Stampa Articolo

Farm Cultural Park a Favara: a place that makes you happy!

Favara (foto Lupo)

Favara (foto Lupo)

 di  Gloria Lupo

Ci troviamo nel centro storico di Favara: all’interno del cortile Bentivegna coagula un agglomerato di sette piccoli cortili, una kasba araba che si reinventa come centro permanente di arte contemporanea. L’idea nasce dal genio di Andrea Bartoli e Florinda Saieva: decidono di acquistare immobili in stato di abbandono e avviano la Farm Cultural Park, che mira a diventare la seconda meta da visitare nell’Agrigentino dopo la Valle dei Templi. Una coppia di siciliani che non vuole abituarsi allo stato di decadenza delle cose, che le cose ha intenzione di migliorarle. Un progetto innovativo che promuove l’arte, la diffonde e la rende a portata di mano, innescando un processo di sviluppo a livello collettivo.

Per la concezione di questo spazio innovativo, Andrea Bartoli racconta di essersi ispirato al Palais de Tokyo, al Museo di arte contemporanea di Parigi, alla piazza principale di Marrakech e al mercato caleidoscopico di Camden Town di Londra. La promozione della crescita socio-culturale attraverso il recupero architettonico del centro storico di Favara è la mission dichiarata dagli ideatori. Il loro è un progetto aperto, che può coinvolgere chiunque voglia cambiare lo stato immobile delle cose e dare stimoli e impulsi alle nuove generazioni. Il territorio si trasforma in un laboratorio di idee e creatività, che aumenta la consapevolezza delle proprie potenzialità nelle persone e produce cultura.

“Welcome to paradise” è un riferimento all'omonima iniziativa di Modica a cura dell associazione Rionarte

“Welcome to paradise” è un riferimento all’omonima iniziativa di Modica a cura dell associazione Rionarte e di M.Cordeiro (foto Lupo)

A place that makes you happy è la headline del sito web della Farm: un luogo creato in opposizione a tutto ciò che di negativo ha intorno, uno spazio di sperimentazione per nuovi modelli di vita e di pensiero, per la creazione di una nuova identità per il territorio di Favara e, conseguentemente, per quello limitrofo. “Un posto che ti rende felice”.

Per Favara è una rivoluzione: la Farm Cultural Park, istituzione culturale privata inaugurata nel giugno del 2010, diventa nel giro di pochissimi anni un parco turistico culturale di grande importanza, centro di attrazione per artisti internazionali, luogo di installazioni e mostre permanenti, di scambio e di confronto tra realtà culturali distanti. Il primo al mondo. Proprio a Favara.

La città, sotto i riflettori per il degrado, i continui crolli nel centro storico e il suo progressivo svuotamento, sembra volersi riscattare e diventare propulsore di nuove idee. Sempre più persone si recano a visitarla per provare a capire cosa sta succedendo. Per questo Purple travel, blog britannico degli amanti del viaggio, sorprendentemente colloca Favara al sesto posto al mondo da visitare per gli appassionati di arte contemporanea. Residenze per artisti, spazi per la socializzazione, performance artistiche, workshop, concorsi, spettacoli: l’operazione è travolgente e contribuisce a mutare profondamente l’aspetto del paese.

Le persone stentano a crederci, alcuni si mostrano diffidenti: Favara, che nel luogo comune provinciale è conosciuta per la criminalità di antica matrice mafiosa, l’arretratezza, la mancanza di prospettiva, si rigenera e si trasforma. Attraverso il progetto, la città risorge: nascono locali, luoghi di ristorazione, bed and breakfast, enoteche, luoghi di condivisione collaterali e con essi si afferma soprattutto un nuovo modello di sviluppo economico, fondato sulla diffusione dell’arte contemporanea. La sensazione alla visita è di stupore e spaesamento: attraversare una triste periferia, che nulla promette di buono e da cui appare chiaramente tutto ciò che la Farm rifiuta, per ritrovarsi di fronte a un originale progetto di riqualificazione del centro storico, di notevole interesse sia dal punto di vista antropologico che urbanistico.

