di Laura D’Alessandro
Piangendo ci incontrammo fra le barche/ gli occhi spalancati sul tramonto/ Piangendo/ ci abbracciammo in riva al mare/ sbiancato dalle nuvole incombenti./ Piangendo ci incontrammo fra le barche/ gli occhi spalancati sul tramonto/ Piangendo ci abbracciammo in riva al mare/ sbiancato dalle nuvole incombenti/ Piangendo ci sedemmo sulla rena/ già fredda, ci scaldammo a quel dolore/ di lasciarsi nel pieno dei discorsi./ Mi stringevi le mani e la tua spalla/ nera ancora di sole traspariva/ nel bianco del vestito./ Ti chinasti a baciarmi, la tua treccia/ mi ricadde nel grembo calda di sole./ Piangendo ci incontrammo fra le barche.
Ancestrale, La Vita Felice 2013
Cento anni fa nasceva Goliarda Sapienza [1], scrittrice meravigliosa, ignorata in vita e riscoperta, come spesso accade, solo dopo la morte. Donna ribelle, irriverente, è stata scrittrice, attrice, sceneggiatrice, assistente alla regia e molto altro. Nata a Catania il 10 maggio 1924, era figlia di Giuseppe Sapienza (1880-1949), avvocato penalista catanese, ateo e socialista, sempre dalla parte dei diseredati che spesso difendeva gratuitamente. Si dedicava, infatti, con fervore al suo lavoro di “avvocato del popolo”. Ha molte donne, non vuole rinunciare a nessun piacere della vita ed è molto amato da tutti, in un’epoca difficile come quella fascista. La madre, Maria Giudice (1880-1953), sindacalista e rivoluzionaria, figura storica della sinistra italiana, direttrice de Il Grido del popolo, di cui era redattrice Antonio Gramsci, fu la prima donna a dirigere la Camera del Lavoro di Torino. Nel 1917, la partecipazione ad una rivolta contro la guerra le valse il carcere insieme a Terracini. La sua attività di sindacalista la portò in Sicilia dove si impegnò nell’organizzazione delle lavoratrici.
Giuseppe Sapienza, avvertito da una prostituta, le andò incontro qualche stazione prima di Catania per salvarla da un attentato ad opera della mafia a cui non era gradita la presenza di una sindacalista [2]. E così si conobbero. Entrambi vedovi e quarantenni, con tre figli l’uno e sette l’altra. La loro è un’intesa sia sul piano sentimentale che sul piano politico. Dirigono il giornale «Unione» e partecipano attivamente alle lotte per l’espropriazione delle terre in Sicilia nel periodo 1920-22. È questo il contesto in cui si inserisce la morte del figlio maggiore di Giuseppe, Goliardo Sapienza, annegato in mare, presumibilmente ucciso dalla mafia che proteggeva gli interessi dei proprietari terrieri. Goliarda nascerà tre anni dopo ed ereditò il suo nome. Questo è solo uno dei “pesi” della sua infanzia, segnata dalla morte di altri tre fratellastri, poco più che adolescenti e dalla sempre maggiore sofferenza e instabilità mentale della madre antifascista e idealista. E sicuramente pesò sul suo animo sensibile quando a soli sedici anni, già combattente della Resistenza, fu costretta a sparare a un soldato tedesco, uccidendolo.
Le spiccate doti artistiche di ballerina, attrice, cantante e affabulatrice della parola emergono fin da dall’infanzia e si cristallizzano in età adolescenziale, periodo in cui ai “successi” di enfant prodige si alterna una salute piuttosto precaria e l’insorgenza di malattie lunghe e gravi, come la difterite e la tubercolosi, molto diffuse all’epoca.
