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Gaza: l’insostenibile leggerezza degli effetti collaterali

Taqual e i suoi versi su un un muro di Nail

Fadwa Taqan e i suoi versi su un un muro di Nablus, Palestina

di Enzo Pace 

Tawfiq Zayyad è una figura ben presente alla memoria dei palestinesi. Era un cittadino israeliano, vissuto tra il 1929 e il 1994 a Nazareth, di cui sarà sindaco nel 1975, tre anni dopo la IV guerra arabo-israeliana, detta del Kippur. Tawfiq è stato, allo stesso tempo, un poeta e un politico. Affidava alla parola inerme della poesia la forza di raccontare la resistenza di un popolo. Ogni palestinese ricorda e canta ancora oggi le rime di hunā bāqūn (Resteremo qui): 

Resteremo qui noi
Custodiremo l’ombra del fico e dell’ulivo
Se saremo assetati, spremeremo il deserto
E mangeremo polvere, se avessimo fame
Ma non ci muoveremo!
Tafkwar

Tawfiq Zayyad

Militante del partito Rakah [1], Tawfiq ha creduto nell’idea di un fronte unico di liberazione della Palestina, laico e plurale, al tempo stesso. Decisamente egli era più propenso a organizzare scioperi e varie forme non violente di resistenza di massa che a imbracciare il fucile. Avrebbe probabilmente appoggiato la prima intifada, senza lasciarsi affascinare dal jihadismo armato di Hamas. Sarebbe stato sulla stessa linea di un’altra poetessa, Fadwa Tuqan, recentemente scomparsa nella sua città natale, Nablus, nel 2003 [2]. 

Mi basta rimanere
nell’abbraccio del mio paese
per stargli vicino,
stretta, come una manciata di polvere
ramoscello di prato
un fiore.           
Hiba Kamal Abu Nada

Hiba Abu Nada

Ho voluto ricordare le figure, di una donna e di un uomo, che, grazie al linguaggio della poesia, hanno contribuito a far conoscere la causa palestinese al mondo per venire al tema delle riflessioni.

Nell’attuale guerra israeliana contro Hamas, tra gli effetti perversi (che i militari di tutti i tempi chiamano collaterali) il 20 ottobre del 2023 è rimasta uccisa sotto le macerie della sua abitazione a Khan Yunis una giovane poetessa, Hiba Abu Nada (1991-2023); qualche mese dopo, il 6 dicembre, è stato ucciso da un attacco israeliano un altro poeta, docente di letteratura all’Università Islamica di Gaza, Refaat Alareer (1979-2023) [3]. Metto uno a fianco all’altro due brevi brani delle loro poesie: 

Hiba Abu Nada, “Ti proteggerò Refaat Alareer, “Se dovessi morire”
Ti proteggeròSe sarai ferito e soffrirai

con le sacre scritture ho custodito

dal fosforo il sapore delle arance

e dal fumo tossico le tinte

delle nubi.

Ti proteggerò

Un giorno la polvere si disperderà

e rideranno i due innamorati

morti mano nella mano.

Se dovessi morire,che porti allora una speranza

che la mia fine

sia un racconto.

 
Alacrer

Refaat Alareer

C’è un secondo effetto perverso di questa guerra a Gaza, di cui pochi parlano. Alludo al futuro della minoranza cristiana. Anch’essa sta pagando un prezzo per colpe non commesse, ma soprattutto rischiando l’estinzione fisica dei suoi membri. Se ciò accadesse, sarebbe un’altra piccola nakba nella seconda (dopo quella del 1948) grande Nakba in corso. In scala minore, si verificherebbe quanto già è avvenuto nel lungo ciclo di guerre medio-orientali tra il 1990 e il 2023 (dalla c.d. prima guerra del Golfo sino alle guerre contro Daesh e alle guerre civili in Iraq e Siria).

