di Giustina Selvelli e Nicola Strizzolo [*]
1. Dal passato all’imminente presente
1.1 Introduzione: Due città allo specchio: Gorizia e Nova Gorica
Il titolo di Capitale Europea della Cultura 2025 assegnato per la prima volta a due città “gemelle”, come sono talvolta state definite Gorizia e Nova Gorica, appare indicativo della volontà a livello europeo di riconoscere l’incredibile valore “connettivo” di questa conurbazione disposta sul confine italo-sloveno, e giunge probabilmente non a caso proprio in un momento in cui il confine è ritornato a farsi sentire in maniera preponderante nella vita degli abitanti locali, riaprendo vecchie ferite e provocando dei “traumi spaziali” inediti nella popolazione abituata a vivere in maniera altamente transfrontaliera.
Proprio nella piazza Transalpina (Trg Evrope – “Piazza Europa” in sloveno) nel luglio 2019, centinaia di persone erano accorse da entrambi i lati del confine per protestare pacificamente contro la proposta avanzata dall’allora ministro dell’interno italiano Matteo Salvini (e supportata dal governatore del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga) di erigere un muro lungo la frontiera italo-slovena per difendere il territorio italiano dal flusso di migranti provenienti da sud-est, dalla Rotta Balcanica, a dodici anni dall’abbattimento di qualsiasi frontiera fisica fra i due Paesi (avvenuto il 21 dicembre 2007). In tale occasione, un muro fatto di scatole di cartone era stato montato e poi distrutto proprio per ribadire il rigetto di qualsiasi barriera divisoria fra le due città e i due paesi.
La piazza Transalpina/Europa era lo stesso luogo che aveva ospitato il 30 aprile 2004 i grandi festeggiamenti per l’ingresso della Slovenia nell’Unione europea, accompagnati da una serie di discorsi ufficiali, con la partecipazione di figure di spicco come il presidente della Commissione Europea Romano Prodi, e un grande concerto di musica balcanica della band di Goran Bregović.
Nella primavera 2020, l’epidemia da Covid ha costretto le autorità locali ad innalzare delle nuove barriere proprio in questa piazza simbolo dell’apertura e dell’identità transfrontaliera, dove fino a prima italiani e sloveni si radunavano nello stesso bar della stazione ferroviaria, e da dove membri di entrambe le comunità erano solite partire in treno per raggiungere le località turistiche slovene di Bohinj e Bovec.
L’impossibilità di spostarsi liberamente da una parte all’altra della frontiera, protrattasi per lunghi mesi, ha in un certo senso fatto emergere delle riflessioni sul tema e sul significato del confine, su quanto sia stato data per scontata la sua sparizione in seguito all’eliminazione nel 2007, e su cosa cambierà nell’immaginario dei cittadini locali dopo questo inimmaginabile precedente di limitazione alla libera circolazione, che al momento in cui si scrive non si è ancora risolto.
La notizia della vittoria congiunta del titolo di Capitale Europea della Cultura 2025 è giunta proprio in questo momento di sofferta separazione vissuto dalle due città, e appare come un elemento di incoraggiamento all’affermazione di un futuro di avvicinamento ancora più marcato fra le comunità di questo territorio all’intersezione fra Est ed Ovest dell’Europa.
1.2 Il passato di Gorizia: il paleolitico, l’epoca romana, il medioevo e la dominazione asburgica
Gorizia, nella sua essenza di crocevia e nella bilanciata distanza periferica da capitali imperiali o nazionali, è stata a sua volta centro di incontri, nella cultura, e di scontri, nel sangue. Situata in una posizione strategica dal punto di vista geografico, dove l’Europa Centrale incontra quella meridionale, il territorio attualmente corrispondente alla conurbazione di Gorizia/Nova Gorica si è affermato nel corso della storia come crocevia fra diverse influenze linguistico-culturale, in particolare come il sito in cui si si sono incontrate le tre principali famiglie linguistiche europee: germanica, slava e romanza[1].
Nel suo percorso storico culturale, Gorizia facilmente si presta a paragoni con rappresentazioni mitteleuropee. Facilitati da ragioni metodologiche, per le quali l’idealtipo non si presta a riscontri effettivi nella realtà (Weber, 1958), lo possiamo prendere a prestito per un concetto astratto di Mitteleuropa, che ha trovato vita soprattutto, o soltanto, nella cultura e nella letteratura (Schwarz, 2001): non solo per la sua collocazione al centro di un non ben definito territorio, ma anche per l’esperienza pluridentitaria e plurilinguistica, con le vicinanze e distanze che ha prodotto, Gorizia ben rappresenta quell’ideale milieu mitteleuropeo, del quale, con rinnovata speranza di collaborazione tra i popoli, si presta a coltivare e raccogliere i frutti in prospettiva di capitale europea della cultura nel 2025.
