Nel nostro intervento punteremo l’attenzione sul capolavoro della scrittrice Canne al vento analizzando tutti gli elementi socializzati e socializzanti e le loro implicazioni nell’opera, nonché tutti quegli elementi arcaici che costituivano il tessuto sociale della Sardegna e che possono emergere ancora oggi come valori della società, con particolare attenzione sulla condizione della donna.
Cenni biografici
Una figura di primo piano della narrativa italiana degli inizi del Novecento, Grazia Deledda, è sicuramente la più grande scrittrice sarda. Nasce nel 1871 a Nuoro, capoluogo della Barbagia, nel cuore della Sardegna nord orientale.
La sua famiglia numerosa appartiene alla borghesia agiata e possidente, il suo destino fu simile a quello di tante altre bambine intelligenti e audaci che erano guardate con sospetto solo perché amavano leggere; per lungo tempo fu costretta a scrivere di nascosto; scrivere per la Deledda era un bisogno impellente e primario:
Piegata sul suo scartafaccio quando le sorelle tengono a bada la madre e Andrea è fuori in campagna e santus dorme uno dei suoi soliti sonni, ella si slancia nel mondo delle sue fantasie e scrive per un bisogno fisico come altre adolescenti corrono per i viali dei giardini [1]
Durante il suo intenso percorso letterario l’autrice scrive più di cinquanta volumi tra romanzi, novelle e poesie. Nel 1926 vince il premio Nobel per la letteratura, finora l’unico assegnato ad una donna italiana. Enrick Schurk membro dell’Accademia di letteratura di Stoccolma motiva il premio:
«Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano» [2].
Alla scrittrice sarda va il merito di essere riuscita a rompere la catena delle convenzioni e a ribellarsi a tutte le abitudini e le tradizioni secolari del suo ambiente. La sua produzione letteraria è una testimonianza concreta dell’emancipazione femminile in una epoca in cui l’affermazione e la realizzazione di una donna e dei suoi desideri erano questioni impensabili.
Come la Sicilia di Verga, la Trieste di Svevo, il Molise di Jovine, nelle opere della Deledda la Sardegna diventa lo sfondo accorato della sua narrazione. La scrittrice dipinge con meticolosità la cultura e la tradizione sarda, al pari dei veristi cerca di essere più fedele alla cruda realtà negli aspetti più umili e concreti.
Canne al vento è il romanzo più importante di Grazia Deledda, una tra le opere più rappresentative del verismo italiano. Il titolo evoca il tema profondo del dolore dell’esistenza e della fragilità umana di fronte ad un destino già designato. L’opera fu pubblicata nel 1913 ed ebbe un successo internazionale così da consacrare al mondo il talento della scrittrice, rappresentando anche un documento importantissimo per ricavare informazioni sul quadro storico, culturale e socio-economico della Sardegna del primo Novecento, una terra tanto amata nonostante i suoi disagi e che non scorderà mai anche durante il lungo soggiorno romano.
Il romanzo racconta le vicende delle quattro Pintor che appartengono ad un’antica famiglia nobile decaduta, educate fin dalla tenera età secondo rigidi precetti indiscutibili. All’atmosfera soffocante che si respirava in famiglia si ribella solo Lia, la figlia minore che decide di fuggire per sempre da un luogo che viveva come una prigione. Anche la Deledda, come Lia, si ribella al suo destino e sceglie di concretizzare un sogno che coltivava da bambina: diventare una scrittrice affermata senza che questa passione venisse considerata un disonore; crede fermamente nel suo successo professionale e sa gestire in modo manageriale e autonomo il proprio talento.
Il suo successivo trasferimento a Roma rappresenta una vera e propria fuga da un ambiente gretto e provinciale che l’avrebbe destinata a una vita casalinga ad un ambiente aperto e creativo. Grazia come Lia, con una valigia piena di sogni, emigra nel continente dove regna una mentalità più aperta e dove tutto sembra possibile: opportunità di lavoro, libertà d’azione e possibilità di incontrare uomini che contano.
