Lo scorso 6 dicembre il Museo Internazionale delle Marionette ‘Antonio Pasqualino’ di Palermo ha ospitato il convegno Cocchiara Project, con l’obiettivo di individuare e mettere in atto proposte, ricerche e studi per l’Edizione nazionale delle opere di Giuseppe Cocchiara. Con il D.M. n. 88 del 20 febbraio 2023, il Ministero della Cultura ha infatti istituito l’Edizione nazionale di tutte le opere dell’etnoantropologo siciliano [1]. A partire dal 2024, e per i cinque anni successivi, l’opera omnia di Giuseppe Cocchiara, prodotta in oltre quarant’anni di studi e di ricerche, sarà ristampata sotto la curatela di alcuni tra i maggiori esperti di studi storiografici relativi alla demoetnoantropologia italiana.
Il Convegno, organizzato e diretto da Rosario Perricone, direttore del ‘Museo Pasqualino’, è stato suddiviso in due sessioni, coordinate rispettivamente da Gabriella D’Agostino e da Salvatore D’Onofrio, e ha registrato la partecipazione, oltre che di chi scrive e dello stesso Perricone, di Enzo Vinicio Alliegro, Antonino Blando, Ferdinando Mirizzi, Fabio Dei, Francesco Faeta, Giuseppe Giacobello, Antonio Fanelli, Antonino Frenda e Giuseppe D’Angelo. Nel corso della giornata, gli spunti di interesse e gli elementi di discussione e confronto sono stati molteplici: dal ruolo di Cocchiara nell’ambito della storiografia folklorica italiana ed europea alla partecipazione dello studioso al dibattito attorno a temi fondanti gli studi di settore della prima metà del Novecento, quali il linguaggio del gesto, la poesia e le forme della religiosità popolare; dal rapporto con Ernesto de Martino al progetto di digitalizzazione dei testi e degli epistolari dello studioso.
Ma l’argomento maggiormente dibattuto durante la giornata ha riguardato la partecipazione di Cocchiara alle vicende politiche e culturali del regime fascista. Un tema, quest’ultimo, che sarà sicuramente oggetto dell’attenzione dei curatori di quei volumi dell’Edizione nazionale che riguarderanno i due primi decenni dell’attività editoriale dell’antropologo mistrettese. D’altronde quel ‘ventennio’ compreso tra il 1923, data della prima pubblicazione monografica dello studioso, e il 1944-45, periodo durante il quale matureranno in Cocchiara gli elementi più solidi della sua svolta epistemologica verso approcci storicistici, costituirà una fase di continue e, per certi versi, problematiche trasformazioni. Questi due decenni, durante i quali spesso e volentieri lo studioso subì cocenti delusioni, rappresentarono una palestra fondamentale per la sua formazione e possono schematicamente essere sintetizzati in cinque fasi al loro interno più o meno omogenee. Si è perfettamente consapevoli che una siffatta strutturazione in periodi costituisca una semplificazione di un percorso non soltanto biografico ma anche più estesamente esistenziale: conseguentemente, esso non può in alcun modo avere la pretesa di inglobare esaustivamente la totalità delle vicende che determinarono scelte, processi, riflessioni, spunti e propensioni alla ricerca dello studioso.
In questo contesto il termine ‘ventennio’ viene utilizzato in una duplice significazione: sia per connotare i due decenni della biografia di Cocchiara di cui sono già stati tratteggiati gli estremi cronologici, sia per identificare il ventennio storiograficamente più celebre, coincidente con il regime fascista. Regime fascista con il quale la vicenda biografica di Cocchiara incrocerà più volte i propri destini. Su questo tema, anche alla luce di un recente numero monografico di «Lares» (LXXXVII, 2-3, maggio-dicembre 2021) curato da Fabiana Dimpflmeier si sta nell’ultimo periodo facendo un po’ di luce, in considerazione della partecipazione di Cocchiara alle vicende editoriali di riviste di regime quali «Critica fascista» e «La difesa della razza».
Possiamo dunque articolare la biografia intellettuale di Giuseppe Cocchiara relativa al periodo 1923-1944/45 in cinque distinte fasi.
