Tra i vari linguaggi e supporti multimediali, la televisione non mi entusiasma granché, ha su di me un effetto soporifero quasi istantaneo. Eppure quando è sulla quarta rete quasi automaticamente salto sul divano con i capelli dritti. Mi capita di guardarla credo nel tentativo di avvicinarmi a quanto di più distante, un po’ come entrare in casa dell’avversario, o forse per l’illusione di rompere quelle sbarre invisibili che ci vogliono imprigionati ciascuno nella propria grande bolla di ecosistemi informativi personalizzati.
Proprio mentre mi trovo a leggere e riflettere sul deputato socialista Giacomo Matteotti che fu strenuo difensore della democrazia, spina nel fianco per Mussolini e il fascismo al punto da essere ammazzato, il programma Dritto e rovescio nella puntata del 6 giugno 2024 riesce ad infastidirmi sul tema. Viene intervistato Antonio Tajani vicepresidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Alla vigilia della chiusura della campagna elettorale delle elezioni europee come leader di Forza Italia è in collegamento da Napoli dove dice «erano 15.000 persone a piazza Matteotti. È stato anche un bel regalo che abbiamo fatto a Berlusconi, abbiamo dedicato a lui questa piazza di un uomo che è caduto per la libertà, l’abbiamo dedicata a lui al paladino della libertà che era Silvio Berlusconi».
Quest’anno il 2024 ricorre il centesimo anniversario dell’omicidio di Giacomo Matteotti compiuto dalla polizia segreta fascista, precisamente il 10 giugno in pieno giorno a Roma sul lungotevere Arnaldo da Brescia, come ricorda il monumento bronzeo eretto nel punto esatto in cui fu rapito, con la targa che riporta la frase attribuitagli in punto di morte: “uccidete me ma l’idea che è in me non la ucciderete mai”. Quest’anno le iniziative per tenerne viva la memoria e per approfondirne la figura come uomo, politico brillante e studioso assiduo, nonché i retroscena del delitto, sono tante e diverse, dai convegni alle mostre, dai programmi televisivi ai podcast e alle pubblicazioni.
Le conseguenze di questo barbaro crimine sono note: «di fatto, il delitto precipitò il Paese in una crisi così drammatica che Benito Mussolini, per evitare di esserne travolto, intraprese la via della dittatura, abbattendo lo Stato liberale e avviando la costruzione del regime a partito unico» come si legge nel percorso espositivo Giacomo Matteotti. Vita e morte di un padre della Democrazia a Palazzo Braschi a Roma. La mostra, curata dallo storico Mauro Canali che per primo ha analizzato i documenti inediti di atti istruttori e giudiziari dei processi sul delitto Matteotti, prima occultati dal fascismo e poi a lungo secretati in Italia, inizia affermando che «nella storia di un Paese raramente è dato incontrare un unico evento che abbia condizionato così profondamene i suoi sviluppi successivi come accadde per l’Italia con l’assassinio di Giacomo Matteotti».
Già vittima di un’aggressione nel 1921, il 30 maggio 1924 Matteotti firmò la sua condanna a morte con un discorso pronunciato alla Camera sul sospetto di brogli elettorali durante le elezioni del 6 aprile 1924. Dopo aver contestato il voto, disse: “io il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”.
A fronte di ciò, quella di Tajani è un’operazione di distorsione e sostituzione della memoria, un tentativo di “riscrittura della storia” per dirla con lo scrittore Antonio Scurati, che non a caso viene operata proprio in occasione del centenario del delitto Matteotti. Per distorsione della memoria intendo che si è riferito a Matteotti come “un uomo caduto per la libertà”, in modo generico omettendo che era segretario del Partito socialista unitario e venne ucciso a 39 anni dai fascisti. Per sostituzione della memoria intendo la presunzione di creare un parallelo e falso mito di Berlusconi come paladino della libertà. Libertà del singolo e dei propri interessi secondo la lente del liberalismo quella di Berlusconi. Libertà di tutti, e specialmente degli ultimi, con basi nella democrazia parlamentare quella per cui Matteotti si è battuto fino alla fine.
Questo esempio è da monito dell’esigenza concreta non solo di ricordare, ma di leggere, documentarsi e capire per non venire beffati. Nella nota introduttiva al libro Giacomo Matteotti deve morire. Firmato B. Mussolini il sen. Riccardo Nencini parla dell’uomo Matteotti come colui che «spiega ai miserabili che il socialismo è fatto di sogni e di cose semplici: saper leggere e scrivere, avere consapevolezza dei propri diritti perché il padrone non possa prenderti in giro, fotterti con un contratto fasullo». Valeva cent’anni fa così come continua a valere attualmente. Anche per questo motivo credo si rendano necessarie pubblicazioni come questa che con i testi di Riccardo Bardotti e le illustrazioni di Bazzac riporta in luce la memoria di Giacomo Matteotti e la sua vita, trasponendola in un linguaggio iconografico che avvicina anche i giovani, come sottolinea nel suo intervento Pietro Clemente: «Un omaggio commosso e commovente, capace di dialogare con il mondo dei lettori di immagini come per lo più sono i millennials e la generazione Zeta. Un libro adatto per la scuola ma anche per i social. Adatto ai giovani ma anche agli adulti che possono iscriverlo nella loro memoria storica con un motto: non dimentichiamoci di Matteotti».
