Introduzione
L’associazionismo rappresenta una delle più rilevanti manifestazioni dell’alterità delle persone straniere o di origine straniera [1] nel territorio di inserimento, ma costituisce allo stesso tempo un potente strumento relazionale nei rapporti “esterni” della comunità immigrata, siano essi con la cittadinanza autoctona, o con le istituzioni del territorio, o ancora con i media. Le associazioni rappresentano, in altre parole, uno strumento strategico per il posizionamento dell’immigrato/a [2] sia nei confronti del nuovo mondo che lo circonda, sia nei confronti della propria “constituency” di riferimento (sia essa di carattere etnico, religioso, territoriale o “mista”) che delle diverse espressioni della società autoctona.
Nonostante il suo ruolo fondamentale nel processo di integrazione (e quindi di mantenimento della coesione sociale in un territorio pluriculturale), il fenomeno associativo degli immigrati è stato relativamente poco studiato, dando la precedenza (comprensibilmente, in un certo senso) agli aspetti più eminentemente economici e occupazionali del fenomeno migratorio, che costituiscono il “nocciolo duro” dell’integrazione, oltre che, come è noto, il presupposto della sussistenza materiale. Per ciò che riguarda l’Italia, poi, l’integrazione occupazionale determina anche la continuità della permanenza sul territorio (dato il forte legame fra lavoro e permesso di soggiorno, cesura fondamentale che separa il cittadino dal non cittadino). Anche chi ha studiato a fondo il fenomeno delle reti lo ha fatto quasi sempre in un’ottica di tipo economico-occupazionale, parlando, non a caso, di «costruzione sociale dei processi economici»[3].
Le finalità dell’associazionismo quindi ricomprendono, pur senza esaurire in sé, gli obiettivi di tipo eminentemente occupazionale perseguiti dalla “reti etniche”. Mentre queste ultime sono prevalentemente finalizzate all’inserimento nel mercato del lavoro, le associazioni spaziano invece in un ambito decisamente più ampio, che comprende finalità di tipo identitario, culturale, religioso, educativo. «L’associazionismo ‘straniero’ rappresenta, nelle sue diverse forme, l’emblema di una chiara volontà integrazionista»[4], che costituisce la sua ragion d’essere. Secondo le classificazioni correnti, le finalità precipue delle associazioni di immigrati possono ricondursi a quattro gruppi:1) Supporto e orientamento; 2) Mediazione e integrazione; 3) Promozione/rappresentanza della cultura del territorio di origine; 4) Partecipazione. Vedremo nell’analisi delle risposte all’indagine su questionario se ed in quale misura questi elementi sono presenti anche nelle associazioni di immigrati operanti in provincia di Bolzano.
Uno sguardo storico al fenomeno migratorio in Alto Adige [5]
La storia della mobilità umana che contraddistingue il territorio dell’attuale provincia autonoma di Bolzano è fortemente influenzata dalla storia del secolo scorso, che ha visto, oltre a consistenti movimenti di popolazioni, anche rilevanti spostamenti di confini. Questa situazione (in parte analoga a quella del Friuli Venezia Giulia) ha fatto sì che decine di migliaia di persone, che pure non erano mai emigrate in senso tecnico, si siano ritrovate, spesso da un giorno all’altro, cittadini di un altro Stato o, peggio, apolidi in un nuovo contesto statuale. Detto questo, va anche rilevato come il Sudtirolo sia stato tradizionalmente una terra di emigrazione, sia per motivi economici, che per motivi politici.
Nel contesto di questo articolo non è certo possibile percorrere le intricate vicende che hanno segnato questi territori nel corso del ‘900 [6] e ci limiteremo alla poco conosciuta (almeno nel resto d’Italia) questione degli accordi Mussolini-Hitler della fine degli anni ’30, con i quali i due dittatori immaginarono di spostare nei territori del Reich la popolazione di lingua e cultura tedesca da sempre residente in Sudtirolo, sostituendola con lavoratori e loro famiglie provenienti dal resto d’Italia, a cui in definitiva era affidata la missione di “italianizzare” i nuovi territori ottenuti alla fine della Prima guerra mondiale. Gli accordi diedero vita alle cosiddette “Opzioni” e alla consultazione con la quale i cittadini sudtirolesi dovevano decidere se rinunciare ai propri beni immobili in Alto Adige (partendo per il Reich come assegnatari di spesso non meglio identificati terreni e abitazioni) o alla propria identità linguistica e culturale, rimanendo nella propria terra d’origine come cittadini italiani. La vicenda provocò l’emigrazione di quasi 80 mila persone, ma anche una reimmigrazione di ritorno (dopo la fine della Seconda guerra mondiale) stimata, a seconda delle fonti, fra le 20 mila e le 30 mila persone (Pallaver-Steurer, 2011: 22).
Negli anni del secondo dopoguerra, e nel mutato contesto politico italiano, è ripresa l’immigrazione (stavolta però a carattere economico) di lavoratori da altre regioni del Paese, ed è iniziata un’emigrazione di sudtirolesi diretta verso i paesi limitrofi di lingua tedesca (Girardi, 2011:78-166). Il saldo migratorio della provincia, a lungo leggermente negativo, è tornato ad essere positivo soltanto agli inizi degli anni ’90, quando ha preso piede, con qualche anno di ritardo rispetto al resto d’Italia, l’immigrazione straniera.
Prov. di Bolzano. iscrizioni e cancellazioni anagrafiche 1990-2021
A partire dal 1990, poi, la presenza di cittadini stranieri in provincia è aumentata costantemente. Il grafico che segue ci dà un’idea della rapida evoluzione della popolazione straniera in provincia di Bolzano (cresciuta di oltre 12 volte rispetto al 1990), che alla fine del 2021 rappresentava il 10,6% della popolazione totale, ed era costituita in leggera maggioranza (51,3%) da donne.