Essenza di un confine liquido, che unisce e separa, l’Isonzo collega l’Italia alla Slovenia e identifica il territorio di una provincia con «il Collio ondulato e cinto di vigneti, il Carso con i suoi fiumi sotterranei, l’alta e la bassa pianura, la laguna» (Pillon, 2007: 5). Utensili in pietra ed un flauto d’osso sono le prime tracce di una presenza dell’uomo risalenti al Paleolitico medio, tra gli 80 mila ai 40 mila anni avanti Cristo (Pillon, 2007). A queste si aggiungono arnesi del Paleolitico superiore, databili tra il 20 mila e il 15 mila a.C., tumuli per le sepolture della media età del bronzo e cast ellieri fortificanti, risalenti alla media età del bronzo.
L’età romana nel territorio inizia con la fondazione di Aquileia e l’annessione di Gorizia nella decima regione, «ampiamente documentata da strade, ponti, tracce di ville rustiche, piccoli abitati, mulini» (Pillon, 2007: 33). Ciò che emerge è che le nuove costruzioni non sostituiscono quelli precedenti, ma si accostano, producendo nel tempo la compresenza di diverse forme di insediamento, che delineano, già in origine, la regione come terra di frontiera e area di scambi. Caratteristica che la espone a invasioni, come quella degli Ungari del decimo secolo. Da questa fu proprio la Chiesa di Aquileia, ad assumersi l’onere della riorganizzazione dei territori, di fatto unica istituzione in grado di farlo e, in questo, «si collegò alla colonizzazione slava, largamente testimoniata dalla toponomastica» (Pillon, 2007: 43). Ed è proprio nelle donazioni imperiali ai patriarchi, per garantire loro il dominio sulla pianura a destra e a sinistra dell’Isonzo che compare per la prima volta il nome di Gorizia: «Il 23 aprile 1001 l’imperatore Ottone donò al patriarca Giovanni di Aquileia un complesso di beni incentrato sul castello di Siliganum (Salcano) e comprendente Gorizia, un villaggio il cui nome di origine slava, qui menzionato per la prima volta, richiamava l’esistenza di un’altura» (Ibidem).
L’origine della parola è quella di “Gorica” (piccola montagna, collina) dalla lingua slovena medioevale locale. “Goritia” è la sua variante latina apposta nel documento. Gurìze è il suo nome in friulano, mentre quello tedesco è “Görz”. Nel 1146 compare per la prima volta il titolo di conte di Gorizia attribuito ad Enrico IV di Spanheim, dal 1122 duca di Carinzia. È probabile che il titolo fosse collegato alla prima costruzione del castello di Gorizia intorno al 1100, dotato di terrapieno, fossato e palizzata, antecedente al torrione a più piani, in muratura. Nel marzo del 1271 il dominio sul territorio, contestato dai patriarchi, divenne sovranità riconosciuta con la divisione territoriale dell’eredità tra i fratelli Mainardo IV e Alberto II. I possessi e diritti di Mainardo III, loro padre, andavano dall’Engadina, oggi in Svizzera, all’Istria. A Mainardo IV andarono le terre occidentali alla Stretta di Rio Pusteria, che fu così confermato anche come Mainardo II del Tirolo, ad Alberto II, la parte orientale, per la prima volta definita comitatus et dominum Goricie, confermandolo così anche nel titolo di Alberto I di Gorizia (Pillon, 2007).
Il Duecento fu significativo anche per lo sviluppo del villaggio, cintato intorno al castello, che nello stesso secolo aveva guadagnato a est un palazzo signorile e un fabbricato a due piani: nel 1210 gli venne riconosciuto il diritto di mercato; il borgo, separato dal castello da una palizzata, crebbe grazie ai cittadini, ai quali era stato concesso un appezzamento di terra, con l’obbligo di costruirvi una casa in muratura e difendere il fortificato. Questo dette un forte stimolo alla crescita: presto venne saturata la cinta che circondava l’altura, ne conseguì la costruzione di abitazioni ai piedi del colle in direzione della campagna intorno alla chiesa dei Santi Ilario e Taziano, dove sarebbe sorto il duomo. Il centro commerciale divenne così «sede del potere, luogo di residenza di cavalieri e ministeriali legati al servizio del conte» (Pillon, 2007: 66), nel 1307, Gorizia ricevette le prerogative comunali.
Un’altra data significativa è l’occupazione asburgica, immediatamente successiva alla morte di Leonardo, ultimo dei conti di Gorizia, avvenuta il 12 aprile 1500: fine del medioevo goriziano. Il comune rimase un importante centro di scambi tra l’Europa centrale e la penisola italiana, fino alla nascita degli scali marittimi di Trieste (1719) e Fiume (1729), dopo di ché assunse un ruolo «del tutto marginale rispetto alle direttrici del grande commercio» (Pillon, 2007: 110).