Con la cautela che si deve a tutte le cifre che stimano l’appartenenza religiosa di una popolazione determinata, le persone di fede cristiana oggi in Israele superano le 160 mila unità. Sono concentrate soprattutto in Cisgiordania, tra Ramallah, Betlemme e Gerusalemme e rappresentano il 2,1% della popolazione in una realtà, dove l’ebraismo e l’islam sono le religioni più diffuse. I cristiani di Gaza sono una piccola ma vitale presenza, ma in continua e severa decrescita. Nel 1949-50 si stima che risiedessero nei primi campi profughi circa 20 mila cristiani (il 20% del totale della popolazione che allora ammontava a poco più di 35 mila residenti). Man mano che la sottile striscia di terra (Gaza: 41 km in lunghezza e 6-12 km in larghezza, è sempre bene ricordarlo) si affolla sempre più nel corso degli anni di guerra (dal 1948 al 1973) con l’arrivo a ondate successive di profughi, in proporzione si assottiglia la presenza dei cristiani.

I Cristiani a Gaza, aprile 2023 (ph. Mahmuf Hams)

I Cristiani a Gaza, aprile 2023 (ph. Mahmuf Hams)

La situazione peggiora soprattutto dopo la conquista politica dell’area da parte di Hamas, vincitrice delle prime, e uniche, elezioni celebrate in Palestina nel 2006 [4]. Tale data segna la rottura di Hamas con l’Autorità palestinese e l’insediamento del movimento fondato da Ahmed Yassin nel 1987 a Gaza. La striscia diventa da allora una sorta di laboratorio politico-religioso dove sperimentare il progetto di una città santa degli insorgenti in nome dell’islam, chiamati alla distruzione dell’unità sionista (nel gergo di Hamas: lo Stato d’Israele).

La situazione delle comunità cristiane ne risente direttamente. La visione  ideologica dei dirigenti di Hamas si dice rispettosa della fede dei cristiani, ma essa pensa che, in accordo con la shari’a, tali comunità dovrebbero essere trattate secondo le regole della dhimma: comunità protette dal potere politico. Episodi di non facili rapporti hanno riguardato soprattutto le poche scuole confessionali, quando i dirigenti di Hamas hanno invitato i musulmani a non mandare i loro figli in una scuola cattolica dove sono previste classi miste e, dunque, non in linea con le prescrizioni shariatiche.

nakbaSta di fatto che la situazione della minoranza è diventata ancor più difficile, tra l’essere in uno stato di guerra continua (dal 2008 a oggi), il dover dipendere necessariamente dagli aiuti esterni che giungono dalle rispettive Chiese d’origine e del calo del numero di fedeli, dovuto anche alla decisione da parte di chi ha qualche risparmio o introito in più di far migrare i propri figli, magari appoggiandosi alla numerosa diaspora palestinese nel mondo [5]. Alla vigilia della guerra in corso, erano circa mille e trecento le persone di fede cristiana. Metà appartengono alla Chiesa cattolica [6].

Nel frattempo in Cisgiordania, sono peggiorate le condizioni materiali di vita. L’autorità nazionale palestinese non è in grado di garantire livelli accettabili di occupazione alla popolazione residente nei territori occupati. Da anni una quota cospicua di palestinesi è andata a lavorare nei territori controllati dall’esercito israeliano e in Israele. Da una decina di anni, e con una accelerazione negli ultimi mesi, Tel Aviv ha incoraggiato l’inserimento nel mercato del lavoro di manodopera straniera, sostituendo quella palestinese. Dal 7 ottobre 2023, infatti, il governo ha sospeso i 140 mila permessi che consentivano ai palestinesi della Cisgiordania di recarsi a lavorare in Israele. Gli effetti sulla vita quotidiana sono evidenti: ci si ritrova disoccupati e questa condizione contribuisce a rendere difficili i rapporti con gli israeliani. Il conflitto moltiplica i micro-conflitti. Ciò spiega l’animosità crescente anche tra ebrei e cristiani palestinesi, di cui riferiscono uomini di Chiesa e agenzie di area cattolica.  

