di Piero Di Giorgi
Molti eventi importanti e anche drammatici si sono verificati in questi ultimi due mesi. A parte Berlusconi, che continua a tenere sempre la scena, siamo stati vicini al deflagrare di un conflitto in tutto il Medio Oriente, con conseguenze inimmaginabili per la pace mondiale; vicenda che ha comunque contribuito a determinare il terribile dramma degli immigrati che fuggono dalla guerra in Siria, aggiungendosi agli altri provenienti dal Nord Africa e da altre regioni più interne, e che è costato la vita a centinaia di persone, soprattutto donne e bambini. Le elezioni in Germania hanno visto la vittoria mutilata di Angela Merkel, costretta a rifare la Grosse Koalitione con i socialdemocratici, mentre nel nostro Paese, nonostante l’ottimismo rassicurante del Presidente del Consiglio, la crisi continua a essere devastante per le classi più marginali e per il ceto medio basso e sembra di assistere a un’Italia in svendita e in bancarotta (vedi Alitalia e Telecom).
Ma, nonostante la crisi continui e anche la disoccupazione, soprattutto giovanile, cresca e lo Svimez ci avverta che la forbice Nord-Sud si vada allargando, il governo delle larghe intese vive in una costante fibrillazione e contrattazione, non solo per le differenti visioni sulla fuoruscita dalla crisi ma soprattutto per l’intreccio che continua a pesare tra interessi e comportamenti privati e sfera pubblica, che mette in luce l’arroganza e il delirio di onnipotenza di un potere che interferisce con le istituzioni e con il governo stesso. Abbiamo assistito ad un’escalation eversiva fino alla dimissione dei ministri dal governo, alla minaccia di dimissioni di tutti i parlamentari e all’apertura della crisi. La mossa di Enrico Letta di presentarsi in Parlamento per verificare la fiducia al governo ha fatto incrinare il fronte dei servi e burattini con tanti colpi di scena: Berlusconi che manda allo sbaraglio Brunetta e Bondi, il primo che aveva annunciato trionfalmente che il gruppo del PDL aveva votato all’unanimità per la sfiducia al governo e il secondo, il poeta della mistica berlusconiana, che aveva sparato a zero contro Letta. E poi voilà, il condannato prende la parola al posto di Schifani e dichiara la fiducia al governo per la pacificazione, cioè ricominciando il ricatto sulla base dei suoi guai giudiziari. Il governo resta in carica con la stessa maggioranza e con le stesse fibrillazioni, Napolitano benedicente. Scene non già kafkiane, come è stato detto, bensì del migliore repertorio pirandelliano. Nanni Moretti era stato profetico nel finale del suo film e non sappiamo ancora quali saranno i colpi di coda del caimano nel continuare a fare strame della Costituzione e nel fare crollare il Paese. A questo punto, il premier Letta non ha che affrettarsi a premere sul Parlamento per approvare una legge elettorale che consenta la governabilità e andare al voto con due coalizioni alternative, vista anche la presa in giro della legge di stabilità.
La crisi che attraversa il Paese deriva fondamentalmente dalla scarsità della domanda interna, perché i ceti medi sono stati massacrati e le disuguaglianze hanno raggiunto livelli scandalosi. I nostri governanti queste cose le sanno, se non altro perché penso che anche loro leggano quanto scrivono i premi nobel Krugman e Stiglitz. E tuttavia Letta, da democristiano doroteo Doc, invece di proporre una legge di stabilità coraggiosa, recuperando decine di miliardi (abolizione delle province, enti inutili e sottogoverni con tutti i relativi consigli di amministrazione, taglio degli sprechi, riduzione delle inaccettabili disuguaglianze, colpo alle rendite finanziarie, alle spaventose retribuzioni dei manager pubblici e privati ecc.) per fare investimenti, creare lavoro, spingere la domanda dei pensionati e dei dipendenti pubblici e privati, le cui retribuzioni, dopo essere state dimezzate dal cambio lira-euro, sono bloccate da anni, imbonisce gli italiani dicendo che non ci sono i soldi e non ha il coraggio di toccare interessi e gruppi di pressioni consolidati, intoccabili, le ripugnanti disuguaglianze e gli scandalosi privilegi. Insomma, un governicchio per vivacchiare.
