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“Gli” ‘a lui, a lei’: un uso maschilista e sessista?

4303-0-828367887_mdi Salvatore Claudio Sgroi 

1. Evento giornalistico

Giuseppe Antonelli nella sua rubrica settimanale “Lezioni di italiano” nel magazine 7 del “Corriere della sera” ha dedicato il pezzo del 3 maggio 2024 al pronome personale “LE”, sottotitolato “Torniamo ad usare il pronome nella forma femminile” anziché gli nel parlato colloquiale, per es. ho incontrato mia sorella e gli ho detto che l’avrei chiamata, ma anche nello scritto letterario otto-novecentesco e del 2000, es. “E che gli dici, alla luna?” (Sciascia 1960). 

2. L’economia linguistica dell’italiano

Le ragioni strutturali di tale uso sono dovute, com’è noto, a un’esigenza di economia linguistica. L’analisi del paradigma pronominale dei clitici complementi (in)diretti: — mi ‘(a) me’, ti ‘(a) te’, gli ‘a lui’ (< lat. (ĭl)lī) versus le ‘a lei’ (< lat. (ĭl)lae), ci ‘(a) noi’, vi ‘(a) voi’, (a) loro – evidenzia infatti che la distinzione tra maschile e femminile vale solo per “gli vs le” ma non per gli altri clitici. Da qui la pressione del paradigma per la semplificazione a favore di una sola forma gli col duplice valore ‘a lui, a lei’ come nel caso degli altri clitici.

Si osservi peraltro che nel caso del clitico doppio glielo/a/i/e si neutralizza l’opposizione masch. vs femm., es. glielo dico valendo ‘lo dico a lui, a lei’. 

2.1. I clitici ci, le

La semplificazione al riguardo può anche verificarsi a favore di una forma di origine dialettale panitaliana come ci, tendenzialmente popolareggiante, es. ho incontrato mio fratello/mia sorella/ i miei fratelli e ci ho detto che… Ma può verificarsi anche a favore della forma le ‘a lui, a lei’, decisamente popolare es. ho incontrato mio fratello e le ho detto che…

Nel caso del linguaggio di Papa Francesco l’uso di le ‘a lui’ può anche essere il risultato un’interferenza con lo spagn. le ‘a lui, a lei’ come nell’enunciato “se qualcuno ti insulta ti viene la voglia di dirLE il doppio” (TG 1, 18 maggio 2024). 

9788842834618_0_536_0_752.2. Loro

C’è ancora da osservare che il paradigma dei clitici è costituito tutto da forme monosillabiche e preverbali (gli parla) e all’imperativo postverbali (parlagli), tranne loro, bisillabico e postverbale (dirò loro, parla loro, ha parlato loro/ha loro parlato). Questa anomalia riguardante la lunghezza verbale è eliminata con la sostituzione di loro mediante il monosillabico gli che assume così il triplice valore di ‘a lui, a lei, a loro’. 

3. La norma e l’uso

Se gli per ‘loro’ è giudicato da Antonelli corretto, l’uso invece di gli ‘a lei’ è giudicato con Serianni 1988 e lo Zingarelli 2024 un uso “errato”, e la forma le è difesa con il richiamo alla “tradizione grammaticale” e l’esigenza della “chiarezza”, nonché con “il rispetto delle differenze” sessuali.

Cesare Segre (Diario civile, a cura di Paolo di Stefano, il Saggiatore 2024) da parte sua ricordava nel 2010 che “gli per ‘a lei’ è condannato ma usato a livello colloquiale” (ivi: 250), osservando inoltre che dinanzi ai «cambiamenti che di continuo il complesso dei parlanti mette in atto […] si dovrebbero tener presenti due assiomi: il primo è che la lingua continua, proprio per opera nostra, a cambiare; il secondo è l’impossibilità d’intervenire su questi cambiamenti, l’inanità del dirigismo linguistico» (ivi: 257), e quindi «se poi le ‘deviazioni’ s’impongono, non c’è che prenderne atto» (ibid.).