Prov. di Bolzano. Evoluzione della presenza straniera 1990 – 2021. Fonte: ISTAT
Attualmente gli stranieri residenti in Alto Adige appartengono a oltre 140 diverse nazionalità, di cui quasi i due terzi europee. Di seguito una tabella riassuntiva con le 12 nazionalità maggiormente rappresentate, e un grafico con la ripartizione continentale:
Zone di provenienza | v.a. | % su stranieri | % su popolazione |
Albania | 6.207 | 11,0 | |
Romania | 4.631 | 8,2 | |
Germania | 4.518 | 8,0 | |
Pakistan | 3.943 | 7,0 | |
Marocco | 3.644 | 6,5 | |
Slovacchia | 3.164 | 5,6 | |
Kosovo | 2.643 | 4,7 | |
Nord Macedonia | 2.199 | 3,9 | |
Ucraina | 1.879 | 3,3 | |
Austria | 1.737 | 3,1 | |
Polonia | 1.555 | 2,8 | |
India | 1.533 | 2,7 | |
Altri Paesi | 18.841 | 33,4 | |
Europa | 36.191 | 64,1 | |
Di cui UE | 19.605 | 34,7 | |
Africa | 7.525 | 13,3 | |
Asia | 10.354 | 18,3 | |
America | 2.398 | 4,2 | |
Oceania | 22 | 0,0 | |
Apolidi | 4 | 0,0 | |
TOTALE | 56.494 | 100 | |
Fonte: Dossier statistico immigrazione IDOS/Confronti 2022
Provincia di Bolzano. Le principali comunità straniere residenti Fonte: ISTAT
Ovviamente, essere straniero in provincia di Bolzano è molto diverso dall’esserlo in un’altra regione d’Italia, e per certi aspetti probabilmente più complicato [7]. Come è noto, infatti, in Alto Adige la presenza delle minoranze linguistiche tedesca e ladina ha dato origine all’obbligo di dichiarazione di appartenenza linguistica, in base al quale i cittadini residenti devono dichiarare la propria appartenenza ad uno dei tre gruppi (italiano, tedesco, ladino) riconosciuti dalla legge. La dichiarazione è libera, e lo straniero può anche dichiararsi “altro”. Per poter accedere ad alcuni diritti e misure di welfare, è però necessario dichiararsi almeno “aggregati” ad uno dei tre gruppi linguistici. L’assegnazione di alloggi di edilizia convenzionata, l’accesso ai posti di lavoro pubblici, nonché la composizione degli organi istituzionali devono rispecchiare la consistenza numerica dei tre gruppi. Il genitore di un bambino straniero sarà inoltre tenuto alla scelta del percorso scolastico dei propri figli, e quindi a decidere se iscriverlo alternativamente in una scuola con l’italiano oppure con il tedesco come lingua di insegnamento [8].
Al di là di questa complessa regolamentazione concernente la vita pubblica e sociale, la maggiore difficoltà per l’immigrato in Sudtirolo è quella di trovarsi di fronte alla necessità di fatto di impadronirsi di due lingue straniere, se vuole avere opportunità concrete nel mondo del lavoro. Anche se non obbligatoria nell’economia privata, una certa padronanza di entrambe le lingue è spesso richiesta dai datori di lavoro, e può quindi costituire per lo straniero un ulteriore ostacolo all’integrazione occupazionale e uno svantaggio rispetto a concorrenti autoctoni. In un territorio abituato a ragionare in termini di “tutela delle minoranze” e di gruppi, piuttosto che di diritti individuali dei cittadini, e provvisto di uno Statuto di autonomia (con rango di legge costituzionale) che ormai da mezzo secolo protegge le minoranze tedesca e ladina (Marko, Ortino, Palermo, 2001), negli ultimi anni si è sviluppata una linea di pensiero che tende a considerare anche gli immigrati stranieri come “nuove minoranze” da tutelare ai sensi dello Statuto (Medda-Windischer, Hetfleisch, Meyer, 2011: 19 e ss.). In tal modo, li si ingloba in un sistema che pone al centro i gruppi, ma li si espone, di fatto, ai rapporti di forza creati dalle diverse consistenze numeriche dei gruppi stessi.
Obiettivi, scelte metodologiche e delimitazione dell’indagine
Nella parte che precede si è cercato di inquadrare, nella maniera più concisa possibile, il fenomeno dell’immigrazione straniera in un territorio già storicamente plurilingue e pluriculturale, al quale essa viene ad aggiungersi con il proprio carico di ulteriore diversità e con la richiesta di vedersi in qualche modo riconosciuta nella sua specificità. In un contesto nazionale in cui i diritti individuali, sociali e politici dei cittadini stranieri (soprattutto di quelli non appartenenti all’Unione europea), sono notoriamente molto limitati, l’associazionismo rimane uno degli strumenti essenziali per riaffermare la propria esistenza e la propria identità anche in quanto gruppo, instaurando un dialogo costruttivo con le istituzioni che governano il territorio. Queste ultime, per parte loro, spesso lamentano di non trovare interlocutori all’interno delle comunità migranti.
Scopo della presente indagine vuole peraltro anche essere quello di stimolare le autorità di governo delle varie regioni italiane a promuovere studi analoghi, e ad occuparsi concretamente delle condizioni in cui le associazioni di stranieri dei rispettivi territori si trovano ad operare, con l’esplicita finalità di rafforzarne strutture e capacità. Due esempi in tal senso li troviamo nelle Regioni Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna, che di recente hanno promosso ricerche in tal senso. La prima indagine rileva che «le associazioni delle comunità straniere presentano una grande varietà di attività. Il loro fine ultimo risulta dare risposta ai bisogni identitari ed espressivi – prima ancora che materiali e politici – di gruppi sociali fortemente connotati in un contesto isolato, che non hanno la possibilità di esprimersi nelle modalità e nelle forme di norma adottate dalla maggioranza della popolazione del territorio in cui vivono»[9]. Oltre a ciò, si fa comunque notare che «si tratta comunque di un universo ancora piuttosto sfuggente, soprattutto per quanto riguarda le associazioni di tipo religioso, che necessita di essere conosciuto per essere poi coinvolto in modo consapevole»[10]. La seconda indagine, in particolare, «attesta una situazione di frequente precarietà» delle associazioni, e rileva che la «accentuata vulnerabilità socio-economica della popolazione di origine immigrata (…) condiziona tanto il livello di partecipazione (e il coinvolgimento della relativa base di riferimento) quanto i percorsi di strutturazione interna», evidenziando, in definitiva, «la necessità di recuperare contatto con i bisogni reali e le contingenze che segnano la vita ordinaria delle associazioni» [11] (IDOS – Confronti, 2021: 23-24).
Se queste sono le premesse, è evidente che una conoscenza il più possibile approfondita del fenomeno associativo degli immigrati deve necessariamente rientrare fra le priorità dell’istituzione preposta al governo del territorio, soprattutto a livello locale, il cui maggiore interesse deve essere quello di garantire l’inclusione sociale, culturale ed economica di tutti i residenti, e con essa la coesione sociale del territorio stesso per governare in maniera inclusiva. È in questo spirito che la Provincia autonoma di Bolzano ha ravvisato la necessità di procedere ad una attualizzazione della mappatura delle associazioni di stranieri afferenti al territorio provinciale. Parliamo di attualizzazione in quanto, se una lista veramente completa delle associazioni non è mai esistita (o quanto meno non è mai stata pubblicata), anche i tentativi di sistematizzazione recenti del fenomeno sono alquanto limitati e parziali.
