio, a cura di R. Napoli, M. Paolanti e S. Di Ferdinando, SELCA 2019: 39.
[9] Cfr. Regione Lazio, Aziende e superfici. Numero di aziende, estensione superfici, biologiche e non e tipi di coltivazioni, in https://statistica.regione.lazio.it/statistica/it/lazio-in-numeri/agricoltura/aziende-e-superfici.
[10] Cfr. ARSIAL, Documento di sintesi dell’organizzazione e delle attività in materia di Piano Agricolo Regionale, in https://www.arsial.it/app/uploads/page/DocSintesiAttivit%E2%80%A6PARal_DIC-2022_03.pdf, cons. 11 gennaio 2024:16.
[11] Ivi: 15.
[12] D. Camilli, Il progetto della Ferrero rischia di diventare una maledizione strategica, in https://www.tusciaweb.eu/2018/10/progetto-della-ferrero-rischia-diventare-maledizione-strategica-territorio/
[13] Cfr. S. Liberti, Il gusto amaro delle nocciole, in https://www.internazionale.it/reportage/stefano-liberti/2019/06/21/nutella-gusto-amaro-nocciole-ferrero.
[14] Cfr. Camilli, È puro terrorismo psicologico…, in https://www.tusciaweb.eu/2019/06/puro-terrorismo-psicologico/.
[15] Cfr. F. Crucianelli, Il Biodistretto con Nepi, in https://biodistrettoamerina.com/il-biodistretto-con-nepi/.
[16] Idem, Una strage di ulivi per i signori delle nocciole, in https://biodistrettoamerina.com/una-strage-di-ulivi-per-i-signori-delle-nocciole/.
[17] Il testo della moratoria è stato condiviso in formato digitale.
[18] Non è possibile reperire l’articolo perché come spiegato è stato rimosso definitivamente, ma ne è stata consegnata una copia a chi scrive insieme al testo della Querela alla Procura di Viterbo.
[19] I. Longobardi, Noccioleti e contaminazione delle falde: timori dei produttori e gli sforzi per la sostenibilità, in https://www.corriere.it/pianeta2030/23_settembre_21/noccioleti-contaminazione-falde-timori-produttori-sforzi-la-sostenibilita-1a595f3c-588a-11ee-98ee-0e778b3872af.shtml
[20] Cfr. Report, E che nocciola sia, in https://www.raiplay.it/video/2021/11/E-che-nocciola-sia—Report—15112021-53841928-2bd1-4c5e-ac4a-e99ec9c5933e.html
[21] Cfr. M. Brambilla, Domande Ferrero da Report – Rai3, in https://www.rai.it/dl/doc/2021/11/15/1636976167134_Le%20risposte%20di%20FERRERO.pdf
[22] L. Censi, Comunicato per il lancio del Progetto Nocciola Italia, in https://s3-eu-west-1.amazonaws.com/ferrero-static/globalcms/documenti/2988.pdf
[23] Cfr. M. Kacmaz, La disputa sulle nocciole in Italia, in https://www.ilpost.it/2021/08/23/nocciola-coltivazione-nutella/
[24] Cfr. S. Montrella, Perché Ferrero rilancia la coltivazione delle nocciole in Italia per la Nutella, in https://www.agi.it/economia/ferrero_nutella_nocciole-3740345/news/2018-04-08/.
[25] Crouch, Postdemocrazia: 55.
[26] Cfr. Ibidem: 21-22.
[27] Cfr. L. Pellizzoni – G. Osti, Sociologia dell’ambiente, Il Mulino, Bologna 2008: 128-129.
[28]https://www.google.it/maps/place/Antica+via+Amerina+di+Corchiano/@42.3586799,12.3454946,565m/data=!3m2!1e3!4b1!4m6!3m5!1s0x132f23730d18856d:0x14c490dac52abbd9!8m2!3d42.358676!4d12.3480695!16s%2Fg%2F11p0nqq8r9?entry=ttu
[29] Cfr. Crucianelli, Reddito di contadinanza. L’agricoltura al centro della transizione ecologica, Manifestolibri, Roma 2024. Questo testo è stato pubblicato dopo la conclusione della presente ricerca etnografica.