Giovanissima, si trasferisce a Roma, nel 1943, con la madre, in seguito alla vincita di una borsa di studio dell’Accademia d’Arte drammatica diretta da Silvio D’Amico. Per lei è una vera e propria scoperta. La recitazione le piace molto perché è un modo attraverso cui può esprimere la pienezza e le contraddizioni del suo animo. Non apprezza, invece, il mondo falso in cui spesso vivono attori e attrici di successo. Sarà probabilmente questo il motivo per cui, a fine corso non si diploma e, contestando gli insegnamenti ritenuti retrogradi dell’Accademia, dà vita ad una compagnia di avanguardia insieme ad altri ex studenti contestatari come lei e più interessati e attratti dal metodo Stanislavskj [3].
L’incontro con il regista Citto Maselli, nel 1947, segna l’avvio di una lunga relazione. Per quasi vent’anni il loro sarà un rapporto fortissimo, simbiotico, che proseguirà anche dopo la sofferta separazione, trasformandosi in una sincera amicizia. Per entrambi la vita va vissuta in modo pieno, approccio che porterà Goliarda a non accontentarsi di ciò che è in superficie ma a cogliere, in ogni situazione e persona, il risvolto poetico. Trasformerà tutto ciò in letteratura. Fu proprio il regista a spingerla a sperimentarsi nella scrittura partendo da una poesia che Goliarda aveva scritto sulla morte della madre. Le suggerì di lasciare tutto e di iniziare a scrivere. E così fece, cimentandosi in autobiografie, poesie, teatro, racconti, taccuini, epistolari.
La sua è stata una vita intensa. Prima di dedicarsi esclusivamente alla scrittura frequenta ambienti esclusivi e lavora, oltre che con Maselli, con registi come Luigi Comencini, Alessandro Blasetti, Cesare Zavattini e Luchino Visconti. Prende parte attivamente alla corrente del neorealismo italiano, luogo per eccellenza di partecipazione civile, politica e morale di quel tempo. In tal modo vive apertamente, ma in maniera critica, il mondo artistico, imparando a riconoscerne le contraddizioni e a costruirsi una propria personalità, un’identità del tutto originale che traspone nella scrittura letteraria da cui emerge tutta la sua potenza.
«Goliarda, attraverso una scrittura politica e intimista al tempo stesso, svela l’estrema problematicità dell’esistenza umana, ma anche la prospettiva di una vita migliore: se si osa contattare ogni parte di sé, senza escludere sofferenze, ambiguità, bugie, contraddizioni, paure, desideri e delitti, simbolici e reali» [4].
Le sofferenze dell’infanzia e dell’adolescenza, unitamente ad un animo estremamente sensibile
«…tramato da tante tessiture emotive, predisposto a grandi entusiasmi e grandi disfatte, la porta a tentare il suicidio: dapprima nel 1962 (in seguito al quale subisce una serie di elettroshock) e poi nel 1964. Dal coma che ne consegue Goliarda traghetta in tutt’altro luogo esistenziale rispetto all’ambiente di intellettuali, artisti e “cinematografari” che per tanti anni aveva esercitato su di lei un grande fascino: un luogo più luminoso, ricco e sano, in cui l’elaborazione del lutto si trasforma in rinascita e apertura alla ricchezza umana…» [5].
La depressione è tale da indurla ad un percorso di analisi e all’elettroshock che saranno raccontanti nel suo libro Il filo di mezzogiorno, resoconto puntuale e magmatico della sua psicoanalisi [6]. Nel 1980, in seguito ad un furto di gioielli ad un’amica, finì in carcere per dieci giorni. Anche quell’esperienza la portò a scrivere e a raccontarla nel romanzo, pubblicato nel 1983, L’Università di Rebibbia [7]. Nel 1987 pubblicò Le certezze del dubbio.
E il suo capolavoro, il romanzo L’arte della gioia [8], di cui sappiamo, dall’uomo che poi Goliarda ha sposato, Angelo Pellegrino, «…che è stato terminato nel 1976, rifiutato dagli editori per vent’anni (come, tra i tanti, Moby Dick di Melville, La campana di vetro di Sylvia Plath, Sotto il vulcano di Lowry), e conservato in una cassapanca sperando in una pubblicazione» [9].
