L’intreccio storico e culturale che lega Spagna e Italia affonda le proprie radici in un passato profondo e complesso che, fermandosi arbitrariamente alla storia moderna, si potrebbe far partire dalla dominazione borbonica, se non ancora più indietro nel tempo.
Il centro di questa trattazione, tuttavia, concerne la diffusione della lingua italiana in Spagna oggi, per questo motivo la ricostruzione storica più rilevante e dalla quale si è scelto di partire comincia nei primi decenni del secolo scorso. È in questa fase infatti che, con l’avvento del regime fascista, si intravedono i primi tentativi di estendere l’influenza di un Paese sull’altro. A partire dagli anni Venti del secolo scorso, le varie fasi istituzionali attraversate dalla nazione spagnola hanno visto persistere il tentativo del regime mussoliniano di estendere la propria influenza linguistica, ideologica e culturale in modo funzionale ai propri interessi nella politica internazionale. Questi tentativi passarono attraverso accordi culturali e pressioni diplomatiche mirati ad inserire l’italiano come lingua curriculare nei corsi erogati dal sistema scolastico spagnolo su tutti i livelli, in particolare nell’istruzione secondaria.
Il sistema scolastico spagnolo, durante tutto il Novecento, ha sofferto dei frequenti cambi di regime culminati con il lungo periodo di isolamento internazionale protrattosi fino alla morte del dittatore Francisco Franco (1892-1975). Nonostante il triste epilogo degli sforzi democratici nel Paese a partire dall’inizio della Seconda guerra mondiale, va ricordato che la Spagna è patria di alcuni fra i più illustri e rivoluzionari protagonisti della storia della pedagogia a livello europeo e mondiale. Per motivi di spazio ne ricordiamo soltanto uno in questa sede, Lorenzo Luzuriaga (1889-1959) [1]. Egli partecipò attivamente, come vedremo meglio in seguito, al movimento internazionale che in quegli anni consolidò l’idea di istruzione nelle democrazie occidentali per come oggi la conosciamo. Un’istruzione pubblica, rivolta a tutti, laica ed erogata dallo Stato per formare la società civile e combattere le diseguaglianze basate sulla condizione economica e l’appartenenza ad una classe sociale piuttosto che all’altra.
Luzuriaga acquisì, arricchendola e traslandone i principi nel suo Paese, l’idea di istruzione che al tempo era già stata formalizzata nelle Costituzioni francese e tedesca (Weimar), di cui – non a caso – era presente l’eco nella Costituzione della Seconda Repubblica spagnola. A questa esperienza repubblicana il grande intellettuale e pedagogista europeo partecipò proponendo una moderna riforma del sistema scolastico in qualità di ministro dell’istruzione. Il contributo suo e di altri intellettuali e pedagogisti illuminati fu vittima successivamente dell’avvento del regime franchista, la cui vicinanza ideologica e politica al regime fascista fu alla base di una ristrutturazione del sistema scolastico in cui l’italiano conquistò sì più spazio, ma in una fase che vide la repressione attiva delle conquiste raggiunte sotto il profilo democratico.
La Spagna, infatti, in particolare durante la turbolenta evoluzione istituzionale e civile che ne ha caratterizzato la storia nel XX secolo, ha rappresentato per il regime fascista un’opportunità sotto diversi profili. Da potenziale alleato nel tentativo di controbilanciare l’influenza inglese e francese nel bacino del Mediterraneo durante la dittatura di Primo de Rivera, a teatro di guerra dove schierare e testare risorse belliche e di altro genere nel corso della guerra civile che vide contrapporsi franchisti e repubblicani (in favore del primo fronte).
È documentato come durante queste fasi, con un successo progressivamente maggiore che tuttavia non vide esiti particolarmente concreti a causa delle sorti del conflitto, il tentativo di penetrare la società civile spagnola con la diffusione della lingua e della cultura italiane (nel contenitore dell’ideologia fascista) rimase costante e centrale nella politica che il regime rivolse al vicino Stato peninsulare. Del resto, la diffusione culturale come strumento di proiezione verso l’esterno caratterizzava, pur con le dovute distinzioni, la politica estera di tutte le potenze europee dell’epoca (per la verità ancora oggi si tratta di uno strumento frequente quanto efficace). Questi tentativi di diffusione comprendevano sì l’impiego degli strumenti diplomatici (così come di quelli militari, come la triste storia del colonialismo italiano in Africa prima e durante il fascismo dimostra), ma anche lo sfruttamento delle comunità di migranti italiani resistenti all’estero o il tentativo di stabilirne di nuove [2].
Prima di analizzare le influenze che il regime di Mussolini riuscì ad esercitare sul sistema scolastico spagnolo con riferimento all’insegnamento della lingua e alla diffusione della cultura italiana, è bene ricostruirne brevemente l’evoluzione. Possiamo ricordare a questo proposito come gli assi portanti delle riforme che, in corrispondenza dell’inizio della seconda metà del XIX secolo, diedero forma al sistema di istruzione pubblica nel Paese sopravvissero, nell’impostazione strutturale, fino agli anni ’70 del secolo XX (si fa riferimento in modo particolare alla Ley de Instrucción Pública del 9 settembre del 1857, meglio nota come Ley Moyano [3]). Cionondimeno il sistema scolastico spagnolo subì varie modifiche fra ‘800 e ‘900, tanto sul piano dell’impostazione ideologica quanto sotto il profilo strutturale.
A partire dai primi anni del ventesimo secolo, l’insegnamento delle lingue era contemplato nei programmi scolastici ma non comprendeva la lingua italiana. Il peso delle lingue insegnate all’interno dei curricula scolastici in tutti i livelli d’istruzione, rifletteva quello dei Paesi con un ruolo di maggiore spicco tanto nel commercio quanto nella politica internazionale. Nel 1901 francese, inglese e tedesco erano le sole lingue a comparire fra i corsi disponibili nei curricula di istruzione secondaria. Seguirono varie riforme, la prima delle quali (risalente al 1903), comportò la rimozione dei corsi di lingua inglese e tedesca dall’istruzione secondaria destinata al proseguimento degli studi universitari (Bachillerato) e stabilì in generale una tappa fondamentale anche rispetto agli sviluppi successivi. Fra gli obiettivi della riforma spiccava l’intenzione di semplificare i contenuti [4] dei corsi. In questa fase nel piano di studi del livello di istruzione secondaria figurava come obbligatoria la sola lingua francese.
Successivamente, in particolare in corrispondenza della dittatura del generale Miguel Primo de Rivera (1870-1930), protrattasi dal 1923 al 1930, si assistette all’imposizione di una nuova riforma del sistema d’istruzione (Piano Callejo, dal nome del suo ideatore Eduardo Callejo de la Cuesta). Nel 1926, con questa riforma si avviò il potenziamento dell’educazione fisica e dei corsi pratici. Gli studi secondari potevano essere interrotti al livello del Bachiller elemental, condizione che avrebbe precluso l’istruzione universitaria e conferito il diritto d’accesso a determinate categorie professionali. La religione non era valutata ma obbligatoria (salvo espressa indicazione dei genitori). In conseguenza di questa modifica si ridusse il numero degli alunni che completavano il ciclo dell’istruzione secondaria. Negli ultimi anni di corso inoltre venne imposta la divisione dei curricula fra scientifico e letterario in funzione di una maggiore “specializzazione” tecnica che assecondasse le trasformazioni imposte dallo sviluppo tecnologico alla società e al modo di intenderla.
Con questa riforma venne toccato anche l’insegnamento delle lingue straniere. Sotto questo profilo ebbero senz’altro un ruolo i rapporti fra il regime di Mussolini dopo la marcia su Roma (1922) e la neonata dittatura spagnola, entrambe in cerca di riconoscimento internazionale e (particolarmente il primo) di nuove opportunità di espansione per le rispettive sfere di influenza culturali e ideologiche. A testimonianza di ciò risalta l’introduzione dell’insegnamento della lingua italiana nei corsi di istruzione secondaria in Spagna. All’interno dei corsi relativi alla prima fase dell’istruzione secondaria (il Bachillerato elemental), il francese rimaneva l’unica lingua insegnata. Nei corsi impartiti durante la seconda fase dell’istruzione secondaria (Bachillerato universitario) – sia nel curriculum scientifico che in quello letterario – si scelse di inserire l’insegnamento di una lingua straniera a scelta fra inglese, tedesco e italiano per un totale di 6 ore settimanali.
