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Gli Amazigh del Nord Africa. Geografia, storia e realtà attuale

Donne touarg

Donne tuareg (ph. R. Ouhmatu)

di Karim Metref 

Per la maggior parte degli italiani, la parola “Amazigh” non dice nulla. “Berberi”, invece, evoca, per chi ha viaggiato un po’, vaghi ricordi di deserto, cene sotto una tenda al suono di strumenti primitivi e di ballerine in abiti coloratissimi. Ma i berberi – mi sento spesso dire – non sono i nomadi del deserto? 

La realtà è ben diversa, come vedremo più avanti, ma di questa ignoranza non si può certo dare la colpa all’italiano medio. L’oblio in cui è caduta la millenaria cultura amazigh (o cosiddetta berbera) è il frutto di secoli di cancellazione della storia del subcontinente nordafricano. Procediamo però con ordine, chiarendo i concetti uno per volta. 

 

Donna Cabila (Fonte: “Au coeur du pays kabyle” di Martial Remond, Ed. Baconnier – Paris, 1933)

Donna Cabila (Fonte: “Au coeur du pays kabyle” di Martial Remond, Ed. Baconnier – Paris, 1933)

Chi sono gli Amazigh?

Gli Amazigh (in realtà, il plurale corretto sarebbe “Imazighen” [1] sono gli abitanti originari del Nord Africa. Storicamente occupano un territorio molto più grande dell’Europa, che si estende dal Nilo all’Atlantico e dal Mediterraneo fino ai confini meridionali del vasto deserto chiamato Sahara. 

Diversi studi, spesso influenzati da ideologie e interessi coloniali, li hanno fatti provenire da varie parti del mondo. Tuttavia, le continue scoperte archeologiche che si susseguono da tre secoli sul territorio nordafricano dimostrano una continuità della presenza umana dalle ere più remote della preistoria fino ai nostri giorni. 

Gli Amazigh hanno una lingua, la Tamazight, o più precisamente una base linguistica comune, da cui derivano le lingue attualmente parlate dalle numerose popolazioni amazighofone ancora presenti, sparse su tutto il territorio sopra citato, che oggi è suddiviso su una decina di Stati africani. Vivono in campagna e in città, in montagna e lungo la costa, nel deserto e nelle zone umide del Nord. Il numero dei parlanti è di circa 30 milioni su un totale di circa 100 milioni di abitanti dell’area. Tuttavia, la stragrande maggioranza degli abitanti della regione, anche quelli che parlano l’Arabo nordafricano, lo Spagnolo e altre lingue ancora sono in realtà popolazioni Amazigh che hanno perso l’uso della loro lingua.

Donna del Sud della Tunisia

Donna berbera del Sud della Tunisia (Cartolina coloniale, 1907)

Perché “Amazigh” e non “Berberi”?

Come è noto, molto spesso sono i conquistatori a dare un nome ai popoli sconfitti. Oggi, ad esempio, chiamiamo “Indiani d’America” popoli che non hanno nulla a che fare con l’India. I berberi furono chiamati barbari dai Greci, poi dai Romani e, successivamente, anche dagli Arabi conquistatori. Era un termine dispregiativo per indicare coloro che per millenni hanno rifiutato di arrendersi alla “normalizzazione”. 

Così come gli Inuit preferiscono essere chiamati con il loro nome invece che con quello di Eschimesi, o i Rom usano questo termine per definirsi piuttosto che essere chiamati zingari, zigani, gitani o gipsy,  Amazigh è il nome che noi usiamo per definirci.

Noi siamo Amazigh. È un nome antico, che affonda le sue radici nella notte dei tempi, e la cui etimologia è incerta. Alcuni lo collegano al significato di “uomo libero”. Il filosofo nordafricano del XIV secolo, Ibn Khaldun [2], cita, tra le varie ipotesi, quella della discendenza da un certo Mazîgh, figlio di Canaan, figlio di Cam, figlio di Noè [3]. 