L’allontanamento dalla Sardegna e dalla famiglia permette alla Deledda di valorizzare la sua identità personale e letteraria, il suo diritto di raggiungere quella piena libertà e autonomia che in cuor suo tanto desiderava. In questo senso possiamo riconoscere alla Deledda lo statuto di donna libera che ha contribuito con la sua attività letteraria al cambiamento del vissuto femminile.
Grazia Deledda avverte l’esigenza di rappresentare la realtà quotidiana dei sardi attraverso uno stile impersonale e descrive in profondità la sofferenza della sua isola che diventa il simbolo della vita dura di tutte le classi sociali più povere della terra. La scrittrice ha cercato di trasmettere e interiorizzare gli elementi che hanno un rapporto profondo con la realtà sociale sarda mettendo in evidenza tutti i problemi del suo tempo, allo scopo di tramandare di generazione in generazione il patrimonio culturale e ambientale della società sarda (l’insieme dei valori, ruoli, norme, codici, aspettative e credenze)
In altre parole la Deledda ha socializzato il suo racconto evidenziando i mali, le ingiustizie, le tristi e dolorose condizioni di vita delle classi più povere cercando di rappresentarle in maniera oggettiva, seguendo il sistema dell’impersonalità verista.
Il legame profondo con la Sardegna
In Canne al vento, notiamo uno stretto rapporto tra l’opera e la società sarda, un rapporto che si basa sull’idea del romanzo come espressione o riflesso dello spirito del tempo e della vita sociale contemporanea; viene scoperto un mondo pieno di contraddizioni, di dolore e di malinconia, il mondo arcaico dei contadini che soffrono e di una classe nobilare che ha perso gli antichi privilegi.
La scrittrice tende a raffigurare la dolorosa realtà della sua terra, la vita di un popolo sottomesso e schiavo di un terra isolata. Il libro è dunque il frutto dell’ispirazione dell’ambiente sardo con le sue particolarità: dialetto, tradizioni popolari, vita quotidiana, sofferenze. La scrittrice dipinge con un linguaggio vicino al mondo contadino la dura realtà del povero popolo sardo, con la sua umiltà e dignità impegnato in una tragica lotta per la sopravvivenza.
La produzione letteraria della Deledda è connotata da un profondo amore verso la sua terra, il suo paesaggio e la sua gente che non scorderà mai anche durante il lungo soggiorno romano. Grazia Deledda ambienta la storia di Canne al vento in un piccolo paese della Sardegna. In tutti i suoi romanzi la scrittrice mira sempre a illustrare la sua terra e farla conoscere in Italia e nel mondo. La storia si svolge precisamente nel villaggio di Galtellì che nel romanzo diventa Galte; lo spazio è molto preciso e ogni spostamento dei personaggi è ben specificato. La scrittrice dimostra una grande conoscenza dei luoghi e con precisione inquadra la vicenda in un contesto definito e riconoscibile.
Il romanzo racconta la storia delle sorelle Pintor che appartengono ad un’antica famiglia nobile decaduta, insieme a loro vive il vecchio servo Efix, personaggio centrale della narrazione che le accudisce, sia dal punto di vista materiale che affettivo. Efix è il vero protagonista del racconto, è il primo nome che apre il romanzo e anche il personaggio che compare nell’ultima frase in chiusura della storia.
Grazia Deledda crede nella purezza degli umili, mette al centro della scena una persona del mondo dei poveri. Efix muove la successione degli eventi a appare sempre nei momenti piu marcati dell’opera (la fuga di Lia, l’omicidio di don Zame, l’arrivo di Giacinto e la fine della vicenda coincide con la sua morte)
Le donne Pintor sono le figlie di don Zame, quattro sorelle non piu giovani e nubili. La Deledda traccia nell’opera una loro distinzione sulla base di alcune caratteristiche fisico-psicologico mettendo l’accento soprattutto sulla loro diversa età, quasi a simboleggiare le diverse stagioni della vita.
