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Georg Simmel interprete della modernità. Spunti di riflessione anche per l’oggi?

Georg Simmel

Georg Simmel

di Nicola Squicciarino 

In Filosofia del denaro Simmel (1858-1918) riconduce allo sviluppo dell’economia monetaria l’origine del processo di formazione della società moderna, delle grandi trasformazioni tecnico-industriali, sociali e culturali del suo tempo. Nella prefazione a tale opera, che non si propone di essere un trattato di economia, afferma che intende «tracciare una linea direttrice che vada dalla superficie del divenire economico fino ai valori e ai significati ultimi dell’umano nella sua totalità» [1]. Egli riflette sulla cultura della società moderna e, in un approccio interdisciplinare, evidenzia in particolare le conseguenze che l’interesse per il denaro determina sui rapporti reciproci fra gli individui, sui valori e sullo stile complessivo della vita. 

Il denaro, da mezzo a fine 

A differenza dell’animale, i cui impulsi sono legati esclusivamente al soddisfacimento immediato e meccanico della vita istintiva e non rimandano ad un momento ulteriore, l’essere umano «non è mai durevolmente appagato». Con il suo volere si spinge molto al di là dell’attimo attraverso una serie teleologica o serie di fini, che diviene sempre più articolata con lo sviluppo della civiltà. Tale processo finalistico è una costruzione che non ha termine, ogni fine conseguito viene infatti vissuto come uno stadio preliminare verso qualcosa ancora da raggiungere, come un «principio euristico regolativo». Conseguentemente qualsiasi singolo obiettivo della nostra volontà va valutato non come meta ultima, ma al contrario come possibilità di divenire il gradino che porta a un fine più alto, di valere dunque come puro mezzo.    

Con la crescente complessità della vita moderna si rendono però necessari sempre nuovi mezzi, e questi assorbono le energie a tal punto che «le mete autentiche sfuggono completamente alla coscienza, anzi, vengono spesso messe in dubbio». Tale completa proiezione della coscienza verso il compito pratico della realizzazione dei mezzi viene definita da Simmel «metempsicosi del fine ultimo». L’esempio estremo è rappresentato dal denaro che, pur essendo in sé «la forma più pura di strumento» utile per i più differenti obiettivi, diviene fine. «Mai un oggetto il quale debba il suo valore esclusivamente alla sua qualità di mezzo […] ha raggiunto così radicalmente e senza riserve una tale assolutezza psicologica di valore, al punto da divenire il fine ultimo che invade completamente la coscienza pratica» [2]. 

611oz-rpbcl-_ac_uf10001000_ql80_Egli pone tale assolutizzazione del denaro in stretta relazione con il mutamento delle tendenze storico-culturali, con il fatto che l’interesse economico generale non è più, come una volta, in funzione solo del consumo, ma è rivolto in modo essenziale alla produzione industriale. Nonostante faccia un’analisi molto severa della sua epoca, non nutre nostalgie tardoromantiche per il mondo preindustriale e premoderno, né condivide il Kulturpessimismus del suo tempo, sebbene nei suoi scritti non manchino accenni in tal senso. In lui prevalgono l’interesse e l’ammirazione per la modernità, per il luogo, la metropoli, che della vita moderna ne è l’affascinante palcoscenico, ed anche per il denaro, a cui egli fa risalire questo mutamento epocale. Lo stesso sviluppo dell’individualità personale è favorito dal processo di differenziazione e razionalizzazione dell’economia monetaria, sebbene venga minacciato proprio da questa. Il denaro da una parte rende possibile l’intreccio di interessi di persone tra loro molto distanti, dall’altro determina un alto grado d’individualizzazione di colui che opera in campo economico. 

A differenza delle modalità di retribuzione tipiche dell’economia naturale, il salario, ossia il possesso del denaro, consente a chi lavora di essere di fatto «infinitamente più indipendente», gli dà «una libertà di movimento prima inaudita». Nella logica della concezione liberale, pone l’individuo in una «libera lotta di concorrenza» che lo costringe ad una specializzazione dell’attività [3]. La maggiore coscienza di sé, che caratterizza l’operaio moderno, è strettamente connessa con l’affermazione dell’economia monetaria, con il fatto che questi fornisce ora solo una prestazione ben precisa a cui corrisponde un equivalente in denaro. Egli non è più preso «in affitto», come ancora nel caso dei domestici, «con tutta la sua persona», non si trova più in uno stato di «non libertà», di soggezione totale ad altri suoi simili. Stipula un contratto in cui, in un rapporto di scambio, vende solamente la merce-lavoro in una «subordinazione non più personale, ma di natura tecnica» [4] 

La specificità del denaro, scrive Simmel, sta nell’«assenza di specificità». Si presta infatti ai più differenti orientamenti del pensiero e del sentimento, è un’arma a doppio taglio, un fattore di «libertà e vincolo», ha un carattere ambivalente. La stessa economia monetaria, «come tutte le grandi forze della storia, può essere paragonata al mitico giavellotto in grado di guarire da solo le stesse ferite che infligge»[5]. L’incidenza del denaro sullo stile della vita moderna come fattore di emancipazione o di obiettivazione, di libertà interiore o di soggezione agli oggetti, «dipende [...] soltanto dall’uomo», il cui «destino eterno è di muoversi nel conflitto tra le esigenze poste direttamente dal fine e quelle poste direttamente dai mezzi» [6]. 

