di Marcello Vigli
Il direttore della «Civiltà Cattolica» Antonio Spadaro, in un saggio sulla strategia della Chiesa, sostiene che papa Francesco sta cambiando il mondo. «Marxista” o “populista”, “profetico” o “rivoluzionario”: sono tante le definizioni che sono state date dell’operato di papa Bergoglio. Qualunque giudizio si esprima, è innegabile che la sua figura sia ormai quella di un leader in grado di esercitare un’enorme influenza sulla politica internazionale». A suo avviso, integrare, dialogare, generare sono i tre verbi che Francesco ha usato per lanciare «la sfida di “aggiornare”» l’idea stessa di Europa alla luce di un «nuovo umanesimo».
Don Giorgio De Capitani si domanda, invece, fino a quando gli allocchi continueranno a non accorgersi che Francesco è un papa che sa fingere bene.
«Ancora oggi … una spessa coltre avvolge la Chiesa, nel cuore del suo potere e nelle sue periferie più lontane: credenti, e non, sono vittime di un papa che non passa giorno che non incanta, facendo l’attore – ora drammatico ora comico – mutando in continuazione le maschere, attento a non scoprire il volto della pochezza di un uomo di potere che inganna le masse, con la stessa facilità con cui le lascia poi in balìa del delirio del nulla….Non so se o quando apriranno finalmente gli occhi, ma credo che passerà ancora molto tempo».
Un giudizio così severo sembra trovare conferma negli eventi di questo inizio d’anno che hanno visto il papa percorrere le strade del Cile e del Perù preceduto e accompagnato da contestazioni che hanno fatto scrivere a Piero Schiavazzi: «Il bilancio del viaggio di Papa Francesco in Perù e Cile: l’America Latina da zoccolo duro a tallone d’Achille del pontificato. In esso si sarebbero alternati segnali oscuri e squarci di luce, il bagno di folla delle celebrazioni e la doccia fredda della contestazione, i colori primordiali degli indios e il grigiore postmoderno dei barrios».
Il papa avrebbe scontato un risentimento profondo verso i vescovi della società cilena per la gestione dei casi di pedofilia, ma anche per la mancata soluzione dello status del vescovo di Osorno, Juan Barros, da lui stesso nominato e difeso, formatosi alla scuola del potente padre Fernando Karadima riconosciuto colpevole di abusi su minori. Francesco, infatti, mentre ha manifestato la sua attenzione abituale alle sofferenze delle popolazioni native, povere e marginalizzate, ha anche dimostrato mancanza di chiarezza nel non dare la priorità alle vittime degli abusi sessuali del clero e ha pregiudicato gli sforzi della Chiesa per dimostrare il suo pentimento su questa importante questione.
Ha chiesto, infatti, perdono e ha manifestato la sua vergogna per gli abusi del clero parlando alla “Moneda” alle autorità civili cilene e ricevendo, seppure a porte chiuse, una delegazione di alcune delle vittime, ma non ha avuto la stessa disponibilità nei confronti delle vittime di Karadima, noto pedofilo seriale ma molto influente e conosciuto nella élite economica e conservatrice del mondo cattolico cileno. Di questa difesa di Barros si è successivamente scusato pubblicamente riconoscendo che manca l’evidenza delle sue responsabilità senza, però, recedere dalla sua valutazione. Per questo motivo secondo alcuni, la credibilità di papa Francesco, per quanto riguarda gli abusi del clero sui minori, in Cile sarebbe stata pregiudicata; al contrario per altri, come Enzo Marzo, che normalmente diffidano delle parole di papa Francesco perché sulla pedofilia ecclesiastica e sullo Ior avrebbe fatto troppo poco, questa richiesta di scusa e questo riconoscimento del proprio errore avrebbero esitato una vera rivoluzione politica. Per lo meno nello stile.