La canea scatenatasi a seguito della condanna definitiva e delle motivazioni della Cassazione, secondo cui la frode fiscale era organizzata sistematicamente e per anni da Berlusconi, gonfiando fatture allo scopo di creare fondi per tangenti, è sconvolgente e inimmaginabile in qualsiasi altro Paese democratico. Un ministro degli esteri tedesco si è dimesso per una leggerezza adolescenziale, l’avere scopiazzato una tesi, fenomeno molto diffuso tra gli studenti. Un capo dello Stato si è dimesso, prima ancora che cominciasse il processo, perché accusato di avere ricevuto dei favori da un industriale quando era governatore. In Italia, non solo il corifeo, corruttore di minorenni e di giudici ed evasore fiscale, non si dimette ma organizza insieme ai suoi diadochi, opportunamente scelti tra donne compiacenti e fedelissimi compagni di merenda, apparsi alla ribalta grazie a lui, una cagnara prepotente, capovolgendo ogni realtà fino a trasformare il delinquente in perseguitato e il giudice in un accanito persecutore. Tutto ciò allo scopo d’identificare la magistratura tout-court come un organo politico che vuole eliminarlo dall’agone politico. Descrive una presunta “via giudiziaria al socialismo”, anche se nei tre gradi di giudizio sono stati coinvolti decine di giudici e di orientamento diverso e usa anche falsi argomenti secondo cui i giudici sarebbero funzionari dello Stato, che si sono trasformati in potere dello Stato, contando sul fatto che tanti italiani che votano per lui non hanno mai letto la Costituzione. E invece, il potere della magistratura è garantito costituzionalmente in un titolo apposito, il quarto, dove all’art. 101 si dice che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”e all’art. 104 si dice che “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, che “spettano al Consiglio superiore della magistratura le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati (art. 106), che “il ministro della giustizia ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare” e che “il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario” (art.107).
Ma questa non è l’unica bugia dei caudatari berlusconiani, parlamentari e giornalisti pennivendoli. La verità è che essi hanno scelto, di fronte a questioni e situazioni indifendibili, di seguire una strategia di rovesciamento della realtà, facendo apparire il condannato una vittima e un perseguitato dalla giustizia.
I processi di Berlusconi non sono, come in quel gioco a dare numeri che fanno il capo e i suoi gregari, né 50, né 58, né 106 bensì 18, di cui 14 sono conclusi e soltanto uno con piena assoluzione, mentre gli altri si sono chiusi o con assoluzioni con formula dubitativa, o per leggi ad personam, o prescritti e uno solo giunto a sentenza definitiva con condanna per frode fiscale e interdizione dai pubblici uffici. Dei 4 ancora in corso, due si sono conclusi con condanna in 1° grado (Unipol e Ruby 1), mentre sono all’inizio Ruby 2 e quello per compravendita di senatori per fare cadere il governo Prodi.
Questa amplificazione del numero di processi, in realtà, viene fatta artatamente allo scopo di dimostrare che Berlusconi è un perseguitato. É un’equazione bizzarra. É come se un rapinatore fosse perseguito dalla magistratura perché ha compiuto 50 rapine nel corso della sua carriera delinquenziale, deinde egli sarebbe perseguitato. Eppure, nessuno del PD, nei dibattiti televisivi né nei giornali, ha mai corretto i dati sui processi né risposto o fatto balenare l’ipotesi che la magistratura si sia trovata di fronte a un delinquente abituale. Neppure i compiacenti giornalisti della TV di Stato e non, che ospitano i segugi del capo (anche quelli con l’etichetta di sinistra), si premurano a smentire con i dati alla mano ma fanno passare quel messaggio bugiardo e propagandistico. Soltanto la Cassazione ha scritto, nelle sue motivazioni di condanna, che si è trovata dinanzi a un soggetto “con una tendenza abituale a delinquere”. “Era lui a corrompere e ingannare”.