Il denaro viene tuttavia sempre più percepito come «il valore di tutte le possibilità», come mezzo assoluto in grado di congiungere e concludere le infinite serie di fini, ed appunto per questo assume il significato di fine ultimo. Simmel constata come, con l’atrofizzazione del contenuto dei fini autentici, definitivi della vita, il denaro, sebbene sia solamente un tramite e nulla di più, subisca un potenziamento crescente che gli consente di sostituirsi ad essi, di rivestire la loro forma. Nell’età moderna viene così a trasformarsi nell’«equivalente di tutti i valori», ad acquisire in modo più estremo di altri mezzi un’«assolutezza psicologica». 

61xgbgz8eml-_ac_uf8941000_ql80_Egli ne pone in risalto l’«istintiva percezione di somiglianza formale e psicologica» con la rappresentazione di Dio. Il denaro ha assunto i caratteri della divinità, per molti è divenuto un’inconsapevole trasposizione in campo economico della concezione monoteistica. Appunto come Dio, il denaro, avendo raggiunto un’altezza astratta al di sopra della molteplicità degli interessi e dei contrasti, «induce a confidare nella sua onnipotenza come nell’onnipotenza di un principio superiore, capace in ogni momento di procurarci ogni singola piccola cosa e di potersi, in un certo senso, trasformare in essa». La stessa «passionalità», che la «caccia selvaggia» al denaro trasmette non solo alla vita economica ma alla vita in generale, ed il conseguente sentimento di appagamento che suscita il possesso di ciò che è stato raggiunto, vengono considerati affini allo stato d’animo religioso [7]. 

Nella riflessione simmeliana la crescente espansione dell’economia monetaria, oltre che determinare un’accelerazione estrema del ritmo della vita, introduce nell’agire umano un tratto psicologico tipico del nostro tempo, quello della calcolabilità, in netto contrasto con la maggiore impulsività e ricchezza di sentimenti delle epoche precedenti. La valutazione in denaro comporta nella vita di ogni giorno l’esigenza di continue operazioni matematiche, di attività di definizione, di ponderazione, di riduzione dei valori qualitativi a valori quantitativi. Conseguentemente induce a definire «in termini di calcolo» anche gran parte delle funzioni spirituali che regolano i rapporti individuali e sociali. 

Tale essenza calcolatrice si riflette nel fatto che nei confronti del denaro non ci si chiede «che cosa» e «come», ma «quanto». Finché è semplicemente desiderato, il suo carattere quantitativo resta in secondo piano, solo il guadagno concreto consente di coglierne l’essenza o mancanza di essenza, il fatto cioè che «la sua qualità consiste esclusivamente nella sua quantità» [8]. Poiché è il solo equivalente per tutti i molteplici oggetti, il denaro, esprimendo le differenze qualitative delle cose in termini quantitativi, diviene «il più spaventoso strumento livellatore [...] svuota irreparabilmente le cose del loro nocciolo, della loro individualità, del loro valore specifico e della loro incomparabilità» [9]. Ecco perché Simmel definisce la prostituzione «particolarmente ripugnante», proprio per il fatto che, in cambio di un rapporto, venga richiesto un «equivalente così impersonale come il denaro», il cui valore è «il meno individuale» che ci possa essere, «il più lontano dal contenuto specifico di ogni persona» [10]. 

61-sfkppsl-_ac_uf10001000_ql80_Psicologia della modernità 

In Filosofia del denaro, e poi anche nel saggio La metropoli e la vita mentale, egli pone in particolare risalto la profonda affinità tra la natura del denaro e l’intelletto, il fatto che i fenomeni specifici dell’economia monetaria sono sorretti dall’energia spirituale della ragione in antitesi con quella del sentimento. Denaro e intellettualità hanno in comune «il tratto della spregiudicatezza o dell’assenza di carattere». A differenza del carattere che àncora le persone e le cose ad un tipo di esistenza individuale, l’intelletto è lo «specchio indifferente» della realtà, esattamente come il denaro che «in sé e per sé è il riflesso meccanico dei rapporti di valore delle cose e si offre ugualmente a tutte le parti». 

Nella società economicamente sviluppata il valore del denaro pervade tutto, i comportamenti tendono a legami calcolabili e razionali che, in misura crescente, riducono lo spazio per le passioni o le pulsioni favorendo così un «appiattimento della vita emotiva» [11], l’indifferenza nei confronti degli aspetti più personali della vita, un’equivalenza delle persone e delle cose. Tale centralità assunta dal denaro, inteso come fine, trasforma progressivamente in mezzi tutte le componenti della vita, esige una funzionalità organizzativa che, come avviene nella metropoli, ridimensiona qualitativamente l’interazione sociale. Le merci invece «acquistano una vita propria» in base al calcolo, e quindi un’autonomia nei loro rapporti, nelle compensazioni di valore di cui gli esseri umani sembrano divenire solo gli «esecutori» [12]. 

