il centro in periferia
di Monica Tozzi e Andrea Fantacci
Sono ormai molti anni che ho l’abitudine di tenere un diario, quasi quotidiano, ho cominciato quarant’anni fa con i carnet di viaggio, quando viaggiavamo anche lontano: India, Spagna, Jugoslavia, persino una puntata a Boston. Poi da quando nella mia pancia cresceva Camilla, trenta e passa anni fa, ho documentato per iscritto la quotidianità, le mie giornate da casalinga studiata. Anche in questi strani giorni, mesi, ho continuato, quando ho iniziato a capire che la cosa si complicava, non ho saltato un giorno. Devo dire che rileggendo a ritroso, mi sono anche stupita di quanto non avessi capito come la storia si stava complicando. Che buffo e triste, noi umani messi in scacco da un nano essere inanimato in grado di farci patire e in troppi casi di portarci alla morte. Da quando viviamo in campagna, dal 1991, in un pezzo della campagna senese, ho realizzato di quanto noi umani siamo infinitesimali e impotenti di fronte alla natura. Lei continua inesorabilmente a fare il proprio corso e noi dopo averla distrutta, arranchiamo miseramente cercando di alleggerire la nostra impronta ecologica.
In un batter d’occhio siamo arrivati al fatidico 11 marzo di tutti a casa chiusi, i numeri dei morti incredibili, come se dietro ogni cifra non ci fosse una storia di vita, anche se lontano da noi, il sistema sanitario, fiore all’occhiello dal 1978 fino ai primi del 2000, mostra lo sfascio negli ospedali, e soprattutto sul territorio. Panico. E poi quell’appuntamento che anche noi per un periodo non abbiamo mancato, ore 18 comunicato della Protezione civile. Una cosa l’ho avuto subito chiara, né i miei affetti né io dovevamo arrivare in ospedale, per nessun motivo. Che fare?
La vita si prende con lentezza, con calma, da quando ci alziamo al mattino a quando andiamo a letto. Abbiamo riscoperto il nostro orologio biologico e il tempo della natura. Anche per noi fortunati che un tempo abbiamo scelto, non senza sacrifici, di abitare in campagna, qualche cambiamento c’è stato. Diciamo che i primi sonni non sono stati troppo sereni, anche se cercavamo di fare argine alle tragiche notizie dei giornali, dei media, dei social, per fortuna si leggeva il quotidiano de Il Manifesto, Internazionale e Wu Ming Foundation, i disegni di Mauro Biani, la comunità delle Piagge a Firenze, Franco Arminio … Quindi ci siamo fatti fuori mezzo barattolo di melatonina fra me e Andrea, una pasticca alla stessa ora prima di dormire. Personalmente non ho trovato un grande cambiamento nel mio modo di addormentarmi …
Essere da soli credo sia stato un grande problema, io ho condiviso tutto con Andrea ma mi mancavano Camilla e Teo. Lui è rimasto bloccato a Trento dove studia Fisica e Camilla, che abita a mezz’ora di macchina da noi, non la potevamo comunque vedere! Questo l’ho patito, mi è mancato molto e avendo un collegamento internet che funziona a marcia indietro, non è stato semplice vederci nemmeno su quel microschermo del cellulare, cadeva sempre il collegamento, mentre ci raccontavano le loro vite, le loro “giornate on line”: chi seguiva lezioni e chi insegnava ai propri ragazzi.
Sono molto fortunata anche se la fortuna ce la siamo costruita tutti i giorni, da trent’anni a questa parte cercando di non dare nulla per scontato una volta per tutte, nella nostra vita e nella nostra relazione di affetto. Durante questi strani e incerti giorni ho pensato tante volte a quello che avrebbe potuto essere una convivenza forzata, magari con bambini piccoli, in un buco di casa, con problemi economici e con l’obbligo improvviso di condividere vite che fino a quel momento avevano percorso strade parallele, relazioni sentimentali che si trascinano proprio perché la maggior parte delle vite è separata e ci si ritrova a correre insieme solo la sera al ritorno di una giornata sfiancante di lavoro. Un nostro amico ci ha ricordato il testo di Canzone triste che Calvino scrisse nel 1958.