Rinnovato impulso amministrativo, istituzionale e culturale avvenne in concomitanza alla nomina di Carlo Michele d’Attems a Vescovo della neonata sede arcivescovile di Gorizia. Questa, resa possibile per l’indebolimento della Serenissima che facilitò la soppressione del Patriarcato, si estendeva dalla Drava all’Adriatico, dalla Croazia alla pianura dell’attuale Friuli, includendo così le contee di Gorizia e Gradisca, il ducato della Carniola, esclusa Lubiana, i ducati di Stiria e Carinzia a sud della Drava, Cortina d’Ampezzo nel Tirolo e territori dell’attuale Croazia. A capo della provincia metropolitana comprendente le diocesi di Como, Pedena, Trento e Trieste (Martina, 2016). La ricchezza linguistica dell’arcidiocesi, nella quale due terzi dei fedeli parlavano la lingua slovena ed il rimanente quella friulana e tedesca (Martina, 2016), si tramutò in ricchezza culturale quando in soli sei anni, dal 1773 al 1779, furono fondate due tipografie cittadine, per garantire agli allievi del seminario i testi alla loro formazione, che pubblicavano in italiano, latino, francese, friulano, tedesco, sloveno, inglese, greco ed ebraico (Pillon, 2007).
Parallelamente sorsero accademie e società culturali di cui si animavano le conversazioni dei nobili, anche nel ruolo di mecenati, a teatro e nei salotti. Gorizia rimaneva un importante passaggio, il primo varcato il confine della Serenissima, in direzione di Vienna. «La frequentazione di aristocratici locali, ma non privi di contatti a corte, costituiva una sorta di trampolino di lancio di cui profittarono i grandi avventurieri che per qualche tempo vissero in città: Giacomo Casanova e Lorenzo da Ponte» (Pillon, 2007: 118). Nella seconda metà del ‘700 però l’attrazione verso Trieste era tale che Giuseppe II nel 1783 unì a questa la contea di Gorizia e nel 1788 soppresse anche l’arcidiocesi, ripristinata nel 1791 da Leopoldo II.
In ritardo al Risorgimento, il dibattito borghese sull’identità nazionale si animò a Gorizia e trovò voce irredentista nel “Giornale di Gorizia” fondato nel 1850 da Carlo Favetti, che in qualità di segretario comunale dal ’51 al ’92 riuscì a tematizzare in maniera diffusa la questione. Il dibattito coinvolse anche Grazia Isaia Ascoli, glottologo di fama internazionale. La costituzione del Regno d’Italia incoraggiò ulteriormente l’attivismo della borghesia locale, di cui elemento portante era la comunità ebraica fortemente discriminata durante la Restaurazione.
Il vento di riforme democratiche dopo l’Assolutismo portò al governo cittadino la maggioranza liberale italiana, composta da possidenti, impiegati, artigiani e commercianti, in maniera continuativa fino all’entrata in guerra del 1915. Se la città era prevalentemente italiana, l’entroterra era invece prevalentemente sloveno. Su questa ambivalenza presero corpo due tesi contrapposte: la prima esposta dal conte e patriota Prospero Antonini nel saggio “Il Friuli orientale. Studi” (Milano, 1865), di un’Italia unificata fino al Friuli orientale, senza alcuna considerazione dell’esistenza di «territori a popolazione etnicamente mista» (Pillon, 2007: 149); la seconda, espressa dal barone Carl von Czoernig, alto funzionario statale, nell’opera Il territorio di Gorizia e Gradisca (1873), che esprimeva la visione filoasburgica, di una “Nizza austriaca” il cui pregio era proprio la varietà delle etnie e di come questa si componeva naturalmente con il territorio.
1.3 Prima guerra mondiale e periodo interbellico
La Prima guerra mondiale fu l’elemento che portò ad una netta contrapposizione, non solo tra minoranze di una compagine multietnica ma tra Stati nazionali diversi. Con l’avvento di una forzata italianizzazione alla fine dello scontro e poi di una violenta ideologizzazione fascista, si aprirono ferite che, acutizzate nella loro contropartita alla fine della Seconda guerra mondiale, perdurarono almeno fino alla fine del secolo. La Grande guerra sconvolse il carattere multiculturale e multietnico della città di Gorizia, facendo emergere il contrasto fra il modello imperiale sovranazionale e quello dello Stato-Nazione, ed insediando i germi dell’identità esclusiva e della forzatura dell’italianità, a scapito soprattutto della comunità slovena che, poco prima della guerra (1910) costituiva circa il 40% dell’intera popolazione nel comune di Gorizia. In seguito alla sanguinosa battaglia di Gorizia del 1916 (che ispirò la celebre canzone antimilitarista “O Gorizia tu sei maledetta”), la città venne occupata dalle truppe del generale Cadorna, per poi essere riconquistata brevemente dagli asburgici in seguito alla disfatta di Caporetto, e passare infine al Regno d’Italia nel 1918.
Con la fine della Guerra mondiale e il definitivo collasso dell’impero asburgico nel 1918, vi fu un’intensa riduzione della presenza della classe dominante precedente germanofona a causa della sua emigrazione verso Austria e Germania, nonché la partenza della classe imprenditoriale multinazionale. Il Trattato di Rapallo del 1920 sancì la divisione dei territori e i nuovi confini con il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Nel periodo interbellico, con l’avvento del fascismo nel Regno d’Italia, ebbe inizio un intenso processo di italianizzazione che si manifestò innanzitutto nello spazio pubblico attraverso le modifiche alle denominazioni nella toponomastica locale, l’erezione di nuovi monumenti e la creazione di nuove iscrizioni evocanti i simboli e i personaggi del Risorgimento e dell’italianità, che cancellarono la memoria imperiale e multiculturale precedente e contribuirono a fornire legittimità alla nuova visione nazionale monoetnica.