L’epilogo della dittatura di Primo de Rivera e la nascita della Seconda repubblica in Spagna, portarono ad una significativa ristrutturazione dell’istruzione pubblica. Come accennato in precedenza, un ruolo centrale sotto questo punto di vista fu ricoperto da un gruppo di intellettuali fra i quali spicca il nome di Lorenzo Luzuriaga. La breve vita di questa seconda esperienza repubblicana (1931-1936), fu segnata dal tentativo di migliorare la capillarità del sistema scolastico, le possibilità di accesso al sistema di istruzione da parte del genere femminile, nonché la libertà di insegnamento. Segnaliamo per completezza che, nonostante rispetto ad altri Paesi la Spagna abbia faticato a raggiungere un tasso di alfabetizzazione paragonabile a quello dei vicini più influenti (ad esempio la Francia) nello stesso periodo, già nei primi decenni del secolo XX – come le ricerche effettuate dallo stesso Luzuriaga qualche anno primo della sua carica ministeriale evidenziano [5] – il dato stava sperimentando una crescita significativa.
Tuttavia, l’impulso positivo che l’istruzione pubblica trasse dal lascito della Seconda Repubblica fu determinante per il futuro del Paese, tanto più considerando che si realizzò in un lasso di tempo brevissimo e nonostante le grandi difficoltà e le aspre contrapposizioni ideologiche che caratterizzarono in quegli anni l’implementazione delle misure esecutive adottate. Del resto in Spagna, con la perdita delle ultime colonie, l’istruzione aveva acquisito un ruolo centrale anche in qualità di strumento utile alla salvezza della Nazione in vista dello sgretolamento dell’impero, come testimonia la frase divenuta famosa fra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, “Salvar a España por la escuela”.
Tornando alle modifiche imposte successivamente alla caduta del Regime primoverrista, l’istruzione fu al centro delle riforme applicate al sistema statale. Cionondimeno alcune considerazioni di carattere pratico portarono alla scelta di modificare la struttura dell’istruzione secondaria in modo graduale, al fine di permettere agli studenti che stavano frequentando, in vista dell’ottenimento di un titolo “incompleto” ma funzionale sotto il profilo professionale, di raggiungere il proprio obiettivo. Una prima riforma provvisoria in quest’ottica venne introdotta nel 1931 e una seconda nel 1932. Per quanto concerne l’insegnamento della lingua italiana, nel piano di studi della prima riforma si registrò il dimezzamento delle ore dedicate al suo insegnamento (o di una delle lingue inserite come alternativa, inglese e tedesco). Nel 1932 l’insegnamento di una lingua straniera a scelta fra italiano, inglese e tedesco venne definitivamente soppresso. In compenso fra le specifiche indicazioni ministeriali inerenti all’insegnamento del francese (rimasto come curriculare e obbligatorio) si può riscontrare la presenza di uno specifico accento sull’alta padronanza linguistica da raggiungere tanto rispetto alle capacità comunicative e interazionali quanto alla conoscenza delle principali opere letterarie [6].
A partire dal 1934 venne introdotta l’effettiva riforma che rimpiazzava le modifiche provvisorie al sistema precedente. Nel piano di studi introdotto in quell’anno l’italiano scomparse definitivamente dai corsi di lingua facoltativi (rimasero inglese e tedesco), il francese rimase la lingua straniera curriculare obbligatoria e venne sensibilmente incrementato il numero di ore settimanale e il numero di anni di corso in cui la materia veniva insegnata.
La lingua italiana dunque, a livello istituzionale, non era particolarmente diffusa in Spagna all’inizio del XX secolo. Del resto, l’apprendimento delle lingue straniere in generale era prerogativa di una classe ristretta di intellettuali e letterati (si cita un solo nome per tutti, Miguel de Unamuno) o persone che lavorativamente (o in virtù delle risorse finanziarie e dello status sociale) avevano a che fare con ambienti in cui la padronanza di più lingue era fondamentale, ad esempio il commercio internazionale o il settore diplomatico. Esistevano tuttavia consistenti comunità italiane in varie città spagnole, in particolare a Barcellona – ancora oggi in questa città è forte la presenza di italiani anche per via di flussi migratori più recenti – avevano spesso luogo eventi e manifestazioni culturali su iniziativa dei membri della comunità stessa. In questa fase l’insegnamento dell’italiano era limitato ad alcune scuole sul posto e all’opera di alcuni istituti religiosi (prevalentemente salesiani).
In aggiunta alla presenza di queste strutture va segnalata l’apertura, nel 1910, di un comitato della Società Dante Alighieri, sempre a Barcellona. Nel 1911 ne venne inaugurato uno anche a Madrid, che tuttavia rimase aperto solo per tre anni [7]. Successivamente, durante la dittatura del generale Primo de Rivera (1923-1931), il console italiano a Barcellona ancora prima (1924) dell’applicazione del Plan Callejo (1926) segnalò come la giunta militare avesse dimostrato una certa resistenza nei confronti dell’inserimento di un corso di lingua italiana all’interno del piano di studi dell’università. Allo stesso tempo, tuttavia, venne istituita una cattedra di lingua e letteratura italiana presso l’università di Madrid, affidata al professor Palmieri, eminente accademico italiano dell’epoca e della cui figura si riparlerà nei paragrafi successivi.
Pressioni diplomatiche e strategie dell’Italia fascista per l’insegnamento dell’italiano in Spagna
Nel periodo precedente all’istaurazione del Regime primoverrista, in Italia si era assistito all’ascesa al potere di Mussolini, il quale osservava con interesse le opportunità insite nell’involuzione autoritaria dell’ordinamento spagnolo. Già nel 1923, su espressa indicazione del Duce e attraverso un intenso lavorìo diplomatico portato avanti con vari strumenti, il regime italiano aveva esercitato pressioni sul governo spagnolo per inserire l’insegnamento dell’italiano nei curricula scolastici. Questo si concretizzò in effetti con l’applicazione del già citato Plan Callejo (1926), stanti – come accennato – alcuni risultati ottenuti a livello universitario negli anni immediatamente precedenti. Il rappresentante diplomatico che, per conto dell’Italia, contribuì allo sviluppo degli accordi che portarono a questo risultato fu l’allora appena nominato ambasciatore d’Italia a Madrid (1923) Raniero Paolucci. Fra i rappresentanti delle università italiane, celebrò con particolare entusiasmo il traguardo raggiunto il rettore dell’Università per stranieri di Perugia, ente nato in quegli anni (1921) con lo specifico intento di diffondere la lingua e la cultura italiane [8].
Con l’intenzione di sondare le possibilità relative all’insegnamento della lingua italiana in Spagna e nella consapevolezza dell’imminente applicazione della riforma al sistema d’istruzione, nel 1924 venne inviato a Madrid il professor Ruggero Palmieri, al fine di stabilire una maggiore collaborazione culturale e determinare quali potessero essere i meccanismi più consoni all’implementazione dell’azione italiana in Spagna. Il contributo principale del professor Palmieri si concretizzò nella revisione dei manuali scolastici e dei materiali educativi adottati per l’insegnamento delle rispettive lingue in entrambi i Paesi. Poco prima dell’adozione in Spagna del Plan Callejo (con il Decreto numero 1054 del 6 maggio 1925), in Italia venne inserita la possibilità di sostituire all’insegnamento del francese quello dell’inglese, del tedesco e dello spagnolo nei corsi inferiori della scuola media.
Specularmente, come già accennato, a partire dal 1926 vennero introdotti in Spagna corsi di lingua italiana in vari livelli di istruzione. Particolarmente significativa sotto questo aspetto l’inserimento dell’insegnamento della nostra lingua nei curricula di istruzione secondaria, con una modalità simile a quella adottata in Italia. Il successo nella diffusione della lingua italiana come materia curriculare, tuttavia, incorse in vari ostacoli sotto il profilo applicativo, disattendendo nei fatti le aspettative delle autorità fasciste. L’italiano, del resto, rimaneva un insegnamento facoltativo, inoltre il numero e la formazione degli insegnanti si rivelarono insufficienti al punto da condizionare significativamente l’esito degli sforzi del regime.