Goliarda morì a Gaeta nel 1996 stroncata da un infarto senza poter vedere pubblicato il suo libro che sembrava destinato all’ombra e all’oblio. Le case editrici rifiutano il manoscritto e quando muore, si porta nel cuore la tristezza della sua nemesi di carta richiusa in un cassetto polveroso. Due anni dopo, la prima stampa su iniziativa del marito Pellegrino, professore di lettere, che la sosterrà nella lunga genesi e stesura del suo capolavoro. Nel 2003 una seconda edizione, quindi il trionfo in Francia. Un romanzo che seduce già dalle prime pagine quando da subito si comprende che la gioia non è una cosa facile. È un’arte che sa nascondersi molto bene, addirittura sotterrarsi, per questo va scovata in ogni modo possibile, coltivata e difesa anche con crudeltà. Una cosa è certa: non va mai data per scontata. È un monito alla bellezza dell’esistenza. Il romanzo, da cui emerge in ogni parola un atto di ribellione
«è una sinfonia ma pure un libro dissonante e che sfida la prima e la terza persona scambiandole di posto come se l’autrice non se ne accorgesse, come se buttasse l’io e il lei sulla pagina senza dargli alcun peso, ecco come questo romanzo sensualissimo è riuscito ad arrivare oggi da noi» [10].
La storia di Modesta, “carusa tosta” protagonista del romanzo, è un turbinio di emozioni, umori e sapori da cui è difficile staccarsi: la prima persona, che volteggia e ricade nel noi, nel loro, che ama, lotta, uccide, che è uomo e donna, vittima e carnefice. È una caparbia, caratterizzata da una spiccata libertà di pensiero e di azione con cui riesce ad aggraziarsi una famiglia aristocratica, arrivando addirittura ad amministrarne il patrimonio. Seduttrice e passionale riesce ad incantare uomini e donne con il suo fascino, arriva a conoscere l’amore materno ma anche il dolore, e la condizione di donna scomoda alla società del tempo [11]. L’esorcismo che Goliarda opera sulla sua esistenza trova forma nelle pagine di Modesta, reinventando e reinterpretando la sua vita in nuove, variopinte direzioni [12].
Per celebrare il centenario dalla nascita di Goliarda Sapienza, de L’Arte della Gioia è stata realizzata una trasposizione cinematografica scritta, tra gli altri, da Valeria Golino e da lei diretta. E non è un caso: Golino era stata allieva di Goliarda nel 1986. Per circa due mesi e con cadenza regolare prendeva lezioni di recitazione da Goliarda, nella sua casa romana ai Parioli, su richiesta di Francesco Maselli (padre di Citto) prima delle riprese del film da lui diretto, Storia d’amore, di cui Valeria Golino era la protagonista. Nonostante le differenze di età e di carattere, tra le due si era stabilita fin da subito una grande intesa. D’altra parte, come scriveva Goliarda nei Taccuini: «Non si insegna nulla a chi non ha fame, al contrario chi ha fame di sapere prende a piene mani senza chiedere permessi né provare vergogna». Sarà forse perché Goliarda, durante la loro frequentazione, le avesse detto: Saresti la mia Modesta perfetta se l’attrice-regista ha deciso di raccogliere quella eredità morale e abbia deciso per l’ardua impresa della trasposizione cinematografico di un romanzo difficilissimo da rappresentare in quel linguaggio. Il film è stato presentato al Festival di Cannes 2024 [13].
Gaeta, la spiaggia di Fontania e la dimora in Via Indipendenza
Goliarda Sapienza amava il mare e la serenità che il paesaggio di Gaeta le donava in tutti i momenti trascorsi nella splendida cittadina della Riviera di Ulisse che le ha dedicato, grazie all’associazione ‘Abbelliamo Gaeta’, una piazza tra le più belle e colorate del borgo. Intima, accogliente, delicata e completamente dedicata alla letteratura e alla poesia. Sulla Parete della Poesia, in Piazza Goliarda Sapienza a Gaeta, è possibile leggere brevi testi appartenenti a scrittori locali, italiani e internazionali, in cui viene citata la città di Gaeta.