A Gaza la situazione della minoranza cristiana è ancor più disperata [7]. L’area sud della Striscia, nella zona desertica che si prolunga verso il Sinai, sin dal III secolo d.C. era popolata da comunità monastiche che si rifacevano alla regola cenobitica di Antonio Abate. Nel IV secolo esisteva una diocesi guidata dal vescovo Porfirio. L’unica Chiesa greco-ortodossa esistente a Gaza porta, infatti, il suo nome.

social_media_pictures_gaza_churchIl 20 ottobre 2023, una palazzina annessa all’edificio di culto, dove si era rifugiato un gruppo di fedeli e di gente comune, è stata bombardata. La chiesa si trova nel quartiere Zaytoun di Gaza City, non distante dall’altra unica chiesa cattolica, la parrocchia della Sacra Famiglia. Durante una delle tante crisi belliche che si sono verificate in passato, anche una casa annessa alla Chiesa è stata bombardata nel luglio del 2014. Il Governo israeliano sia in passato sia attualmente ha sempre cercato di giustificare quanto accaduto (come nel caso della Chiesa ortodossa di S. Porfirio), spiegando che i bersagli non sono tanto le chiese, ma gli edifici adiacenti scelti deliberatamente, a detta dei generali israeliani, dai miliziani di Hamas per mimetizzarsi tra la popolazione civile. In ogni caso, siamo drammaticamente di fronte a effetti collaterali che lasciano il segno: non solo distruggendo strutture appartenenti alle Chiese, ma seminando il terrore tra i cristiani di Gaza, che si trovano così tra due fuochi, tra i missili israeliani e la resistenza armata di Hamas. La stessa considerazione può essere estesa all’ospedale al-Ahli Arab di pertinenza della Chiesa Anglicana, fondato nel 1882 (durante il mandato britannico), pesantemente bombardato e reso praticamente inagibile nell’autunno del 2023.

Se, come pare, ogni attacco è preliminarmente pianificato con l’aiuto di un software d’intelligenza artificiale (Lavender), possiamo immaginare che, per ogni bersaglio che s’intende colpire, il programma calcoli quale potrebbe essere il costo in termini di vittime umane e stabilità degli edifici civili. Il fatto che un missile venga poi effettivamente lanciato, avvisando le persone che si trovano in un edificio con un sms qualche ora o minuti prima, conferma che, comunque, ci saranno effetti collaterali spiacevoli e deplorevoli. Ma tutto ciò è messo già nella contabilità in chiaro di ogni azione di questo tipo. È  la logica politico militare che banalmente produce tutto ciò.

Tendopoli a Mawasi

Tendopoli sulla spiaggia di Mawasi

Mentre scrivo, non sappiamo ancora se ci sarà la quarta fase prevista  dai generali israeliani. La prima prevedeva l’esodo forzato degli abitanti concentrati a Gaza City verso il sud della Striscia, con una prima evacuazione di circa un milione di persone al di là del fiume Wadi Gaza (a sei chilometri di distanza da Gaza City e poco più dalle prime case di Khan Younis a sud). Dopo aver svuotato della sua popolazione la parte nord, l’esercito israeliano ha impostato un piano sistematico d’interventi mirati, suddividendo tutto il territorio in 623 blocchi e concentrando sistematici attacchi su ciascuno di essi, con intensità maggiore o minore a seconda delle informazioni che l’intelligence acquisisce sulle infrastrutture militari e sulla presenza di miliziani di Hamas.

Nulla è stato lasciato al caso. Nel gennaio di questo anno si è passati a una terza fase concentrando il fuoco rispettivamente sull’Università al-Aqsa, su due ospedali, su una scuola e costringendo migliaia di palestinesi a cercare rifugio in una tendopoli di fortuna sorta in questi mesi sulla spiaggia di Mawasi [8]. Il Governo israeliano si accinge ad acquistare quaranta mila tende da inviare nella zona in vista della soluzione finale dell’attacco a Rafah. La catastrofe si compirà e approfondirà il solco delle memorie divise. 