Giacomo Matteotti deve morire. Firmato B. Mussolini (Betti editrice 2024) è un libro di divulgazione in cui immagini e testi hanno ugual peso, dialogano sul filo della memoria di un anziano che in prima persona racconta aver conosciuto Giacomo Matteotti. Le illustrazioni sembrano diapositive di quella voce che ricorda, narra, notifica: “Io c’ero” sembrano dire “e questo è quello che ho visto” quale testimone oculare degli eventi. Sono immagini grafiche che strizzano l’occhio alla fotografia, come a rimarcare ciò che stavano scoprendo i giornali a quel tempo ossia la cronaca e l’importanza di rappresentare l’attualità attraverso la sequenza di fotogrammi destinati a dare vita al fotogiornalismo.
Lo stile scelto in Giacomo Matteotti deve morire. Firmato B. Mussolini è quello dell’illustrazione piatta: una tecnica di comunicazione visiva che si basa sull’utilizzo di immagini bidimensionali dalle linee nitide e forme semplici, riempite con colori piatti da una tavolozza esigua. Queste caratteristiche danno forza al soggetto figurativo senza sovrastarlo con troppi dettagli: un ottimo modo per esprimere i contenuti denotativi e contestualmente quelli connotativi, i fatti e le idee, in modo chiaro, puntuale, asciutto, trasmettendo contemporaneamente energia, partecipazione e dinamicità, scandendo il tempo degli avvenimenti e quelli del racconto, la fabula e l’intreccio.
L’accostamento in relazione reciproca di parole e immagini nello spazio della pagina mira a dare l’idea del movimento, del tempo e della durata, per creare una storia e per suggerire ritmo, suggestione, emozione. Il risultato è la possibilità di giocare con la frammentazione dell’esperienza, delle realtà umane osservate e vissute, e di costruire una narrazione non lineare per immagini, suoni e voci. Il resto lo fanno lettrici e lettori. Hanno tra le mani il racconto di “una vita unica e irripetibile” che attraverso la raffigurazione anche corporea dell’uomo Giacomo Matteotti, non solo dell’eroe e del martire antifascista, si fa presente e vicina. Comincia restituendoci in chiave grafica il ben noto ritratto a mezzo busto del giovane Matteotti che prima all’estero e successivamente anche in Italia veniva ricordato con questa immagine nelle commemorazioni e anniversari che si sono susseguiti fino ad oggi. Quindi passando per le rappresentazioni della famiglia e dei suoi luoghi, ossia Fratta Polesine, le sue campagne e le sue genti, la villa e le collaborazioni al settimanale socialista La lotta, poi la laurea in legge a pieni voti, il dolore per la perdita dei due fratelli e il successivo ritorno all’attività politica, prende forma e si delinea quel Giacomo Matteotti dallo sguardo scrupoloso e benevolo, dalla postura fiera e affidabile, che vediamo raffigurato come sindaco di Villamarzana, poi al congresso del partito socialista, infine come deputato e nei suoi precisi e puntuali interventi al Parlamento, e perfino quando viene rapito e lotta dignitosamente con tutte le sue forze. Adesso sta a noi ricordare e combattere contro l’oblio, e questo libro dal linguaggio grafico-testuale che ha il vantaggio di essere più facilmente fruibile e memorizzabile può essere sicuramente di supporto per farlo.
Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024
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Giulia Panfili vive attualmente a Roma. Ha studiato antropologia visiva a Lisbona e ha concluso il dottorato in antropologia, politiche e immagini della cultura, museologia con una tesi di ricerca etnografica in Indonesia sul wayang come patrimonio immateriale dell’umanità. Ha partecipato a convegni di antropologia e arte in Portogallo, Brasile, Inghilterra, Indonesia, e a mostre collettive di fotografia, illustrazione e stampa grafica presso gallerie e festival in Italia, Spagna, Portogallo, Indonesia. Tornando in Italia ha frequentato la Scuola Romana del Fumetto, dedicandosi quindi a disegno e illustrazione, con cui ha elaborato parte della tesi di dottorato. Ha approfondito in seguito tecniche e linguaggi della fotografia e del documentario audiovisivo con corsi formativi e progetti vincitori di bandi di concorso.
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