Edoardo Lombardi Vallauri (Le guerre per la lingua, Einaudi 2024) osservava più in generale che «La lingua ha le spalle larghe, esiste e muta da millenni, e ne ha viste di tutti i colori. Niente può impedirle di esistere e di servire agli scopi per cui i parlanti la usano, semplicemente perché proprio di quegli scopi è il prodotto storico ed evolutivo» (ivi: 51). 

9788806261511_0_536_0_754. Il clitico gli ‘a lei’, a lui’: uso sessista? 

Non sembrerebbe che l’oscuramento del femm. con l’uso di gli ‘a lui, a lei’’ sia stato denunciato dalle femministe (a partire da Alma Sabatini 1987). Ma ora Antonelli ha ricordato che l’uso del gli sembrerebbe dovuto all’«intento polemico di chi contesta la campagna contro il sessismo linguistico» e ha rivendicato la distinzione morfologica con il «rispetto dovuto alle differenze» sessuali.

Il citato Edoardo Lombardi Vallauri (2024) da parte sua ha osservato: «stupisce […] che chi vigila contro il maschilismo dell’italiano non si accorga (e non si penta!) di non usare mai il pronome atono le, a cui tutti ormai nel parlato hanno sostituito la forma del maschile gli» (ivi: 95), es. di’ a Debora che poi io gli porto un termometro. 

«La forma del pronome gli può neutralizzare la categoria del genere, cioè non esprimerlo. Finché gli attivisti non se ne accorgeranno questa sarà la realtà, e dire gli riferendosi a una donna non sarà un comportamento maschilista. Appena se ne accorgeranno, anche quest’aspetto della grammatica italiana diventerà colpevole e sbagliato: non perché lo sia, ma perché sarà accusato rumorosamente di esserlo» (ibid.). 

5. Un ‘ottica “laica” 

Per conto nostro l’uso di gli per ‘a lui, a lei’ è il risultato della neutralizzazione dell’opposizione maschile vs femminile per esigenze di economia linguistica. Il richiamo all’uso sessista di gli al riguardo si giustifica solo come argomentazione puramente ideologica, la teoria del sessismo morfologico della lingua essendo priva di ogni fondamento scientifico. La funzione in prima istanza del genere grammaticale di tutti i nomi (animati e non-animati) di una lingua è infatti quella di favorire la coesione morfo-sintattica ai fini della comunicazione e non già quella del tutto secondaria per i soli animati di indicare il sesso (maschio/femmina) degli uomini, come abbiamo più volte in sedi diverse indicato. 

Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024 

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Salvatore Claudio Sgroi, già ordinario di Linguistica generale nel Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania, si è occupato in chiave teorica, storica e descrittiva, di storia della terminologia linguistica, di storia della grammatica, di sintassi, della formazione del lessico, della lingua italiana nelle sue varietà, di educazione linguistica, di divulgazione scientifica in varie sedi, da ultimo nel blog di Fausto Raso (<https://faustoraso.blogspot.com/>). È autore di circa 600 pubblicazioni, tra cui Per una Grammatica ‘laica’. Esercizi di analisi linguistica dalla parte del parlante (Utet 2010), Scrivere per gli Italiani nell’Italia post-unitaria (Cesati 2013), Dove va il congiuntivo? (Utet 2013), Il linguaggio di Papa Francesco [e la lingua degli Italiani] (Libreria Editrice Vaticana, LEV 2016), Maestri della linguistica italiana (2017), Maestri della linguistica otto-novecentesca (2017), Saggi di grammatica laica (2018), (As)saggi di grammatica laica (2018), tutti editi dalle Edizioni dell’Orso, Gli Errori ovvero le Verità nascoste (Centro di studi filologici e linguistici siciliani 2019), Dal coronavirus al covid-19. Storia di un lessico virale (Edizioni dell’Orso 2020); Trittico sciasciano con “giallo”. Quaquaraquà, mafia, pizzo (UTET Università, De Agostini 2021).

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