Ma soprattutto, fu in questi anni che si impose la volontà di quel particolare “fascismo di confine” di pervenire, attraverso mezzi assimilatori, ad un’omogeneizzazione etnica e culturale, all’affermazione di un’identità italiana ed uniforme, che prese la forma delle repressioni nei confronti della comunità slovena, attraverso episodi di violenza squadrista mirata ai suoi esponenti intellettuali, delle limitazioni alle attività associative, culturali e politiche, e soprattutto della violazione dei diritti linguistici della minoranza, con l’italianizzazione forzata dei cognomi da parte delle autorità fasciste a partire dal 1927 nonché la proibizione nel 1929 dell’insegnamento della lingua slovena nelle scuole locali di ogni ordine e grado. Fu proprio in questi anni di repressione che nacque il TIGR, ovvero l’organizzazione rivoluzionaria della Venezia Giulia di stampo panslavista che si batteva per l’annessione dei territori al Regno di Jugoslavia[2]. Durante gli anni della Seconda guerra mondiale, l’ideologia fascista di pulizia etnica raggiunse il suo culmine nell’internamento di membri della popolazione slovena in campi come quelli di Gonars ed Arbe (attuale isola di Rab in Dalmazia), dove perirono migliaia di prigionieri (1942-43).
L’occupazione tedesca di Gorizia iniziata nel 1943 represse nel sangue le spontanee mobilitazioni delle forze di resistenza partigiane composte da italiani e sloveni, come la leggendaria Brigata Proletaria. Il primo maggio 1945, la città venne liberata e poi occupata per quaranta giorni dalle truppe jugoslave del generale Tito, che vedeva Gorizia come una città inevitabilmente slovena e dunque jugoslava e la rivendicava dopo un ventennio di repressioni e discriminazioni anti-slave portate avanti dai fascisti italiani. Molti abitanti, soprattutto sloveni ma non solo, credevano nel socialismo di Tito e speravano nell’annessione alla Jugoslavia: si scontravano in questo periodo fazioni filo-jugoslave a quelle in funzione della difesa dell’italianità di Gorizia.
In seguito all’occupazione jugoslava, la città, fino al 1947, passò sotto l’amministrazione militare anglo-americana (rientrando nella cosiddetta zona A, divisa dalla zona B sotto occupazione jugoslava tramite la “Linea Morgan”). Il trattato di Parigi del 1947 assegnò due terzi del territorio precedentemente parte della contea di Gorizia alla nuova Jugoslavia socialista di Tito. Fu in questo momento che si pervenne dunque all’idea di dare vita alla “nuova Gorizia” sul lato jugoslavo della frontiera.
I primi anni del secondo dopoguerra furono caratterizzati dalla profonda divisione, per la prima volta, fra Gorizia e i suoi territori circostanti orientali e settentrionali. Oltre alla separazione forzata di terreni, campi, ecc., numerosi furono gli esempi di famiglie rimaste divise dal nuovo confine (Medved & Velušček, 2002, 2004), che non risparmiò neppure i morti, come nel caso del cimitero ebraico di Valdirose (Rožna Dolina) rimasto in Jugoslavia, in cui si trovava la tomba di uno dei rappresentanti più celebri della comunità goriziana (Selvelli, 2020), il filosofo Carlo Michelstaedter, oppure l’esempio clamoroso del cimitero di Merna (Miren in sloveno), dove il nuovo confine divise letteralmente alcune tombe, rimaste con la parte superiore in Jugoslavia e quella inferiore in Italia.
La divisione esercitò un impatto rilevante anche sull’economia della città di Gorizia, provata dalla mancanza di circolazione verso il suo “Oriente”: la città, una volta punto strategico in virtù della sua appartenenza alla Mitteleuropa, diventò ancora più isolata nel contesto italiano centralizzatore che non conosceva l’esperienza della vita del confine orientale. Il nuovo scenario della Guerra Fredda separò artificialmente due parti dello stesso sistema circolatorio, privando Gorizia del suo territorio di immediato riferimento geografico orientale, ovvero l’hinterland provinciale che comprendeva la valle dell’Isonzo così come quella del Vipacco. Nel lato italiano della città, l’arrivo dal 1948 degli esuli istriani contribuì inoltre ad italianizzare ulteriormente la popolazione in termini demografici e in un certo senso a fomentare ulteriore risentimento nei confronti del nuovo stato socialista jugoslavo.
Dall’altra parte del confine, invece, a partire dal 1948, iniziarono i lavori per fondare la “nuova Gorizia”, ovvero Nova Gorica, secondo un’architettura socialista alla cui costruzione contribuirono lavoratori giunti da varie parti della Jugoslavia, di lingua serbo-croata e macedone. Una città che partì da zero, in un’area rurale prevalentemente composta da radure e campi, e, ad eccezione del quartiere storico di Salcano, ben pochi edifici (qualche fattoria), bensì molte tombe, ovvero quelle del vecchio cimitero di Gorizia (1880-1916). Furono dunque costruiti edifici residenziali popolari, locali amministrativi e create le infrastrutture necessarie, così come scuole, industrie ecc., che servivano alla sua giovane popolazione. I lavori si protrassero fino agli anni ’60 e la città raggiunse negli anni successivi il numero di 20 mila abitanti.