Il presente lavoro è quindi da considerarsi una mappatura, ovvero un elenco ragionato delle associazioni di stranieri attive nel territorio provinciale, una sorta di guida a questa realtà mutevole e in parte sfuggente, perlopiù sconosciuta alla società autoctona, che ne percepisce l’esistenza principalmente in occasione di feste pubbliche e celebrazioni. Una prima questione da affrontare è stata quella di delimitare il concetto di associazione: mentre altre pubblicazioni meno recenti [12] hanno operato una distinzione fra associazioni per i migranti e associazioni di migranti, la presente mappatura si concentra su queste ultime, intese come espressione della piena autonomia decisionale degli immigrati stessi che la compongono e come realizzazione di una funzione di auto-aiuto (self help) o aiuto gestito in proprio dai protagonisti, senza dover dipendere da espressioni della società autoctona, quali sono appunto le associazioni per i migranti. Per mappatura dobbiamo intendere un esercizio prevalentemente di tipo quantitativo, che non ha dunque la pretesa di addentrarsi in un’analisi qualitativa delle finalità, delle attività, delle dinamiche dei rapporti interni e, in definitiva, della natura più profonda di ogni associazione. Per approfondire questi aspetti sarebbero infatti necessarie un’indagine di sfondo sul fenomeno dell’associazionismo degli immigrati in provincia, interviste qualitative semi-strutturate con tutte le associazioni, come pure un focus group con la partecipazione congiunta delle associazioni stesse e di attori rilevanti della componente autoctona della società.
Ai fini della presente mappatura sono state considerate le associazioni (di fatto o formalizzate) che rispondano almeno ad uno dei seguenti criteri:
- che siano state fondate da immigrati e/o da figli di immigrati (seconde generazioni);
- la cui maggioranza dei soci sia costituita da immigrati e/o da figli di immigrati;
- il cui Consiglio direttivo sia formato in maggioranza da immigrati e/o da figli di immigrati.
Punto di partenza per la mappatura è stata una lista di associazioni in nostro possesso, provvista in gran parte di recapiti (postali, mail e telefonici) e di nominativi di uno o più referenti. Il primo lavoro è stato dunque di accertare quali di queste associazioni fossero ancora esistenti e attive, e se rispondessero ai requisiti sopra indicati. Un elemento interessante con cui siamo venuti a contatto già in questa fase preliminare è una discreta longevità (considerando che oltre la metà delle associazioni censite esiste da più di cinque anni), dato che sembra contraddire quella “Kurzlebigkeit” evidenziata da Kurt Gritsch (v. Pfanzelter/Rupnow, 2017: 215). È anche vero, d’altra parte, che diverse associazioni rinascono dopo un certo periodo sotto altro nome, ma con lo stesso leader, oppure nascono semplicemente per scissione dopo divergenze interne. Nulla che non si possa verificare anche nelle associazioni autoctone (che si occupino di immigrazione o meno) e in generale nel vasto mondo del volontariato, molto più “movimentato” di quanto uno sguardo esterno possa percepire. Dato che si tratta (almeno nella stragrande maggioranza dei casi) di attività di puro volontariato, svolte dagli organi dirigenti e dal/la presidente di fatto “rubando tempo” alle proprie occupazioni abituali (studio, lavoro, famiglia), in più di un caso si è riscontrata una certa difficoltà al contatto, che comunque non è andato ad influire sulla disponibilità di massima alla collaborazione.
Da questa prima analisi telefonica è emerso un totale di 76 associazioni, 26 delle quali irreperibili, non attive/sciolte, o non rispondenti ai criteri individuati. Come metodo di indagine per le associazioni è stato elaborato un breve questionario di 10 domande, funzionale alle esigenze di una mappatura sintetica del fenomeno. Le dieci domande del questionario sono suddivise in tre sezioni: la prima (Anagrafica) comprende le informazioni di contatto [13] e l’anno di costituzione, informazioni da cui si può avere un prima idea della consistenza e del radicamento nel territorio dell’associazione stessa, valutando ad esempio la sua presenza sui social media. Con la seconda sezione si entra nell’organizzazione interna dell’associazione, rilevando, oltre alla sua consistenza numerica in termini di iscritti, il livello dell’interazione (almeno formale) con le istituzioni locali, il raggio d’azione e le capacità gestionali/finanziarie, dato che l’eventuale accesso a finanziamenti nazionali o anche europei, come pure l’organizzazione di iniziative che vadano oltre il livello locale, stanno ad indicare un più elevato grado di capacità progettuali e gestionali. La terza ed ultima sezione entra invece nel vivo delle attività dell’associazione, e si conclude con l’indicazione delle esigenze ancora aperte dell’associazione stessa, suddividendole in misure hard (sede, attrezzature) e soft (formazione e assistenza tecnica).
Il quadro quantitativo dell’associazionismo a livello nazionale e provinciale
Considerate le caratteristiche di volatilità del fenomeno cui si è accennato sopra, delineare un quadro numerico stabile delle associazioni non è impresa facile, tanto più se ci si concentra sulle associazioni di cittadini stranieri, sottoposte per loro natura alla mutevolezza dei processi migratori. Sarà quindi opportuno partire dalle ricerche e dai sondaggi effettuati in proposito, premettendo fin d’ora che il quadro che queste ci restituiscono appare piuttosto frammentato. Già all’inizio del fenomeno migratorio in Italia (databile verso la metà degli anni ’80 del XX secolo [14]) ci si è occupati del fenomeno associativo ad esso connesso: nella prima ricerca promossa sul tema nel 1990, il Censis stimava in 462 le associazioni che si occupavano di stranieri extracomunitari (comprendente quindi sia le associazioni per stranieri che le associazioni di stranieri).
Se parliamo di associazioni in generale, vediamo che nel 2020 in Italia erano attive 309.723 associazioni riconosciute e non riconosciute, di cui 5.158 in provincia di Bolzano. Se consideriamo i valori delle istituzioni non profit in totale (che includono, oltre alle associazioni in senso stretto, anche le cooperative sociali, le fondazioni e le altre forme giuridiche) vediamo che a livello nazionale, sempre nel 2020, erano 363.499, mentre in provincia di Bolzano 5.861, cioè quasi 110 per 10 mila abitanti, contro le poco più di 61 del livello nazionale [15]. Purtroppo questi dati generali non consentono di risalire alle associazioni di o per stranieri, che sono presumibilmente ricomprese all’interno delle categorie “attività culturali ed artistiche” (1.126 associazioni), “cooperazione e solidarietà internazionale” (67) e “religione” (20). Un’altra fonte statistica che potrebbe aiutarci a quantificare il fenomeno è il “Registro delle associazioni, degli enti e degli altri organismi privati che svolgono attività in favore degli stranieri immigrati”, istituito dal regolamento di attuazione (DPR. 394/99, art. 52) del Testo Unico sull’immigrazione (Dlgs. 286/99). Nella prima sezione del Registro [16] sono presenti 806 associazioni che hanno svolto attività fra il 2018 e il 2021, sette delle quali hanno sede in Trentino-Alto Adige. Si tratta comunque per lo più di grandi associazioni con rilevanti capacità amministrative e gestionali.
Da questo sintetico quadro statistico si evince facilmente la difficoltà di circoscrivere e quantificare il fenomeno dell’associazionismo degli immigrati, soprattutto per quanto riguarda il livello locale, e si riconferma come imprescindibile un’attività di mappatura condotta direttamente sul territorio che, al di là delle inevitabili lacune derivanti dalla difficoltà di rintracciare tutte le realtà attive, rappresenta cionondimeno il metodo di analisi più affidabile.