C’è poi la bugia secondo cui Berlusconi avrebbe cominciato a essere perseguitato da quando è sceso in campo. In verità, la sentenza della Corte d’appello di Palermo, che condanna Marcello Dell’Utri, uno dei fondatori di “Forza Italia” e amico personale di Berlusconi, a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, documenta il patto stipulato 40 anni fa da Silvio Berlusconi (3 volte Presidente del Consiglio), allora un oscuro costruttore, con i boss Bontade, Cinà, Teresi e Di Carlo e poi continuato coi fedelissimi di Totò Riina, con la mediazione di Dell’Utri, secondo il quale, per ottenere protezione, avrebbe effettuato il pagamento di somme di denaro a Cosa Nostra. Questa verità processuale, tra l’altro, era stata resa definitiva dalla Cassazione con la sentenza di parziale rinvio del maggio 2012. Sulle liaisons dangereuses dell’ex Presidente del Consiglio restano ancora oscure le origini siciliane della sua ascesa economica. Contrariamente a quanto dicono i suoi sostenitori, quando Berlusconi è sceso in campo con il partito-azienda “Forza Italia”, già pesavano i dubbi sulla sua improvvisa scalata economica, c’era stata la sua appartenenza alla P2 e il suo monopolio televisivo grazie a Bettino Craxi.
Ci sono poi le bugie sulle tasse. Si presentano come i difensori dei cittadini mentre Berlusconi, che ha governato per i due terzi dell’ultimo ventennio, ha aumentato la pressione fiscale, come si può vedere dai dati dell’ISTAT. Berlusconi, come dimostra anche il suo ultimo video-messaggio, sembra che sia un neofita della politica e invece durante i suoi governi, la produzione e il PIL sono crollati, la disoccupazione è aumentata dal 40,6 al 44,8. Il videomessaggio sembra quello di venti anni fa, in cui si ripetono sempre le stesse promesse non mantenute, se non fosse che sentiamo sulla nostra pelle e sul nostro corpo l’azione dell’inesorabile entropia del tempo. L’unica cosa nuova e di una gravità assoluta è la minaccia eversiva con cui si è rivolto al suo elettorato: «Reagite e protestate contro i giudici». Ed è davvero deplorevole e scoraggiante che il Presidente della Repubblica, garante della Costituzione e Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura non abbia reagito con fermezza ma si sia limitato, il giorno dopo, al solito equilibrismo fatto di un colpo alla botte e un colpo al cerchio.
Ovviamente, tutto ciò è stato reso possibile dai mezzi di comunicazione posseduti da Berlusconi e dalle lottizzazioni del servizio pubblico. Ma è potuto avvenire anche per la linea morbida del PD, in ossequio al Presidente della Repubblica e alla stabilità del governo. Traffici sottobanco e sponde offerte qua e là, da Violante a Bassanini, della possibilità di rinviare alla Consulta, da parte della Giunta, per presunta irretroattività della legge Severino, per prendere tempo, quando, in verità, la Costituzione, quella di cui ultimamente si fa strame, dice in maniera chiara all’art. 65 che «la legge determina i casi d’ineleggibilità e d’incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore» e all’art. 66 che «ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità».
Il già non candidabile Silvio Berlusconi per enorme conflitto d’interesse, su cui l’opposizione di centro-sinistra ha chiuso sempre gli occhi, in base al D. Lgs n. 235/2012 art. 1, non è candidabile in quanto condannato in via definitiva mentre l’art. 3 contempla la non candidabilità sopravvenuta. Per di più, il condannato ha già subito altre condanne ed è in attesa di altri giudizi penali, oltre alle oscure vicende per le quali entra anche nella sentenza Dell’Utri. Allora, perché tante ipocrisie e giri di parole? É un condannato, punto e basta. Non deve un parlamentare che rappresenta la Nazione, essere al di sopra di ogni sospetto?