Scendendo ulteriormente nel dettaglio delle misure esecutive sul territorio spagnolo, nemmeno nelle città e nelle aree a più consistente presenza italiana i risultati furono particolarmente solidi sul piano dell’istruzione obbligatoria. A Barcellona ad esempio, dove il peso degli interessi italiani era più consistente, si era configurata la disponibilità da parte delle autorità locali ad inserire tre docenti nativi negli istituti municipali della città. Il governo italiano, pochi mesi dopo, emanò un decreto che delegava – previo consenso del regime – l’insegnamento dell’italiano negli istituti esteri ai docenti abilitati che ne se ne fossero voluti incaricare. Ciononostante, il ministero spagnolo competente per l’assegnazione degli incarichi (Ministerio de Instrucción Pública y Bellas Artes), preferì individuare insegnanti propri, con il risultato che i candidati effettivi furono scarsi. Nell’ottobre del 1927, in conseguenza dei rallentamenti dovuti a questi sviluppi, i docenti esercitavano a titolo temporaneo nell’attesa che venisse bandito un concorso che ne trasformasse la posizione da precaria a stabile. Certo queste dinamiche non incentivarono l’interesse degli studenti nello studio della lingua italiana, senza considerare la “concorrenza” esercitata dalle altre lingue facoltative presenti (inglese e tedesco). Il risultato fu che, già a partire dal 1928, le cattedre di italiano presenti negli istituti secondari del Paese ne uscirono fortemente debilitate.
Va segnalato che “l’infiltrazione” nei programmi e negli istituti scolastici pubblici non fu l’unico strumento di cui il regime fascista si servì per diffondere l’insegnamento della lingua italiana in Spagna. Un significativo programma di finanziamenti governativi venne infatti lanciato allo scopo di incentivare l’insegnamento dell’italiano all’interno degli istituti privati. L’iniziativa in effetti ebbe maggiore successo, tanto che il numero delle scuole private che offrivano l’insegnamento della lingua italiana aumentò sensibilmente. I requisiti per accedere a questi finanziamenti prevedevano l’insegnamento dei contenuti dei programmi del sistema educativo italiano – nei fatti l’insegnamento della lingua era sufficiente – e il consenso ad ispezioni periodiche da parte di ufficiali del regime preposti a tale scopo. Su entrambi i “fronti”, pubblico e privato, i tentativi di promuovere la diffusione dell’italiano erano parte del più ampio sforzo mirato a combattere l’influenza francese e, in minor misura, tedesca, inglese e svizzera. Una considerevole rilevanza era ricoperta inoltre dagli Istituti Italiani di cultura, inaugurati dal regime in quegli anni e rivelatisi snodi cardinali con riferimento all’implementazione delle politiche di diffusione linguistica e culturale. Più avanti se ne ricorderà il ruolo con specifico riferimento alla Spagna durante gli anni del fascismo come anche, successivamente alla sua caduta, la funzione centrale che oggi li caratterizza positivamente.
Gli sviluppi che, a partire dall’istaurazione della Seconda Repubblica, interessarono il sistema scolastico confermarono la rimozione dell’italiano. Come accennato, l’insegnamento del francese rimase materia curriculare obbligatoria, mentre le altre lingue il cui insegnamento era previsto a titolo facoltativo rimasero inglese e tedesco. Le autorità diplomatiche italiane interpretarono la scelta del neo-insediato ministro Lorenzo Luzuriaga come apertamente ostile al regime fascista, del resto l’intellettuale spagnolo morì in esilio per la fervente opposizione al successivo regime autoritario di Francisco Franco, affine al fascismo e – come si vedrà meglio più avanti – rimasto in contatto con i suoi eredi politici anche successivamente alla fine della Seconda guerra mondiale.
Interessante annotare la posizione espressa in merito all’argomento dal deputato Juan Estelrich Artigues, appartenente in questa fase alla Lliga Regionalista de Catalunya, che chiese il mantenimento dell’insegnamento della lingua italiana. La posizione del deputato venne segnalata al regime fascista dal corpo diplomatico e debitamente apprezzata dalle autorità governative che, presumibilmente anche in funzione di questo sintomo, non abbandonarono gli sforzi mirati all’inserimento della lingua italiana nei corsi erogati dal sistema pubblico spagnolo. Non sorprende come, a pronunciarsi in favore del mantenimento dell’italiano fosse il rappresentante di una forza parlamentare espressione di una delle regioni in cui gli interessi del Paese erano particolarmente pronunciati.
Nel corso degli anni successivi il regime fascista adottò nei confronti dei governi della Seconda repubblica spagnola un approccio diplomatico aggressivo, portato avanti parallelamente dall’ambasciatore italiano nei confronti delle autorità spagnole in Spagna e da Mussolini nei confronti dell’ambasciatore spagnolo a Roma (Gabriel Alomar). Nello specifico, si tentò di salvare la presenza della lingua italiana nell’istruzione pubblica in Spagna facendo leva sui dati e le prospettive relative all’insegnamento dello spagnolo nella scuola media italiana, oltre alla “minaccia” di sospendere il progetto relativo all’istituzione di una cattedra di letteratura spagnola presso l’università di Roma. Successivamente, vista l’inefficacia di questo approccio, si passò al tentativo di creare una corrente d’opinione che fosse favorevole al reinserimento dell’italiano nei curricula scolastici. Questo tentativo venne perseguito sia attraverso la diffusione di notizie a mezzo stampa, sia attraverso atti dal forte valore simbolico – si ricorda a titolo di esempio, senza pretese di esaustività, la donazione di libri all’Università di Oviedo in seguito ai danneggiamenti subiti durante gli scontri causati dalla rivoluzione dell’ottobre 1934. Nonostante i passi indietro successivi al cambio di regime, gli sforzi e il lavorìo diplomatico del regime fascista non si fermarono, tanto più che questa seconda esperienza repubblicana fu caratterizzata da una forte oscillazione nel posizionamento ideologico a destra o a sinistra delle compagini governative. Nello sforzo per reintrodurre l’insegnamento della lingua patria in Spagna, il governo italiano arrivò a formulare e proporre ipotesi di collaborazione in cui la formazione degli insegnanti sarebbe avvenuta in Italia a carico (anche finanziariamente) dello Stato italiano.
Gli sforzi profusi dal regime nel potenziamento della presenza ideologica fascista nell’educazione linguistica della gioventù spagnola, presero nuovo slancio a partire dall’inizio della Guerra civile che seguì il colpo di stato militare perpetrato dal Generalísimo, Francisco Franco. Già durante il conflitto, Mussolini e il governo italiano – oltre a fornire sostegno politico e militare con uomini e mezzi – cominciarono a “mettere a terra” le strategie operative destinate ad implementare la fascistizzazione del Paese, operazione che passava in primo luogo dalla diffusione della lingua italiana. Già nel 1937 Mussolini inviò il gerarca fascista Roberto Farinacci in Spagna al fine di consigliare il generale Franco rispetto all’organizzazione dello Stato secondo i principi del fascismo italiano.
In un documento senza data (la cui produzione si stima risalire al maggio del ‘37) frutto dei colloqui fra Franco e Farinacci si leggono 4 punti, individuati dalle autorità italiane come obiettivi da conseguire entro il mese il mese di ottobre dello stesso anno. Di seguito li riportiamo a testimonianza dei frutti che la vicinanza ideologica fra i due regimi autoritari prometteva di apportare alla causa dell’insegnamento dell’italiano in Spagna nell’ottica distorta del fascismo:
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1. L’istituzione di tre lettorati di lingua e letteratura italiana nelle università di Salamanca, Saragozza e Granada;
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2. La creazione di due scuole italiane con corsi elementari e medie inferiori nelle città di Bilbao e Siviglia.
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3. Un decreto del Governo di Burgos che renda obbligatorio l’insegnamento dell’italiano in tutte le scuole medie di Spagna.
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4. Facendo anche affidamento sulla buona volontà dei nostri connazionali, creazione di corsi privati di italiano nel maggior numero possibile di città spagnole, sul modello di quelli già funzionanti in San Sebastian, Leon e Palencia.