Questa teoria è ovviamente influenzata dall’obbligo, nella tradizione dei tre monoteismi, di far risalire ogni genealogia a Noè, padre dell’umanità risorta dopo il diluvio universale. Tuttavia, tutte queste teorie, come le genealogie e i documenti storici dell’epoca, si basavano più su credenze che su fatti verificati o prove tangibili.

La scelta moderna di utilizzare la denominazione “Amazigh” invece di “Berberi” è dovuta al fatto che, tra le numerose denominazioni che hanno assunto, nel corso del tempo, le varie popolazioni che ancora parlano la lingua originaria del Nord Africa, quella di “Amazigh”(o alcuni suoi derivati) è la più ricorrente. La si ritrova dal sud-ovest del Marocco fino alle montagne della Libia, dalle zone mediterranee fino al territorio dei Tuareg, che chiamano se stessi “Amacegh”, con una mutazione della “z” in “c”, trasformazione che si riscontra anche in altre parole.

Insieme ai nomi di battesimo antichi indagati dalla Storia, al recupero delle toponomastiche originali, alla modernizzazione della lingua e al revival culturale, artistico e letterario, l’uso del nome “Amazigh” è uno dei capisaldi della lotta dei popoli del Nord Africa per il riconoscimento della propria storia, cultura e lingua.

Donna Chieuh Medio Atlante

Donna Chieuh Medio Atlante (Cartolina anni 60)

Geografia e storia degli Amazigh

Come accennato in precedenza, l’habitat naturale degli Amazigh non è solo il deserto, come ha fatto credere a molti l’industria turistica del Marocco e della Tunisia. Gli Amazigh sono gli abitanti di quello che oggi si chiama il Magreb (l’Occidente), cioè tutta l’Africa settentrionale escluso l’Egitto, e comprendono anche le parti settentrionali dei Paesi subsahariani conosciuti come Sahel [4].

Gli Amazigh sono, quindi, gli abitanti originari della parte nordoccidentale del continente africano. Il loro territorio si estende dall’arcipelago delle Canarie a ovest (le Isole Canarie sono la prima entità politica a menzionare la propria origine amazigh nel suo testo costitutivo [5]), attraversando Mauritania, Sahara Occidentale, Marocco, Algeria, Tunisia e Libia, fino all’oasi di Siwa (nel sud-ovest dell’Egitto). Da nord a sud, il loro territorio si estende dalle rive del Mar Mediterraneo fino alle aree settentrionali degli Stati del Sahel africano, principalmente Mali, Niger e Ciad, con alcune comunità Tuareg anche in Burkina Faso.

Popolano questo territorio dalla notte dei tempi, ma, vista la vastità e la ricchezza delle loro terre, sono stati soggetti a invasioni e tentativi di sottomissione fin dai tempi antichi. Le comunità amazigh hanno in genere un carattere “anarchico”, opposto alla centralizzazione del potere. Questa caratteristica e il loro amore per la libertà li hanno portati a non costruire grandi imperi o civiltà centralizzate. Poiché il Mediterraneo era un teatro di imperi nascenti e morenti, non imponendo la loro forza su nessuno, hanno dovuto subire quella degli altri: Egizi, Fenici, Cartaginesi, Romani, Bizantini, Arabi, Turchi, Europei…

Le città del nord, circondate da ricche pianure coltivabili e terre fertili, hanno sempre assimilato la lingua, la cultura e la civiltà del conquistatore di turno. Basti pensare alla grande potenza che diventò Cartagine, senza che ci fosse stato un afflusso massiccio di popolazioni semitiche dall’Oriente, o al fatto che molti grandi pensatori e intellettuali latini erano in realtà berberi nordafricani: Apuleio di Madaura, (Sant’) Agostino di Tagaste, Terenzio (Publius Terentius Afer, cioè “l’Africano”) di Cartagine… e altri ancora, così come intellettuali della tradizione arabo-musulmana come Ibn Khaldun e molti altri.