Scrive Angelo Pellegrino, il marito di Goliarda:
«Andavamo spesso a Gaeta, in ogni stagione, appena era minimamente possibile. Erano delle vere e proprie fughe da Roma dove lavorare era diventato per noi quasi impossibile a causa del rumore, l’inquinamento e varia alienazione, ma anche perché a Gaeta ritrovavamo buona parte della temperie mediterranea delle nostre origini, che ci accomunò sempre. Dal 1975, anno del nostro incontro, Gaeta per Goliarda fu come il ritorno di Positano (luogo di mare che aveva molto amato) in un altrove ancora più facile da raggiungere, dove la vita era più semplice, ariosa e serena e il mare sempre presente da ogni parte, oltre alla luce di viola, il vento e i gabbiani» [14].
Un luogo caro e in cui ha trascorso molto tempo a scrivere è la meravigliosa spiaggia di Fontania. Là dove un tempo cresceva un pesco che le donava ristoro nelle calde giornate estive, oggi c’è un melograno. Goliarda era solita sistemare un lettino, in quell’angolo di destra guardando il mare, descritto dalle vestigia possenti e poderose dell’approdo della villa del senatore romano Gneo Fonteo, attanagliata a quella scogliera fin dal I secolo a.C. Trascorreva molto tempo a nuotare sopra le vasche secolari scavate nel fondale roccioso, oggi completamente sommerse ma anticamente a pelo d’acqua e destinate all’allevamento dei pesci, dette, in latino, piscine, che hanno nobili emule a Sperlonga nella Villa dell’imperatore Tiberio [15]. Amava tuffarsi sul lato sinistro della spiaggia dove si divertiva a nuotare attorno agli scogli dei cani, scogli appuntiti affioranti appena dall’acqua, dove lei si sdraiava a dormire cullata dalla voce del mare. Amava così tanto quegli scogli da menzionarli anche in un passaggio del romanzo L’Arte della Gioia:
Riversa sullo scoglio, Modesta osserva come i suoi sensi maturati possano contenere senza fragili paure d’infanzia tutto l’azzurro, il vento, la distanza.
Ed era lì, sulla spiaggia di Fontania, splendido punto di contatto tra la natura e la storia, che Goliarda entrava in sintonia con la scrittura e con essa finiva per fondersi, senza confini. Racconta Giuseppe Valente – proprietario della meravigliosa Gneo Fonteo – della cui famiglia la scrittrice siciliana fu intima amica: «Arrivava sempre vestita con un abito lungo fino ai piedi, il cappello di paglia in testa e la borsa a tracolla”, quella borsa che era poi il suo ufficio mobile. Ricorda: «Scendeva sulla spiaggia, apriva il suo lettino e vi si sedeva in punta, proprio sul bordo. Non si sdraiava mai. Guardava il mare e fumava, fumava tanto. Per minuti e minuti fissava un punto lontano, poi, all’improvviso, estraeva i fogli dalla sua borsa e iniziava a scrivere».
E sempre Pellegrino ricorda:
«un antico borgo marinaro, dove era la mia casa, e aver scambiato le solite quattro chiacchiere con le vecchie paesane sedute negli angoli dei vicoli a vendere i propri ortaggi, che Goliarda sceglieva uno a uno, raggiungeva a piedi la scogliera di Fontania appena fuori del paese, dove ogni volta realizzava il suo connubio panteista col mare e la pietra. Ovunque la portassi, scogliera, rupe o sito archeologico, s’addormentava sulla pietra. Per prendere forza, diceva, e comprendere meglio il luogo. Poi amava tuffarsi, lo faceva anche dall’altezza di 20 metri, riuscì a farlo anche durante i periodi di depressione, per lei tuffarsi era il costante rapporto con l’infanzia che tutti gli artisti mantengono. Imparò a farlo da bambina dagli scogli di lava sotto l’arco della ferrovia a Catania, continuò a tuffarsi anche dopo che a 7 anni si ferì la fronte: un ragazzaccio aveva fatto il brutto scherzo di spostare i massi sul fondo dove lei abitualmente si tuffava. Una piccola cicatrice sulla fronte le rimase per sempre».