“Obey installazioneche ricopre lo

Obey (foto Lupo)

Obeyè è il titolo dell’installazione che ricopre lo stabile centrale della Farm. Opera dello street artist catanese Vladyart, è un insieme di solo testo, di parole dipinte e ripetute in modo ossessivo, a voler marcare la routine che caratterizza la nostra vita e la profonda crisi esistenziale e culturale che l’uomo moderno sta vivendo. L’idea di accostare centro storico e arte contemporanea, il progetto e la visione di un intero quartiere che rinasce come galleria d’arte permanente all’aria aperta, è davvero operazione unica. In Sicilia poi, in particolare. La riqualificazione di un territorio include sempre i suoi abitanti, li rende protagonisti e ne promuove sensibilità e sviluppo. Pensare che lo spazio sociale possa essere luogo di rinascita e di rigenerazione per la collettività dà nuovi stimoli al territorio e alle persone, motiva e  rende liberi. Anche la politica si fa coinvolgere: il Movimento 5 Stelle Sicilia, traendo ispirazione dalla Farm e in collaborazione con essa, sta promuovendo il progetto Boom Polmoni urbani, incubatore di idee per la riqualificazione del territorio. Il piano mira alla creazione di Luoghi identitari che possano valorizzare lo spazio urbano e favorire l’inclusione sociale e la cittadinanza attiva.

Luogo derazzistizzato è un'opera di Pep Marchegiani (foto Lupo)

Luogo derazzistizzato, un’opera di Pep Marchegiani (foto Lupo)

Il bianco è il colore scelto per segnare il confine della Farm Cultural Park: la delimita e la distingue. Sembra di non essere più nello stesso paese, le pareti delle case creano un contrasto di colore tra il dentro e il fuori, tra la riqualificazione e il circostante abbandono.

A tal proposito, Salvatore Lana e Marco Mondino, dottorandi dell’Università degli Studi di Palermo, scrivono:

«Una riqualificazione sui generis, dunque, che non risponde a politiche pubbliche, avvicinandosi piuttosto a un esperimento di mecenatismo contemporaneo che non intende ripristinare gli spazi e gli edifici ad una loro condizione precedente. In questo senso, l’aver scelto il bianco per colorare i muri delle costruzioni rivendica una discontinuità rispetto al passato ed anche una differenziazione dalle altre strutture. Una scelta dettata dall’intuizione di fare di quegli stessi muri delle tele che continuamente possono essere riscritte e riutilizzate. Niente dunque appare stabile, ma la Farm è uno spazio in continua trasformazione e una passeggiata a distanza di qualche mese rende conto di questo carattere mutevole» (Lana-Mondino, 2014).

Nonostante questo suo volersi delimitare, il dialogo della Farm con ciò che Farm non è, è inevitabile e necessario: il cambiamento deve coinvolgere, abbracciare, includere, perché non sia privo di senso. Nasce così un esperimento di convivenza di stili: l’architettura tradizionale siciliana si accosta e convive felicemente con l’arte sperimentale, i visitatori si appassionano, si entusiasmano, si lasciano trasportare da un’atmosfera inedita e originale. Gli abitanti del cortile diventano attori e spettatori al tempo stesso: continuano a vivere all’interno delle loro case, ma all’esterno si inseriscono in un progetto più grande, che li include e li coinvolge. Che relazione hanno instaurato con questo spazio reinventato? Di certo, esso ha innescato un’azione di contrasto all’emarginazione sociale e, allo stesso tempo, ha avviato per l’intera città un processo di miglioramento della qualità della vita, delle vie di accesso al mondo del lavoro, producendo così un vero e proprio riscatto sociale. A guardar bene, però, ci sono diversi livelli di coinvolgimento della popolazione: i giovani sembrano curiosi, attratti, si lasciano travolgere dal progetto perché vedono in esso migliori prospettive per la collettività; ci sono poi tutta una serie di persone che, per motivazioni sociali e culturali, non si sono ancora lasciate coinvolgere, forse perché non comprendono i benefici che da tutto ciò possono derivare o semplicemente per ragioni generazionali.

 Opera di Saverio Todaro (foto Lupo)

Opera di Saverio Todaro (foto Lupo)

L’esperienza di Favara può tuttavia considerarsi un modello urbanistico di avanguardia anche dal punto di vista del glocalismo: pur se proiettato verso una prospettiva globale, il progetto tende alla valorizzazione dell’identità e della realtà locale, della promozione sociale e della crescita culturale attraverso l’arte. L’approccio è assolutamente glocal: il recupero della dimensione sociale locale sta alla base della strategia. È una esperienza che produce valore in un contesto in cui non sembravano esserci speranze, che inventa stimoli per la creazione di progetti simili in grado di dare fiducia ad altre persone in altri luoghi. Paradossalmente, è proprio questa esasperata spinta moderna verso la globalizzazione che ha portato a un ritorno di attenzione alla dimensione locale; e la Farm è la prova che la globalizzazione e la valorizzazione del territorio nella sua dimensione locale possono felicemente convivere.