L’analisi dei questionari
Il questionario elaborato è stato proposto a tutte le associazioni contattate che risultavano attive e rispondenti ai criteri dell’indagine: 50 di esse hanno accettato di rispondere. Per quanto riguarda la ripartizione territoriale, 34 associazioni si trovano a Bolzano, 6 Merano [17]. 2 rispettivamente a Bressanone e Salorno, e 1 ciascuna a Brunico, Egna, Fié, S. Cristina, Laives e Tirolo. Se si considera che a Bolzano risiede soltanto il 28,1% dei quasi 57 mila cittadini stranieri della provincia [18], si nota che il capoluogo è decisamente sovrarappresentato in termini di associazioni, dato che il 68% di quelle che hanno risposto al questionario vi ha la propria sede legale [19]. I due valori (incidenza della popolazione straniera e incidenza delle associazioni) tendono invece a coincidere per quanto riguarda Merano, dove risiede il 12,8% degli stranieri della provincia, e da cui proviene il 12,8% dei questionari compilati.
Anagrafica
La sezione “anagrafica” del questionario, anche se ovviamente pensata per facilitare la reperibilità delle associazioni, può fornire interessanti indicazioni riguardo alla reale “consistenza” delle associazioni stesse e soprattutto al loro potenziale di comunicazione verso l’esterno, nonché di networking con altre organizzazioni analoghe. Se 49 associazioni su 50 dispongono di un indirizzo di posta elettronica (servizio ormai universalmente diffuso e tendenzialmente gratuito), solo 9 hanno un sito web (più una che dichiara di averlo in preparazione), e cioè meno del 20%. Si tratta presumibilmente delle realtà associative maggiormente consolidate, in grado sia di affrontare le spese connesse al sito (soprattutto la sua realizzazione, ma anche il canone annuo di abbonamento con un gestore) che in possesso delle capacità tecniche per tenerlo aggiornato. Molto più semplice (oltre che gratuito) risulta dotarsi di un profilo Facebook, che infatti è appannaggio di oltre la metà delle associazioni (27), data la maggiore facilità di realizzazione e immediatezza di utilizzo. Residuale appare invece l’utilizzo di altri social media, come Instagram, TikTok, Twitter, YouTube, etc. (8).
Il successivo quesito sull’anno di costituzione fornisce poi ulteriori indizi relativi al radicamento sul territorio delle diverse associazioni che hanno risposto al questionario. La media è di oltre dieci anni, mentre, come già accennato sopra, la maggioranza delle associazioni censite (32) esiste da cinque o più anni, e quasi la metà (22) da almeno dieci. Sono invece dieci le associazioni create negli ultimi due anni.
Anno di costituzione | Associazioni | |
Valori assoluti | Valori % | |
Prima del 2000 | 1 | 2 |
Dal 2000 al 2009 | 13 | 26 |
Dal 2010 al 2019 | 25 | 50 |
Dal 2020 al 2022 | 10 | 20 |
Non risponde | 1 | 2 |
Totale | 50 | 100 |
La tabella ci restituisce invece la situazione sotto un’altra angolatura, quella della creazione di nuove associazioni nei differenti periodi considerati. Le associazioni nate prima del 2000 si limitano ad una (Donne Nissà Frauen, 1995), mentre il grosso è stato costituito nel secondo decennio degli anni 2000, periodo che fa registrare quasi un raddoppio rispetto al decennio precedente. Decisamente in crescita è poi il trend del decennio attuale, che, se rimanesse costante, porterebbe alla creazione di 50 nuove associazioni entro il 2029, raddoppiando dunque il valore del decennio precedente. La tendenza non stupisce, in quanto rispecchia in una certa misura la crescita costante della presenza di cittadini stranieri in provincia di Bolzano, più che decuplicata negli ultimi 30 anni, passati dai circa 5.000 del 1990 ai 56.494 del 2020.
L’organizzazione interna
All’assetto istituzionale e alla struttura organizzativa delle singole associazioni il questionario dedica alcune domande centrali. Dalla prima si evidenzia subito che oltre la metà delle associazioni che hanno risposto al questionario non dispone di un luogo di incontro/sede operativa. Anche se talvolta questa coincide con la sede legale (che quindi è anche sede operativa) nella maggioranza dei casi la sede legale, in mancanza di alternative, viene stabilita presso la residenza del legale rappresentante, che ovviamente non può essere adibita a sede per gli incontri e per la gestione dell’associazione stessa.
Un’attenzione particolare meritano, a nostro avviso, le risposte fornite alla domanda relativa alla forma giuridica dell’associazione. Diciannove risposte indicano l’associazione come APS (associazione di promozione sociale) e altrettante come OdV (organizzazione di volontariato). Al di là dell’unico caso di un’associazione sportiva dilettantistica (ASD), ciò che colpisce sono gli 11 commenti (la domanda prevedeva uno spazio a compilazione libera) che corrispondono ad altrettante mancate risposte alla domanda e denotano nel loro insieme una notevole difficoltà ad entrare in sintonia con la complessa legislazione riguardante le associazioni e la recente riforma della materia (d. Lgs. 117 del 2017, meglio noto come “codice del terzo settore”). Si apre qui quindi un ambito in cui la difficoltà per i cittadini stranieri di relazionarsi con la complessa macchina burocratico-amministrativa statale appare in tutta la sua evidenza, e richiederebbe interventi di sostegno formativo puntuali ed urgenti da parte delle istituzioni che governano il territorio.
Strettamente connessa a questa domanda è quella sull’eventuale iscrizione a registri pubblici, che ha totalizzato 37 risposte su 50. A riprova del fatto che la complessità del sistema cresce con l’aumentare del livello dell’istituzione, oltre il 56% dichiara di essere iscritto al registro comunale delle associazioni, ma meno del 30% a quello provinciale, percentuale identica a quella degli iscritti al neonato Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (il RUNTS, prodotto dalla riforma cui si accennava sopra). Fra i commenti spiccano quelli di quattro associazioni che dichiarano di aver avviato le pratiche per l’iscrizione al RUNTS.
Vediamo ora le due domande sulla composizione e sul numero dei soci. Per quanto riguarda la prima, la domanda che chiedeva la ripartizione precisa fra soci di prima e seconda generazione, ha forse provocato qualche difficoltà fra le associazioni, come testimoniato dal fatto che i rispondenti sono stati soltanto 32. Dalle risposte ricevute si evince comunque che la prima generazione prevale, seppure di poco (732 contro 677) sulla seconda, a riprova del fatto che, in un universo migratorio tutto sommato recente (come quello che interessa la provincia di Bolzano), la generazione di genitori, fondatori delle associazioni, ne detiene ancora in gran parte il controllo, soprattutto a livello di organi dirigenziali e di presidenza. Per quanto riguarda invece il numero di iscritti, la domanda non chiedeva un numero preciso, ma si limitava ad una scelta fra diversi ordini di grandezza: tutto sommato sembrano prevalere le associazioni “medie”, dato che 13 rispondenti hanno dichiarato di avere fra 11 e 20 soci, 12 fra 51 e 100 e 11 fra 21 e 50. Le associazioni con oltre 100 soci risultano essere 8 (poco più del 16% del totale) e ancora meno (5) le “micro-associazioni” con non più di dieci soci.