C’è, tuttavia, un problema in Italia e sta nel popolo italiano. L’anomalia su cui occorre fare una riflessione è: com’è possibile che con tutti i processi di Silvio Berlusconi, di cui alcuni prescritti, altri chiusisi con condanne definitive, c’è una fetta consistente del popolo italiano che ancora gli dà dei consensi? É perché credono realmente che sia innocente o perché Berlusconi rispecchia un’indole di sregolatezza, di etica della leggerezza del tipo “Cu futti futti, Diu pirduna a tutti”? Certamente c’è anche questo, almeno per una fetta di elettorato. Il Berlusconismo è un sistema di potere, un modo di vivere e di pensare, un modello di comportamento. Ma c’è qualcosa di più profondo che riguarda la mancanza di senso critico, la scarsa tendenza a leggere e capire da parte di tanti italiani, anestetizzati dalla televisione, soprattutto dalle reti del capo, veicolate e assunte come Vangelo. Soltanto una scuola che educa a suscitare curiosità, a porsi domande, alla cittadinanza attiva, che aiuta a formare menti critiche, può evitare, nel tempo, che i cittadini possano essere manipolati e trattati come oggetti da acquistare da parte di venditori e imbonitori.
Sulla situazione in M. O., per un disguido non ci è pervenuto un articolo di un nostro collaboratore. Ci limitiamo a presentare in questo piccolo riquadro alcuni aspetti di una situazione assai complessa e che postula un’analisi più accurata.
In Siria già si contano130 mila morti, tra cui circa 50 mila civili. Si è stati vicini a un intervento degli Stati Uniti che, come ha dichiarato il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-Moon, avrebbe potuto portare a un’estensione del conflitto dalle conseguenze imprevedibili. Come ha mostrato l’evoluzione delle c. d. primavere arabe, la questione che si pone in Siria è sempre la stessa: l’alternativa è tra l’eliminazione di un dittatore e il rischio che venga sostituito da una teocrazia islamica, magari influenzata da al Qaeda. Ma la questione è ancora più complessa perché è attraversata anche da conflitti etnici e interreligiosi tra sciiti e sunniti. Se la Siria fosse colpita dai missili americani, gli Hezbollach libanesi, sciiti armati dall’Iran, potrebbero colpire Israele. L’Arabia Saudita finanzia i rivoltosi siriani meno estremisti e ha spinto, insieme agli USA (entrambi finanziano la Giordania), la Giordania ad essere zona-cuscinetto per il passaggio di armi e ribelli verso la Siria. Di conseguenza la Giordania perderebbe la sua neutralità. Se cadesse Assad, si spezzerebbe l’asse sciita che unisce Siria, Iran ed Hezbollach e lo stesso Presidente iraniano Rohani, succeduto ad Adaminjean, eletto dal popolo per uscire dall’isolamento internazionale, dopo un attacco, sarebbe in grave difficoltà a dialogare con l’Occidente e si fermerebbero anche i negoziati sul nucleare iraniano. Nello stesso tempo, gli sciiti, oltre ad attaccare Israele, potrebbero sobillare gli sciiti delle regioni orientali dell’Arabia e del vicino Barhein. In Libano potrebbero essere aggrediti i sunniti, alleati dei sauditi e anche la Turchia sunnita e ostile ad Assad, pur se nemica dei sauditi, potrebbe essere coinvolta. Tra l’altro Erdogan preme per l’intervento armato e sia la Turchia che l’Arabia Saudita sperano nella caduta di Bashar El Assad per estendere la loro influenza nel M.O. Ma anche la Russia ha una bella gatta da pelare: da un lato ha la paura di un eventuale governo islamico alle porte del Caucaso integralista e ribelle; dall’altra, Assad è l’unico che garantisce uno sbocco mediterraneo a Putin. Papa Francesco, per fortuna, è diventato un leader mondiale, gridando il valore della pace e affermando che «la guerra genera guerra e la violenza genera violenza». “Mai più guerra” è stato il grido di dolore del Papa, lanciando un appello per una veglia di preghiera e per una giornata di digiuno. Frattanto, in Egitto continuano le contrapposizioni tra il Governo dei militari e l’opposizione dei “Fratelli musulmani”. Dialoghi Mediterranei, n.4, novembre 2013 |