Al posto della solidarietà di interessi, che strutturava la proprietà collettiva e che dal punto di vista sociologico rappresentava una forma di continuità dei legami familiari, subentra la particolarizzazione degli interessi dei singoli membri. Come inevitabile correlato dell’intellettualità l’economia monetaria, sebbene renda possibile che l’esistenza si fondi su forme di talento individuali, impone tuttavia un nuovo carattere di estraneità: «non solo l’egoismo sul piano propriamente etico, ma anche l’individualismo in campo sociale», ne diviene «l’affermazione sfrenata» [13]. 

La moderna vita cittadina, così fortemente condizionata dalla vita economica, è la prova più tangibile del predominio delle funzioni intellettive su quelle emotive. In un’analisi della metropoli, che è una diagnosi ancora sostanzialmente attuale dei suoi mali, Simmel pone in evidenza la netta differenza tra l’esperienza di chi vive nel villaggio, ove i rapporti sociali sono più profondamente sentiti e si alimentano facilmente attraverso il lento e costante ritmo delle abitudini, e quella invece dell’uomo della grande città. Costui vive l’opprimente e rapido affollarsi di immagini mutevoli, l’irrompere di impressioni inattese e, per garantire la propria autoconservazione, «reagisce con il cervello», con il riserbo [14]. 

Che l’immediata percezione delle persone, degli oggetti e dei valori in misura crescente venga regolata dai simboli è indicativo della straordinaria importanza che nella vita concreta della metropoli, sede dello scambio monetario, assume l’intelletto. La spersonalizzazione delle relazioni umane, derivante dal fatto che sempre più spesso, in modo tacito, sono gli interessi economici a motivarle, fa sorgere una «barriera interna», un’«invisibile distanza funzionale» tra gli individui. Tale atteggiamento mentale rappresenta comunque una necessaria compensazione, una protezione che rende tollerabile la moderna forma di vita e tiene a freno conflitti latenti. 

«Il fatto che nella civiltà urbana con i suoi traffici e le sue relazioni commerciali, professionali e sociali ci si muova così addossati l’uno all’altro, farebbe cadere l’uomo moderno, sensibile e nervoso, in uno stato di completa disperazione se l’oggettivazione dei rapporti sociali non determinasse anche un confine interno e un particolare tipo di riservatezza» [15]. 

Il risultato di tale freddezza umana è che spesso «non conosciamo neppure di vista coloro che sono stati nostri vicini per anni». Sebbene la riserva e l’indifferenza reciproche garantiscano certamente all’uomo della metropoli un genere ed una dimensione di libertà personale impensabile nel piccolo centro, è altrettanto vero, sottolinea Simmel, che «da nessuna parte ci si sente così solitari e così perduti come nella folla metropolitana», dove «la vicinanza fisica e la ristrettezza di spazio rende la distanza mentale tanto più visibile» [16]. Per poter sopravvivere, l’uomo moderno reagisce dunque con l’intelletto, con un maggiore controllo della sfera emotiva. Questo tipo di risposta, pur consentendo una più grande facilità d’intendersi a livello razionale, aggiunge però all’allontanamento dalla natura, a cui costringe la vita urbana, una crescente distanza psichica tra uomo e uomo. 

Tale mutamento qualitativo nei rapporti sociali implica una graduale separazione dei momenti personali da quelli oggettivi, favorisce così sempre più una conoscenza dell’altro nel suo ruolo, mentre dell’altro come persona sappiamo sempre meno. La metropoli, culturalmente più ricca ma fortemente condizionata dalla vita economica, a differenza del piccolo borgo, non consente di abbracciare e controllare in modo più diretto e completo ciò che riguarda l’esistenza dell’altro. Obbliga pertanto l’individuo a poggiarsi su mille presupposti che egli non può seguire e verificare del tutto, e che deve accettare per buoni. In misura sempre maggiore la moderna vita cittadina, osserva Simmel, presuppone la «fede nell’onestà dell’altro», la fiducia di non essere ingannati, diventa cioè «economia di credito» in un senso molto più ampio di quello economico. 

Proprio perché viene a mancare la possibilità di una vera conoscenza della persona, e quindi aumenta l’ignoranza sulla personalità complessiva dell’altro, la fiducia diviene un elemento fondamentale, indispensabile per l’interazione umana. Non essendo più situata su un piano personale, radicata nella totalità soggettiva dell’individuo, si rapporta oggi piuttosto all’attendibilità di ciò che ci giunge come fredda informazione sull’altro nella sua funzione sociale, a ciò che egli ci mostra, spesso solamente aspetti esteriori del tutto irrilevanti, o a qualcosa che egli involontariamente ci svela. 