Le tre sorelle Pintor si rassomigliavano in modo straordinario, solo che rappresentavano tre età differenti: donna Noemi ancora giovane, donna Ester anziana e donna Ruth già vecchia ma d’una vecchiaia forte, nobile e serena [3].
Ruth è la maggiore delle sorelle Pintor, una donna calma, pacifica e paziente, delle sorelle è quella che è molto legata alle faccende di casa, riunisce in sé i tratti antropologici propri della cultura sarda. Dopo la sua morte Giacinto non tornerà più a Galte e le Pintor per far fronte al debito dovranno vendere l’ultimo podere, piombando in una miseria assoluta.
Ester è una donna allegra, ottimista e credente, è il personaggio che rappresenta lo sfondo religioso e la devozione popolare. Mentre le sorelle restano a casa, Ester segue in chiesa tutte le funzioni religiose, delle sorelle è quella piu importante per l’economia della casa , lei vende le canne per avere i soldi con cui aggiusta il tetto di casa e a differenza delle sorelle, Ester rappresenta il modello di donna remissiva che non si ribella. Noemi è la terza sorella, una donna bellissima ma malinconica e frustrata per la condizione di nobile decaduta che non riesce a perdonare la fuga di sua sorella Lia.
Lia è un personaggio assente nel racconto ma ritorna in numerosi ricordi del vecchio Efix o evocata nei dialoghi dei personaggi. È la sorella più giovane, una donna forte e coraggiosa che scappa dal suo paese cercando la fortuna e la libertà al di fuori dell’isola, durante il viaggio a Civitavecchia incontra un commerciante che sposa e con cui vive in discreta agiatezza fino alla nascita di Giacinto.
Don Zame è uno dei personaggi centrali della narrazione, un uomo ignorante e potente, orgoglioso e superbo ma anche geloso dell’onore della famiglia e soprattutto delle sue figlie. L’educazione delle bambine del tempo era molto severa e mirava a formare delle figlie, delle sorelle, delle mogli obbedienti e sottomesse. A questa condizione femminile si ribella Lia, la figlia più piccola. La quale decide di fuggire in continente piuttosto che rimanere relegata come una schiava nella casa paterna.
Il padre Don Zame sembra impazzire per lo scandalo; «un’ombra di morte gravò sulla casa: mai nel paese era accaduto uno scandalo eguale, mai una fanciulla nobile e beneducata come Lia era fuggita». Il servo Efix per favorire la fuga di Lia, per cui aveva una appassionata devozione, un sentimento molto simile all’amore, uccide accidentalmente il padrone.
Dopo anni, Giacinto, il figlio di Lia annuncia il suo ritorno a casa delle zie. L’inatteso arrivo del nipote risveglia nella memoria delle zie le immagini di un triste passato: la fuga della sorella, la morte misteriosa del padre, l’ombra del disonore e della disgrazia.
Le sorelle erano soddisfatte della venuta del nipote tranne Noemi. Giacinto per mostrarsi in pubblico benestante e ricco prende in prestito del denaro dall’usuraia Kallina e firma delle cambiali in nome della zia Ester. La scoperta dell’inganno del nipote addolora la zia Ruth che muore a causa del dispiacere. Efix a questo punto confessa a Giacinto l’omicidio di Don Zame e decide di espiare le sue colpe. Egli è convinto che i mali che perseguitano la casa Pintor siano causati dalla sua presenza e per questo abbandona casa Pintor per vivere di elemosina.
In seguito Giacinto dopo aver sposato Grixenda va a lavorare come mugnaio mentre Noemi si sposa con Don Predu, il nuovo padrone del podere. Sembra che ogni maledizione sia dissolta e Efix ritorna a casa delle sue padrone dove muore in pace fra le braccia della vecchia Ester, convinto che in questa vita «siamo canne e il destino è il vento».
In Canne al vento la Deledda ci presenta un mondo sardo bello e triste, un mondo pieno di contraddizioni, gioia e malinconia, tradimento e sacrificio, povertà e ricchezza, dignità e umiliazione, bontà e crudeltà, il tutto è descritto dalla Deledda con molto amore ma anche tanta amarezza.