Fase palermitana
Questa fase, contraddistinta dai primi incontri cruciali per l’evolversi della formazione dello studioso, fu caratterizzata dalla frequentazione nel capoluogo siciliano di figure quali Benedetto Rubino e Calogero Di Mino, insieme ai quali mise a punto un paio di progetti editoriali che si risolsero nella pubblicazione di altrettanti manuali scolastici, editi come esito delle disposizioni ministeriali previste dalla riforma Gentile della scuola del 1923. Tra gli obiettivi principali della legge, si ricorda il tentativo di avviare un processo di alfabetizzazione di massa delle classi popolari, che passasse attraverso una vera e propria azione di stravolgimento dell’istruzione elementare e secondaria. All’interno di tale processo, le scuole medie furono protagoniste, ad esempio, di una sorta di sostanziale rivoluzione, rappresentata dall’istituzione delle ‘scuole complementari’.
L’obiettivo esclusivo che in tali istituti ci si proponeva di raggiungere era costituito dallo sbocco lavorativo dei giovani studenti. In particolare, le scuole complementari prevedevano, all’interno dei programmi didattici, l’introduzione di materie e libri di testo finalizzati allo studio del dialetto e all’apprendimento della cultura regionale. Da questo punto di vista, «la riforma Gentile permise al dialetto e alla cultura regionale di trovare riconoscimento nella scuola» (Dimpflmeier 2013: 92). In questo frangente, studiosi e ricercatori di storia locale si dedicarono alla stesura di sussidiari fruibili dai giovani destinatari, frequentatori delle scuole elementari e complementari delle varie regioni italiane. I particolarismi di ciascuna piccola patria (Cavazza 2003) di cui l’Italia era costituita, pertanto, furono messi in evidenza attraverso raccolte di testi e monografie che collimavano con l’obiettivo mussoliniano di rafforzare lo spirito identitario nazionale, attraverso il riconoscimento dei particolarismi regionalistici.
Come accennato, nel vasto insieme dei libri sussidiari pubblicati in tutto il Paese, in Sicilia si segnalarono due iniziative editoriali che videro per protagonisti quelli che all’epoca erano un giovane studente di Legge e due appassionati di storia e cultura locale. Giuseppe Cocchiara, Benedetto Rubino e Calogero Di Mino divennero, in tal modo, interpreti di un’amicizia e di due esperienze pubblicistiche che si innestarono proprio all’interno del contesto storico appena descritto, con la pubblicazione di Popolo e canti nella Sicilia d’oggi, scritto da Cocchiara e Rubino, e Ove il cedro fiorisce, curato da Cocchiara e Di Mino.
A questa fase risalgono le prime delusioni, soprattutto dal punto di vista dei rapporti umani, di Cocchiara. Il quale, infatti, attraverso vie traverse venne a conoscenza del fatto che l’editore Sandron aveva saldato il compenso di Di Mino per la pubblicazione di Ove il cedro fiorisce, mentre, nei suoi confronti tardava a pagare quanto dovuto. Approfondendo la questione, Cocchiara scoprì che Di Mino aveva in tal senso esercitato delle pressioni sull’editore, senza tenere in alcuna considerazione le esigenze del più giovane studioso, che così si sentì profondamente tradito da colui che considerava prima di tutto un vero amico, come testimonia il clima estremamente confidenziale, quasi fraterno, della corrispondenza tra i due.
Fase fiorentina
Conseguita, nel 1926, la laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Palermo, Cocchiara decise di trasferirsi a Firenze. Tale decisione, come testimoniato dalla corrispondenza con Raffaele Corso, fu l’esito dei suggerimenti di quest’ultimo, che in questa fase della vita di Cocchiara rappresentò un punto di riferimento essenziale. A Firenze Cocchiara aveva già soggiornato per preparare al meglio la propria tesi di laurea, dedicata all’opera legislativa di Federico II (tesi all’interno della quale Cocchiara riuscì a inserire un capitolo dedicato ad usanze e consuetudini popolari risalenti proprio all’epoca dello Stupor Mundi).