Questo continuo subire invasioni ha fatto sì che la storia degli Amazigh sia narrata soprattutto attraverso le loro lotte di resistenza. Cominciando da Sheshonq I, che nel 950 a.C., dalla Libia si ribellò contro l’Egitto e finì per conquistarlo, fondando una nuova dinastia di faraoni [6]. Celebre è anche la storia di Massinissa, re di Numidia, che per combattere l’espansionismo cartaginese si alleò con Roma nelle Guerre Puniche. Oppure quella di Giugurta e Takfarinas, che combatterono contro l’Impero Romano. La resistenza di Donato, sacerdote cristiano, contro il dominio religioso e politico di Roma, e quella di Dihiya e Aksil [7] contro le invasioni arabo-islamiche, sono altre epopee di grande rilievo.

Infine, ci sono le numerose storie di resistenza popolare contro il colonialismo europeo, da Omar al-Mukhtar in Libia contro gli italiani, ad Abdelkrim al-Khattabi nel Rif, nord del Marocco, che riuscì a tenere testa a due potenze coloniali, Francia e Spagna, fondando nel 1921 l’unica repubblica indipendente del continente africano, che purtroppo sopravvisse solo sei anni agli attacchi combinati delle due forze coloniali e della monarchia alawita, che si era alleata con gli invasori anziché sostenere il Rif libero.

Donne rif

Donne della repubblica del Rif  si addestrano al combattimento

Un popolo di popoli

Oggi, la maggior parte delle popolazioni nordafricane sono diventate arabofone. L’antica lingua egiziana è quasi completamente scomparsa, mentre le popolazioni che parlano qualche variante della lingua amazigh sono ancora presenti, ma rappresentano una minoranza. I gruppi più numerosi vivono tra l’Algeria e il Marocco, mentre negli altri Stati formano piccole sacche linguistiche e culturali, soprattutto nelle montagne e nelle zone desertiche.

Anche se numericamente inferiori, i Tuareg sono la popolazione amazigh che occupa il maggior spazio geografico, essendo distribuiti in sei nazioni: Algeria, Libia, Mali, Niger, Ciad e Burkina Faso.

La lingua amazigh è una lingua africana, che appartiene al ceppo camitico, diversa dall’arabo, che è invece di ceppo semitico. Ha il suo proprio alfabeto, il Tifinagh, nato da una riforma promossa intorno al 200 a.C. dal re Massinissa, allora sovrano della Numidia, un vasto Stato situato nei territori dell’attuale Algeria e parte della Tunisia. La riforma era una modernizzazione di un alfabeto amazigh ancora più antico, il Libico, le cui origini risalgono oltre il primo millennio a.C.

Stiamo parlando di un territorio vasto, grande almeno il doppio dell’Europa. In queste immense aree, divise da grandi ostacoli naturali come montagne e deserti, la cultura e la lingua originarie non sono rimaste omogenee. Le differenze linguistiche, sociali e culturali tra un montanaro del nord del Marocco o dell’Algeria, un allevatore di bestiame negli altipiani semi-aridi del centro, e un Tuareg nel deserto di pietra del Tassili sono evidenti. Tuttavia, ciò che accomuna queste popolazioni è l’amore per la libertà: tutti i popoli amazigh traducono il loro nome come “uomo libero”.

Questo stesso amore per la libertà li ha portati ad abbandonare le ricche pianure del nord, esposte ai vari predatori imperiali che attraversavano il Mediterraneo, per rifugiarsi nelle montagne e nei deserti. Tuttavia non stiamo parlando di piccole minoranze in via di estinzione. Si stima che i parlanti amazigh siano circa 30 milioni su un totale di circa 100 milioni di abitanti nell’area del Magreb. Molti di questi parlanti sono concentrati in Marocco, dove si stima che le persone di madrelingua amazigh siano addirittura in maggioranza, e in Algeria, dove rappresentano poco meno del 50% della popolazione. Negli altri Paesi, le cifre variano tra il 10% e il 15%.