Sulla base di questi presupposti, già prima della conclusione del conflitto interno spagnolo, il regime franchista concesse l’istituzione di corsi e scuole di italiano nelle città sotto il controllo delle proprie forze. Tali iniziative erano prodromiche all’estensione del raggio d’azione degli Istituti Italiani di Cultura, che si sarebbero occupati della riorganizzazione delle attività culturali attraverso le proprie sezioni in Spagna. Nel 1938 venne infine approvata la ristrutturazione dell’istruzione secondaria. Oltre a rimarcare – come avvenuto in Italia ad opera del Fascismo – la centralità degli studi classici, del patriottismo e del cattolicesimo, fu stabilito l’obbligo di apprendere due lingue moderne sul totale delle quattro disponibili (italiano, tedesco, inglese e francese). Almeno una di queste doveva essere l’italiano o il tedesco. Nonostante questi sviluppi fossero indubbiamente positivi sulla carta per gli interessi del regime italiano, permanevano forti difficoltà di implementazione determinate dalla carenza di personale docente e dalla pur ridimensionata concorrenza esercitata dal francese. Nel tentativo di porre rimedio alla situazione, si optò per l’istituzione in varie università spagnole di corsi della durata di due anni specificamente dedicati alla formazione di nuovi insegnanti di italiano da inserire nelle scuole medie.
Sebbene alla fine dell’anno accademico 1938/’39 i risultati ottenuti non fossero all’altezza delle aspettative del regime, si riscontrò un generico aumento degli studenti di italiano. L’anno accademico successivo (’39-‘40) vide la conclusione della Guerra civile spagnola con la vittoria delle forze franchiste. Se da una parte questo significò la definitiva affermazione di un sicuro alleato del Fascismo nel paese più grande della penisola iberica, sotto il profilo degli sforzi necessari alla diffusione capillare sul territorio dell’insegnamento della lingua italiana, determinò l’incremento delle risorse necessarie a raggiungere lo scopo. Ai professori e maestri di italiano iscritti all’Istituto di Cultura si offrì pertanto la possibilità di collaborare all’insegnamento della materia. In questo modo Mussolini riuscì ad assicurarsi ottime prospettive future sia rispetto alla diffusione della lingua italiana in Spagna, sia all’inserimento di propagandisti nei centri frequentati dalla gioventù del Paese.
Gli sviluppi del conflitto mondiale determinarono successivamente la sconfitta delle forze dell’Asse, fatto che fu determinante per le sorti dell’insegnamento della lingua italiana in Spagna. Cionondimeno l’italiano continuò ad essere presente nei corsi offerti dal sistema di istruzione pubblica spagnolo per tutto il periodo della dittatura franchista. Certo nel corso del tempo il suo insegnamento perse nuovamente centralità a favore dell’inserimento nei programmi didattici di nuove lingue (Portoghese) e la riaffermazione di “vecchi concorrenti” (l’inglese e, in minor misura, il francese) in funzione del nuovo assetto degli equilibri mondiali. È interessante, tuttavia, osservare come la vicinanza ideologica del regime di Francisco Franco a quello Mussolini ebbe effetto sulla diffusione della lingua italiana in Spagna non solo attraverso l’insegnamento, ma anche grazie all’accoglienza riservata agli esuli del fascismo. Le comunità italiane sparse sul territorio spagnolo, infatti, furono in alcuni casi il rifugio di personaggi legati alle alte sfere del governo fascista, tanto che l’MSI (Movimento Sociale Italiano) – nato dalle ceneri del Partito fascista e i cui esponenti in molti casi avevano ricoperto un ruolo nella Repubblica di Salò – continuò a lungo nel corso del tempo a trovare sostegno economico e ideologico nel regime franchista [9].
Evoluzione della diffusione dell’italiano in Spagna durante e dopo il Franchismo a partire dal primo dopoguerra
Il regime del Caudillo si protrasse ben oltre la caduta del fascismo in Italia. Nell’arco di tempo che intercorre fra la fine della Seconda guerra mondiale e la fine del regime, il sistema di istruzione in Spagna rimase vincolato alle logiche proprie di un regime antidemocratico, il che non aiutò l’istruzione in genere. L’italiano rimase tuttavia una lingua relativamente diffusa, del resto le comunità di italiani nel Paese erano nutrite già prima delle relazioni con il Fascismo. Certo l’interesse principale, ove presente, era rivolto in genere alle lingue di maggiore utilità pratica e professionale. Nel 1955 venne siglato un accordo culturale che faceva riferimento all’insegnamento dello spagnolo in Italia e dell’italiano in Spagna oltre che, più in generale, al mantenimento delle buone relazioni fra i due Paesi in materia di scambio culturale. In questo accordo si stabilì la base su cui implementare lo scambio culturale e linguistico in questa nuova fase storica, anche se la dichiarazione di amichevoli e collaborativi intenti in questa sede non poteva corrispondere al tipo di interazione che il Franchismo aveva instaurato con Mussolini. L’accordo riguardava prevalentemente il trattamento fiscale da riservare agli istituti scolastici dei rispettivi Paesi presenti sul territorio della controparte. Oltre a questo, si garantiva la salvaguardia delle condizioni esistenti con riferimento all’operato di questi istituti e, genericamente, l’impegno a favorirne e facilitarne il lavoro. Tali termini riguardavano sia i livelli di istruzione più bassi che il grado di istruzione universitario. Presente nell’accordo, con riferimento a tutti i livelli di istruzione, l’esplicito riferimento al mutuo impegno volto a favorire la diffusione e l’insegnamento delle rispettive lingue in entrambi i paesi.
Durante il regime franchista le relazioni politiche fra Spagna e Italia rimasero altalenanti e generalmente improntate ad una reciproca diffidenza, tanto più che il regime spagnolo continuò a intrattenere rapporti con le forze neofasciste ai limiti dell’arco parlamentare o fuori. Il sistema educativo spagnolo risentì del resto in modo radicale dell’isolamento internazionale dovuto alla situazione politica interna [10]. Nonostante questo, gli scambi culturali fra i due Paesi non si interruppero mai del tutto; al contrario, nel campo del cinema e della letteratura fu fiorente lo scambio di idee al netto dei limiti imposti dalla situazione politica e le forti misure repressive e di censura.
In particolare, a partire dagli anni ’50 e ’60 il cinema spagnolo trasse grande ispirazione dal Neorealismo italiano e si organizzarono eventi di confronto culturale grazie alla mediazione e con il contributo degli Istituti italiani di Cultura. La sede di Madrid, ad esempio, organizzò per la prima volta nella capitale la Settimana del cinema italiano nel 1951, esperienza ripetuta con una nuova edizione due anni dopo. La durezza del regime evidentemente non riuscì ad eliminare del tutto il fermento che nacque sotto il profilo culturale fra Spagna e Italia nel campo del cinema. Certo, sfortunatamente ne limitò la diffusione ma, a discapito della censura, il cinema spagnolo diede alla luce, anche grazie all’ispirazione tratta dal confronto con il neorealismo italiano, fra le opere più significative della sua produzione [11].
Altra dimensione utile al confronto e all’interazione culturale e linguistica successivamente al superamento della dittatura è indubbiamente individuabile nella televisione. Fra Spagna e Italia in questo campo (dopo Franco) si è sviluppato uno scambio di personaggi e programmi in particolare a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso. A questa interazione culturale ha preso parte la narrativa (di grande successo, in Spagna come in Italia, la serie Il commissario Montalbano, nata dai romanzi di Camilleri), la musica, la fiction (dalla Spagna all’Italia la telenovela Il Segreto, nella direzione opposta Un Medico in famiglia). Fra i personaggi dello spettacolo che ebbero una forte presenza e un forte impatto sul pubblico di entrambi i Paesi, infine, impossibile non ricordare Raffaella Carrà, insignita del Lazo de Dama de la Orden de Isabel la Católica (alta onorificenza conferita per meriti di fedeltà e servizio nei confronti della nazione spagnola) [12].