Dal punto di vista antropologico, l’esperienza della Farm è di grande interesse: lo spazio non è mai semplicemente e passivamente luogo delle esperienze umane, ma sempre realtà simbolicamente e culturalmente determinata e permeata dagli uomini. « L’abitare vuol dire qualificare in modo vissuto uno spazio particolare, configurare lo spazio come luogo» (Archetti, 2002:99). Vivere in un luogo non può significare soltanto farne uso, ma soprattutto identificarsi e creare una immagine riflessa in esso. Il paesaggio non può  considerarsi un mero spazio naturale e neutrale in cui l’uomo vive e si muove in modo anonimo, ma è – come è noto – un prodotto sociale, frutto delle azioni e delle volontà della collettività. Esso non è altro che il riflesso, non meccanico né deterministico, delle scelte che compiamo sul territorio, dei segni che vi lasciamo, di quanto abbiamo ereditato e di ciò che abbiamo realizzato. Per questo è necessario riappropriarci della sua valorizzazione, comprenderne il valore a livello collettivo. Per questo motivo la creazione di un luogo di cultura in uno spazio pubblico della città, che si ridefinisce antirazzista e sostenibile, può riuscire a coniugare l’innovazione con il rispetto per il territorio, diventando motore di inclusione e sviluppo sociale.

Segnali stradali hackerati opera dell

Segnali stradali hackerati, opera dell’Associazione Esterni (foto Lupo)

Dalla prospettiva del paesaggio come teatro, il progetto della Farm, riorganizzando uno spazio abitativo e migliorandolo, attribuisce nuovi significati a un territorio umiliato e sfruttato, non meno che ai suoi abitanti, che riacquistano dignità e consapevolezza di ciò che potrebbero essere.

«La concezione del paesaggio come teatro sottintende che l’uomo e le società si comportano nei confronti del territorio in cui vivono in duplice modo: come attori che trasformano, in senso ecologico, l’ambiente di vita, imprimendovi il segno della propria azione, e come spettatori che sanno guardare e capire il senso del loro operare su territorio […]. Possiamo dire, in altre parole, che è l’uomo che sa emozionarsi di fronte allo spettacolo del mondo, che si esalta al vedere il segno umano dentro la natura, che sente i ritmi di questa e i ritmi dell’umano, è lui che più di altri sa trovare le chiavi giuste per progettare e costruire nel rispetto dell’esistente e nella prospettiva di creare nuovi e migliori futuri» (Turri, 2003: 13).

Solo nello spirito di questa consapevole e rispettosa riappropriazione dello spazio urbano potremo dare al mondo i giusti impulsi di cambiamento, di ricongiungimento della cultura alla natura.

Dialoghi Mediterranei, n.13, maggio 2015
Riferimenti bibliografici
Archetti, M., Lo spazio ritrovato. Antropologia della contemporaneità, Meltemi, Roma, 2002.
Ciriello, M., Prendi l’arte e prova a ribaltare tutto, in «D di Repubblica», 30 ottobre 2010.
Consiglio, S., Riitano, A., (a cura di), Sud Innovation. Patrimonio Culturale, Innovazione Sociale e Nuova Cittadinanza, Franco Angeli, Milano 2015.
Lai, F., Antropologia del paesaggio, Carocci editore, Roma 2001.
Lana, S., Mondino, M., Una finestra sul cortile. Pratiche artistiche nello spazio urbano: il caso Farm Cultural Park, in Atti del convegno internazionale “SPACTION spazi in azione|azioni nello spazio”, Università degli Studi di Palermo, 14-15 novembre 2014, in pubblicazione per Aracne.
Power, C., Purple 10: holidays for art lovers, cfr.Purple travel blog, 29 agosto 2012.
Sciascia, G., La cultural farm che fa rinascere Favara, in «Corriere Innovazione», 3 maggio 2014.
Turri, E., Il paessaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Marsilio, Venezia 1998.
 Sitografia
www.esterni.orgwww.farm-culturalpark.comwww.fra-biacoshock.orgwww.pepmarchegiani.it; www.rionarte.itwww.vladyart.com
 _____________________________________________________________________
Gloria Lupo, laureata in Beni Demoetnoantropologici presso l’Università degli Studi di Palermo, ha conseguito un Master in Comunicazione dei Beni culturali, museali e del territorio. Interessata sia all’arte contemporanea che alla scrittura sperimentale in ambito antropologico, pratica la fotografia e si sta attualmente occupando degli studi intorno alle esperienze di riqualificazione urbana attraverso l’arte. Lavora nel campo della formazione e della progettazione europea.

_______________________________________________________________

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Società. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>