Nel capoluogo toscano, Cocchiara visse fino all’autunno 1929, frequentando circoli filologici e letterari dove ebbe la possibilità di studiare al meglio i legami intercorrenti tra la letteratura e il folklore. Ciò avvenne grazie alla presenza di un ambiente culturale che, in quegli anni, era caratterizzato da un particolare dinamismo. In questa fase, pertanto, riuscì ad allacciare rapporti con un ambiente intellettuale estremamente stimolante, che gli consentì di compiere un necessario upgrade, grazie alla possibilità di partecipare alle riflessioni – connotate in chiave filologica – attorno alla cosiddetta letteratura orale, tematica generale sulla quale più volte, anche nel corso dei decenni successivi, Cocchiara avrà modo di tornare, anche con esiti lusinghieri (penso soprattutto alla sua opera postuma, Le origini della poesia popolare, 1966, Boringhieri).
Al tempo stesso, Firenze fu la città in cui allacciò i primi solidi legami con ambienti affini alla destra di regime. Proprio grazie a tale rete di legami (su tutti, il rapporto con Paolo Emilio Pavolini, padre del futuro ministro della cultura popolare, Alessandro), così come con figure quali Michele Barbi, Pio Rajna e Vittorio Cian, Cocchiara fu tra i principali protagonisti, in qualità di organizzatore, del I Congresso Nazionale delle Tradizioni Popolari che si svolse nel capoluogo toscano nel maggio 1929, esperienza che, al tempo stesso, gli diede e gli tolse tantissimo. Il Congresso del ’29, infatti, si tradusse in un sonoro fallimento, in particolar modo agli occhi di determinata critica, capeggiata proprio da Raffaele Corso (nei confronti del quale, nel frattempo, i rapporti non erano più rosei come invece erano stati fino a pochi anni prima. Il ruolo di “maestro”, agli occhi di Cocchiara, adesso pareva esercitato non più da Corso bensì da Raffaele Pettazzoni, con il quale – come è noto – intercorse una ricca e interessantissima corrispondenza epistolare) e da una certa frangia di studiosi che oggi potremmo banalmente e molto schematicamente definire in modo territoriale come “scuola siculo-calabro-campana” (Nicola Borrelli, Raffaele Lombardi Satriani, Letterio Di Francia, lo stesso Benedetto Rubino ecc.).
Gran parte delle colpe, all’indomani del Congresso, ricaddero sulle spalle del più giovane del gruppo, Giuseppe Cocchiara. Che, tra l’altro, proprio in quelle stesse settimane, stava subendo una raffica di critiche, rivolte al suo ultimo libro, L’anima del popolo italiano nei suoi canti contenente un’appendice di musiche popolari a cura di Francesco Balilla Pratella, altro personaggio affine al regime. Il volume era stato pubblicato nel mese di febbraio e, nel giro di pochi mesi, il numero di recensioni negative raggiunse dei livelli evidentemente inaccettabili per Cocchiara. Tra i nomi che giudicarono in modo estremamente negativo l’opera di Cocchiara e Pratella, tra gli altri notiamo la presenza di persone anche piuttosto vicine allo studioso siciliano, come Cesare Caravaglios (che, nel 1932, condividerà con Cocchiara la gioia di ottenere una delle due libere docenze in “Letteratura delle tradizioni popolari” conferite in quell’anno), ma anche Vittorio Cian e Paolo Emilio Pavolini, che Cocchiara aveva ben conosciuto e frequentato nell’ultimo triennio a Firenze. In sostanza, il 1929 potrebbe, dunque, essere ribattezzato come annus horribilis per le vicende biografiche di Cocchiara.