«Le tradizioni del popolo, infatti hanno sempre esercitato un certo fascino su scrittori e artisti i quali spesso hanno fondato su di esse il motivo principale delle proprie opere» [4].
Anche la Deledda trova nella sua Sardegna una miniera di credenze, superstizioni, magie, leggende e tradizioni da riprodurre in letteratura con grande passione ed efficacia artistica. Il romanzo è una sorta di specchio della società sarda in quanto tratteggia la vita dei ceti svantaggiati economicamente, denunciando situazioni di sopruso e pregiudizio.
Per analizzare il tema della donna e la sua condizione ai tempi di Grazia Deledda, bisogna iniziare con una breve analisi della famiglia. Infatti, la famiglia di natura patriarcale è un tema costante nell’opera Deleddiana. Così è in Canne al vento la famiglia Pintor, nella quale il potere, l’autorità, i beni materiali sono concentrati nelle mani del padre Don Zame.
Don Zame rosso e violento come il diavolo, dopo la morte della moglie, prende sempre piu l’aspetto prepotente dei suoi antenati e come questi tiene chiuse dentro casa come schiave le quattro ragazze in attesa dei mariti degni [5].
Don Zame, il padre padrone, rappresenta un potere assoluto per le quattro figlie, un potere rappresentato da un’educazione severa, rigida, che serve a formare delle donne obbedienti, oppresse e sottomesse.
L’autorità paterna finisce poi con la ribellione della quarta figlia Lia che abbandona l’isola in cerca di fortuna e libertà
Donna Lia, la terza delle sue figlie, sparì una notte dalla casa paterna e per lungo tempo non si seppe nulla di lei. Don Zame sembra impazzire; corse di qua e di là, per tutto il circondario e lungo la costa in cerca di Lia ma nessuno seppe dargliene notizie. Finalmente ella scrisse alle sorelle, dicendo di trovarsi in un luogo sicuro e d’essere contenta d’aver rotto la sua catena [6].
Questo difficile rapporto padre-figlia rispecchia la condizione della donna sarda agli albori del Novecento. I rigidi principi, le regole della società, la tirannia paterna la confinavano fra le mura domestiche; la partecipazione alla quotidianità delle sorelle Pintor si limitava a qualche uscita fino alla chiesa insieme al resto della famiglia.
E come schiave esse dovevano lavorare, fare il pane, tessere, cucire, cucinare, saper custodire la loro roba, e soprattutto non dovevano sollevar gli occhi davanti agli uomini, né permettersi di pensare ad uno che non fosse destinato per loro sposo. Ma gli anni passavano e lo sposo non veniva [7].
Il matrimonio era il desiderio primario nella vita di ogni donna, l’unico mezzo di riconoscimento sociale del rispetto, dell’onestà, della dignità e del buon nome della famiglia. Al di fuori del matrimonio la donna non aveva il diritto di amare, si sposava non per amore quanto per il rispetto dei voleri della famiglia e delle regole sociali. La Deledda quindi evidenzia la difficile condizione della donna in una società maschilista che discrimina la donna e la considera come un essere subordinato da tenere relegato a casa e soggetto alla volontà dell’uomo, in nome delle tradizioni e dell’onore.
Con il personaggio ribelle di Lia la Deledda afferma però che la donna può trasformarsi in un essere rivoluzionario che lotta contro le tradizioni e le norme imposte dalla società. Lia come Grazia Deledda: le due donne presentano destini incrociati. Essere una donna potente in una società maschilista ieri come oggi dà molto fastidio.
Lia dopo aver osato disobbedire alle norme sociali, diventa un oggetto di pettegolezzi, una fonte di vergogna per la sua famiglia.
Le sorelle non le perdonarono questo nuovo errore: il matrimonio con un uomo plebeo incontrato cosi in questo modo: e non risposero [8].