È evidente, comunque, che con questa insistenza sulla sua scelta il papa ha inteso riaffermare la sua autorità indiscussa nella nomina dei vescovi proprio per non mostrare cedimenti in coincidenza con la pubblicazione di un duro comunicato del cardinale Mueller sul sito della diocesi di Boston in cui si prendono le distanze dalle parole del Pontefice, esprimendo anche il disagio di quella parte del cattolicesimo statunitense più in sintonia con l’ideale di riforma pastorale della Chiesa perseguito da Francesco. Al tempo stesso, preso atto che il caso Barros continua ad essere presente sui media internazionali, ha incaricato il vescovo maltese Scicluna, a lungo rappresentante dell’accusa presso la Congregazione della dottrina della Fede, di recarsi in Cile per stabilire la verità sul caso in questione.
Ben più complessi sono i rapporti con il governo della Repubblica popolare cinese nella quale Francesco sta cercando di promuovere realmente quella unità della Chiesa, annunciata nel 2007 da Benedetto XVI dopo aver abolito, formalmente con una lettera, la distinzione tra comunità cattolica ufficiale e sotterranea, ribadendo che esiste una sola Chiesa cattolica in Cina. In realtà il riavvicinamento delle due comunità non si è ancora concluso. La Conferenza episcopale della Chiesa Patriottica fedele al governo, infatti, non riconosce l’autorità del Papa, considerato un capo di Stato straniero e ostile, e il Vaticano di conseguenza non la riconosce come legittima. In questi cinque anni di pontificato, Francesco ha lanciato messaggi rassicuranti e rapporti diplomatici sono iniziati dietro le quinte, per trovare una composizione al nodo delle nomine episcopali, sulla quale pesa però la pretesa di Pechino di voler dire l’ultima parola.
Per questa ricerca di accordo, c’è chi accusa la Santa Sede di svendere la Chiesa cattolica in Cina per trovare un patto a tutti i costi con il partito comunista; sospettano che la linea diplomatica vaticana assomigli molto più a una resa, un modo pratico per dimenticare il passato e tutte le ingiustizie subite dai cattolici cinesi. Nell’ultima settimana il conflitto è emerso per la dura reazione dei tradizionalisti alla soluzione proposta dalla Santa Sede di chiedere a due vescovi clandestini di dimettersi per consentire di sostituirli con altri due graditi a Pechino. Se n’è fatto portavoce il cardinale Jospeh Zen, arcivescovo emerito di Hong Kong venendo a Roma per incontrare il papa senza ottenere un suo intervento soddisfacente. Si è diffusa invece la notizia che ormai la nomina di nuovi vescovi è avviata secondo la linea imposta dal segretario di Stato Vaticano, il cardinale Pietro Parolin d’intesa con Pechino. A confermarlo le parole dello stesso cardinale Zen: « Penso che il Vaticano stia svendendo la Chiesa Cattolica in Cina».
Queste difficoltà incontrate non possono oscurare la fermezza con cui il papa continua a denunciare le ingiustizie e la necessità urgente di avviare un cambio di indirizzo economico, politico e culturale, per contrastare la corruzione che ricade sui poveri. Non è certo che avrebbe potuto rilanciare questa denuncia se avesse accettato l’invito al Forum di Davos dove con l’arrivo di Trump si è realizzata la massima concentrazione dei signori dell’economia mondiale. Si è limitato, infatti, ad inviare un messaggio in cui sollecita i leader globali a riportare l’uomo al centro dell’economia, creando una società inclusiva, giusta e che dia supporto, denunciando la gravità del momento e rilevando l’urgenza di un radicale cambiamento.
Nella Chiesa italiana, intanto, la Presidenza della Conferenza episcopale è chiamata a misurarsi con l’approssimarsi delle elezioni. Il nuovo Presidente, cardinale Gualtiero Bassetti, intervenendo alla riunione del Consiglio Episcopale Permanente e dichiarando che la Chiesa non è un partito e non fa accordi, ha duramente condannato come immorali le promesse elettorali, evidentemente esagerate, volte solo a catturare consensi. Nella stessa sede ha poi criticato le parole del candidato del centrodestra alla regione Lombardia, il leghista Attilio Fontana, a difesa della “razza bianca” a suo avviso minacciata dall’invasione dei migranti dall’Africa. «Bisogna reagire a una cultura della paura che, seppur in taluni casi comprensibile, non può mai tramutarsi in xenofobia o addirittura evocare discorsi sulla razza che pensavamo fossero sepolti definitivamente. Non è chiudendo che si migliora la situazione del Paese».