La nuova Gorizia si distingueva per i suoi ampi spazi verdi e giardini, secondo il piano urbanistico dell’architetto Edvard Ravnikar, come il grande prato verde al centro della città che rendeva onore alla storia rurale precedente e rimandava al nome sloveno di Piazza Vittoria a Gorizia, ovvero “Travnik”, che significa proprio prato, seppure nel caso della città italiana il verde fosse scomparso da molto tempo (Medved, 2018). L’importante stazione ferroviaria della Transalpina rimase in territorio jugoslavo: il confine passava infatti proprio per l’antistante piazza.
Nova Gorica doveva incarnare secondo la visione di Tito la città ideale, simbolo del trionfo dei valori socialisti, in opposizione alla decadenza borghese della controparte italiana goriziana. Non a caso, la via principale (Erjavčeva ulica), su cui vennero installate numerose statue in onore a rappresentanti culturali e intellettuali sloveni, rimase quella già precedentemente esistente che conduceva alla Gorizia italiana, forse nella tacita speranza che un giorno le due città si sarebbero ricongiunte.
1.5 Separazione: identità di frontiera?
Questo confine «antistorico» (Tavano, 1996: 8) ed innaturale, che lacerò l’unità organica del territorio, rappresentò a lungo una sorta di specchio in cui il lato capitalista e quello socialista guardavano uno all’altro, legittimandosi a vicenda proprio nel processo di reciproca opposizione e differenziazione simmetrica. Tuttavia, nonostante le limitazioni alla circolazione e la divisione geopolitica, nonché la contrapposizione dei due blocchi durante gli anni della guerra fredda, nel periodo del secondo dopoguerra e in maniera crescente fino alla fine della Jugoslavia, a Gorizia e a Nova Gorica, forse il primo caso di città divisa post-bellica, si riuscì a preservare comunque quella particolare «cultura di confine» (Martina, 1996: 9), quella caratteristica identità di frontiera dei suoi abitanti.
I primissimi anni dalla divisione videro un regime confinario particolarmente restrittivo, ed una diffidenza fra Italia e Jugoslavia che limitava la circolazione di persone e merci e simboleggiava la contrapposizione ideologica e geopolitica fra i due blocchi creatisi dalla fine della Seconda guerra mondiale. Tale situazione di “invalicabilità” si modificò a partire dagli anni ’50, in particolare in seguito all’episodio della cosiddetta “domenica delle scope” (Covaz, 2018) nell’agosto 1950, quando circa 5000 sloveni varcarono la linea del confine. Seppure privi di documenti o lasciapassare, le autorità li lasciarono varcare la frontiera, ed essi si riversarono nei negozi e nei bar di Gorizia, dopo tre anni di assenza, per acquistare merci non disponibili in Jugoslavia, fra cui proprio la scopa in saggina, o anche solo per bersi un caffè espresso.
Negli anni successivi, vennero adottate misure di liberalizzazione della circolazione che resero questo confine molto più poroso e fluido, grazie ad uno speciale lasciapassare, chiamato prepustnica in sloveno e propustnica in croato, istituito nel 1955. Ciò consentiva agli abitanti di entrambe le aree di confine di attraversare i valichi secondari e di muoversi liberamente in una fascia di territorio di 10 km dell’altro paese, per un certo numero di volte al mese. Gli italiani si recavano in Jugoslavia (detta semplicemente “Jugo”) soprattutto per comprare carne, sigarette e fare il pieno di benzina, mentre gli sloveni compravano vestiti, caffè e beni di prima necessità. Non deve sorprendere come tale condizione favorì fertili attività di contrabbando su entrambi i lati della frontiera, come si può scoprire visitando l’ex ufficio della polizia di frontiera al valico del Rafut, trasformato da qualche anno nel piccolo museo del contrabbando. Fra i beni di consumo che venivano smerciati illegalmente troviamo così sigarette, detersivi, dischi, scarpe, ecc.
In tale contesto, la libertà di movimento attraverso i valichi primari e secondari si contrapponeva alla situazione di controllo nei territori e nei sentieri di confine delle zone montane, collinari e rurali prive di posti di controllo ufficiali, presidiate da guardie provenienti da altre zone della Jugoslavia, che non avevano una connessione con il territorio e dunque meno sensibili alle questioni e ai bisogni transfrontalieri degli abitanti.
1.6 Il momento tardo-socialista e post-socialista della Jugoslavia
In generale, è possibile affermare come il confine fra Gorizia e Nova Gorica sia rimasto in quegli anni altamente permeabile, in virtù dell’alto grado di flessibilità del regime jugoslavo rispetto ad altri Paesi del blocco dell’Est, che si traduceva anche nell’apertura a turisti provenienti dai Paesi occidentali e alle libertà concesse ai lavoratori transfrontalieri locali.