Passiamo ora alla domanda sulle fonti di finanziamento. Per quanto riguarda i fondi pubblici, anche qui le percentuali diminuiscono con l’aumentare del livello territoriale dell’istituzione coinvolta, con la rilevante eccezione dell’Unione europea, ai cui fondi ha fatto ricorso oltre il 6% dei rispondenti, in misura identica ai fondi regionali. Presumibilmente, per quanto riguarda i fondi pubblici, non si tratta di finanziamenti continuativi (e dunque strutturali), ma di uno o più accessi sporadici a contributi per singole iniziative, come nel caso appunto di progetti FSE. È interessante notare che le tre associazioni che dichiarano di aver ottenuto fondi UE hanno anche ricevuto finanziamenti regionali, provinciali e comunali, a riprova del fatto che l’accesso ai fondi pubblici necessita di una rilevante capacità amministrativa e gestionale che, se presente, viene poi utilizzata ad ampio raggio. Se i fondi pubblici assicurano, almeno in parte, l’attuazione di iniziative puntuali, le spese di gestione e correnti sembrano invece essere assicurate da quell’83% di autofinanziamento proveniente dai soci, che contribuiscono al sostentamento dell’associazione con le quote sociali ed eventualmente con contributi una tantum. L’autofinanziamento da parte dei soci correla in 11 casi con le donazioni esterne, mentre sono 9 le associazioni che abbinano l’autofinanziamento ai fondi comunali. Ben 25 associazioni (la metà del totale) dichiarano l’autofinanziamento da parte dei soci come loro unica fonte di entrate. Solo un’associazione (fra le 49 che hanno risposto alla domanda), dichiara di ricevere fondi da un governo estero (in questo caso quello del Paese di riferimento dell’associazione stessa).
Per quanto riguarda l’ambito territoriale di intervento, le risposte più frequenti indicano i livelli comunale e provinciale. In 18 casi, le associazioni che svolgono attività a livello comunale sono anche presenti a livello provinciale, mentre soltanto 5 sono quelle che non escono dall’ambito del proprio comune di appartenenza. L’ambito territoriale delle attività non dipende necessariamente dalla misura del comune in cui si ha sede, dato che in questo caso si tratta di organizzazioni operanti a Bolzano, Merano e Bressanone.
Obiettivi, attività, esigenze
Con la terza e ultima sezione del questionario passiamo alle domande inerenti le attività (e quindi, indirettamente, gli obiettivi) delle associazioni, nonché i mezzi per poterle perseguire in maniera efficace. Partendo dalle attività, il questionario ha ipotizzato una serie indicativa di risposte, a cui gli intervistati potevano comunque aggiungerne altre non incluse nella lista. Oltre due associazioni su tre organizzano iniziative e progetti finalizzati alla promozione e al mantenimento della propria cultura di origine. Si tratta qui, in buona sostanza, di associazioni che hanno un duplice obiettivo principale, che ruota attorno alla propria cultura di riferimento: da una parte, mantenerla viva e trasmetterla anche alle proprie seconde generazioni, per contenere il rischio di vederle rapidamente e definitivamente inglobate nella cultura della maggioranza e quindi ad essa assimilate. Dall’altra si tratta però anche di “rappresentare” la propria cultura, di farla uscire all’esterno e di porla in relazione costruttiva con quella (o quelle, come nel nostro caso) della maggioranza.
Si tratta di una di quelle quattro funzioni dell’associazionismo descritte da Lonardi (2011:11) e teorizzata da numerosi studiosi. Al secondo posto nelle attività delle associazioni viene la mediazione interculturale, con oltre il 53% delle risposte, corrispondente, in valore assoluto, a 26 casi. Dato che, nella stragrande maggioranza dei casi, le associazioni che hanno risposto al questionario non sono organizzazioni che praticano la mediazione interculturale a livello professionale, i rispondenti hanno presumibilmente interpretato la domanda facendo riferimento ad un’attività di mediazione per così dire “spontanea”, come aiuto prestato a connazionali in difficoltà, assimilabile, almeno in parte, all’assistenza al disbrigo delle pratiche amministrative, che viene effettuata da 16 associazioni. A seguire, troviamo, in oltre il 40% dei casi, la promozione delle seconde generazioni, che, dal punto di vista dell’obiettivo, si associa con l’attività di tipo scolastico (menzionata fra le proprie attività da 17 associazioni).
L’attenzione ai giovani e alle seconde generazioni occupa quindi un posto rilevante fra gli obiettivi delle associazioni intervistate, elemento rivelatore di un’immigrazione tendenzialmente stabile e costituita in gran parte da famiglie con figli (ricongiunti o nati in emigrazione): non dimentichiamo, infatti, che quasi due residenti stranieri su tre (il 63,5%) in provincia di Bolzano, ha un permesso di soggiorno di lungo periodo, che non necessita di rinnovo. Nell’anno scolastico 2021/22, inoltre, gli oltre 80 mila alunni stranieri che frequentano le scuole della provincia incidono sul totale della popolazione scolastica per il 12,2% [20].
Fra le attività, al quarto posto troviamo la pratica religiosa, che interessa 18 associazioni. Si tratta di un’attività praticata sia da alcune associazioni di tipo “nazionale”, che da varie organizzazioni che, come quelle che si richiamano alla comune fede musulmana degli aderenti, non hanno un singolo ambito nazionale di riferimento. La pratica religiosa non è comunque mai l’unica attività dell’associazione, ma si accompagna in genere a diverse altre attività di integrazione.
Un ruolo importante fra le attività delle associazioni riguarda anche la questione linguistica, intesa come appropriazione delle lingue veicolari del Paese di inserimento (nel nostro caso, principalmente il tedesco e l’italiano) e dell’apprendimento della lingua madre (funzione quest’ultima che fa riferimento al più ampio mantenimento della cultura di origine) [21]. Dalle risposte al questionario sono risultate 17 associazioni che praticano l’insegnamento delle lingue locali e altrettante che forniscono corsi per l’apprendimento della lingua madre. Non si tratta però delle stesse associazioni, dato che le due attività si sovrappongono soltanto in 7 casi. Le attività (l’una o l’altra) interessano quindi, in totale, 27 associazioni, cioè poco più della metà. Le associazioni che propongono corsi di lingua madre sono principalmente quelle di tipo “nazionale”, cioè quelle che fanno riferimento ad un Paese preciso, ma troviamo anche le organizzazioni i cui soci sono uniti dalla comune fede religiosa, come pure un’associazione “per definizione” internazionale, quale l’Organizzazione Internazionale ROM.