Su iniziativa di Gneo Fonteo, presso la spiaggia di Fontania, per celebrare il centenario della sua nascita le sono stati tributati due eventi. Il primo si è svolto la sera del 10 maggio 2024 con una festa di parole e musica: le sue parole declamate da Chiara Di Macco e Sabina Mitrano e cantate dalla voce “mariniana” di Valentina Ferraiuolo, con Domenico De Luca alla chitarra. Il secondo evento si è celebrato a settembre con la presentazione del libro Goliarda Sapienza. La mia Goliarda [16], dell’amico pittore e scultore Ruggiero Di Lollo.
Amava molto la casa in Via indipendenza che le dava quell’intimità a lei cara e in cui amava scrivere, in quella abitazione in un vicoletto con poca luce ma illuminato da persone semplici, umili come lo era lei, persone che le ricordano l’infanzia nel quartiere popolare della Civita di Catania, dove era nata e cresciuta. In quella casa di Gaeta terminò L’arte della gioia e sempre in quella casa chiuse la sua esistenza. Una casa raggiungibile dalla strada per mezzo di un’erta scala, con i soffitti a volta corrosi dalla salsedine del mare molto vicino. Piccola, ma aveva tutto ciò che occorreva, invasa dalle carte, traboccanti persino dai bauli, i posaceneri stracolmi di mozziconi di sigarette, ma con un terrazzo sul tetto affacciato al mare. «Su quel terrazzo organizzavamo cene stupende» ha scritto il pittore e scultore Ruggiero Di Lollo [17] che ha condiviso con Goliarda Sapienza e Angelo Pellegrino tutto il periodo vissuto a Gaeta. Ed è proprio Di Lollo che ce la racconta nel suo libro intitolato Goliarda Sapienza. La mia Goliarda [18]. Di Lollo conosce Goliarda nel 1975, che gli viene presentata dal collega Angelo Pellegrino, come lui allora insegnante al Liceo scientifico di Gaeta. Così ricorda:
«Era il periodo in cui Goliarda scriveva l’Arte della gioia, che le impiegò dieci anni di lavoro, e quando poteva preferiva scrivere qui a Gaeta. Diventò un’abitudine, dopo una giornata di lavoro, veniva ogni sera a piedi da via Indipendenza fino a casa mia a Fontania per leggermi quello che aveva scritto, o per farmene in sintesi il racconto e io le facevo vedere quello che avevo dipinto. […] Qualche volta, per svagare la mente, mi chiedeva di giocare a carte e il suo gioco preferito era la scopa».
Per anni, nelle serate estive gaetane, questo triumvirato della cultura (Di Lollo, Pellegrino, Sapienza) ha anche organizzato indimenticati incontri di musica, di poesia e di cinema nella piazzetta che si apre su via Indipendenza, da poco intitolata al nome della scrittrice.
«Goliarda diceva che casa più comoda di quella non esisteva perché nella strada sotto vi erano le donne che vendevano i prodotti genuini delle loro terre, c’erano i venditori di vino, panettieri, fruttivendoli, pesce fresco, diceva che in quella casa poteva anche non esserci il frigorifero perché sotto c’era tutto fresco ogni giorno. La cosa più importante per lei era avere il bar, il tabaccaio e il cinema a quattro passi, il triangolo di Goliarda».
Via Indipendenza sfocia in Piazza della Libertà, dove si trova l’iconico bar La Triestina dove Goliarda aveva “allestito il suo ufficio”. In uno dei suoi Taccuini, scritti quasi completamente tutti alla Triestina, l’ha definito: rifugio mondano […] di feste solitarie.