Nel periodo della liberalizzazione del regime jugoslavo, specialmente negli anni ‘80, Gorizia divenne, assieme a Trieste, meta privilegiata degli abitanti provenienti da tutta la Jugoslavia, che accorrevano periodicamente a fare shopping in città per la giornata e poi ripartivano, approfittando di uno dei regimi confinari più flessibili che concedeva loro di varcare una vera e propria “porta verso l’Occidente”. Inoltre, Nova Gorica si adattò al turismo transfrontaliero puntando soprattutto sui casinò e l’intrattenimento per attirare clienti dal lato italiano.
La guerra dei dieci giorni nel giugno 1991, seguita al referendum sull’indipendenza del dicembre 1990 e alla dichiarazione d’indipendenza della Repubblica slovena (25 giugno), segnò l’inizio della fine della Federazione jugoslava. In quei giorni concitati, i goriziani vissero con grande angoscia il susseguirsi degli eventi bellici, e temettero per i loro vicini, ma anche per sé stessi quando nella serata del 28 giugno, intensi combattimenti scoppiarono fra i carri armati jugoslavi e forze speciali slovene al confine di Rožna Dolina – Casa rossa, concludendosi con un bilancio di quattro morti.
La fase di transizione post-socialista in Slovenia vide un grande sviluppo del commercio transfrontaliero e delle attività turistiche, nonché un ulteriore rinvigorirsi del settore dei casinò limitato in Italia, anche per generare liquidità di capitali nel neonato Stato sloveno (Pillon, 2007). Con il tempo, il flusso transfrontaliero a fini di shopping cambiò direzione, divenendo molto più prevalente quello degli italiani verso la Slovenia, in virtù dei prezzi sempre convenienti. Nel 1998, si giunse alla stipula del cosiddetto Patto transfrontaliero, ridenominato poi Protocollo di Collaborazione, volto a favorire lo scambio di informazione e il coordinamento di attività congiunte fra le due città.
Nel 2004, la Slovenia entrò ufficialmente a far parte dell’Unione Europea, un fatto a cui seguì poi l’ingresso all’area Schengen a fine 2007, con lo smantellamento delle postazioni di controllo al confine e la libera circolazione. Ciò consentì lo stabilirsi di una conurbazione transfrontaliera e la possibilità di beneficiare di opportunità rilevanti a livello territoriale per migliorare la vita dei cittadini di entrambe le parti del confine: fu in tale contesto che vennero sviluppati piani di sviluppo della cooperazione territoriale transfrontaliera fra Gorizia e Nova Gorica per potenziare al massimo l’integrazione delle due comunità (Cimadomo, 2015). Nel 2010, le municipalità di Gorizia e Nova Gorica (assieme a quella di Šempeter-Vrtojba, sul lato sloveno) hanno dato avvio alla richiesta di istituire un gruppo europeo di cooperazione territoriale (GECT GO), finanziato e promosso dalle politiche europee.
Nel 2017, le due città hanno iniziato a collaborare al progetto del titolo congiunto di Capitale Europea della Cultura 2025: degli sforzi che hanno ottenuto i loro frutti il 18 dicembre 2020, quando, nella piazza Transalpina, in un contesto di rinnovata limitazione alla circolazione fra le due città a causa della seconda ondata dell’epidemia da covid-19, i due sindaci hanno celebrato la vittoria, aprendo la strada ad una nuova fase della collaborazione transfrontaliera fra queste due città.
1.7 Mediazione tra territori oltre le frontiere
Non sono mancati momenti e attori di un percorso di riavvicinamento, come, ad esempio[3], Darko Bratina o l’Istituto per gli Incontri Mitteleuropeo. Il primo, figlio della parte slovena, si avviò ad una carriera nazionale come docente e studioso di sociologia e critico cinematografico, per poi concentrarsi sul territorio, sia a livello universitario che nella società civile fondando un’associazione culturale, il Kinoatelje, tutt’ora estremamente attivo nella progettazione culturale e promozione di attività cinematografiche. Nel 1992 divenne il primo senatore goriziano di lingua slovena, con appoggio anche da parte italiana, nella quale colleghi e amici, di partiti diversi, contribuirono alla sua elezione (Kinoatelje, 2019). La sua visione fu quella di una graduale unificazione amministrativa e infrastrutturale di Gorizia e Nova Gorica (Apuzzo, 2008), che seppur non realizzata, ha animato anche un quarto di secolo successivo alla sua scomparsa (1997) il dibattito locale[4].
L’istituto per gli Incontri Mitteleuropeo (ICM), sorto nel 1966 su iniziativa di un gruppo di intellettuali, amministratori pubblici ed imprenditori legati al Centro culturale “Stella Matutina” dei Padri Gesuiti, al Centro Studi “Sen. Antonio Rizzatti” di Gorizia e alla rivista “Iniziativa Isontina”, si è caratterizzato per una serie di ampie attività culturali, che costituiscono «istanza, a livello mondiale, che […] si preoccupa affinché l’idea della “Mitteleuropa” non finisca nel dimenticatoio […] lo spirito emergente da quasi tutti i discorsi, dibattiti e relazioni, è uno spirito ecumenico-universalistico […] Dappertutto si parla lodevolmente dei grandi meriti spirituali degli Sloveni, degli Slovacchi, dei Croati, degli Austriaci, degli Italiani, dei Serbi e degli ebrei a favore di una cultura mitteleuropea» (Schwarz, 2001, 16-17).