Con Andrea siamo diventati dei grandi camminatori, “una passeggiata al giorno toglie il covid di torno”, prima lungo la strada di cui siamo diventati i padroni, potevamo camminarci in mezzo, non una macchina, non un ciclista spericolato dietro ogni curva, potevamo anche fare pipì senza imboscarci. Poi, incredibile, ma vero, pur abitando in case sparse, ci hanno affiancato per due volte i carabinieri, raccomandandoci paternamente di stare vicino a casa, 200 metri, senza sapere dove noi abitassimo e, una volta, abbiamo incontrato anche la Protezione civile; erano i giorni intorno Pasqua e controllavano che qualcuno non approfittasse di fare scampagnate, quindi come dei novelli partigiani abbiamo preso la via dei boschi.
La nostra casa è abbastanza vicino alla strada, ma è circondata dal bosco. Avevo parlato col mio figliolo di come avevano vissuto nascosti i partigiani e di come, se ci fosse stata una necessità politica, avremmo potuto ancora oggi nasconderci lontano per i boschi. Non pensavo di certo ad un virus! Fino al 6 maggio che non è potuto ritornare Teo e non abbiamo potuto rivedere Camilla, abbiamo scoperto noi due soli, bellissimi sentieri fino ad oggi sconosciuti e ne abbiamo potuto apprezzare i cambiamenti nella vegetazione; non ci si rende conto di quanto un bosco possa cambiare ogni giorno, piano piano, in silenzio, andando del proprio passo. Abbiamo visto fiorire le ginestre e la ginestrella dei carbonai, fiorire i pruni, spuntare strani fiorellini colorati di cui non conosco il nome, alla fine i sentieri non sembravano più gli stessi, gli arbusti li stavano lentamente invadendo dalle prode e dall’alto, quasi quasi neppure un drone ci avrebbe potuto individuare!
Passeggiate nel silenzio rumoroso del bosco, ma sempre a parlare di noi, dei figlioli, dei massimi sistemi, di come sarebbe cambiata questa storia dei nostri progetti, perché come dice Bruno Munari «chi fa progetti non muore mai». Poi la voglia di capirsi, di smussare gli angoli di coprire le incertezze, perché ho sempre pensato che quello mette alla prova un amore, una relazione, quello che ti fa capire che la persona che scegli è quella giusta, è il tempo della condivisione della quotidianità. Quelle piccole cose di tutti i giorni che sono il modo con cui ci si lava i denti senza imbrattare tutto lo specchio, il modo con cui si taglia il pane, la cura con cui si prepara il pranzo e la cena, la semina e la crescita delle piante da orto, la piccola seconda colazione, la tisana del pomeriggio … forse sono troppo gozzaniana, ma la vita vera, per me, è questa.
Agli inizi di questa storia, quando sentivamo amici e conoscenti avevo pronto il mio mantra rassicurante : “il nostro stile di vita, alla fine, non è cambiato, da molti anni ci facciamo il pane in casa con la pasta madre, (il lievito è stato introvabile per mesi), beviamo il vino del contadino che infiaschiamo dalla damigiana, essendo lontani dai negozi abbiamo scorte alimentari e il surgelatore pieno di verdure dell’orto e carne biologica del contadino, l’acqua un po’ schifosa ma potabile …”. In realtà qualcosa è cambiato e qualcosa è mancato con il passare dei giorni: la socialità, lo devo ammettere, anche se a tutt’oggi ho difficoltà a incontrare le persone e ad essere serena e tranquilla ….
Ci è mancato il Maggio, so che ad Andrea è mancato molto più che a me, una tradizione che ormai pratichiamo da trent’anni, è mancato il nostro cantare anche a coloro che ci ospitavano tutti gli anni, però nella mia fortuna, ho goduto di un succedaneo: quasi tutti i giorni, visto che Andrea suona la chitarra, ho potuto cantare e ci siamo pure avventurati in un repertorio di canti resistenti molto interessante; essendo da sola ho potuto slanciarmi in voli pindarici, come quello di tentare una ninna nanna nascosta di Caterina Bueno.
