Cinico e disperato si presenta allo spettatore Gabriele Muccino con questo suo film ansiogeno e, a tratti, struggente, in cui “fino alla fine” ci si chiede – perché abbiamo cronicamente bisogno di rassicurazione e non amiamo essere tirati a forza fuori dalla nostra confort zone – se l’amore dei due giovani protagonisti sia un amore tragico e puro o se violenza e squallore inquinino tutto, senza lasciare scampo. È insomma un film d’amore?
Fuori da ogni inquadramento di genere, Fino alla fine sfugge ad ogni definizione univoca o canonica, come la vita stessa di chi le si espone. E forse l’altalenante alternanza di lirismo e spasmo splatter che certa critica gli ha contestato è il suo maggior pregio. Lo rende imprevedibile e tiene il pubblico incollato alla poltrona con il fiato corto, a tratti cortissimo.
Sophie, la protagonista, e la sorellastra Rachel, due giovani americane, rappresentano, nella loro contrapposizione, le due anime di questo nostro caotico presente. Da una parte abbiamo, nel personaggio della maggiore, l’inerzia del puritanesimo ordinatore che vorrebbe pianificare l’esistenza, metterla a frutto scartando i tempi morti. Rachel infatti concepisce la vita – anche nei suoi momenti eccezionali quale è sicuramente un lungo viaggio tra città d’arte in Italia – come un percorso di costante auto miglioramento che deve giungere alla Salvezza: una vita quieta e degna, basata su valori positivi; una vita che, tuttavia, appare alla sorella minore un progetto di stagnazione.
Sophie ha, infatti, una fame disperata di sensazioni forti e di gioie ancestrali. Il tuffo delle prime scene, realizzato dopo una giocosa ma reale titubanza, insieme a Giulio, il giovane sconosciuto che le si presenta come un presagio d’amore, è l’evento chiave per comprendere il personaggio che cerca nell’adrenalina la certificazione di essere ancora in vita. Si tratta della reazione al vuoto lasciato nella sua vita dalla rinuncia alla musica: un lutto che, sotto la sua apparenza di giovane fresca, vitale e carina, la divora da dentro.
Lo capiremo in uno dei momenti più tesi e drammatici del film, quando nel corso di una lunga notte si espone al rischio di vivere così forte da poterne morire e, scavando una pausa nel ritmo di un incalzante precipitare di eventi pericolosi, trova un pianoforte tra i corridoi vuoti e alienanti di un centro commerciale e si mette a suonare. Suonando è scossa da una intensa febbre che la rende, al termine, un angelo caduto. Madida di un sudore amniotico, appare rinata, pronta, da lì in avanti, ad andare fino alla fine.
Gli altri ragazzi, gli amici siciliani di Giulio, e soprattutto Vasco, detto il Comandante, rappresentano il fato. Non sono liberi e spensierati come appaiono all’inizio ma portatori di un mortale incastro, di un ricatto dalle conseguenze tragiche. A ricattarli non è la criminalità, il boss che li costringerà a mettere in atto un crimine la cui realizzazione durerà per tutto il film, ma una giovinezza insana che ha portato il Comandante a sfidare gli Dei in un’età in cui si è vittime del complesso di onnipotenza.
In questo lungometraggio tutti interpretano una metafora. Nell’eterno presente dei nostri giorni, Rachel è metafora di un’etica imprenditoriale che galleggia nel nulla, che non è più ancorata a nulla, a cui sono venute meno le condizioni alle quali potrebbe ancora avere senso. La vita non la si controlla più con la buona volontà. Tutto è precario e incerto. Sophie è fragile e forte, come una ghirlanda di emozioni intrecciate intorno a un grande buco. È agita dal suo buco, dalla perdita del senso, della possibilità di creare, di essere musica. La salvezza per lei non è una vita ordinata. È l’orgasmo della creazione che, una volta provato, non si può dimenticare.
È una guerra tra generazioni e modi di essere. L’illusione di ordine e controllo di pochi genera l’entropia in cui sono costretti a vivere in molti, i più giovani, i più fragili: Vasco, Samba e Sprizz, scartati da un benessere che li attrae e li brucia come falene.
Tragica è la fine di Vasco. Cade come un Achille contemporaneo. Appare una perfetta vittima sacrificale, proprio quando aveva interiorizzato la necessità di cambiare e di riscattarsi. Poi si scopre che il suo sacrificio non ha risolto la situazione, non è bastato. Il fato che attende chi osa sfidare gli Dei in realtà li ha macchiati tutti.
Giulio è il personaggio più strano. Attraversa la notte rimanendo luminoso. È un espediente narrativo, radicato nell’amicizia ma estraneo al contesto. È una promessa d’eterno amore in una storia in cui tutto è consumo e autoconsumo. Quasi una impossibile possibilità.
Quanto a Palermo, non è solo uno sfondo, come da più parti è stato detto. È in qualche modo anch’essa personaggio. Ma non lo è come ci si aspetterebbe. È metafora del desiderio, nell’accezione più contemporanea. Una città puttana come tante altre (Roma, Napoli, Venezia…), pronta a vendersi e a perdersi, a perdere i connotati, a vendere, iper semplificate, le gioie di famiglia: il mare, i mercati, il pesce, i piaceri della gastronomia di tradizione araba.
Palermo è il contraltare cinico e ridanciano del tragico amore tra Sophie e Giulio. Ed è se stessa. Perché questo è ciò che Palermo sta tristemente diventando: il cinico e ridanciano contraltare ad ogni ricerca di autenticità, nel solco omologante della gentrificazione che, come uno tsunami, ha spazzato via ogni traccia di identità locale.
Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025
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Anna Fici, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi per i Corsi di Laurea di Scienze della Comunicazione presso l’Università di Palermo, ha coltivato parallelamente alla carriera accademica la pratica fotografica, che l’ha portata a vincere nel 2002 l’Internazionale di Fotografia di Solighetto (Tv), con il lavoro «Facce di Ballarò». A partire da quell’anno ha ricevuto numerosi riconoscimenti e ha svolto diverse mostre personali, prevalentemente nell’ambito dei Festival della Fotografia italiani. Oggi coordina dei laboratori di Fotogiornalismo per i corsi di Scienze della Comunicazione. È inoltre Direttore artistico di Collettivof – http://collettivof.com – un collettivo di fotografi di recente costituzione. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Nella giostra della Social Photography, Mondadori (2018); La linea spezzata. Una ricostruzione critica dell’attuale deficit di coerenza, Libreriauniversitaria.it Editrice (2021).
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