Dopo la fuga di Lia il padre diventa più severo e più tiranno con le sue figlie e il suo servo, le sorelle sono screditate dalla fuga della sorella e non trovano marito. Insomma Grazia Deledda vuole liberare la sua società da quest’immagine strereotipata affermando che la donna ha la stessa dignità e libertà dell’uomo. Lo stesso percorso biografico della scrittrice rappresenta un esempio di emancipazione dalle condizioni di vita di una società chiusa socialmente e culturalmente che discrimina la donna e guarda alla sua attività di narratrice come a qualcosa di pericoloso e diverso, come una fonte di disonore.
In questo senso possiamo riconoscere alla Deledda lo statuto di donna libera che ha contribuito, con la sua attività intellettuale di scrittrice, al cambiamento di nuovi modelli di esistenza. La sua biografia è una concreta testimonianza di come sia stato possibile abbattere gli strereotipi ed essere un esempio positivo per le nuove generazioni.
L’amore è uno dei temi costanti nelle opere deleddiane, la Deledda presenta l’amore come uno degli argomenti tabù che non si osa affrontare all’interno delle famiglie sarde conservatrici dell’epoca. Il primo personaggio ad esserne colpito è Efix, innamorato segretamente della padrona Lia contravvenendo le rigide regole imposte dalla sua comunità. In una società sarda chiusa socialmente e culturalmente l’amore di un servo per una donna nobile è una grande colpa.
Un altro tabù implicitamente denunciato dalla Deledda è quello dell’onore. In senso ampio, l’onore simboleggia una virtù, una nozione filosofica legata fortemente alla dignità e all’identità morale della famiglia, un dogma sacro che possiede un significato che cambia da una società all’altra e da una persona all’altra. In particolare nel periodo deleddiano l’onore rappresentava un concetto intoccabile, generalmente legato alla sessualità della donna
Per questo motivo l’onore dell’uomo è sempre dipendente da quello di sua moglie, di sua figlia, di sua sorella e della sua famiglia. La donna quindi deve mantenere una buona reputazione sacrificando la sua libertà, il proprio piacere e il proprio corpo per evitare l’umiliazione e il disprezzo della società.
Dopo la fuga di Lia, il padre, don Zame, era intenzionato a difendere il suo onore con il sangue di sua figlia ma il servo accortosi del suo progetto lo uccide proteggendo così la sua amata Lia. La storia di Lia è quella di una donna coraggiosa che attraverso l’avventura del viaggio, si emancipa e valorizza se stessa avendole il viaggio consentito di cercare la sua vera identità personale e letteraria, il suo diritto di scegliere la propria strada narrativa e di raggiungere in fondo quella piena libertà e autonomia.
Grazia Deledda affronta il tema del viaggio nella sua opera letteraria sottolineando che si deve fuggire dalla realtà crudele per difendere la propria identità. Il viaggio quindi assume il valore simbolico della ricerca di se stessi, dell’individualità perduta, della libertà, dell’emancipazione da regole imposte da una società chiusa e statica.
Canne al vento è una storia in cui si percepisce unitamente alla fragilità umana, gli schemi imposti dalla società e il potere che cerca di essere padrone nella vita di ognuno. È un vero e proprio viaggio alle radici dell’identità etnica della Sardegna che permette al lettore di rivivere i sentimenti e i valori profondi di una cultura millenaria immersa in un contesto paesaggistico meraviglioso.
L’impatto e l’attualità dell’opera
Il libro ci dà la possibilità di vivere tante vite diverse e di attraversare altre esistenze e ci fa viaggiare in altre dimensioni ed epoche. Leggere permette anche quell’apertura mentale e culturale che dispone ad un incontro non superficiale con un’altra cultura lontana dalla nostra. La lettura è un ponte verso la coscienza di sé e verso la libertà del proprio pensiero. Quando ci immergiamo in essa possiamo superare tutte le costrizioni e le restrizioni dell’esistenza. La lettura ci insegna a usare l’immaginazione per viaggiare nello spazio e nel tempo e a servirci del cuore per penetrare fra le emozioni, facendoci dimenticare chi siamo, dove viviamo e in che epoca viviamo. La lettura ci fa diventare parte di un universo dove il reale e il fantastico viaggiano l’uno accanto all’altro,
Canne al vento non poteva non lasciare una traccia profonda dei suoi messaggi anche in un contesto storico profondamente mutato rispetto a quello in cui è ambientato perché l’uomo del tempo della Deledda è lo stesso uomo di oggi. È un uomo sempre in balia del vento che lo spinge e lo trascina senza sosta dove vuole, un uomo affaticato dalle lotte quotidiane e sottomesso alla crudeltà della società in cui vive. Il libro si basa principalmente su avvenimenti sentimentali di sofferenza umana, di miseria e di morte, trattandosi di una storia in cui si percepisce tutta la fragilità umana, la violenza degli schemi imposti dalla società.