Che dire, da sola non so come sarebbe andata, io che penso di essere meteopatica e nelle giornate in cui il vento mulinella nella grande cappa del camino mi si drizzano i capelli, credo che pur stando in mezzo a tanta bellezza e natura ne sarei uscita “sdrucita”. Con il mio compagno mi è andata di lusso. Anzi direi che quello che io chiamo il nostro stile di vita che è molto diverso dalla società omologata e rassicurata che ci circonda, siamo riusciti a consolidarlo; a pensare che nella nostra strana diversità, nella nostra tendenza al non buttare, al riutilizzo, al non monetizzare proprio tutto, al curare le relazioni umane con attenzione e spesso in punta di piedi, al recuperare tutto quello che ci circonda, perfino una talea che si sta seccando, abbiamo compreso che il futuro per i nostri figlioli, per i nipoti che arriveranno è quello di avere sempre un porto tranquillo in cui abitare e se non si può, almeno poter tornare quando la procella diventa troppo pericolosa. Credo che la bellezza, come non si stanca di ripetere Marino Severini dei Gang, sarà quella che ci salverà; trovo che a volte non è semplice conservarla e preservarla in questo strano mondo in cui gli umani, dopo questo sfacelo, non vedono l’ora di farsi uno spritz, di riappiccicarsi in un mare di ombrelloni, di affogarsi nell’odore di sudato di una discoteca …..
Cambiamenti
Negli ultimi giorni di febbraio, ma ancor più i primi di marzo, si cominciava a sentire forse un po’ in sottofondo, che qualcosa poteva cambiare. È vero che molti sottovalutavano il problema, o meglio lo banalizzavano, lo facevano rientrare nella “normalità”; la sera del 2 marzo eravamo ad una cena di compleanno e un medico ci rassicurava sul coronavirus dicendo che “sono esagerazioni, è poco più di un raffreddore” ed anche quasi tutte le altre persone cercavano di convincerci/si. Noi abbiamo impostato il tutto ad un’attenzione responsabile, non solamente nei nostri confronti, ma soprattutto nei confronti degli altri, amici e non. Quindi questa scelta ci ha portati a rivedere profondamente le nostre abitudini, le nostre normalità, ad iniziare un percorso di cambiamenti.
Sì, questi ultimi mesi sono stati ricchi di cambiamenti. Monica ed io abbiamo compreso, giorno dopo giorno, che i mutamenti possono essere ricchezza e per noi lo sono stati. È vero che i cambiamenti possono essere attivati in vario modo e generalmente quelli imposti, che ci piombano all’improvviso sulla testa, possono essere sgraditi. Per noi invece sono stati molto stimolanti.
Devo fare una premessa fondamentale per capire meglio il nostro percorso. Noi viviamo in una casa in campagna, nella zona di Celsa, Montagnola senese, abbiamo il bosco a dieci metri, di fronte un orto abbastanza grande ed un pollaio con un po’ di galline che fanno uova buonissime e … biologiche. Fin dai primi giorni di chiusura, abbiamo modificato i nostri comportamenti: durante la mattinata abbiamo cominciato a fare alcuni lavori che usualmente rimanevano fra i programmi mai portati a termine come la pulizia e rimessa in ordine dei vari ripostigli esterni, il trattamento della struttura in legno del fotovoltaico, ma anche la potatura di tutte le piante, semina di ortaggi, preparazione in tempo utile del terreno per i trapianti, insomma per la prima volta siamo riusciti ad arrivare in tempo giusto con il fluire della natura.
Anche il pranzo è cambiato, abbiamo cominciato a mangiare un bel po’ di più di verdure, ad utilizzare le risorse disponibili nel nostro surgelatore, ma soprattutto nell’orto. Monica è riuscita tutti i giorni a sorprendermi con una fantasia davvero incredibile che è riuscita a trasformare anche l’insalata in mille diverse pietanze: con la rucola, con le olive, con i semi di girasole o di zucca, con i pomodori secchi, con le fave, con i ceci, i fagioli … Il momento del pranzo è diventato un momento da godersi con calma e poi dopo un buon caffè, una bella passeggiata nei dintorni. Considerando anche i miei alti valori di colesterolo nel sangue questa passeggiata era un impegno necessario che non riuscivo mai a portare avanti con costanza: ecco anche questo è stato uno stimolo che abbiamo preso al volo e che è diventata una buona e sana abitudine!