Gli esempi di attori culturali, che hanno saputo guardare oltre i confini, a Gorizia, sono molteplici, come l’ISIG, le Università di Trieste e Udine, Informest, le biblioteche (sia quelle di Gorizia e che quella a Nova Gorica): ciascuno di questi meriterebbero uno o più volumi; referenti di qualcuno di questi stakeholder sarà oggetto di intervista nel nostro contributo.
Un ultimo appunto, dal passato di frontiera (nel senso di passaggio e non di divisione), prima di arrivare all’“imminente presente” di Gorizia 2025, è quello della città come antesignana di un movimento psichiatrico e culturale che ha cambiato radicalmente la struttura al servizio di cura mentale della persona: la prima esperienza come direttore di ospedale psichiatrico di Franco Basaglia. Rappresenta un importante momento di mediazione, tra la psichiatria e la psicoanalisi (Realdon, 1990), convergenza poi tra la psicoterapia di ispirazione psicoanalitica e le prime realizzazioni della pedagogia e della psicoterapia di gruppo. Dalle testimonianze di amici e colleghi emerge come i primi tentativi di Basaglia erano quelli del superamento di diversi confini (fisici dentro le istituzioni, organizzativi-politici e mentali nei medici e negli amministratori, nella cultura sociale) e della creazione di un territorio nuovo per la terapia dentro e con la società (Bollorino, Attolini, 2018). Mediazione tra territori e passaggi di frontiere che vengono attribuiti, in maniera più o meno esplicita, allo spirito storico e culturale di Gorizia (Realdon, 1990).
2. Le premesse concrete di GO! 2025: obiettivi e indicatori
2.1 Gli obiettivi
Leggendo il volume GO2025 di presentazione del progetto di candidatura di Nova Gorica – Gorizia come capitale della cultura europea, emergono almeno quattro direttrici convergenti: 1) il passato storico culturale che unisce e intreccia; 2) il confine come opportunità per costruire insieme; 3) l’Europa; 4) il futuro.
La visione, espressa sin dalle prime pagine è quella di «città europea transnazionale, un luogo dove le persone e le idee sono apprezzate e rispettate indipendentemente dal loro background culturale, nazionale, linguistico o di qualsiasi altro tipo» (3; trad. aut.). La missione transfrontaliera, che ha risentito almeno nei passi preliminari delle chiusure legate al Covid-19, si basa sulle informazioni raccolte, in Italia e Slovenia, attraverso un sondaggio digitale, rivolto alle associazioni culturali, e incontri con le istituzioni culturali, le cui domande esplorative hanno riguardato «quello di cui c’è bisogno per far crescere un pubblico transfrontaliero» (3; trad. aut.). Su questa base i proponenti hanno lavorato con entrambe le amministrazioni comunali per una strategia a lungo termine, concetto ripetuto ben sedici volte nel testo.
Riportiamo gli obiettivi strategici per Nova Gorica, con i relativi obiettivi di confine (nella tabella, vi sono anche i potenziali benefici e da quale attività verranno concretizzati):
- un importante centro culturale e creativo con un sistema condiviso per la produzione culturale transfrontaliera
- rivitalizzare i siti del patrimonio culturale affinché la cultura possa diventare una forza per lo sviluppo e la modernizzazione del patrimonio transfrontaliero
- un forte modello di turismo culturale per la regione con un condiviso marchio di conurbazione
- Nova Gorica città innovativa dove la cultura diventi la forza principale per lo sviluppo dell’area di confine
- Nova Gorica città europea per una conurbazione europea.
È intenzione dei proponenti che questi obiettivi si traducano in una strategia di lungo periodo (come già evidenziato, una delle parole chiave del progetto) verso «una conurbazione transfrontaliera, una città verde, vitale, sostenibile, aperta all’Europa e al mondo, dinamica e con spirito imprenditoriale. Una città che si qualifichi nel tempo come piacevole, felice e creativa per i suoi cittadini e punto di riferimento per la solidarietà oltre ogni confine» (5; trad. aut.). La condivisione di questi obiettivi è avvenuta attraverso un processo partecipato che ha coinvolto le amministrazioni di 13 comuni sloveni dell’area e 27 della provincia di Gorizia, gli stakeholder del settore economico, incluso obiettivi già esistenti in altre linee di progetto per lo sviluppo del territorio e collegato GO!2025 con il programma per le città pilota di Agenda 21, nelle quali rientra Nova Gorica.