«Che ci si “conosca” reciprocamente in questo senso non significa affatto che ci si conosca reciprocamente, ossia che si penetri l’aspetto propriamente individuale della personalità; ma soltanto che ognuno ha per così dire preso nota dell’esistenza dell’altro [...] del “che”, non del “che cosa” della personalità» [17]. 

A tale conoscere generale intorno alla persona, limitato solo al suo aspetto oggettivo chiaramente riconoscibile, a questo «effetto distanziante» [18] che il credito produce nella vita moderna, così che «il pubblico diventa sempre più pubblico, il privato sempre più privato», corrisponde un maggior occultamento della individualità personale. Tende così ad affermarsi il ruolo della menzogna come forma di manipolazione della conoscenza e dei rapporti e conseguentemente, rispetto alle culture tradizionali, cambiano di contenuto e di significato le forme della discrezione, del segreto, della riservatezza e dell’intimità [19]. 

La sensibilità simmeliana per le tematiche psicologiche, chiaramente riconoscibile già nei suoi primi scritti, è ulteriormente confermata dall’enfasi posta sull’eccitazione nervosa provocata dalla vita metropolitana e dalle relazioni alienanti di un’economia monetaria matura. Le pagine di Filosofia del denaro si prestano infatti ad esser lette come studio di psicologia della modernità, e in tal senso quest’opera è stata definita «un capolavoro di analisi e descrizione psicologica» [20]. Ed anche «un pendant estremamente interessante al Capitale di Marx», della cui indagine di carattere economico alcune parti di tale scritto di Simmel rappresenterebbero «una traduzione nel linguaggio della psicologia» [21]. 

Egli schizza i tratti della moderna personalità nevrastenica, ne pone efficacemente in luce la radice psicologica, che individua nell’«intensificazione dell’agitazione nevrotica» determinata dal «rapido e interrotto mutare degli stimoli esterni ed interni» [22]. Sottoposto ad un costante ed incalzante bombardamento dei sensi con impressioni in cambiamento continuo, l’uomo moderno, per non soccombere, reagisce creandosi una distanza emozionale con il proprio ambiente fisico e sociale, la cui «degenerazione patologica» è rappresentata dalla «fobia del contatto». Questa è una conseguenza dell’«iperestesia», cioè di una ipersensibilità al contatto [23]. 

Il lato interiore di tale atteggiamento è fatto «non soltanto di indifferenza ma, più spesso di quanto crediamo, di leggera avversione, di leggera estraneità e repulsione che si muteranno in odio e in aperta lotta non appena si verificherà per qualsiasi causa un contatto più stretto» [24]. Il tipo metropolitano di personalità, dai nervi spossati, è caratterizzato da forme nevrotiche di comportamento che oscillano fra poli estremi, tra uno stretto contatto con persone e cose ed un’eccessiva distanza da esse, fra l’«ipersensibilità» e l’«insensibilità», tanto nella forma estrema della paura del contatto quanto nella forma della completa indifferenza [25]. 

Nell’analisi simmeliana proprio il blasé ne è la migliore espressione. Il suo atteggiamento nasce «anzitutto dagli stimoli nervosi rapidamente mutanti e fortemente compressi». Egli è l’immediato risultato, la «completa interiorizzazione» del processo di livellamento a cui inevitabilmente conduce l’economia monetaria. I suoi nervi vengono stimolati dalla concentrazione e acquistabilità delle cose a tal punto che la pura intensificazione quantitativa degli stimoli si trasforma nel suo opposto, in un intorpidimento dei sensi, «nell’ottundimento delle facoltà di discriminazione», nell’incapacità di reagire adeguatamente a sensazioni nuove. La persona blasé, al pari del denaro, riduce le differenze qualitative in differenze quantitative e spoglia necessariamente le cose della loro individualità, non è più in grado di percepire le differenze, i distinti significati e valori delle cose [26]. 

In Filosofia del denaro Simmel richiama l’attenzione su un’altra ragione, psicologicamente rilevante, della mancanza di interesse, di attrattiva che caratterizza la percezione degli oggetti da parte del blasé. Non sono infatti solo gli stimoli esercitati dalle cose a motivare l’intensità del desiderio nei loro confronti, ma anche «il tipo e la misura dello sforzo pratico richiesto», tutto ciò che viene messo in opera per conseguirle. Le aspirazioni individuali, le esigenze particolari, le rinunce necessarie a tal fine vengono per così dire «trasferite», incorporate nell’oggetto desiderato, divengono parte della sua essenza e perciò ne accrescono il fascino, il valore. Al contrario, «quanto più meccanico e indifferente in sé stesso è il modo in cui avviene l’acquisto dell’oggetto, tanto più l’oggetto appare sbiadito e privo di interesse», come appunto nel caso del blasé, convinto di poter ottenere tutto con il denaro. 