Ma la cosa che più mi/ci è piaciuta è stato poter dedicare un pezzo del pomeriggio alla musica ed ai canti. Normalmente gli altri anni, marzo era il momento della preparazione dei canti di Maggio, canti della tradizione popolare toscana, con prove settimanali. Questo non era possibile, ma Monica mi ha spinto verso una maggiore attenzione alla mia chitarra, ad imparare nuovi canti, a studiare un po’ di più, a provare insieme tanti canti e, grazie a lei abbiamo ampliato non poco il nostro già ricco repertorio, abbiamo lavorato sulle voci, sugli arrangiamenti, insomma un bel passo avanti nella conoscenza e nella qualità di tanti canti, anche e soprattutto quelli bellissimi ma dimenticati!
Noi eravamo già abbastanza abituati a vivere in tranquillità, a non vivere sempre nella frenesia e nella velocità, a mangiare cibi sani, a rispettare l’ambiente che ci accoglie, ma questo periodo, che per molti è diventato un periodo abbastanza triste e buio, per noi invece è diventata l’occasione per apprezzare e godere dell’esplosione della natura, dei colori, di tutte le sfumature, soprattutto dei mille verdi, delle nuove foglie dei castagni, ma anche dell’orniello, del carpine, del cerro, del sottobosco … accompagnati da belle chiacchierate sui nostri sogni, sui figli, sulle cose da fare, sulle emozioni splendide che abbiamo condiviso, come è fondamentale fare quando l’amore è ben coltivato e coccolato.
Ma la cosa che più mi ha colpito durante le nostre passeggiate nei boschi, è stato lo stupore nel poter vedere da vicino le meraviglie dei fiori spontanei, i fiori piccolissimi ma di una bellezza incredibile. Mai abbiamo avuto il tempo e la giusta attenzione per poter godere di tante piccolissime meraviglie ed abbiamo realizzato, giorno dopo giorno, che i cambiamenti qualche volta ci riportano verso la Bellezza, quella bellezza che ci può rendere la vita molto migliore: da questo momento in poi vogliamo dedicare un tempo diverso ai nostri giorni, ai nostri movimenti, ai nostri sentimenti. Siamo stati fortunati a vivere abbastanza isolati, perché questo periodo ci è pesato abbastanza poco, ma soprattutto abbiamo potuto scoprire bellezze prima troppo trascurate.
Dialoghi Mediterranei, n. 44, luglio 2020
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Monica Tozzi e Andrea Fantacci, si sono conosciuti in un improbabile corso all’università di Siena nel lontano 1980 dove hanno studiato discipline demo-etnoantropologiche. Dopo la laurea hanno messo a frutto con la ricerca sul campo quello che avevano imparato. Da trent’anni abitano in un podere della Montagnola senese. Nel tempo hanno tirato su una bella compagnia cantante che presenta canti della tradizione popolare toscana seguendo le modalità di riproposta della maestra Caterina Bueno. Dal 1994 vanno in giro per i poderi di Sovicille a riproporre il rito del Maggio, con il “Gruppo della Montagnola”. Nel 2002 hanno fondato il gruppo de “I Disertori” con il quale ripropongono canti della tradizione popolare toscana, canti antagonisti, il repertorio anarchico “del libero pensiero e della fratellanza universale”. Hanno scritto alcuni libri, sempre sul tema della Memoria e della tradizione, tra cui: Spazio e matrimonio. Considerazioni sulla coesione e la scissione nella famiglia mezzadrile (1988); Mangiar cantando. Abbondanza e scarsità nell’alimentazione tradizionale contadina (2001); Altamante Una vita all’improvviso (2008); Venti di Maggio, Vent’anni di canti del Maggio e di vita sulla Montagnola senese (2013); Noi non saremo mai come loro (2015).
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