Sul piano dello scambio prettamente linguistico, i limiti e l’isolamento internazionale determinato dal regime di Franco (pur non ampliando la diffusione dell’italiano sul piano dell’istruzione pubblica) non determinò la regressione della diffusione della lingua e degli istituti privati. A testimonianza di ciò, oltre alla presenza di vecchia data degli Istituti italiani di Cultura a Madrid e Barcellona, possiamo portare come esempio la già citata Società Dante Alighieri (un riferimento nel mondo per la diffusione della lingua italiana [13]). Nel corso di tutto il dopoguerra e anche nel nuovo millennio sul territorio spagnolo continuarono a moltiplicarsi le sedi dei comitati legati a questo ente, fondato in Italia dal poeta Giosuè Carducci. Rispettivamente nel corso del primo conflitto mondiale e durante il fascismo, la Società Dante Alighieri (come abbiamo documentato) si espose apertamente per l’interventismo e successivamente collaborò strettamente con il regime, trasformandosi a partire dalla fine della guerra. Durante il franchismo questi istituti continuarono a spendersi e lavorare per la diffusione della cultura e della lingua italiane. A testimonianza del successo sul territorio spagnolo si riporta la grande diffusione di comitati in varie città, fra i quali molti fondati ben prima della fine del regime franchista.
A Siviglia (1954), Saragozza (1956), Murcia (1964), Malaga (2005), Granada (2007) – elenco, questo, non esaustivo delle sedi dei comitati della Società Dante Alighieri presenti in Spagna – questa organizzazione ha continuato a contribuire in modo significativo all’organizzazione di corsi di italiano per tutti i livelli e tutt’ora offre, fra gli altri, servizi di traduzione e certificazione del livello linguistico (PLIMA). Fra gli istituti pubblici che comunque hanno continuato ad operare in Spagna durante la dittatura per la diffusione della lingua e della cultura italiane sotto la tutela dell’accordo del 1955, ricordiamo la Scuola Statale Italiana di Madrid, che comprende anche la scuola dell’infanzia e che offre dal 1940 corsi di istruzione primaria, secondaria di primo e secondo grado (Liceo Scientifico) e l’Istituto Italiano Statale Comprensivo di Barcellona, che offre corsi per la stessa varietà di livelli di istruzione fino alla secondaria di secondo grado. Entrambi i centri si affiancano alle sedi degli Istituti di Cultura nelle rispettive città.
Risale agli anni ’60, invece, la nascita della Sociedad española de italianistas (SEI), gruppo di affermati accademici, studiosi di italianistica e docenti di lingua italiana. L’organizzazione non offre corsi di lingua ma è molto attiva rispetto al dibattito culturale a questo riguardo, avendo realizzato a partire dagli anni ’80 decine di eventi internazionali per favorire lo scambio culturale fra le due penisole protese sul Mediterraneo. La nutrita schiera di membri iscritti all’organizzazione costituisce peraltro un indicatore del forte interesse nei confronti della lingua e cultura italiane in Spagna se consideriamo il ruolo di diffusore che ognuno degli oltre cento membri è in qualche modo professionalmente portato a ricoprire.
Nell’arrivare alla situazione odierna relativamente alla diffusione dell’insegnamento della lingua italiana in Spagna ci sembra opportuno fare cenno a ciò che ha rappresentato, nell’evoluzione degli scambi fra Spagna e Italia, la diffusione dell’insegnamento della lingua spagnola in Italia. Fra le testimonianze raccolte in merito abbiamo scelto la biografia critica di un’accademica che si è a lungo occupata dell’insegnamento dello spagnolo in Italia e che ha ricostruito la storia del suo percorso anche attraverso la propria esperienza personale. Dal testo di questo studio [14], dall’impostazione forse atipica ma non per questo meno accurata, emerge una considerazione relativa all’asimmetria che ha caratterizzato l’insegnamento delle due lingue nei due Paesi. L’isolamento internazionale della Spagna, infatti, si è configurato come un’handicap per la diffusione e l’insegnamento della sua lingua madre all’interno dei Paesi europei che si erano liberati dal giogo delle rispettive dittature o il cui nome figurava fra quelli dei vincitori. Il ragionamento sembra valere anche per la diffusione dell’insegnamento dello spagnolo in Italia, anche a livello universitario. Come abbiamo avuto modo di vedere, tuttavia, spesso questo elemento si configura come un limite allo scambio linguistico in generale su tutti i gradi di istruzione, costituendo la mancanza di professionisti uno dei limiti alla diffusione dell’insegnamento delle lingue. Certo questa considerazione non può che limitarsi allo spazio europeo e allo scarso raggio dell’azione culturale franchista visto che lo spagnolo, per ragioni storiche e culturali ben note sulle quali non ci soffermeremo, rimane oggi una delle lingue con il maggior numero di parlanti nel mondo, in crescita.
L’italiano in Spagna oggi e considerazioni sull’affinità linguistica
Dopo aver proposto una ricostruzione di carattere storico quanto più vasta e accurata possibile, è il momento di effettuare una disamina dello stato di diffusione della lingua italiana in Spagna con riferimento al primo decennio di questo XXI secolo avvicinandoci, per quanto possibile in base ai dati disponibili, alla contemporaneità. La rete degli istituti che organizzano corsi di lingua italiana in Spagna è vasta e piuttosto variegata. I più volte citati Istituti italiani di Cultura di Madrid e Barcellona rappresentano indubbiamente il centro di questa diffusa infrastruttura. Nel 2011 i dati relativi al numero di studenti iscritti nell’arco dei primi nove mesi dell’anno ai corsi di italiano somministrati dalla scuola di lingua collegata al solo Istituto italiano di Cultura di Madrid ammontavano a 1466. Cionondimeno per lo stesso periodo nei corsi di istruzione secondaria in Spagna la diffusione dell’insegnamento dell’italiano come seconda lingua rimane decisamente limitata.
Il ruolo dell’istruzione universitaria resta preminente sotto questo versante, soprattutto se si considera che nella quasi totalità delle facoltà di filologia è presente l’insegnamento della lingua e della letteratura italiane. Le numerose realtà universitarie spagnole si avvalgono per l’insegnamento della nostra lingua della collaborazione dei lettori nominati a livello ministeriale (MAECI). Per l’anno accademico 2011-2012 il numero dei lettori di lingua italiana nelle università spagnole ammontava a un totale di 13. Del resto, a livello universitario sono numerose le istituzioni spagnole che offrono prestigiose cattedre collegate a studi di italianistica e filologia italiana il cui prestigio è andato consolidandosi con il passare del tempo; ne citiamo alcune: Università di Salamanca, Madrid (Universidad Complutense), Siviglia, Oviedo, Santiago di Compostela, Valenza, Barcellona e Granada. Anche lo studio professionale della lingua italiana ricopre un certo peso in ambito universitario, in particolare con riferimento alla traduzione e all’interpretariato. Per il 2012 i centri di traduzione e interpretariato di cui la Conferencia de Centros y Departamentos de Traducción e Interpretación (CCDUTI) dà notizia sono 25, in molti di questi l’insegnamento dell’italiano – pur presente – era praticato come terza lingua.
Un aspetto positivo che è giusto ricordare a questo proposito riguarda la possibilità di studiare la lingua italiana anche all’interno di facoltà tecnico-scientifiche, giuridiche ed economiche con la prospettiva di formare professionisti in grado di muoversi fra i due Paesi nelle rispettive discipline. L’auspicio è quello di amplificare la portata dello scambio interdisciplinare non solo sul piano accademico, ma rispetto al potenziale legato alla creazione di un ecosistema professionale bilingue fra Italia e Spagna in varie categorie e settori. Fra gli enti più prestigiosi specificamente dedicati all’insegnamento delle lingue straniere troviamo poi i CLM (Centros de Lenguas Modernas). Legati all’insegnamento universitario, questi centri offrono corsi di lingue straniere aperti a tutti. Fra i più rinomati rispetto all’insegnamento dell’italiano come seconda lingua troviamo la sede di Granada, che presenta un vasto catalogo, comprensivo di vari formati, più o meno intensivi ed approfonditi in funzione delle esigenze degli iscritti. Le opzioni disponibili comprendono alternative per il raggiungimento di tutti i livelli QCER (Quadro Comune Europeo di Riferimento), con formule destinate al raggiungimento di un livello compatibile con l’esame per l’acquisizione del certificato PLIDA, passando per programmi e strumenti didattici innovativi che legano lo studio della lingua alla scoperta di contenuti artistici e culturali [15].