L’«indifferenza» nei confronti delle specifiche diversità delle cose determina paradossalmente la sua frenetica «smania [...] di stimoli e di eccitazioni, di impressioni estreme e della massima rapidità nel loro alternarsi». Del blasè egli sottolinea un aspetto essenziale del suo atteggiamento, oggi sempre più diffuso tra i giovani ed anche nel mondo dell’informazione, quello di limitarsi ad una valutazione di ciò che è «stimolante in quanto tale», senza avvertire la necessità di chiarire «a che cosa essa ci stimoli». Una constatazione questa che costituisce un’ulteriore e palese conferma di quel «rimanere impigliati nei mezzi» proprio della civiltà del denaro. 

Sempre più succube di un processo di alienazione che invade tutta la sua vita, l’uomo della metropoli prova la sensazione di essere «soffocato dallo splendore abbagliante dell’età tecnico-scientifica». Avendo perso l’ancoraggio interiore a qualcosa di certo, di definitivo, egli vive un’«inquietudine segreta», un «impulso irresoluto sotto la soglia della coscienza», che lo inducono ad una ansiosa ricerca, tipicamente moderna, di un appagamento momentaneo in sempre nuovi stimoli, emozioni, attività esterne [27]. 

biblioteca-meltemi-simmel-sociologiaProduzione industriale e divisione del lavoro 

Nelle pagine simmeliane sulla divisione del lavoro vengono evidenziati alcuni effetti tipici del moderno processo produttivo. La frantumazione dell’attività lavorativa in prestazioni parziali sempre più specializzate crea ed accresce il divario tra il soggetto e l’oggetto del suo lavoro. Comporta la rapida scomparsa del lavoro su commissione, della possibilità cioè per il consumatore di stabilire un legame personale con la merce: «poiché era predisposta in particolare per lui e rappresentava, per così dire, un’interazione tra consumatore e produttore, essa apparteneva intimamente anche al consumatore, così come apparteneva al produttore». È un’esperienza psicologica fondamentalmente diversa, nota Simmel, la confezione di un vestito da parte di un sarto, che lo cuce basandosi sulla diretta conoscenza del suo cliente, e l’acquisto in un grande magazzino di un capo d’abbigliamento, risultato invece di un anonimo lavoro di più individui. 

La merce, se privata della sua componente più personale, interiore, si presenta al consumatore come qualcosa di autonomo, e trova la sua significatività unicamente come prestazione oggettiva disgiunta dal soggetto, a differenza dell’opera dell’artigiano che da costui si separa solo quando è conclusa, al momento della vendita. Che nell’epoca capitalistica la merce venga percepita come estranea è anche dimostrato dal fatto che perfino il lavoratore che la produce, per poterne disporre, è costretto ad acquistare il prodotto del suo lavoro. 

La moderna economia monetaria crea quindi, oltre alla distanza mentale tipica della folla metropolitana, un’ulteriore distanza, quella tra l’uomo e la merce. Tale separazione è ben esemplificata dal distributore automatico. Qui la mediazione umana è eliminata del tutto anche nella vendita al dettaglio, finora basata sul rapporto interpersonale: «l’equivalente in denaro viene meccanicamente trasformato in merce». Pure l’istituzione di grandi magazzini a prezzo unico si basa su tale principio: «il processo economico-psicologico non procede dalla merce al prezzo, ma muove dal prezzo alla merce [...] esclude tutta una serie di riflessioni e di considerazioni del compratore, e di sforzi e spiegazioni del venditore» [28]. 

L’individuo è posto non solo dinanzi a prodotti a lui estranei, non creati dalle sue mani, ma viene sommerso sempre più da una pressante e crescente offerta di beni di consumo. La tecnica, scrive Simmel, ci ha reso «schiavi del processo di produzione, […] della macchina», divenuta una «forza auto­noma» indipendente dai reali bisogni umani, ed anche «schiavi dei prodotti», ossia dei mezzi. L’uomo moderno «è allontanato, per così dire, da sé stesso» e, dinanzi all’abbondanza, al feticcio delle merci da cui è assediato, si sente minacciato dal pericolo di venir livellato e consumato proprio da quel meccanismo tecnico-sociale da lui stesso creato [29]. 

Tra lui e la sua parte più interiore, più vera, si frappongono barriere insormontabili di strumenti, di conquiste tecniche, di capacità, di consumi definiti, in una dura critica del consumismo, «catene che ci legano e che ci rendono indispensabili un’infinità di cose di cui si potrebbe, anzi si dovrebbe, fare a meno in vista del fine essenziale della vita». La «insensatezza» di tale sovvertimento teleologico, ossia del predominio dei mezzi sui fini, è la causa del fatto che «la periferia della vita, le cose che si trovano al di fuori della sua spiritualità, si siano impadronite del suo centro, di noi stessi» [30]. 