«La Triestina era come un’oasi nel deserto – ha scritto Angelo Pellegrino – un’oasi anche notturna. Si potevano comprare le ultime sigarette, bere il bicchiere della staffa e mangiare qualcosa, dai gelati ai dolci, alla tavola calda, tutto preparato ancora artigianalmente dai proprietari che Goliarda conosceva bene e le facevano anche credito. Alla Triestina poi approdavano gli ultimi disperati nottambuli, quelli che comunque la natura fa esistere anche dove la notte serve solo per dormire. Era con questi che spesso la trovavo immersa in estenuanti conversazioni da cui a volte non sapeva più come uscire. […] La Triestina, negli ultimi tempi era diventata la sua casa, incontrava lì tutto quello che era possibile incontrare a Gaeta, dall’ammiraglio in pensione al poeta alcolizzato, a Rosa, la mascherina del cinema Ariston, figlia di nessuno che era stata abbandonata in un albergo chiusa in una valigia (in cambio dell’ascolto profondo prestato da Goliarda ai suoi casi personali, la faceva entrare gratis al cinema tutte le volte che voleva)».
La stessa Goliarda aveva sottolineato in un’intervista di come la Triestina fosse ‘il suo ufficio” di quand’era a Gaeta, lì, la mattina, si sedeva a un tavolino, leggeva il giornale, beveva caffè, fumava mille sigarette e scriveva, scriveva [19]. Sempre e solo a mano. A questo proposito, Angelo Pellegrino, nella sua prefazione all’Arte della gioia di Einaudi, così racconta:
«Scriveva sempre su comuni fogli di carta extrastrong piegati in due perché, diceva, questo formato ridotto le consentiva una sua idea di misura. […]. Goliarda scriveva sempre a mano, diceva che aveva bisogno di sentire l’emozione nel battito del polso, servendosi di una semplice Bic nero-china a punta sottile. Ne consumava decine semplicemente perché le disseminava dappertutto e poi non le trovava più».
Goliarda Sapienza, scrittrice, come lei stessa si definiva, «dal destino profondo, non di successo», è stata una donna che incuteva negli altri un desiderio di autenticità. Spesso ripeteva: Amare: sempre, moltissimo, fino in fondo. E ancora suscita questo desiderio attraverso la sua opera letteraria. Scrittrice eccentrica, disturbante, innamorata della vita è oggi è riconosciuta tra le maggiori autrici letterarie italiane del Novecento, tradotta in molte lingue e pubblicata in numerosi Paesi del mondo.
Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025
Note
[1] Goliarda Sapienza, Catania 10 maggio 1924 – Gaeta 30 agosto 1996.
[2] Di Lollo R., Goliarda Sapienza. La mia Goliarda, Caramanica Editore, 2023.
[3] Il Metodo Stanislavskij è uno stile di insegnamento della recitazione messo a punto da Kostantin Sergeevič Alekseev nei primi anni del ’900. Il Metodo si basa sull’approfondimento psicologico del personaggio e sulla ricerca di affinità tra il mondo interiore del personaggio e quello dell’attore
[4] Providenti G., Goliarda Sapienza, enciclopediadelledonne.it, 2012.
[5] Providenti G., Ibidem.
[6] Sapienza G., Il filo di Mezzogiorno, Garzanti, 1969.
[7] Sapienza G., L’Università di Rebibbia,
[8] Sapienza G., L’arte della gioia, Stampa Alternativa, 1988.
[9] Lattanzi A., Ibidem
[10] Lattanzi A., Goliarda Sapienza ci insegna ancora a non confondere la sofferenza con l’amore, Lucy sulla cultura, 14 giugno 2024
[11] Spinosa A., Goliarda Sapienza e il suo periodo gaetano, Trevaligie, maggio 2024.
[12] Renna M., Goliarda Sapienza, una donna innamorata della vita, Maremosso Feltrinelli.
[13] L’Arte della gioia, Regia di Valeria Golino, 2024.
[14] Pellegrino A., Goliarda, Einaudi, 2022.