Grazia Deledda si è sempre fatta portavoce della sua società, raffigurando la sofferenza di una Sardegna arcaica, sigillata nei suoi valori e princìpi tramandati nei secoli. È riuscita a rappresentare con attenzione le misere condizioni di vita dei poveri e contadini della sua isola, condannati ad un destino di sofferenza da cui sembra impossibile fuggire. È un romanzo attualissimo che ci porta in un mondo di problemi che assomigliano molto ai nostri. Dentro c’è tutto: la vita, la morte, il dolore, la disoccupazione, l’onore, l’amore, la violenza.
La scrittrice sarda è riuscita a rompere la catena, ribellandosi a tutte le abitudini e tradizioni del suo ambiente, la sua produzione letteraria è una testimonianza concreta dell’emancipazione femminile e un patrimonio culturale per tutte le generazioni.
Leggendo il romanzo possiamo scoprire anche la bellezza della Sardegna con il suo caratteristico ambiente, i suoi colori e profumi, i suoi paesaggi, le sue tradizioni e i suoi usi molto particolari. In chiave culturale e antropologica, il romanzo può essere considerato un documento interessante per studiare il popolo sardo e per scoprire un mondo isolato in cui le fragili vite degli uomini si muovono come le canne al vento.
Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025
Note
[1] Grazia Deledda, Cosima, Mondadori, Milano, 1998: 97-98
[2] Neria di Giovanni, Come leggere “Canne al vento” di Grazia Deledda, Mursia Milano, 1993: 39.
[3] Grazia Deledda, Canne al vento, a cura di Carlo Mulas, Indi books/ e reading life, 2013: 34-35.
[4] Grazia Deledda, Canne al vento, Mondadori, Roma, 2014:33
[5] ibidem.
[6] Neria di Giovanni, cit.:10
[7] Grazia Deledda, Canne al vento, Mondadori, Roma, 2014:34.
[8] Ivi: 35.
Riferimenti bibliografici
M. Atzori, Tradizioni popolari della Sardegna, identità e beni culturali. Editrice democratica sarda, Sassari 1997.
Cecchi, E., Grazia Deledda in storia della letteratura italiana, Garzanti, Milano 1969.
G. Deledda, Canne al vento, Mondadori, Roma, 2014.
N. Di Giovanni, Come leggere “Canne al vento” di Grazia Deledda, Mursia, Milano, 1993
Sitografia
In ricordo di Grazia Deledda essenza stessa di Sardegna, pubblicato su kalaris webblog, ottobre 2012:
http://claudiazedda.it
Grazia Deledda, figlia della Sardegna: la vita, la scrittura e la magia di una romanziera da Nobel, pubblicato su Sapere.it, Agosto 2015: http://www.sapere.it
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Alaa Dabboussi, nato in Tunisia, dottore in lingua, letteratura e civiltà italiana, ha seguito un corso magistrale e ha ottenuto il master nel 2015 presso la Facoltà delle lettere e delle scienze umanistiche de La Manouba. Presso lo stesso Ateneo ha discusso nel 2021 la sua Tesi di dottorato. Insegna letteratura italiana all’Università di Cartagine e la sua ricerca scientifica si focalizza sullo studio della letteratura di frontiera e sugli scambi interculturali dell’area del Mediterraneo.
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