Fase oxoniense
Ciò che accadde in quel 1929 condusse Cocchiara a più miti consigli, grazie anche alla mediazione di Raffaele Pettazzoni e Arnold van Gennep. Nell’autunno di quell’anno, così, decise di trasferirsi per qualche mese a Oxford, fino all’estate successiva, salvo poi ritornarvi nelle due estati seguenti (quindi, nel 1931 e nel 1932). Anche qui le persone e i luoghi che frequentò maggiormente ebbero delle affinità dirette con il regime fascista: da Cesare Foligno a Camillo Pellizzi all’University Italian Club. Anche a Oxford, Cocchiara visse momenti difficili, legati a un amore non corrisposto e alla necessità di crearsi un’indipendenza economica dalla famiglia; cosa che lo condusse alla collaborazione con numerosi quotidiani italiani, per i quali Cocchiara divenne una sorta di corrispondente dal Regno Unito, con articoli di costume e di bozzetto che, altrove, ho definito di “giornalismo etnografico” (D’Amato 2012). Come è noto, tuttavia, l’esperienza a Oxford coincise soprattutto con la prima, vera, svolta intellettuale dello studioso, che sotto la spinta degli insegnamenti di Robert Marett, apprese le teorie e i metodi della scuola evoluzionista (che nel Regno Unito, oltretutto, esalava gli ultimi respiri). Sotto questo influsso – al quale certamente contribuì anche la lettura di alcune opere e il confronto diretto (testimoniato da un ricco carteggio) con Pettazzoni – Cocchiara predispose alcune tra le cose migliori, a mio avviso, della sua intera produzione, sia monografica che saggistica. Le tre brevi monografie del 1932 (Il linguaggio del gesto, Re Lear e The lore of the folk-song), unitamente ai saggi ospitati da «Lares» tra il 1936 e il 1940 sono senz’altro alcuni dei suoi scritti meglio elaborati, più adeguatamente costruiti dal punto di vista delle fonti scelte, con una convinta escursione negli ambiti etnografico ed extraeuropeo, digressioni che prima di quel momento erano assolutamente disconosciute e, successivamente, presenti soltanto nelle opere della più avanzata maturità.
La metà degli anni Trenta di Cocchiara coincise con un importante impegno museografico, con il consolidamento delle libere docenze universitarie a Palermo e con l’adesione agli ideali fascisti, come dimostra la collaborazione con la rivista «Critica fascista», fondata e diretta da Giuseppe Bottai. È questa una fase estremamente ricca della biografia di Cocchiara, sia dal punto di vista sistematico-organizzativo (si pensi alla riapertura del Museo Etnografico Siciliano, presso la nuova sede del Parco della Favorita), sia dal punto di vista accademico e istituzionale: in tutti i casi, i suoi interlocutori furono figure politicamente esposte: dal podestà di Palermo, Giuseppe Noto-Sardegna (coinvolto per la questione delle autorizzazioni necessarie alla riapertura del Museo Pitrè), allo stesso Bottai, che in quegli anni caldeggiò convintamente un ricambio generazionale nell’intellighenzia culturale della destra italiana, spronando in tal senso la partecipazione di giovani studiosi, come tra gli altri Giuseppe Cocchiara. Ed è, a mio avviso, alla collaborazione con «Critica fascista» che si deve guardare quando si vuole evidenziare la figura del Cocchiara fascista: i contributi approntati per la rivista di Bottai, infatti, lasciano intendere una convinta e ideologicamente partecipata condivisione, da parte di Cocchiara, degli ideali del regime. Dal sogno di ricostruzione dell’antico ruolo imperiale di Roma all’avversione nei confronti della perfida Albione; dal vagheggiamento nei confronti di una ruralità esaltata per il suo portato di autenticità al necessario ruolo della presenza cattolica nei sistemi educativi e sociali.
I primi anni Quaranta
La prima metà degli anni Quaranta, forse la più controversa dell’intera carriera di Cocchiara, si contraddistinse per due aspetti rilevantissimi e decisivi nell’ambito della sua biografia. In prima battuta, la svolta epistemologica che, progressivamente, lo vedrà abbandonare i canoni teorico-metodologici del tardo-evoluzionismo caratterizzante i suoi scritti degli anni Trenta, per aderire a uno storicismo sui generis, che diverrà via via più chiaro man mano che il suo impegno si svilupperà verso quella più matura consapevolezza tipica delle opere più ragionate e note, predisposte e pubblicate tra anni Cinquanta e Sessanta. Il primo, deciso step verso questa nuova prospettiva di riferimento lo registriamo, a mio avviso, nei Problemi di poesia popolare, opera edita nel 1939, esito di una riflessione teorica in cui si avverte forte l’influenza esercitata su Cocchiara da Giulio Bertoni, per quanto riguarda l’ambito delle ricerche filologico-folkloriche sulla poesia popolare, oltre naturalmente ai noti contributi di Benedetto Croce ed Ernesto de Martino.