[15] Ghianda M.L., Vita quotidiana di Goliarda Sapienza, Doppiozero, 30 agosto 2024
[16] Di Lollo R., Goliarda Sapienza. La mia Goliarda, Caramanica Editore, 2023.
[17] Di Lollo R., Ibidem.
[18] Di Lollo R., Ibidem.
[19] Pellegrino A., Goliarda, Einaudi, 2022.
Opere di Goliarda Sapienza
Autobiografia delle contraddizioni. Lettera aperta. Il filo di mezzogiorno. Io, Jean Gabin. L’università di Rebibbia. Le certezze del dubbio, Einaudi, 2024
L’arte della gioia, Stampa alternativa, 1998; Einaudi, 2003.
Io, Jean Gabin, Einaudi, 2022
Ancestrale, Einaudi, 2022
Appuntamento a Positano, La nave di Teseo, 2021
Le certezze del dubbio, Pellicanolibri 1987; Einaudi, 2021
Lettera aperta, Sellerio, 2997; La nave di Teseo, 2019
Scrittura dell’anima nuda. Taccuini 1976-1992, Einaudi, 2018
L’università di Rebibbia, Rizzoli, 1983; Einaudi, 2017
Lettere e biglietti, Einaudi, 2016
Il filo di mezzogiorno, Garzanti Editore, 1969; Baldini&Castoldi 2015
Il filo di mezzogiorno. Versione teatrale di Ippolita di Majo, Einaudi, 2024
Elogio del bar, Elliot, 2014
Tre pièces e soggetti cinematografici, Milano, La Vita Felice, 2014
Destino coatto, La Vita Felice, 2013
La mia parte di gioia. Taccuini 1989-1992, Einaudi, 2013
Il vizio di parlare a me stessa. Taccuini 1976-1989, Einaudi, 2011
Filmografia
Un giorno nella vita, regia di Alessandro Blasetti (1946)
Fabiola, regia di Alessandro Blasetti (1949)
La voce del silenzio, regia di Georg Wilhelm Pabst (1953)
Senso, regia di Luchino Visconti (1954)
Ulisse, regia di Mario Camerini (1954)
Persiane chiuse, regia di Luigi Comencini (1951)
Altri tempi, regia di Alessandro Blasetti, episodio La morsa (1953)
Gli sbandati, regia di Citto Maselli (1955)
Lettera aperta a un giornale della sera, regia di Citto Maselli (1970)
Dialogo di Roma, regia di Marguerite Duras (1983)
Frammenti di sapienza, regia di Paolo Franchi (1994)
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Loschiavo G., Dire Goliarda dalla A alla Z, Doppiozero, 16 luglio 2024
Trevisan A., Goliarda Sapienza: una voce intertestuale. (1996-2016), La Vita Felice, 2016.
Trevisan A., Nel mio baule mentale: per una ricerca sugli inediti di Goliarda Sapienza, postfazione di Ilaria Crotti, Roma, Aracne, 2020.
Vigorita M., Loredana Rotondo, L’arte di una vita, Rai Educational 2000 [documentario].
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Laura D’Alessandro, ricercatrice, dopo la laurea in Sociologia, presso l’Università La Sapienza di Roma, ha conseguito il Master in Cittadinanza europea e integrazione euromediterranea: i beni e le attività culturali come fattore di coesione e sviluppo presso l’Università Roma Tre (in collaborazione con il Ministero dei Beni culturali). Ha svolto attività di docenza su tematiche legate all’identità e alla storia del Mediterraneo presso l’Università Roma Tre e su esperienze progettuali finanziate dai fondi europei nel settore dei beni culturali, delle imprese creative e delle politiche sociali presso l’Università di Salerno. Ha pubblicato il saggio Mediterraneo crocevia di storia e culture. Un caleidoscopio di immagini, sui tipi de L’Harmattan, 2011 (ristampa 2016), con il quale ha vinto il Premio Letteratura, Poesia, Narrativa, Saggistica (XXXII edizione – 2016), dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli. Collabora con riviste e periodici.
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