La cultura oggettiva viene così a porsi come qualcosa di sempre più estraneo rispetto alla cultura soggettiva. Tale distanza è l’esito di un mutamento quantitativo ma anche qualitativo del consumare, e rimanda alla differenza sostanziale fra produzione artigianale, espressione dell’unità della persona, e produzione di massa, estranea al processo vitale e creativo dell’anima individuale. La divisione del lavoro incide in modo rilevante tanto sulla crescita a buon mercato delle merci quanto sulla espansione del loro consumo. Questa non può prendere in considerazione i differenti desideri soggettivi, deve essere invece «accessibile a moltissimi individui e risultare attraente per tutti». Ecco perché, e qui egli formula un fondamentale principio della produzione di massa tuttora valido, «quanto più oggettivo e impersonale è un prodotto, tanto più numerose sono le persone alle quali si adatta».     

Nelle sue considerazioni sulla cultura materiale Simmel si sofferma sul processo di oggettivazione dei contenuti della cultura moderna che «si insinua fin negli aspetti intimi della vita quotidiana». La difficoltà di un rapporto personale, profondo, con i singoli oggetti che ci circondano è determinata prima di tutto dalla loro grande varietà e quantità. A differenza delle poche, semplici e durevoli suppellettili di una volta, che creavano la sensazione dell’«aderire» della persona agli oggetti che l’attorniavano, i molteplici ed effimeri prodotti dell’era industriale risultano invece difficilmente «assimilabili». Sono percepiti nella loro crescente estraneità al soggetto, alla sua volontà, ai suoi sentimenti, come oggetti autonomi, quasi antagonistici, e suscitano una sensazione di oppressione, e a volte una repulsione profonda. «Questi molteplici oggetti che si affollano intorno a noi sono in fondo equivalenti, e proprio per le ragioni specifiche tipiche dell’economia monetaria, cioè la genesi impersonale e la facile sostituibilità» [31]. 

2570161367758_0_0_536_0_75Atrofia della cultura individuale 

La politica e l’economia della Germania dopo la riunificazione del 1871 avevano incoraggiato la subordinazione di tutto agli interessi materiali, favorendo così, scrive Simmel, il predominio e l’esaltazione della tecnica quale «unico interesse» della maggior parte dei produttori e dei consumatori, e facendo dimenticare che «la tecnica è semplicemente un mezzo per un fine». Benché riconosca l’accresciuto e concreto benessere come effetto positivo della tecnica, considera tuttavia il rapido sviluppo della «civilizzazione esteriore» dei suoi tempi conseguenza del fatto che sia divenuto «preponderante l’aspetto tecnico della vita rispetto a quello interiore, ai valori personali», vale a dire che si sia affermato il dominio della cultura oggettiva su quella soggettiva [32]. 

Egli parla di «fatale indipendenza» che caratterizza l’aumento dei prodotti «come se una necessità logica interna facesse crescere un elemento dopo l’altro, […] senza chiedersi mai da quanti soggetti e con quale profondità e completezza questo elemento verrà accolto e condotto al suo significato di cultura». Il perfezionamento progressivo della tecnica e l’obbedienza al suo «fatale impulso coatto» hanno fatto sorgere, grazie alla moderna economia, un’offerta tale di merci superflue che, non essendo più create dai soggetti e destinate ai soggetti, risvegliano «bisogni già di per sé artificiali e, dal punto di vista della cultura, privi di senso». Tale emancipazione della tecnica dalle finalità culturali, dovuta alla «crescita abnorme dei mezzi che acquistano valore di fini», si rivela del tutto inadeguata alla crescita culturale del soggetto [33]. 

L’uomo metropolitano, nonostante la molteplice offerta di stimoli, interessi, contenuti di tempo e di coscienza renda senza dubbio la sua vita infinitamente più facile, in misura crescente diviene «un semplice ingranaggio in un’enorme organizzazione di cose e di poteri», e conseguentemente cresce la difficoltà di mantenere «le genuine colorazioni e le inimitabilità personali» [34]. La lotta dell’individuo per affermare sé stesso, nel mezzo dell’indifferenza generale in cui egli viene a trovarsi nella grande città, può spingerlo a distinguersi, a porre in risalto la sua unicità anche in modalità esagerate al fine di richiamare, come avviene ad esempio nel fenomeno della moda, l’attenzione altrui. Nelle ultime pagine di Sociologia, pur criticando gli «inauditi livellamenti» a cui ha condotto lo stile della vita moderna, il suo «carattere di massa», ne riconosce tuttavia l’importante merito di aver favorito «la formazione del sentimento dell’io personale» [35]. 