Dialoghi Mediterranei, n. 67, maggio 2024 
Note
[1] Acronimo di Reshina Komunistit Hadasha (in ebraico). Quest’ultima parola è, a sua volta un acronimo di una sigla che corrisponde a Nuovo Fronte per la Democrazia e l’Eguaglianza. Tale formazione politica viene fondata nel 1965. Il partito originariamente d’ispirazione comunista raccoglieva militanti ebrei e arabi. Dopo la guerra dei Sei Giorni del 1967, si formarono due fazioni contrapposte: una più filo-sovietica e anti-sionista (posizione sostenuta dalla componente araba), la seconda sempre più critica nei confronti dell’URSS e filo-sionista. Il partito riuscì a guadagnare tre seggi alla Knesset nel 1965. La scissione verificatasi al suo interno nel 1967 vedrà nascere un Nuovo partito comunista che nelle successive elezioni arriverà a stento a conquistare un seggio, restando sotto la soglia del 3%. Solo nel 2021 ne prenderà due. La formazione, che si è presentata alle ultime elezioni del 2023 con il nome Hadash-Ta’al, è guidata da una nota giornalista palestinese, Aida Touma-Suleiman, nata e cresciuta in ambiente cristiano, ma di orientamento laico.
[2] Per una più ampia trattazione delle poesie di Resistenza in Palestina si veda Meryem Belkaid, Dalla Nakba a Gaza: Poesia e Resistenza in Palestina, in “Orient XXI”, 15 marzo 2021. Inoltre, restano preziosi per il pubblico italiano consultare i lavori di Isabella Camera d’Afflitto, Cento anni di cultura palestinese, Roma, Carocci, 2007 e Simone Sibilio, Nakba, La memoria letteraria della catastrofe palestinese, Roma, Edizioni Q, 2013.
[3] Per saperne di più si visiti il sito della newsletter BoccheScucite, curata da Pax Christi dal 2006, una preziosa fonte di notizie sulla situazione palestinese (https://bocchescucite.org).
[4] La partecipazione non a caso fu alta (più del 74% degli aventi diritto andò a votare, in cifra assoluta 1.042.000). Hamas vinse ma non stravinse; ottenne il 44,4% di voti contro lo storico partito al-Fath espressione dell’OLP che prese il 41,4%. Il resto, a parte i consensi modesti ottenuti dal partito di matrice marxista e comunista (4,1%), i voti si sono sparpagliati tra altre nove formazione che si erano presentate alle urne. Su Hamas e sul passaggio da gruppo armato a soggetto politico rinvio a P. Caridi, Hamas. Dalla Resistenza al regime, Milano, Feltrinelli, 2023.
[5] Si stima che siano più di dieci milioni dal Nord America al Cile, dal Medio-Oriente all’Europa.
[6] I dati sono tratti dall’ultimo rapporto del 2022 sulla libertà religiosa nel mondo redatto dal Dipartimento di Stato degli USA (https://www.state.gov/international-religious-freedom-reports/).
[7] Lo era già nel 2008-2009, quando Nandino Capovilla, parroco della SS. Resurrezione a Marghera (VE) l’ha narrata nel libro Un parroco all’inferno. Abuna Manuel tra le macerie di Gaza, Milano, Paoline, 2009. La sua parrocchia è gemellata con quella di Gaza. Egli ha avuto modo in questi anni di visitare Gaza e, durante la guerra in corso, di ricevere documentazione di prima mano su quanto sta accadendo nella Striscia e, in particolare, alla comunità cristiana.
[8] Per una dettagliata descrizione di questo piano rinvio al sito di Forensic Architecture, un team di ricerca nato nel 2010 alla Goldsmiths dell’Università di Londra:
 https://forensic.architecture.org/investigation/humanitarian-violence-in-gaza.
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Enzo Pace, è stato professore ordinario di sociologia e sociologia delle religioni all’Università di Padova. Directeur d’études invité all’EHESS (Parigi), è stato Presidente dell’International Society for the Sociology of Religion (ISSR). Ha istituito e diretto il Master sugli studi sull’islam europeo e ha tenuto il corso Islam and Human Rights all’European Master’s Programme in Human Rights and Democratisation.  Ha tenuto corsi nell’ambito del programma Erasmus Teaching Staff Mobility presso le Università di Eskishehir (Turchia) (2010 e 2012), Porto (2009), Complutense di Madrid (2008), Jagiellonia di Cracovia (2007). Collabora con le riviste Archives de Sciences Sociales des Religions, Social Compass, Socijalna Ekologija, Horizontes Antropologicos, Religiologiques e Religioni & Società. Co-editor della Annual review of the Socioklogy of Religion, edito dalla Brill, Leiden-Boston, è autore di numerosi studi. Tra le recenti pubblicazioni si segnalano: Cristianesimo extra-large (EDB, 2018) e Introduzione alla sociologia delle religioni (Carocci, 2021, nuova edizione).

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