Mappa dei principali gruppi berberofoni del Nord Africa.  (Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/)

Mappa dei principali gruppi berberofoni del Nord Africa. (Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/)

Come mostrato nella mappa qui accanto, ci sono, oltre a piccole sacche di popolazioni che parlano lingue amazigh diverse, circa sette gruppi linguistici distinti. Dagli anni 80 del secolo scorso era nato un vasto movimento per il riconoscimento della lingua e della cultura Amazigh. Un movimento presente in tutti i Paesi, sotto forma di associazioni e movimenti vari, che ha fatto anche vari tentativi di unirsi in un “Congresso Mondiale Amazigh” riunitosi una prima volta a Tafira (Las Palmas De Grande Canarie, Isole Canarie) nel 1991, congresso in cui i vari movimenti si sono accordati su varie linee d’azione e hanno adottato una bandiera comune, che rimane tuttora quella riconosciuta da tutti gli Amazigh del mondo.

Il congresso poi si è spaccato in varie tendenze ed è attualmente quasi del tutto assente dalla scena politica e culturale. Ma la linea, universalista e aperta alla diversità e al rispetto di tutte le culture, tracciata nel 1991 rimane quella più seguita, anche se nel frattempo, sono nati alcuni movimenti regionalisti intolleranti e qualche volta apertamente razzisti.

Piatto di terracotta del couscus  con motivi magici (ph. Karim Metref)

Piatto di terracotta del couscus con motivi magici (ph. Karim Metref)

Dall’abisso coloniale all’amnesia post-coloniale

Durante il periodo coloniale, tra la metà del XIX e la metà del XX secolo, le popolazioni amazigh furono tra le più accanite nella lotta contro l’occupazione europea. Diedero non poco filo da torcere a francesi, spagnoli e italiani. Tuttavia, con l’indipendenza dal colonialismo, il potere rimase concentrato nelle città, e le città del Magreb in quel momento erano dominate dall’ideologia nazionalista araba. Tutto il Magreb si dichiarò arabo e solo arabo, e tutto ciò che non era arabo doveva diventarlo.

«Spero che un giorno lo scolaro algerino, rientrando a casa, parlerà a sua madre in una lingua che lei non capisce, e questa risponderà in una lingua che lui non capisce più»  (discorso attribuito a Ahmed Taleb Al Ibrahimi, Ministro dell’Educazione dal 1965 al 1970)

La lingua e la cultura amazigh, da marginali, divennero proibite. In Marocco e in Algeria, si poteva finire in carcere solo per possedere un alfabeto Tifinagh. In Libia, parlare o cantare in pubblico in lingua amazigh era addirittura vietato. Ci sono voluti decenni di lotte, scioperi e insurrezioni. In Algeria, la regione della Cabilia arrivò persino a boicottare la scuola algerina per un intero anno, nel 1995, prima che cominciassero ad arrivare i primi riconoscimenti. Prima fu riconosciuta l’origine amazigh nella Costituzione algerina e poi in quella del Marocco. Successivamente, la lingua amazigh fu ammessa come materia di studio nelle scuole (almeno nelle zone a maggioranza amazigh) e infine fu riconosciuta come lingua ufficiale in entrambi i Paesi.

Negli altri Paesi del Magreb, le cose procedono più lentamente, poiché i numeri della popolazione amazigh sono meno rilevanti. In Tunisia, la realtà amazigh è oggi riconosciuta socialmente e culturalmente, ma non ancora a livello istituzionale. Nel caos libico, invece, le zone amazigh si stanno organizzando autonomamente per recuperare la lingua e la cultura. 

Donna  Amazing in Libia

Donna Amazing in Libia

Tante sfide vinte e tante ancora da affrontare

Nell’era di internet 2.0 e dell’esacerbazione di tutti gli estremismi e di tutti i populismi, anche il movimento per  la rinascita della lingua e della cultura Amazigh ha la sua parte di movimenti e soprattutto di idee estremiste che si diffondono soprattutto sulla rete, come molte delle malattie che stanno colpendo le nostre società in questo nuovo millennio.

Inoltre la causa ha conosciuto un netto rallentamento da quando la lingua è stata riconosciuta nei due più grandi Paesi del Magreb. Ora che c’è da lavorare, per insegnare, scrivere, produrre, far entrare le lingue non solo nel quotidiano famigliare o della strada ma anche nei media, nei libri, nei computer, nelle scuole e nell’università… Ora le persone che hanno voglia di fare, sembrano molto meno di quelle che invece uscivano in massa per strada a manifestare.