Il concetto di svolgimento, così centrale in Croce, diventa anche per Cocchiara un elemento di delimitazione degli steccati della propria ricerca mentre la centralità della storicità dei fenomeni da indagare diverrà definitivamente il denominatore comune dei suoi scritti – in modo paradossale – quando Cocchiara si approccerà alla traduzione degli scritti di Marett e Frazer (Marett 1944; Frazer 1945), all’indomani dello sbarco alleato in Sicilia, nell’ambito delle attività svolte dall’Istituto di Antropologia Sociale di Palermo, inaugurato grazie alla collaborazione tra lo stesso Cocchiara e l’etnografo scozzese Robert Gayre, giunto nell’isola al seguito dell’esercito britannico. La relazione tra Cocchiara e Gayre ci consente di connetterci al secondo, determinante elemento della biografia dello studioso di Mistretta verificatosi nella prima metà degli anni Quaranta. Ci riferiamo alla sua collaborazione con «La difesa della razza», esperienza controversa e contraddittoria, che rappresenterà una macchia indelebile nella biografia di Cocchiara. Esperienza che, a mio avviso, è contrassegnata più che altro da un imperdonabile peccato di “opportunismo” che non dall’effettiva adesione dello studioso alle tematiche del razzismo eugenetico propagandate dalla rivista. Sicuramente, l’adesione di Cocchiara a «La difesa della razza» fu un’esperienza ingloriosa e ingiustificabile; tuttavia, si ritiene che la stessa non fu supportata da quel sostrato di adesione ideologica che, invece, dieci anni prima, aveva contraddistinto la sua partecipazione alle vicende editoriali di «Critica fascista».
Pur in presenza di posizioni differenti rispetto a quella appena espressa (Blando – Perricone 2021), si ritiene che questo peccato di opportunismo possa essere una chiave di lettura utile a interpretare la firma di Cocchiara per i sei articoli pubblicati nel periodico razzista diretto da Telesio Interlandi. Alcuni punti, in breve, sostanziano questa prospettiva interpretativa:
- il contenuto degli articoli a firma di Cocchiara non è minimamente paragonabile a quello dei contributi elaborati per «La difesa della razza» da studiosi come Julius Evola, Montandon, Lidio Cipriani o Guido Landra, campioni del discorso razzista ed eugenista;
- non ci risulta, nonostante accurate ricerche, che Cocchiara abbia in qualche modo intrapreso contatti epistolari con i principali protagonisti delle vicende de «La difesa della razza». Nei confronti dello stesso Interlandi, fondatore e direttore del periodico, siciliano come Cocchiara, non risultano contatti diretti, nonostante i due avessero avuto delle esperienze comuni: si pensi alla pubblicazione, tra il 1928 e il 1929, di una decina di articoli su «Il Tevere», proprio in quegli anni diretto da Interlandi o al contributo offerto nel 1928 al periodico «Lunario siciliano» di cui, ancora una volta, Interlandi era stato tra i promotori, insieme a Giovanni Centorbi, Nino Savarese e Francesco Lanza;
- nello studio probabilmente più importante su «La difesa della razza», realizzato dallo storico Francesco Cassata nel 2008 e dedicato al ruolo della rivista nella divulgazione dell’ideologia razzista e antisemita, il nome di Cocchiara non compare nemmeno una volta, a testimonianza del ruolo marginale esercitato dallo studioso nelle relative vicende;
- infine, quando il governo anglo-americano mise in atto la propria strategia di defascistizzazione delle Università siciliane, revocando gli incarichi a tutti i docenti in qualche modo affini al regime, non prese alcuna iniziativa nei confronti di Cocchiara, al quale, anzi, furono affidati incarichi di docenza e il ruolo di responsabile dell’Istituto di Antropologia Sociale fondato presso l’Università di Palermo.
Ovviamente, quest’ultima controversa vicenda sarà oggetto di futuri approfondimenti e di interessanti dibattiti che cercheranno di fare luce su un aspetto della biografia di Cocchiara ad oggi non ancora sufficientemente scandagliato. L’opportunità offerta dal finanziamento dell’Edizione nazionale delle sue opere sarà certamente uno dei punti di partenza, capace di rendere ancora più interessante, stimolante e propositiva la ristampa dei volumi dello studioso nativo di Mistretta.