Quale profondo interprete delle trasformazioni radicali del suo tempo, che egli stesso vive in prima persona a Berlino, Simmel puntualizza in questi termini la tematica fondamentale dei suoi scritti: «I problemi più gravi della vita moderna hanno origine nella pretesa dell’individuo di conservare l’autonomia e l’individualità della sua esistenza contro forze sociali soverchianti». Egli ritiene che una risposta a tale questione possa venire solo da un equilibrato rapporto fra i contenuti individuali della vita e quelli sovraindividuali. La oggettivazione della cultura portata all’estremo, definita «ipertrofia della cultura oggettiva», determina l’«atrofia della cultura individuale» e raggiunge il suo culmine nella metropoli, sede dell’economia monetaria [36]. In proposito parla esplicitamente di evidente squilibrio tra progresso tecnico-industriale e crescita interiore dell’individuo, il cui «potenziamento culturale [...] può restare notevolmente arretrato rispetto a quello delle cose» [37]. 

simmel_denaroTale tema viene ripreso ed approfondito in Concetto e tragedia della cultura, in cui Simmel afferma che «il senso più puro e profondo» della cultura, il significato «metafisico» del suo concetto è dato soltanto dall’incontro dell’anima soggettiva e di un prodotto oggettivo. Il «paradosso» della cultura sta nel fatto che la perfezione della vita soggettiva può essere raggiunta solo includendovi le forme oggettive che costituiscono le tappe del percorso da una condizione naturale ad una culturale. Lo spirito crea infinite forme etiche, sociali, estetiche, religiose, giuridiche e tecniche che continuano ad esistere con una propria autonomia ed indipendenza, in un rigido dualismo che lo spirito soggettivo supera se vive il rapporto con esse in una «relazionalità intimamente unitaria» [38]. 

Questo è il senso dell’affermazione simmeliana «Coltivando le cose … coltiviamo noi stessi» [39], vale a dire realizziamo il loro innesto nello sviluppo della cultura umana, e quindi il loro aumento di valore. La cultura è «sempre soltanto» la «sintesi», il superamento in linea di principio del dualismo di soggetto e di oggetto, della loro compatta autonomia. È definita, spiega Simmel, dal fatto che le energie spirituali soggettive assumono una forma oggettiva e la inseriscono nei processi soggettivi della vita. La cultura sorge dall’incontro di tali due elementi, «nessuno dei quali di per sé la contiene». La lingua infatti declassa tutto ciò che è esteriore, in cui manca una correlazione, una sintesi tra oggetto e soggetto, a «mera “civilizzazione”»  [40]. 

L’uomo moderno vive dunque in uno stato di profonda tensione determinato dal «predominio dell’oggetto sul soggetto», dal fatto che i contenuti culturali seguono una logica che non ha nulla a che fare con il loro fine culturale. Ciò suscita la sensazione di «qualcosa di asfissiante» che deriva dall’essere circondati da una massa di oggetti percepiti «come l’inutile aggravio della nostra vita con mille cose superflue […] che il nostro sviluppo non può assimilare e ne costituiscono piuttosto la zavorra». 

La logica stessa della prassi umana può ritorcersi proprio contro la vita generatrice, soffocarla e determinare l’autodistruzione dell’essere umano. In toni molto simili a quelli dei rappresentanti del Kulturpessimismus del suo tempo, Simmel non cela il suo profondo scetticismo sulla possibilità di superare tale situazione problematica, drammatica, che definisce «la vera tragedia della cultura» [41]. 