A seguire, troviamo una serie di attività che potremmo definire di sostegno alla vita quotidiana di un immigrato in un Paese straniero. Troviamo infatti l’assistenza al disbrigo pratiche amministrative (come permesso di soggiorno, documenti personali, etc.), l’aiuto alla ricerca di lavoro e alloggio, come anche, sebbene in misura minore, la più impegnativa attività della tutela legale, che presuppone contatti con avvocati e una certa familiarità con il mondo giudiziario. Degna di nota (in quanto coinvolge più di un’associazione su quattro) è l’accoglienza, intesa come supporto a richiedenti asilo, anche di passaggio sul territorio provinciale. Decisamente meno importanti sono invece le attività di tipo sanitario, che riguardano solo 4 associazioni.
Se questa è una fotografia della situazione attuale, può essere interessante cercare di individuare una linea di tendenza per il futuro, prendendo in considerazione le attività privilegiate dalle associazioni nate negli ultimi tre anni (2020-2022): al primo posto, con 8 occorrenze, troviamo il mantenimento/promozione della cultura del Paese di origine, e quindi una funzione che guarda chiaramente alle proprie radici, riaffermando la propria specificità rispetto alla cultura del luogo di inserimento. Al secondo posto però troviamo (con 6 occorrenze) un’attività che denota la voglia e la necessità di integrarsi proprio in quel nuovo ambiente in cui ci si trova a vivere, e cioè l’apprendimento delle lingue locali. Al terzo posto (5 occorrenze), sulla scia della tendenza/necessità di integrarsi, troviamo l’assistenza al disbrigo delle pratiche amministrative.
Chiude l’elenco delle quattro attività maggiormente praticate dalle nuove associazioni l’apprendimento della lingua madre (4 occorrenze), che riafferma quindi la necessità di non dimenticare da dove si viene. In definitiva, sembra di poter affermare che fra le nuove associazioni, pur sempre focalizzate sul mantenimento della propria identità culturale, si fa maggiormente strada l’esigenza di aprirsi al contesto circostante, mostrando quindi una concezione avanzata dell’integrazione, che cerca di far convivere costruttivamente la realtà di provenienza e quella di approdo.
Chiude il questionario una domanda relativa alle esigenze delle associazioni, importante in quanto permette di individuare le maggiori difficoltà cui le associazioni vanno incontro nell’espletamento delle proprie attività, ma che contiene allo stesso tempo anche un’indicazione di massima per le istituzioni che governano il territorio, perché sappiano dove eventualmente concentrare i propri sforzi per facilitare l’operatività delle associazioni stesse [22].
I due elementi che spiccano fra le risposte sono, come prevedibile, la mancanza di spazi adeguati e la necessità di un accompagnamento alla gestione delle associazioni stesse (rispettivamente indicati da 29 e 30 associazioni, solo in parte coincidenti). Per quanto riguarda il primo, abbiamo già visto nella prima domanda che nella maggior parte dei casi le associazioni mancano di una sede operativa, che non può coincidere con quella legale, dato che spesso si tratta del domicilio del legale rappresentante. A ciò va aggiunto che più di un’associazione utilizza delle sedi operative “itineranti”, cioè individuate (ed eventualmente affittate) volta per volta, oppure tiene le proprie riunioni in pubblici esercizi come caffè e ristoranti.
Come è noto, quello degli spazi è un problema che affligge anche le associazioni di cittadini autoctoni, ma che nel caso degli stranieri è evidentemente, per diversi motivi, molto più acuto. Anche la gestione delle associazioni, che, come accennato sopra, tende a diventare sempre più complessa e professionalizzata, rappresenta un notevole problema per quasi tre quarti degli intervistati, che infatti la pongono al primo posto fra le esigenze insoddisfatte. Un indizio di ciò si è avuto già studiando le risposte ad alcune domande precedenti, che rivelano scarsa dimestichezza con le procedure richieste alle associazioni per essere in regola con la legislazione. Segue la necessità di attrezzature, ovviamente meno importante delle prime due, data la loro ampia disponibilità anche sul mercato dell’usato a prezzi contenuti.
Piuttosto rilevante appare invece la necessità di un’assistenza di tipo informatico (22), ad esempio per realizzare un sito (che infatti manca nella maggior parte delle associazioni) o gestire reti di comunicazione. Solo in 13 casi si ritiene invece di aver bisogno di una formazione continuativa nello stesso campo, il che sta presumibilmente a significare che si preferisce un’assistenza una tantum per avviare un sito o una rete, confidando poi nelle risorse interne all’associazione per l’operatività ordinaria. Oltre un terzo delle associazioni (19) indica inoltre la necessità di poter fruire di una formazione sui temi della comunicazione, per imparare ad utilizzare il linguaggio più corretto e producente per rapportarsi efficacemente alle istituzioni, ai media e alle opinioni pubbliche del territorio di inserimento. Fra le esigenze non specificamente elencate nella domanda, sono 4 le associazioni che richiedono un aiuto specifico per formulare progetti di finanziamento da sottoporre alle istituzioni.
Considerazioni conclusive
La mappatura delle associazioni di immigrati stranieri in provincia di Bolzano risponde in primo luogo ad un’esigenza di sistematizzazione del fenomeno e alla creazione/aggiornamento di un elenco il più possibile esaustivo, allo scopo di renderle maggiormente visibili sia le une alle altre, che all’opinione pubblica autoctona. Inoltre, lo studio risponde anche all’esigenza, da parte delle istituzioni che governano il territorio, di stabilire un contatto organico e strutturale con il mondo associativo legato al fenomeno migratorio, anche per sostenerlo ed eventualmente intervenire sulle sue esigenze. Oltre a questi aspetti relativi al “networking” e alla comunicazione, il questionario associato all’indagine, pur nella sua essenzialità, è riuscito a mettere in luce alcune linee di tendenza che facilitano una maggiore comprensione del fenomeno. Le 50 associazioni che hanno partecipato al questionario sono senza dubbio la grande maggioranza del fenomeno associativo a livello provinciale, e rappresentano in ogni caso uno spaccato rappresentativo della comunità migrante dell’Alto Adige. Esse fanno infatti diretto riferimento a 20 diverse comunità nazionali (sebbene siano 31 le associazioni in varia misura riconducibili ad una dimensione territoriale), che rappresentano a loro volta il 51% dei residenti stranieri in provincia [23].
Le interviste standardizzate ci restituiscono un’immagine composita del fenomeno associativo, dove un tentativo di classificazione per comunità nazionale parrebbe azzardato, se non addirittura arbitrario. Si tratta peraltro di dimensioni infranazionali, nazionali e sovranazionali (cioè macroregionali): fra le prime, a titolo esemplificativo, troviamo Edo Union e Igbo Union (che fanno riferimento a specifiche aree etno-territoriali all’interno della Nigeria), mentre fra le seconde troviamo associazioni che fanno riferimento all’Ungheria, a Cuba, al Pakistan, etc. Un caso particolare rappresentano invece associazioni nate intorno a popoli privi di una dimensione statuale-territoriale, come l’associazione culturale Kurdistan e l’Organizzazione Internazionale ROM. Fra le associazioni a vocazione sovranazionale troviamo invece quelle che guardano all’America latina nel suo insieme (come Armonia Latina), ma anche alcune che (come Arbëria) mettono l’accento sulla “albanofonia”, e quindi su una comunità linguistica che travalica i confini dello Stato albanese, per abbracciare (parti di) Kossovo, Macedonia del Nord e Montenegro.