Non orientato a dare indicazioni di voto è anche l’intervento del Segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, che chiede un sussulto di onestà, realismo e umiltà da parte di chi ci chiede il voto. In particolare tra i temi centrali, ricorda la questione immigrazione, che, come dice, rischia il declassamento a merce elettorale. Nessuno è in grado di prevedere cosa succederà con questa tornata elettorale: per la quale la Chiesa italiana né indica alcuna prospettiva, né dà giudizi su posizioni probabili o esistenti
Ugualmente significativa ma non del tutto coincidente è l’iniziativa della Conferenza Episcopale Lombarda che, alla vigilia della campagna elettorale, ritiene opportuno offrire ai propri fedeli alcune indicazioni pastorali, per incoraggiare alla serenità e alla responsabilità nel cammino di preparazione a questi importanti appuntamenti. È un pressante appello a sfuggire alla tentazione, molto diffusa, di astenersi dal partecipare all’esercizio del voto, sia in sede nazionale che regionale, accompagnato da un auspicio che il confronto tra le parti sia il più sereno possibile e non gridato, su programmi ben articolati, sinceri e reali nelle promesse. Chiedono attenzione perché
«la presenza dei cattolici nelle diverse parti in competizione non si ripercuota in termini di lacerazione dentro il corpo vivo delle comunità: la Chiesa non si schiera in modo diretto per alcuna parte politica. Ciò significa che tutti – in particolare coloro che si propongono come candidati – si guardino dalla tentazione di presentarsi come gli unici e più corretti interpreti della Dottrina sociale della Chiesa e dei valori da essa affermati. Molto più concretamente raccomandano, per evitare ogni possibile strumentalizzazione, che le parrocchie, gli istituti religiosi, le scuole cattoliche, le associazioni e i movimenti ecclesiali, durante il periodo elettorale non mettano sedi e strutture a disposizione delle iniziative di singoli partiti o formazioni politiche. Per lo stesso motivo ai presbiteri è richiesta l’astensione da qualsiasi forma di partecipazione diretta alla vita politico-partitica e alle iniziative elettorali».
Nella stessa direzione va l’intervento dell’Arcivescovo di Milano Mons Mario Delpini che, in una lettera, invita i giovani chiamati a votare per la prima volta a non cedere alla tentazione di astenersi disertando le urne, con un appello ai 18enni e a tutti i giovani:« io credo che voi potete informarvi, voi potete pensare, potete discutere, potete farvi una idea di quale direzione intraprendere e di come fare del vostro voto, il vostro primo voto! un segnale di un’epoca nuova. Non cambierà tutto in una tornata elettorale. Ma certo con l’astensionismo non si cambia niente!».
Entrano, invece nel merito delle scelte elettorali i gesuiti di Civiltà Cattolica che, sull’ultimo fascicolo in un articolo di padre Francesco Occhetta, propongono esplicitamente le larghe intese, magari con un Gentiloni bis . Altrettanto chiaro è l’invito a non votare, alla luce dei principi e dei valori della Costituzione, il Movimento 5 stelle e le destre di Meloni e Salvini.
Può apparire, invece, del tutto diverso l’orientamento di parte della gerarchia quasi favorevole ai grillini a giudicare dalla simpatia mostrata dal Segretario di Stato, cardinale Parolin, quando ha incontrato a New York Luigi Di Maio, e dalla cordialità con cui il papa ha stretto la mano alla sindaca di Roma, Virginia Raggi, in occasione della sua visita in piazza di Spagna nel giorno dell’Immacolata. Ulteriori elementi per azzardare questa valutazione possono venire da una doppia e contemporanea (contemporaneità, certo non casuale) intervista di Beppe Grillo sul quotidiano Avvenire e del suo direttore Tarquinio sul Corriere della sera dalle quali emergono diverse opinioni sui temi etici, ma significative convergenze sui grandi temi sociali e del lavoro. Su questi entrambi ammettono che le due sensibilità sono assolutamente uguali e convergenti. L’affermazione ha sorpreso molti e invece è del tutto credibile. La dottrina sociale di Papa Francesco e la sua predicazione sono del tutto compatibili con la “presunta” ideologia etico-sociale dei 5stelle: “presunta” perché poi di fatto i 5stelle possono cambiare posizione su tutto ogni settimana.