Altra tipologia di istituti che in Spagna permettono lo studio della lingua italiana è rappresentata dalle EOI (Escuelas Officiales de Idiomas). Alla frequentazione di questi ultimi si può accedere a partire da un’età minima di 16 anni (14 a patto che si sia già completata la scuola dell’obbligo). Si tratta di una categoria di istituti molto diffusa: stando ai dati del ministero dell’istruzione spagnolo, nel 2011 ce n’erano 307 sparsi su tutto il territorio, in 41 di questi si offriva la possibilità di seguire corsi di italiano al livello elementare, intermedio e avanzato. All’offerta nelle realtà istituzionali si affianca quella proposta dagli istituti italiani. Fra questi spicca indubbiamente il ruolo ricoperto dai numerosi comitati della Società Dante Alighieri, del cui operato si è già parlato in precedenza.
In aggiunta a quanto detto sopra sembra opportuno segnalare che le motivazioni che spingono gli studenti spagnoli ad iscriversi ai corsi di italiano promossi da questa rete comprendono tanto la volontà di consolidare le proprie conoscenze linguistiche per motivi legati al proprio percorso formativo (magari in preparazione dell’Erasmus+, o al ritorno per conseguire un certificato PLIDA), quanto per ragioni di interesse personale. Anche all’interno dei programmi offerti da questa prestigiosa rete internazionale è emersa, in particolare nel corso degli ultimi anni, la volontà di innovare e diversificare gli strumenti didattici. Questa intenzione è dimostrata dal recente lancio della proposta formativa a carattere ibrido denominata Dante global. Rivolto a studenti e docenti, questo metodo prevede la fruizione dei corsi di lingua attraverso “modalità interattive e multicanale” online e in presenza. Una delle aule ibride inaugurate per il lancio di questo nuovo progetto educativo è proprio in Spagna, nella sede del comitato a Malaga [16].
Da ultimo sembra pertinente citare il ruolo dei conservatori. In questo campo dell’istruzione, la presenza della cultura italiana si fa sentire con tutto il peso della sua storia e della sua immensa produzione artistica. Non è un caso, infatti, che nei conservatori spagnoli sia rilevantissima la presenza di corsi di italiano come seconda lingua, inseriti in quanto funzionali ad uno studio efficace dell’opera, del canto lirico, del lavoro dei grandi compositori che fra ‘800 e ‘900 hanno reso grande il nome dell’Italia [17]. Il 90% dei conservatori superiori di musica in Spagna offre corsi di italiano come seconda lingua improntati a questo tipo di studi, in genere centrati sugli aspetti prosodici, fonetici e fonologici.
Tornando alle motivazioni che spingono le persone ad apprendere la lingua italiana in Spagna, a sceglierne altre ed altri aspetti, è interessante (oltre che pertinente al fine di fornire un ulteriore elemento per l’osservazione di un fenomeno complesso come la diffusione dell’italiano e del suo studio nel Paese) prendere ad esempio alcune rilevazioni estratte in proposito dai sondaggi pubblicati dall’Eurobarometro per l’anno 2023 – tanto più considerando il proposito “pratico-operativo” di questo saggio. Il sondaggio [18] ha sottoposto al campione una serie di domande al fine determinare le variazioni percentuali fra 2012 e 2023 sulla posizione degli intervistati rispetto a questioni chiave inerenti alla conoscenza e all’apprendimento di lingue diverse rispetto alla propria lingua madre. I dati riguardanti la Spagna sono incoraggianti rispetto alla diffusione dell’italiano. Il dato relativo alla popolazione di parlanti italiano come seconda lingua è protagonista di una sensibile crescita: alla domanda “Quale altra lingua, se ne parli una seconda, padroneggi abbastanza bene da riuscire a sostenere una conversazione?” l’italiano guadagna nel 2023 ben 2 punti percentuali rispetto alla rilevazione del 2012. La indica infatti ben il 4% degli intervistati. Altro dato interessante per lo stesso periodo rispetto al parere degli intervistati spagnoli è quello relativo alle lingue ritenute più importanti per il proprio sviluppo personale. In questo caso non è stata rilevata una variazione percentuale fra i due anni (2012 e 2023) in cui il sondaggio è stato somministrato al campione: il valore per l’italiano rimane stabile sull’1% (si specifica che era possibile fornire un massimo due risposte). È rilevante riportare questo dato, soprattutto se si considera che l’inglese, pur rimanendo al considerevole valore del 70%, perde rispetto alla precedente rilevazione ben 6 punti percentuali.
Altro fattore rilevante ai fini di questa analisi rispetto alla volontà da parte degli spagnoli di apprendere la lingua italiana è indubbiamente rappresentato dall’affinità fra le due lingue. Questa somiglianza determina un’estrema (quanto reciproca) facilità di apprendimento. Tanto i madrelingua italiani quanto quelli spagnoli, in virtù di questo elemento, hanno il vantaggio di poter approfittare della somiglianza fra le rispettive lingue per raggiungere rapidamente un buon livello di padronanza.
A questo proposito si inserisce una breve (relativa) digressione. Risulta particolarmente interessante uno studio [19] condotto nel 2015 negli Stati Uniti, più precisamente presso la California State University da Clorinda Donato e Violet Pasquarelli-Gascon. Nel documento le due ricercatrici restituiscono la realtà di un crescente interesse nei confronti della lingua italiana in un Paese in cui i migranti ispanofoni hanno per anni rappresentato (e continuano a rappresentare) la fetta più consistente degli ingressi. L’intento con cui si cita questa ricerca è sia quello di offrire – al netto della provenienza geografica degli studenti e delle pur sostanziali differenze che dividono lo spagnolo che si parla nei Paesi del Sudamerica da quello usato nella sua terra d’origine – un ulteriore riferimento allo sviluppo degli strumenti didattici specificamente concepiti per l’insegnamento dell’italiano a studenti ispanofoni, sia quello di fornire al lettore uno spunto di riflessione sull’argomento attraverso una prospettiva distante solo sotto il profilo geografico.
La suggestiva proposta delle due studiose coinvolge da vicino una disciplina complessa, la sociolinguistica, che per gli obiettivi di questo testo non è pertinente approfondire. Cionondimeno si cercherà di restituirne il fascino eludendo gli aspetti più tecnici. L’approccio didattico descritto e adottato dalle due accademiche parte dal concetto di “intercomprensione”, «definita come una forma di comunicazione plurilingue fra lingue della stessa famiglia, […] per spiegare il fenomeno di come parlanti di lingue diverse ma imparentate comunichino attraverso il vocabolario, le strutture e i contenuti culturali condivisi che rendono possibile l’estrazione di significato» [20]. In base a questo approccio viene abbandonata l’idea che esista una lingua di partenza o una lingua target, in virtù di un approccio trasversale che cerchi di attivare la conoscenza plurilinguistica acquisita in modo più o meno completo e più o meno consapevole, durante la potenziale esposizione alla stessa degli studenti nel corso di precedenti scambi linguistici. Il potenziale di questo approccio è dimostrato, fra l’altro, dalle evidenze emerse dall’analisi neurolinguistica del cervello di individui parlanti più lingue: quando questi usano una parola nel leggere, nello scrivere o nel parlare una delle lingue conosciute si attivano anche le aree del cervello deputate alla gestione delle altre lingue conosciute. Si è fatto riferimento a questo studio per sottolineare l’importanza dello sviluppo di metodi di apprendimento specificamente centrati sulle esigenze dei parlanti (a seconda del contesto linguistico di provenienza). Imparare l’italiano per un parlante spagnolo o francese attraverso un corso che faccia leva sulle rispettive affinità linguistiche risulterebbe in un apprendimento più solido, oltre che più veloce e più stimolante.