[30] R. Sennett, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita delle persone, Feltrinelli, Milano 2020: 61.
[31] Cfr. Crouch C., Se il lavoro si fa gig, Il Mulino, Bologna 2019: 148-149.
[32] Cfr. Aa. Vv., Vivere l’etnografia, a cura di F. Cappelletto, SEID, Firenze 2009: 166-167.
[33] Cfr. A. Koensler – P. Meloni, Antropologia dell’alimentazione. Produzione, consumo, movimenti sociali, Carocci Editore, Roma 2019: 99.
[34] Cfr. Cfr. P. Rella, Scorie radioattive. Corchiano lotta contro la minaccia nucleare, in https://www.youtube.com/watch?v=o_Qx-3cTWJE.
[35] Cfr. P. di Carlo, Vallerano Terra, S. ED, Viterbo 2010: 20-25.
[36] ClientEarth – LIPU, Lago di Vico: la sentenza del Consiglio di Stato obbliga definitivamente la Regione Lazio ad attivarsi in difesa della salute dei cittadini, che da anni non hanno più accesso all’acqua potabile a causa della coltivazione intensiva delle nocciole, pdf: 2. Il testo del comunicato, come in casi precedentemente indicati, è stato condiviso direttamente con il ricercatore in formato digitale.
[37] Cfr. Koensler – Meloni, Antropologia dell’alimentazione: 105.
[38] Crouch, Postdemocrazia: 21-22.
[39] Cfr. Ivi: 34-37.
[40] Cfr. Cfr. Report, E che nocciola sia, in www.raiplay.it.
[41] E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano 2001: 144.
[42] Cfr. Appadurai, Modernità in polvere: 33.
[43] Cfr. U. Beck, La metamorfosi del mondo, La Terza, Bari 2017: 5 e 15.
[44] Cfr. Camilli, Chemical City del Lago di Vico, ecco come era ridotta prima che l’Esercito iniziasse a sistemarla, in https://www.tusciaweb.eu/2020/02/chemical-city-del-lago-vico-ridotta-lesercito-iniziasse-sistemarla/.
[45] Cfr. J. Martìnez Alier, Global Atlas of Environmental Justice, in https://it.ejatlas.org/.
[46] Cfr. Legambiente, Mappa monitoraggi, in https://golettaverde.legambiente.it/mappa-monitoraggi/.
[47] Cfr. G. Padovani, Mondo Nutella. 50 anni di innovazione, Rizzoli, Milano 2014: 10-14.
[48] Cfr. Ivi: 33-36; Cfr. D. Falcioni, Perché Michele Ferrero ideò il nome “Nutella”, in https://www.fanpage.it/attualita/perche-michele-ferrero-ideo-il-nome-nutella/
[49] Cfr. Liberti, Il gusto amaro delle nocciole, in www.internazionale.it.
[50] Biodestretto della Via Amerina e delle Forre, Nutella e Civita di Bagnoregio, in https://biodistrettoamerina.com/nutella-e-civita-di-bagnoregio/.
[51] Cfr. Liberti, Il gusto amaro delle nocciole, in www.internazionale.it.
[52] Beck, La metamorfosi del mondo: 174. Per inquadrare meglio il discorso cfr. 173-176.
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Alessandro Parisi, laureato in Teologia all’Istituto Teologico Leoniano di Anagni (FR), dove ha frequentato il Seminario Maggiore e divenuto Sacerdote Diocesano ottenendo diversi incarichi pastorali. Lasciato il sacerdozio si è dedicato agli studi antropologici, conseguendo la Laurea Magistrale in Scienze Socioantropologiche per l’integrazione e la sicurezza sociale – Antropologia culturale e etnografia all’Università degli Studi di Perugia. Attualmente è docente presso la Scuola Secondaria di Primo Grado e precedentemente anche in un Istituto d’Istruzione Superiore. Ha svolto attività di volontariato a tempo pieno e professionali in ambito sociale presso strutture per rifugiati e richiedenti asilo e per aiuto alla disabilità. ______________________________________________________________