Ma poco a poco, la letteratura di lingua amazigh si arricchisce. La musica e la canzone, che sono sempre stati il cavallo da traino che ha portato le folle a prendere coscienza della propria identità e della necessità di salvare e valorizzare la propria diversità. La musica oggi diffusa anche lei dalla rete, crea un vero e proprio movimento di revival che esce dalle regioni dove si trovano le popolazioni più numerose, come l’Alto, il Medio Atlante e il Rif in Marocco, o La Cabilia e l’Aures in Algeria, per portare in primo piano anche artisti e formazioni appartenenti a piccole minoranze isolate di altre nazioni come la Tunisia o la Libia. I tribunali dell’Algeria e del Marocco non possono più costringere le persone a subire processi in una lingua che non capiscono. E soprattutto, chi vuole può guardare un telegiornale in lingua tachelhit o tarifit del Marocco, o ancora in lingua taqbaylit o tachawit dell’Algeria e in molte altre ancora.

Il lavoro da fare è tanto, e tante sono le sfide da affrontare, ma la cultura amazigh ha saputo sopravvivere a migliaia di anni di dominio straniero, grazie alla sua capacità di resistenza all’assimilazione, ma anche alla capacità di interagire e convivere senza farsi fagocitare. Sicuramente troverà il modo di sopravvivere anche all’appiattimento culturale dell’era della globalizzazione e dei nazionalismi ottusi che viaggiano sui media sociali.

Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024 
Note
[1]  Un amazigh, una tamazight, degli Imazighen, delle timazighin. Ma per rispetto alla regola che vuole che in Italiano, di solito, si prende in prestito solo il singolare e non il plurale – es. un film, dei film – useremo sempre la forma singolare amazigh sia per il sostantivo che per l’aggettivo. Il femminile singolare Tamazight sarà usato per indicare la lingua.
[2] Walī al-Dīn ʿAbd al-Raḥmān ibn Muḥammad ibn Muḥammad ibn Abī Bakr Muḥammad ibn al-Ḥasan al-Ḥaḍramī, detto Abdal Rahman Ib Khaldun (Tunisi, 27 maggio 1332 – Il Cairo, 17 marzo 1406), è stato il massimo storico e filosofo del Maghreb, e viene considerato un sociologo ante litteram delle società araba, berbera e persiana. È uno dei padri fondatori della storiografia e della sociologia, ed è considerato uno dei primi economisti…
[3] Ibn Khaldoun. Storia dei Berberi e delle dinastie musulmane dell’Africa settentrionale.
[4] Sahel in arabo vuol dire “riva”. Il grande Sahara era visto come un mare di sabbia. I Paesi del Sahel sono quindi i Paesi quelli che si affacciano sulla riva Sud del Sahara.
[5] Articulado del Estatuto de 1982. della regione autonoma delle Canarie
[6] Sheshonq I (… – 924 a.C.), grande capo della tribù dei Mashuash, situata nell’attuale Tunisia. E’ stato un faraone della XXII dinastia egizia.
[7] Dihiya (VII secolo – VIII secolo) regina amazigh, denominata dagli arabi “Kahena”, la strega, e Aksil (Attuali confini algero tunisini, 640 – Qayrawan, 688), arabizzato in “Kusayla” èsono stati due sovrani e condottieri amazigh, che combatterono a lungo contro l’invasione araba del Nordafrica. 
Riferimenti bibliografici
Camps, Gabriel, I Berberi, Milano, Jaca book, 1996;
Brugnatelli V., I berberi-Elementi di Storia, Lingua e Letteratura, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2006.

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Karim Metref, nato in Cabilia (regione Amazigh del Nord dell’Algeria), è educatore, insegnante, giornalista indipendente, collabora con varie testate italiane e ha pubblicato vari libri. Ultimo in libreria: Algeria Tra Autunni e Primavere. Multimage, 2019. Molti degli articoli di Karim Metref si possono leggere sul suo blog/archivio personale: www.karimmetref.blog

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