Fra le associazioni potenzialmente sovranazionali che hanno una certa rilevanza vi sono quelle che si richiamano ad una comunità religiosa, come Hermandad del Señor de los Milagros (cattolici latinoamericani), Comunità ortodossa San Nicola Taumaturgo (ortodossi slavi), o quelle che mettono al centro delle proprie iniziative la comunità musulmana. Queste ultime sono di gran lunga maggioritarie (almeno 10, cioè il 20% del totale) e sono diffuse in alcuni fra i maggiori centri urbani della provincia (Bolzano, Merano, Salorno). È importante notare che gli elementi distintivi presi in considerazione fin qui (la territorialità, la dimensione etnica, la lingua, la religione) non sono presenti in maniera esclusiva in ciascuna associazione, ma ne rappresentano piuttosto l’elemento prevalente. Ciò è valido soprattutto nel caso delle associazioni di tipo religioso, che alla comunità di fede associano anche (in misura variabile) elementi di tipo territoriale (ad es. la Russia, il Perù) e/o linguistico (la lingua araba). Un gruppo a parte è poi rappresentato dalle associazioni a vocazione inter- o multi-culturale, il cui tratto distintivo è appunto quello di non richiamarsi ad alcun gruppo in quanto tale, e di includere tutti (sebbene alcune facciano risaltare la propria dimensione di genere), facendo anzi di questa inclusività la propria ragion d’essere e la propria finalità principale, che informa di sé tutte le attività e le iniziative. Si potrebbe continuare nella descrizione, ma da quanto detto appare già chiaro che ci troviamo di fronte ad un quadro estremamente ricco e articolato, contro il quale ogni tentativo più o meno rigido di categorizzazione appare destinato ad infrangersi.
Cerchiamo ora di raggruppare le risultanze del questionario in due elementi portanti, che ci consentano di tirare le fila dell’indagine, e di riassumerne le evidenze. Un primo elemento è quello del grado di strutturazione delle associazioni, riconducibile alla loro anzianità, alla disponibilità di una sede, alle modalità di finanziamento e all’iscrizione ai registri pubblici. Per quanto riguarda l’anzianità associativa, abbiamo visto che la media è di dieci anni, mentre sono ben 22 le associazioni che superano tale soglia. Nonostante questo relativo grado di solidità dato dall’anzianità, la disponibilità di una sede rimane un problema principale per oltre la metà delle associazioni, e presumibilmente ne inficia il grado di operatività. Il fatto inoltre che la fonte principale del finanziamento sia costituita dai soci non depone a favore della solidità delle associazioni, data la (spesso) modesta entità dei contributi e la loro aleatorietà. Da ultimo, anche l’iscrizione ai registri pubblici non appare particolarmente elevata, complici probabilmente le difficoltà burocratiche. Guardando a questi indicatori, sembra quindi di poter concludere che il grado di strutturazione delle associazioni intervistate si mantiene in limiti tutto sommato modesti.
A partire da questo dato, quale può essere l’impatto sul territorio e sulla propria comunità di riferimento? La portata dell’indagine non consente di valutare direttamente le ricadute delle attività (ciò che necessiterebbe di una disamina individuale, associazione per associazione, e in un arco di tempo definito). Dobbiamo quindi limitarci a dedurre questa informazione da due indicatori come la dimensione e l’ambito territoriale di intervento, assumendo che entrambi possano avere un’influenza sull’impatto. Per quanto riguarda la prima (riconducibile al numero dei soci), abbiamo visto che 36 associazioni hanno un numero di membri ricompreso fra 11 e 100, e sono dunque classificabili come associazioni di “media dimensione”. Considerando invece il raggio di azione territoriale, come abbiamo visto, gli ambiti più “frequentati” sono quello provinciale e comunale.
In conclusione, anche alla luce di questa ulteriore analisi, l’eterogeneità e la frammentarietà sembrano essere le uniche costanti del fenomeno associativo degli stranieri in provincia di Bolzano, il che sconsiglia generalizzazioni che facilmente potrebbero rivelarsi infondate, in quanto non applicabili a tutte le realtà. Ciò che appare chiaro, è che la gran parte delle associazioni esaminate presenta problemi di disponibilità di strutture, difficoltà con gli adempimenti amministrativi richiesti, e una certa debolezza sul fronte della comunicazione, soprattutto attraverso le nuove tecnologie dell’informazione. Si tratta di aspetti cruciali per sviluppare la portata delle azioni di organizzazioni che hanno un ruolo senza dubbio fondamentale nel mantenere aperto un canale di comunicazione con la società civile autoctona e con le istituzioni locali. I risultati dell’indagine, in definitiva, sottolineando le debolezze delle associazioni, forniscono alle istituzioni stesse un ampio ventaglio di opportunità per sostenerle concretamente nel perseguimento delle proprie finalità, migliorando quindi la qualità e la quantità delle interazioni positive in un territorio che, già storicamente pluriculturale, non cessa di arricchirsi di nuove realtà.
Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2023
[*] L’articolo è una versione adattata di un lavoro di ricerca effettuato dall’autore con la cooperativa di mediazione interculturale “SAVERA” di Bolzano, su incarico della Provincia autonoma.
Note
[1] In questo contesto non avrebbe senso distinguere fra chi ha acquisito (spesso affiancandola a quella di nascita) la cittadinanza italiana (persone di origine straniera) e chi invece ha come unica cittadinanza quella origine.
[2] In questo contesto si preferisce l’utilizzo del termine “immigrato” a quello da qualche anno maggiormente in uso di “migrante”, che rispecchia l’attuale preponderanza di ingressi motivati da ragioni di protezione internazionale (e quindi, per definizione, “eccezionali”, anche se è noto che spesso si tratta di cd. “flussi misti”) rispetto ad una “normale” e tendenzialmente stabile immigrazione di tipo economico-occupazionale. Con ciò si vuole sottolineare che il fenomeno associativo attiene maggiormente ad una dimensione stabile dell’immigrazione, dato che, come si vedrà, gran parte delle associazioni considerate nello studio non si occupa strutturalmente di richiedenti asilo.
[3] Si veda, per tutti, M. Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna, 2020: 94-118.
[4] Fond. Corazzin, Le associazioni dei cittadini stranieri in Italia, CNEL, Roma, 2001: 3, citato in N. Lonardi, (a cura di), Associazionismo degli immigrati. Presenza, partecipazione e rappresentanza, Trento, 2011: 11.
[5] Come è noto, la complessa evoluzione storica del territorio qui esaminato ha dato vita nel tempo a diverse denominazioni dello stesso. In questo articolo, useremo quindi indifferentemente le denominazioni Provincia (autonoma) di Bolzano, Sudtirolo, Alto Adige.