Sono, comunque, lontani i tempi in cui le gerarchie cattoliche impegnavano le strutture ecclesiali e le associazioni laicali a farsi carico di sostenere elettoralmente il partito “cattolico”. Questa, rinuncia all’interventismo del passato è certo favorito dallo stile imposto dalle scelte di papa Bergoglio, ma è diventato progressivamente una scelta obbligata in assenza di un tale partito.
Ugualmente non interventisti sono stati i vescovi quando è stato evidente che il Senato rinunciava ad affrontare la legge sullo jus soli; hanno rinnegato di fatto l’impegno con cui molti cattolici, particolarmente gruppi giovanili e lo stesso Avvenire, avevano contribuito ad elaborarla e a sostenerla, convinti che essa meritasse una denuncia ferma e inequivocabile, non un silenzio non scusabile a fronte di tanti interventi indebiti in altre occasioni.
Questo silenzio di fronte all’abbandono della legge da parte del Senato ha turbato le coscienze di quanti la consideravano un fatto di civiltà e, soprattutto per i credenti, un fatto di fraternità e ha provocato una dura riprovazione di Noi Siamo Chiesa. In un suo comunicato il Movimento, nel dichiarare sicuramente lodevoli le iniziative della Comunità di Sant’Egidio e della Federazione delle Chiese evangeliche per l’apertura di corridoi umanitari, denuncia che non devono costituire «una foglia di fico usata per tentare di legittimare politiche governative esclusivamente miranti a impedire, con ogni mezzo e il più possibile lontano dagli occhi dell’opinione pubblica, l’arrivo in Italia dei migranti». Deprecabile, inoltre, è il silenzio dei vescovi nei confronti della spedizione neocoloniale in Niger che induce a chiedersi: è «questo il nuovo corso che avevamo sperato nella gestione della Conferenza episcopale del nostro Paese?».
Più incisivo certo, pur se indirettamente, il video con l’intenzione di preghiera del Papa per il prossimo mese di febbraio (cioè il mese che precede le elezioni politiche!!!) il cui tema è corruzione e mafia, uno dei motivi dominanti di tutto il Pontificato di Francesco, sin dal suo inizio. La proiezione del video papale è avvenuta per il pubblico durante il convegno “Corruzione, apocalisse della democrazia”, che si è tenuto a Scampia (Napoli) il 3 febbraio presso la scuola intitolata a Attilio Romanò, vittima della camorra,
Da quanto detto emerge un quadro complesso per la cui interpretazione particolare interesse assume il numero 3/2018 di Adista che sull’argomento pubblica un dossier curato da Valerio Gigante su La Chiesa e le elezioni del 4 marzo: esiste ancora il voto “cattolico?, che, sull’argomento, riporta il parere di alcuni autorevoli esponenti del cattolicesimo politico di diversa provenienza e collocazione politica. Sono Stefano Ceccanti, ex presidente Fuci e attualmente senatore del Partito Democratico, Giorgio Tonini, anche lui ex presidente della Fuci, poi coordinatore dei Cristiano Sociali, oggi senatore Pd; Lino Prenna, coordinatore di “Agire Politicamente”, associazione di cattolici democratici; Guido Formigoni, già presidente di “Città dell’Uomo” l’associazione laicale fondata da Giuseppe Lazzati; e Giovanni Russo Spena, esponente dei cristiani per il socialismo prima, senatore di Rifondazione Comunista poi.
Dialoghi Mediterranei, n.30, marzo 2018
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Marcello Vigli, partigiano nella guerra di Resistenza, già dirigente dell’Azione Cattolica, fondatore e animatore delle Comunità cristiane di base, è autore di diversi saggi sulla laicità delle istituzioni e i rapporti tra Stato e Chiesa nonché sulla scuola pubblica e l’insegnamento della religione. La sua ultima opera s’intitola: Coltivare speranza. Una Chiesa altra per un altro mondo possibile (2009).
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