Dialoghi Mediterranei, n. 66, marzo 2024
Note
[1] Come previsto dall’art. 2 dello stesso decreto, la Commissione scientifica risulta composta da: Enzo Vinicio Alliegro, professore associato di discipline demoetnoantropologiche presso il Dipartimento di scienze sociali dell’Università degli studi di Napoli Federico II; Francesco Faeta, già professore ordinario di Antropologia culturale e Antropologia visuale presso l’Università degli studi di Messina e l’Università della Calabria;Marcello Massenzio, Presidente dell’Associazione internazionale “Ernesto de Martino”, già Professore ordinario di Storia delle religioni presso l’Università di Roma “Tor Vergata”; Ferdinando Felice Mirizzi, professore ordinario di discipline demoetnoantropologiche presso l’Università degli studi della Basilicata; Berardino Palumbo, professore ordinario di Antropologia sociale presso Dipartimento di scienze cognitive, psicologiche, della formazione e degli studi culturali dell’Università degli studi di Messina; Rosario Perricone, docente di Antropologia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo e membro del Comitato scientifico della Società Italiana per la Museografia e la Demoetnoantropologia di Palermo; Giovanni Ruffino, professore benemerito dell’Università di Palermo e Presidente del Centro di studi filologici e linguistici siciliani (quest’ultimo nominato Presidente della Commissione).
Riferimenti bibliografici
Blando A. – Perricone R., “Giuseppe Cocchiara, il fascismo e il razzismo”, in F. Dimpflmeier, a cura di, Antropologia italiana e fascismo. Ripensare la storia degli studi demoetnoantropologici, numero monografico di «Lares», LXXXVII, 2-3, maggio-dicembre 2021: 307-322.
Cassata F., «La Difesa della razza». Politica, ideologia e immagine del razzismo fascista, Torino, Einaudi 2008.
Cavazza S., Piccole patrie. Feste popolari tra regione e nazione durante il fascismo, Bologna, Il Mulino, 20032.
Cocchiara G. – Di Mino C., Ove il cedro fiorisce. Libro sussidiario per la cultura regionale, Palermo, R. Sandron 1924.
Cocchiara G. – Rubino B., Usi e costumi, novelle e poesie del popolo siciliano. Esposizione critica, Palermo, R. Sandron 1924.
Cocchiara G., L’anima del popolo italiano nei suoi canti, con un’Appendice di musiche popolari vocali di tutte le regioni d’Italia, compilata e commentata da F. Balilla Pratella, Milano, Hoepli 1929.
D’Amato A. (a cura di), Cocchiara e l’Inghilterra. Saggi di giornalismo etnografico (1930-1933), Bari, Edizioni di Pagina 2012.
Dimpflmeier F., “Vivere la regione per vivere la nazione. La valorizzazione del patrimonio locale nei sussidiari per le culture regionali degli anni Venti”, in S. Aru – V. Deplano, a cura di, Costruire una nazione. Politiche, discorsi e rappresentazioni che hanno fatto l’Italia, Verona, Ombre Corte 2013: 92-106.
Frazer J.G., Introduzione all’antropologia sociale. Saggi ed estratti tradotti ed annotati da Giuseppe Cocchiara, Palermo, G.B. Palumbo 1945.
Marett R.R., Introduzione allo studio dell’uomo {traduzione, introduzione (pp. 7-35) a cura di G. Cocchiara), Palermo, G.B. Palumbo 1944.
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Alessandro D’Amato, dottore di ricerca in Scienze Antropologiche e Analisi dei Mutamenti Culturali, vanta collaborazioni con le Università di Roma e Catania. Oggi è funzionario demoetnoantropologo presso il Ministero della Cultura. Esperto di storia degli studi demoetnoantropologici italiani, ha al suo attivo numerose pubblicazioni sia monografiche che di saggistica. Insieme al biologo Giovanni Amato ha dato alle stampe il volume Bestiario ibleo. Miti, credenze popolari e verità scientifiche sugli animali del sud-est della Sicilia (Editore Le Fate 2015). Ha curato il volume Cocchiara e l’Inghilterra. Saggi di giornalismo etnografico (Dipagina edizioni, 2015) ed è l’autore di un contributo al volume collettaneo Il carrubo è l’uomo (edizioni Abulafia, 2022). L’ultima sua pubblicazione edita dal Museo Pasqualino è Percorsi tortuosi. La formazione del pensiero di Giuseppe Cocchiara (2023).
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