Se da un lato la somiglianza fra le due lingue potrebbe giocare a favore della diffusione di quella italiana fra i parlanti del vicino Stato ispanofono (e viceversa), dall’altro si potrebbe pensare che questo fattore possa disincentivare l’apprendimento approfondito di una lingua e dell’altra nei rispettivi contesti di appartenenza una volta soddisfatte le esigenze comunicative più basilari. Allo stesso tempo la buona padronanza della lingua potrebbe spingere i parlanti ad approfondirne la conoscenza. In effetti in favore di questa seconda ipotesi si potrebbe citare la posizione che gli studenti spagnoli che hanno partecipato al programma Erasmus+ hanno espresso rispetto alla disponibilità ad approfondire una lingua già conosciuta. In un’indagine [21] dell’Eurobarometro pubblicata nel 2018 gli studenti spagnoli si sono dichiarati interessati ad approfondire la padronanza delle lingue acquisite in precedenza, superando di 11 punti percentuali lo stesso dato riferito alla media europea – 95% degli studenti spagnoli contro l’84% per la media dell’Unione (UE a 28). Nonostante questo, va ricordato che non basta una dichiarazione di intenti a dimostrare la determinazione di questi ultimi, inoltre la rilevazione – anche se lo scambio di studenti Erasmus fra Spagna e Italia è così alto da suggerire l’ipotesi per cui in buona parte la lingua o una delle lingue considerate dagli intervistati potesse essere l’italiano [22] – non faceva esplicito riferimento alla lingua italiana e questa potrebbe non essere quella a cui gli intervistati hanno pensato per rispondere. Inoltre, il campione coinvolgeva studenti dai 15 ai 30 anni di età, fascia che comprende sia studenti universitari che iscritti a corsi di istruzione secondaria, le cui rispettive motivazioni nonché il relativo grado di risolutezza e definizione, potrebbero differire in modo sostanziale. D’altro canto, nello studio citato in precedenza [23], si sottolinea come nei parlanti poliglotti si riscontri spesso un impeto particolare nell’apprendimento di nuove lingue o nel perfezionamento di quelle già conosciute che si attiva attraverso l’uso delle modalità didattiche multilinguistiche. La questione rimane interessante, per motivi legati allo spazio a disposizione, purtroppo in questa sede ci si limiterà a proporla come spunto per futuri approfondimenti sull’argomento.
Nonostante il lavoro degli istituti di cultura e delle realtà istituzionali sia sicuramente importante nella diffusione dell’italiano, come si è visto nei capitoli introduttivi, uno spazio via via sempre maggiore dell’apprendimento linguistico è stato “colonizzato”, in particolare nell’ultimo decennio, dalle piattaforme online. In base ai già citati sondaggi dell’Eurobarometro, infatti, interpellati sui metodi utilizzati per l’apprendimento di una lingua straniera, gli spagnoli che a distanza di dieci anni hanno provato ad usare applicazioni o corsi online per imparare una lingua straniera sono cresciuti del 6% al 2023 (dal valore del 5% per il 2012). Allo stesso tempo solo il 4% degli intervistati ha ritenuto che questo genere di strumenti fosse risultato effettivamente il più efficace fra quelli sperimentati.
Come ogni dato, anche i valori pubblicati dalle grandi piattaforme private per l’apprendimento linguistico online vanno confrontati in modo approfondito con gli altri disponibili. Cionondimeno la crescita nel ricorso a questo genere di strumenti è documentata, oltre che dalle rilevazioni proposte in precedenza, dai fatti che – ci sentiamo di poter affermare – popolano la quotidianità di chi si interessa all’apprendimento di una lingua straniera e anche (almeno in qualche caso) di chi non se ne interessa affatto. Sulla base di questi elementi ci sembra opportuno fare ancora una volta riferimento alle stime proposte dalla già citata piattaforma Preply per fornire un’idea del numero di parlanti italiano in Spagna. Non tanto per giungere ad una verità definitiva, quanto per includere nel ragionamento un ulteriore, valido, strumento di rilevazione. Pur senza specificare il livello di padronanza, in un articolo [24] aggiornato al 2024, la ricercatrice Anna Pyshna fissa il numero dei parlanti italiano in Spagna a 1.100.000 parlanti. Ben diversa è la stima proposta da Babbel (altra piattaforma di apprendimento linguistico online) che, in un articolo [25] già citato nei capitoli iniziali di questo saggio, stima il numero dei parlanti italiano in Spagna attorno ai 25 mila. Immaginiamo che la distanza fra le due stime possa essere dovuta a vari fattori, dalla differenza nelle metodologie impiegate per arrivare al valore finale alle caratteristiche dei campioni presi rispettivamente in esame e altri. In ogni caso riteniamo che la stima di Babbel – fra le due proposte – sia la meno realistica, in virtù di alcune semplici considerazioni che esporremo nel paragrafo conclusivo.
Conclusioni
Abbiamo confermato che stimare la diffusione di una lingua non è un’impresa facile. I valori che abbiamo proposto partendo dalle ricerche di attori differenti alle volte sembrano convergere, altre – come nel caso delle stime proposte rispettivamente dai ricercatori di Babbel e Preply – restituiscono situazioni piuttosto distanti. Una conclusione che tuttavia ci sentiamo di trarre senza timore di smentita è che la situazione rispetto alla diffusione dell’italiano in Spagna sembra essere decisamente incoraggiante. I dati istituzionali descrivono un ottimo livello di interesse, in particolare a livello universitario. Si dovrebbe senz’altro lavorare sull’inserimento dei corsi di lingua italiana all’interno dell’istruzione primaria e secondaria, una fascia d’età cruciale, particolarmente fertile per l’apprendimento linguistico. Forse sotto questo profilo il peso delle esperienze legate ai trascorsi storici fra Spagna e Italia (ai quali non casualmente abbiamo dedicato ampio spazio) gioca una parte non trascurabile.
Su questa realtà sembra tuttavia esistere un considerevole margine di intervento – vista la già consistente presenza di un forte scambio culturale testimoniato, ad esempio, da progetti europei come Erasmus+. Il lavoro svolto a livello istituzionale ha un impatto non indifferente e passa per realtà di carattere pubblico e privato (purtroppo i dati diffusi non sempre sono risultati particolarmente accurati). A questo proposito la rete costituita dai comitati della Società Dante Alighieri sul territorio spagnolo, come nel resto del mondo, con il supporto delle sedi diplomatiche dimostra un impegno orientato all’esplorazione di nuovi strumenti didattici i cui frutti sono già visibili e non offrono ragioni per dubitare che continueranno a crescere (al netto dell’interruzione di alcune iniziative che a nostro parere rappresentano invece una risorsa da potenziare [26]).
Le opportunità legate allo studio universitario dell’italiano sono decisamente significative, secondo le fonti considerate infatti non solo la propensione degli studenti in questa fascia d’età all’apprendimento dell’italiano è decisamente pronunciata, anche il numero dei parlanti effettivamente in grado di esprimersi correntemente in italiano sembra essere in crescita. Non siamo riusciti a fornire una stima esatta del dato relativo a questo indicatore, sembra tuttavia realistico affermare che la stima corretta possa essere compresa fra 256 mila e 1,1 milione di parlanti, e che la comunità dei parlanti stia crescendo. Il valore dell’estremo inferiore coincide grossomodo con la popolazione di cittadini italiani residenti in Spagna e regolarmente iscritti all’AIRE [27] (dunque riteniamo che debba essere interpretato come valore di riferimento e che il numero reale sia ben più consistente considerando che a questo andranno sommati i cittadini non iscritti, i parlanti italiano spagnoli, le seconde e terze generazioni, ecc.). Fra un estremo e l’altro lo spazio è grande, in ogni caso una percentuale consistente della popolazione spagnola parla correntemente l’italiano.
Abbiamo visto come la somiglianza fra le due lingue possa essere interpretata in più modi rispetto all’impatto che potrebbe avere sull’approfondimento della lingua italiana da parte dei parlanti spagnoli (e viceversa). Chi scrive tende a propendere per l’ipotesi che vede l’affinità linguistica come un incentivo, a patto di utilizzare i giusti strumenti didattici. Fra i fattori che contribuiscono a determinare l’attuale diffusione, oltre a quelli precedentemente ricordati, va annoverata la presenza di numerose e nutrite comunità di italiani (Barcellona ad esempio resta la meta di un forte flusso migratorio dall’Italia, senza considerare il fatto che – come si è visto – la presenza italiana nella città è storicamente radicata).
In conclusione, lo stato della diffusione della lingua italiana in Spagna è decisamente buono. Questo non toglie che esistano ampi margini di miglioramento entro cui muoversi a livello istituzionale e che, in qualche misura, si stiano prendendo misure dirette allo sfruttamento di queste opportunità. La concorrenza delle lingue più presenti a livello mondiale rimane presente anche se si rileva la presenza di alcune oscillazioni significative con riferimento ai concorrenti più gettonati, ad esempio, l’inglese. In questa sede ribadiamo di aver ricostruito un quadro complessivo incoraggiante sull’italiano in Spagna e, al netto delle difficoltà e degli ostacoli presenti, sembra che esistano tutti i presupposti per superarne i limiti in direzione di una sempre maggiore integrazione fra le dimensioni culturali e linguistiche dei due Paesi.
Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025
Note
[1] Per un approfondimento sulla figura dell’intellettuale, sul suo lavoro, l’opera intellettuale e quella istituzionale si rimanda a T. González Pérez, Il rinnovamento pedagogico in Spagna: Lorenzo Luzuriaga difensore della “Scuola nuova”, Formazione & Insegnamento IX – 1 – 2011, Pensa MultiMedia Editore, 2011.
[2] R. Domínguez Méndez, Dos instrumentos en la propaganda exterior del fascismo: emigración y cultura, Hispania nova. Revista de Historia Contemporánea, 10 (2012).
[3] R. Domínguez Méndez, El aprendizaje del italiano en la segunda enseñanza española. Una batalla de la diplomacia fascista (1922-1943), Espacio, Tiempo y Educación, 1(2), (2014): 65-87.
[4] Un indicatore interessante in proposito potrebbe essere individuato nella sensibile riduzione del numero totale delle materie trattate nei 6 anni di corso, scese da 116 a 98, come segnalato dal professor F. Vea Muniesa, Aportaciones al estudio de la segunda enseñanza en la II Repùblica en España (1931-1936), LLULL, vol. 31, 2008: 103-150.
[5] L. Luzuriaga (1926): 43, in F. Vea Muniesa, Aportaciones al estudio de la segunda enseñanza en la II Repùblica en España (1931-1936), LLULL, vol. 31, 2008: 103-150.
[6] F. Vea Muniesa, Aportaciones al estudio de la segunda enseñanza en la II Repùblica en España (1931-1936), LLULL, vol. 31, 2008: 103-150.
[7] Per approfondire R. Domínguez Méndez, De la identidad a la propaganda cultural: las escuelas italianas en España (1861-1922), Investigaciones históricas, 29, (2009) : 173-192.
[8] Inseriamo una nota culturale d’interesse rispetto alla sede di questa prestigiosa università, che sfortunatamente ebbe un ruolo centrale nello sviluppo della storia del regime e nella diffusione della lingua e della cultura italiane all’estero attraverso il filtro distorto dell’ideologia fascista. Nell’Aula Magna di Palazzo Gallenga Stuart, sede centrale dell’università, è ancora possibile osservare un dipinto di epoca fascista in cui originariamente l’autore, Gerardo Dottori, aveva inserito il volto di Mussolini. L’iconografia fascista rimane tutt’ora evidente nell’opera, il personaggio maschile collocato sull’estrema sinistra nella scena raffigurata (quello con le sembianze del duce) riporta però oggi una fisionomia differente, sostituita a quella del dittatore dallo stesso autore dopo la fine del regime.
[9] Per un approfondimento sul tema si rimanda a: J. M. De Lara Vázquez, Primi passi del MSI nella Spagna franchista dell’immediato secondo dopoguerra fino alla prima metà degli anni ’50, Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee, Prima edizione, A cura di D. Breschi e A. Messina, IPS Edizioni, 2023.
[10] Per un approfondimento sul tema si rimanda a: A.F. Canales Serrano, A. Gómez Rodríguez (edd.), La larga noche de la educación española. El sistema educativo español en la posguerra, Madrid, Biblioteca Nueva, 2015.
[11] Vd. Il cinema italiano come punto di riferimento per il cinema spagnolo negli anni ‘50 e ’60, Mosaico Italiano, XIII – N 167, Editore Comunità, Rio de Janeiro, 2017: 25-28.
[12] S. Bartolotta, Italia versus Spagna: linguaggio televisivo a confronto, Mosaico Italiano, XIII – N 167, Editore Comunità, Rio de Janeiro, 2017: 29-33.
[13] Si rimanda all’ultimo rapporto pubblicato dal comitato direttivo della Società Dante Alighieri per dare un’idea dell’estensione della rete di comitati legati a questa istituzione e al potenziale espresso oggi in termini di diffusione dell’insegnamento della lingua italiana all’estero: Società Dante Alighieri, Italsimpatia La Dante nel mondo 2015-2023, Roma, 2023.
[14] M. V. Calvi, La lingua spagnola nell’università italiana (1970-1980), Italiano LinguaDue, n. 1. 2018.
[15] Per una panoramica completa sull’offerta formativa “messa in campo” dall’istituto si rimanda alla consultazione della relativa pagina sul sito ufficiale: https://clm-granada.com/cursos-de-italiano/ .
[16] Rimandiamo alla consultazione della relativa pagina sul sito ufficiale per un approfondimento sulla varietà e gli obiettivi dei programmi proposti nell’ambito dell’iniziativa Dante.global: https://www.dante.global/it .
[17] L. Carlucci, L’insegnamento dell’italiano in Spagna, Scuol@Europa, VI n.12, 2011: 5-7.
[18] Special Eurobarometer 540 Europeans and their Languages September-October 2023, https://europa.eu/eurobarometer/surveys/detail/2979 .
[19] C. Donato, V. Pasquarelli-Gascon, The Language of the Other: Italian for Spanish Speakers through Intercomprehension, Italica, FALL 2015, Vol. 92, No. 3 (FALL 2015): 713-735.
[20] Tradotto dal testo: Thije e Zaavaert (2007) in C. Donato, V. Pasquarelli-Gascon, The Language of the Other: Italian for Spanish Speakers through Intercomprehension, Italica, FALL 2015, Vol. 92, No. 3 (FALL 2015): 716.
[21] Flash Eurobarometer 466, The european education area 2018, https://europa.eu/eurobarometer/surveys/detail/2186 .
[22] Secondo il Ministero dell’università spagnolo nel 2021 ad esempio il numero di persone, fra studenti e tirocinanti coinvolti nel progetto Erasmus+, ben 9331 hanno scelto l’Italia. Più del doppio di quelli partiti per la stessa destinazione dal Regno Unito, in seconda posizione.
[23] C. Donato, V. Pasquarelli-Gascon, The Language of the Other: Italian for Spanish Speakers through Intercomprehension, Italica, FALL 2015, Vol. 92, No. 3 (FALL 2015): 713-735.
[24] A. Pyshna, Lingua italiana all’estero: in questi paesi l’italiano è particolarmente diffuso. La mappa mondiale realizzata dagli esperti linguistici di Preply mostra in quali paesi stranieri è più facile incontrare persone che parlano italiano, 28 ottobre 2024, https://preply.com/it/blog/italiano-estero-mappa/ .
[25] D. Lyons, Quante persone parlano italiano e dove si parla la nostra lingua?, 15 ottobre 2024, https://it.babbel.com/it/magazine/italiano-mondo .
[26] Si fa riferimento agli Stati generali della lingua italiana nel mondo, il cui ultimo rapporto risale al 2018 – peraltro all’interno di quest’ultimo si riportava un numero significativo di studenti di lingua italiana in Spagna (25.816 iscritti ai corsi erogati attraverso canali istituzionali più “tradizionali”), in crescita rispetto alle edizioni precedenti del rapporto. https://italiana.esteri.it/italiana/wp-content/uploads/2020/10/Rapporto-Lingua-Italiana-2018.pdf .
[27] A cura di D. Licata, RIM Rapporto italiani nel mondo 2024, Tau Editrice, Perugia, 2024: 3.
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Gabriele Ales, dottore in Relazioni Internazionali e Cooperazione allo Sviluppo, studia all’Università per Stranieri di Perugia. Grazie ad una borsa di studio Erasmus+ trascorre una parte della propria formazione universitaria in Spagna, frequentando l’Università Complutense de Madrid. A Roma lavora per qualche tempo nel fundraising per le organizzazioni internazionali che lavorano a tutela dei diritti umani e si specializza nello studio delle migrazioni frequentando il Master MEDIM (Master in Economia Diritto e Intercultura delle Migrazioni) presso l’Università di Roma Tor Vergata. In questo periodo entra in contatto con il mondo del volontariato e dell’associazionismo legato all’assistenza dei migranti sul territorio. Oggi partecipa nella sede ACLI del Patronato di New York al Servizio Civile Universale, continuando parallelamente a svolgere attività di volontariato sul posto con l’appoggio della comunità italiana locale.
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