Dialoghi Mediterranei, n. 65, gennaio 2024
Note

[1] G. Simmel, Filosofia del denaro (1900), a cura di A. Cavalli e L. Perucchi, Utet, Torino 1984: 87. G. Schmoller, in una recensione di tale volume, Simmels Philosophie des Geldes, in «Jahrbuch für Gesetzgebung, Verwaltung und Volkswirtschaft im Deutschen Reich», 25, 1901: 1-18, pone in particolare risalto la novità di questo lavoro di Simmel rispetto a tutti gli studi sul denaro fino ad allora compiuti dagli economisti: «egli tesse molto oltre i fili fin là tessuti, estendendosi soprattutto all’ambito sociologico, psicologico e filosofico»: 15.
[2] G. Simmel, Filosofia del denaro, cit.: 309; 343; 337-338.
[3] G. Simmel, Sociologia (1908), tr. di G. Giordano, intr. di A. Cavalli, Comunità, Milano 1989: 630. Cfr. Id., Filosofia del denaro, cit.: 488-489.
[4] Ibid.: 479. Qui Simmel si esprime in termini che richiamano l’analisi di K. Marx, Il Capitale. Critica dell’economia politica (1867), I-II, tr. it. di D. Cantimori, intr. di M. Dobb, Einaudi, Torino 1975, secondo cui «affinché il possessore della forza-lavoro la venda come merce, egli deve poterne disporre, quindi essere libero proprietario della propria capacità di lavoro, della propria persona» (I: 202). Il Capitale di Marx, dalle cui analisi Simmel tuttavia diverge per vari e non irrilevanti aspetti, è una delle pochissime opere citate da Simmel nei suoi scritti.
[5] G. Simmel, Il denaro nella cultura moderna (1889 / 1896), a cura di N. Squicciarino, Armando, Roma 1998: 77, 94.
[6] G. Simmel, Filosofia del denaro, cit.: 662-663 (Il corsivo è mio); 680.
[7] Ibid.: 323; 345; 338; 345-346.
[8] Ibid.: 627; 376-377.
[9] G. Simmel, La metropoli e la vita mentale (1903), in Storia del pensiero sociologico. I classici, II, a cura di A. Izzo, il Mulino, Bologna 1975: 73-85, 78.
[10] G. Simmel, Zur Psychologie der Frauen (1890), in Id., Schriften zur Philosophie und Soziologie der Geschlechter, a cura di H. Dahme e K. Ch. Köhnke, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985: 27-59, 50.
[11] G. Simmel, Filosofia del denaro, cit.: 613, 611.
[12] G. Simmel, Sociologia, cit.: 504.
[13] G. Simmel, Filosofia del denaro, cit.: 620.
[14] G. Simmel, La metropoli, cit.: 74. In questo saggio egli accenna a due «tipi sovrani di personalità», John Ruskin e Friedrich Nietzsche, le cui nature, i cui impulsi irrazionali sono comprensibilmente in contraddizione con lo stile di vita metropolitano, con l’esistenza massificata, «pianificata», «definibile per tutti alla stessa maniera». Il loro «odio passionale» per la metropoli è odio per l’intellettualità e, necessariamente, per il suo simbolo per eccellenza, il denaro (Ibid.: 77).
[15] G. Simmel, Filosofia del denaro, cit.: 672. Anche in Sociologia, cit., riferendosi all’intellettualità dominante nella vita della grande città, Simmel riafferma tale concetto: «l’indifferenza verso chi è spazialmente vicino costituisce semplicemente un dispositivo di protezione, senza di cui la grande città provocherebbe un’usura e una dispersione psichica»: 549.
[16] G. Simmel, La metropoli, cit.: 79; 81.
[17] G. Simmel, Sociologia, cit.: 296; 300.
[18] G. Simmel, Filosofia del denaro, cit.: 676.
[19] G. Simmel, Sociologia, cit.: 315.
[20] A. Vierkandt, Einige neuere Werke zur Kultur- und Gesellschaftslehre, in «Zeitschrift für Sozialwissenschaft», 4, 1901: 639-642, 641.
[21] R. Goldscheid, Georg Simmel. Philosophie des Geldes, in «Archiv für systematische Philosophie», X, 1904: 397-413, 397.
[22] G. Simmel, La metropoli, cit.: 74.
[23] G. Simmel, Filosofia del denaro, cit.: 668.
[24] G. Simmel, La metropoli, cit.: 79.
[25] G. Simmel, Soziologische Ästhetik, in «Die Zukunft», 17, 1896: 204-216, 214.
[26] G. Simmel, La metropoli, cit.: 77-78.
[27] G. Simmel, Filosofia del denaro, cit.: 372-374.
[28] Ibid.: 645; 643; 648-650.
[29] Ibid.:679; 648; 680.
[30] Ibid.: 679; 681; 678.
[31] Ibid.: 642-643; 648-649.
[32] G. Simmel, Tendencies in German Life and Thought since 1870, in «International Monthly», 1, 1902: 93-111; 166-184, 95; 97; 93.
[33] G. Simmel, Concetto e tragedia della cultura (1911), in G. Simmel, Arte e civiltà, a cura di L. Perucchi e D. Formaggio, Isedi, Milano 1976: 83-109, 102-104.
[34] G. Simmel, La metropoli, cit.: 84-85 (Il corsivo è mio).
[35] G. Simmel, Sociologia, cit.: 642.
[36] G. Simmel, La metropoli, cit.: 73; 85 (Il corsivo è mio). 
[37] G. Simmel, Filosofia del denaro, cit.: 653
[38] G. Simmel, Concetto e tragedia della cultura, cit.: 86-87.
[39] G. Simmel, Filosofia del denaro, cit.: 631.
[40] G. Simmel, Concetto e tragedia della cultura, cit.: 86. Tale distinzione dei concetti Kultur e Zivilisation rimanda appunto alla valutazione del moderno processo di industrializzazione che, partendo da prospettive diverse, era molto dibattuto ai tempi di Simmel. Si pensi, ad esempio, a Fr. Th. Vischer, Fr. Nietzsche, J. Burckhardt, O. Spengler, F. Tönnies. Tali concetti vengono successivamente elaborati anche dai rappresentanti della Scuola di Francoforte come categorie interpretative nell’analisi storico-sociologica del nichilismo contemporaneo.
[41] Ibid.: 108 (Il corsivo è mio); 105. 

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Nicola Squicciarino, dopo la laurea in Filosofia, ha proseguito i suoi studi come borsista presso le Università di Basilea e di Tubinga. È stato docente all’Università di Firenze e, negli anni prima di andare in pensione, anche alla Luiss di Roma. Ha inizialmente pubblicato saggi di carattere prevalentemente filosofico, e poi monografie su Georg Simmel e Gottfried Semper. In un approccio interdisciplinare ha scritto pure sull’abbigliamento e la moda, come testimoniano due lavori: Significati dell’abbigliarsi. L’apparire non esclude l’essere (2017), e Arte tessile, abbigliamento e architettura in Gottfried Semper (2019).

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