[6] Purtroppo le pubblicazioni di autori locali in lingua italiana in proposito non sono particolarmente numerose. Si veda, fra le altre, C. Romeo, Alto Adige/Südtirol XX Secolo. Cent’anni e più in parole e immagini, Bolzano, Edition Raetia, 2003. In particolare sulle Opzioni, si veda, in lingua tedesca, G. Pallaver-L. Steurer, Deutsche! Hitler verkauft euch. Das Erbe von Option und Weltkrieg in Südtirol”, Bolzano, Edition Raetia, 2011.
[7] La ricerca sulle migrazioni di cittadini stranieri in Alto Adige è purtroppo caratterizzata da una certa discontinuità nel tempo che rende difficoltoso avere un quadro storico completo del fenomeno. Nei primi anni 2000 la Provincia autonoma aveva creato un “Osservatorio sulle immigrazioni” che, dopo aver prodotto alcuni rapporti tematici, è stato chiuso. Nel 2010 poi, l’EURAC (Accademia Europea di Bolzano) ha pubblicato un “Rapporto Annuale sull’immigrazione in Alto Adige”. Di fatto, l’unica fonte regolare di informazioni statistiche sul fenomeno migratorio in Sudtirolo rimane, pur nella sua estrema concisione, il Dossier Statistico Immigrazione IDOS-Confronti, che da 20 anni pubblica regolarmente un breve capitolo sulla situazione locale. V. bibliografia.
[8] Fanno eccezione le cd. “scuole paritetiche” delle località ladine, dove il tedesco e l’italiano sono entrambe lingue di insegnamento.
[9] V. “Le associazioni delle comunità straniere in Friuli Venezia Giulia: attività e reti sociali”, in https://www.regione.fvg.it/rafvg/cms/RAFVG/cultura-sport/immigrazione/FOGLIA2/#id2: 1.
[10] V. “Le associazioni delle comunità straniere in Friuli-Venezia Giulia: un profilo”, in https://www.regione.fvg.it/rafvg/export/sites/default/RAFVG/cultura-sport/immigrazione/FOGLIA2/allegati/2ASS_ATTIVITA_ASSOCIAZIONI.pdf: 1
[11] La ricerca relativa all’Emilia Romagna ha dato luogo alla pubblicazione, a cura del Centro Studi e Ricerche IDOS, del rapporto: Le associazioni promosse da cittadini con background migratorio da Paesi terzi in Emilia-Romagna, 2021, reperibile in: https://sociale.regione.emilia-romagna.it/immigrati-e-stranieri/temi/fondo-asilo-migrazione-e-integrazione-fami/documentazione-fami/associazionismo-dei-migranti-in-emilia-romagna-una-realta-in-crescita.
[12] Si veda a tal proposito, E. Pfanzelter/D. Rupnow (a cura di), Einheimisch, zweiheimisch, mehrheimisch, Geschichte(n) der neuen Migration in Südtirol, Edition Raetia, Bolzano, 2017.
[13] A proposito delle informazioni di contatto (recapiti postali, e-mail e telefonici, ripresi anche nelle schede sintetiche e nel data base delle associazioni stesse), si noti che si tratta (come è ovvio) di dati soggetti a cambiamenti anche repentini, e che dunque da un giorno all’altro una data associazione potrebbe non risultare più raggiungibile. Per tale motivo appare ineludibile una costante attività di aggiornamento dell’indirizzario, per mantenerlo sempre aderente all’attualità.
[14] Per una storia dell’immigrazione in Italia, si veda M. Colucci, Storia dell’immigrazione straniera in Italia: dal 1945 ai nostri giorni, Carocci, Roma, 2018
[15] ISTAT, Struttura e profili del settore non profit, rapporto pubblicato il 14 ottobre 2022 su dati 2020, in https://www.istat.it/it/archivio/275918.
[16] L’art. 42 del TU sull’immigrazione suddivide il Registro in due sezioni: la prima comprende le associazioni che svolgono attività di integrazione nei confronti di cittadini stranieri, mentre la seconda riguarda le organizzazioni che svolgono assistenza sociale e prestano servizi in materia di violenza contro le donne, prostituzione, tratta, violenza e abusi sui minori, assistenza ai lavoratori in condizione di grave sfruttamento.
[17] Il centro Ricreativo Petrushka, con sede legale a Egna, è stato considerato nel gruppo di Merano, in quanto è in quest’ultima città che svolge tutte le proprie attività sociali.
[18] Dati ISTAT al 1° gennaio 2022: http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCIS_POPSTRRES1#
[19] Questo tipo di analisi statistica comparativa viene fornito unicamente a titolo indicativo, in quanto si basa sui questionari effettivamente compilati dalle associazioni da noi rintracciate, che non rappresentano necessariamente la totalità delle associazioni di immigrati operanti sul territorio
[20] IDOS-Confronti, Dossier Statistico Immigrazione 2022, Roma, 2022: 377 e ss.
[21] Come eccezione, è interessante notare che anche l’apprendimento della lingua madre può essere considerato un veicolo di promozione, nella maggior parte dei casi, della lingua e della cultura di origine, dato che un’associazione ha dichiarato di organizzare “corsi specifici di lingua araba per italiani”.
[22] A livello statistico, può essere interessante notare come siano 8 le associazioni che ritengono di avere bisogno di tutti gli elementi di sostegno elencati nella domanda.
[23] Fonte dei dati sui residenti stranieri: ISTAT (http://stra-dati.istat.it/).
Riferimenti bibliografici
F. Carchedi, G. Mottura, (a cura di), Produrre cittadinanza, FrancoAngeli, Milno, 2010
EURAC-Research, Rapporto annuale sull’immigrazione in Alto Adige, 2010, Bolzano, 2010
J. Marko, S. Ortino, F. Palermo (cura di), L’ordinamento speciale della Provincia autonoma di Bolzano, Cedam, Padova, 2001
R. Medda-Windischer, G. Hetfleisch, M. Meyer (a cura di), La migrazione in Alto Adige e Tirolo. Analisi e prospettive multidisciplinari, EURAC Research, Bolzano, 2011
Osservatorio provinciale sulle immigrazioni della Provincia autonoma di Bolzano, Migrazioni in Alto Adige, Bolzano, 2007.
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Paolo Attanasio, dopo quindici anni di lavoro in Italia e all’estero nel settore della cooperazione internazionale, si dedica ormai da diversi anni allo studio del fenomeno migratorio e all’attività di ricerca e consulenza nel settore. Dal 2002 è redattore del Dossier statistico immigrazione, e dal 2007 referente regionale del Centro Studi e Ricerche IDOS, prima per la provincia autonoma di Bolzano, e attualmente per il Friuli Venezia Giulia. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni e rapporti di ricerca, come pure la partecipazione a numerosi progetti di integrazione economica e sociale degli stranieri. Nel 2018 ha pubblicato, con Antonio Ricci, il volume Partire e Ritornare, uno studio sulle migrazioni fra Italia e Senegal.
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