Attraverso questo intreccio di progettualità, intenti e attori si vuole invertire la rotta del degrado economico (sintesi della tabella 6):
- attivando un nuovo ecosistema culturale che si poggia sui valori di uno sviluppo urbano con una nuova forma di quartieri, attraverso la conurbazione contesto della cittadinanza europea che accresca la consapevolezza di una cultura elemento catalizzatore, in uno sfondo dal profilo internazionale, multilinguistico, innovativo con un pensiero originale;
- per arrivare nel 2025 con una strategia concreta di sviluppo urbano, culturale transfrontaliero, di supporto a piani di sviluppo regionale e relativi bandi internazionali, di sviluppo del turismo e di un unico marchio identificativo per le città;
- con l’eredità (impatto a lungo termine) di una città europea transfrontaliera costituita da Nova Gorica e Gorizia, verde, vivace e con un’alta qualità della vita, innovativa e con uno spirito imprenditoriale (che sono anche gli obiettivi indicati nella tabella degli indicatori).
In particolare, per l’ultimo obiettivo a lungo termine, si vogliono implementare piattaforme per tutti i tipi di innovazione, unire l’arte con la tecnologia, la cultura e l’economia, e promuovere «l’imprenditorialità culturale con collegamenti europei e internazionali» (7).
2.2 Gli indicatori
Gli indicatori rappresentano qualcosa di estremamente importante in un progetto: sono quello che effettivamente è monitorabile, riconducibile semanticamente a concetti più astratti, e pertanto quello che i proponenti sanno di poter mettere sul tavolo come risultato tangibile e allo stesso tempo significativo dello spirito della proposta. Le aree degli indicatori, per ogni obiettivo sono così suddivise: cultura, sociale, economica e sviluppo urbano. Nel contesto del nostro contributo, semplifichiamo la tabella di GO! 2025 concentrandoci sulle prime due aree (che enucleano i rispettivi obiettivi specifici culturali e sociali) nella tabella sottostante.
Obiettivo 1 | Nova Gorica e Gorizia – una città transfrontaliera europea | |
Aree | Obiettivi specifici | Indicatori |
Cultura | Stabilire un ecosistema culturale transfrontaliero nelle due città | Aumento: - istituzioni culturali che partecipano al GO! 2025 - partenariati transfrontalieri, coproduzioni e collaborazioni per eventi culturali- partecipazione transfrontaliera agli eventi - partecipazione congiunta delle due città in reti e progetti europei (la Rete di città) |
Sociale | Promuovere un ambiente multiculturale | Aumento: - multilinguismo (cioè sloveni che parlano italiano, italiani che parlano sloveno, abitanti che parlano più di due lingue) - attività culturali che favoriscono il multilinguismo - eventi che evidenziano gli aspetti comuni delle culture, del patrimonio e della storia europea - eventi che promuovono la diversità culturale, il dialogo e la comprensione reciproca tra i cittadini europei |
Obiettivo 2 | Una città verde e vivace, con un’alta qualità della vita | |
Cultura | Migliorare la vivacità culturale del territorio | Aumento: - eventi culturali transfrontalieri e del numero di visitatori - livelli di soddisfazione |
Sociale | Ridurre l’invecchiamento demografico e la fuga di cervelli | Aumento: - percorsi di carriera e di orientamento per i giovani nel campo della cultura - tirocini/stage nel campo della cultura - nuovi residenti nella zona Riduzione del divario rispetto alla media nazionale dell’età |
Obiettivo 3 | Una città innovativa con uno spirito imprenditoriale | |
Aumentare la capacità di cooperazione transfrontaliera | Aumento: - coproduzioni transfrontaliere e intersettoriali per eventi culturali - partenariati tra istituzioni educative, associazioni culturali associazioni e settore economico - capacità del settore culturale di accedere a finanziamenti da internazionali e da fonti private - bilancio complessivo della cultura | |
Promuoverela partecipazionee l’inclusione | Aumento: - nuove associazioni e ONG - membri delle associazioni e delle ONG, specialmente nella fascia d’età 15-25)- attività/eventi culturali volti a includere gruppi emarginati - reti comunitarie innovative - accessibilità dei luoghi e degli spazi culturali (spazi senza confini)Diminuzione del divario digitale determinato da condizioni socio-economiche e dall’età |
Tab 1. Sintesi indicatori culturali e sociali per obiettivi
Tra gli indicatori, oltre ai temi della transfrontalierità di Nova Gorica e Gorizia che idealmente convergono in un’unica entità, e del multilinguismo, c’è una particolare attenzione ai giovani e agli strumenti per il loro empowerment, per ringiovanire anche la parte italiana e per ridurre l’emigrazione dei talenti. In questo, un ruolo importante lo giocano gli indicatori economici e di sviluppo urbano, che riportiamo di seguito, in estrema sintesi.
Indicatori economici:
- aumento del turismo e di nuove forme sostenibili, di fruitori di musei ed eventi culturali;
- nuove industrie creative e soluzioni tecnologiche sostenibili offerte da aziende locali;
- miglioramento dei salari, nuovi lavori creativi e basati sulla conoscenza;
- valorizzazione del lavoro creativo e della conoscenza, aumento del PIL regionale dalle industrie hi-tech e della mobilità elettrica;
- riduzione dell’inquinamento e dell’impatto ambientale;
Indicatori dello sviluppo urbano:
- aumento della viabilità sostenibile transfrontaliera, dei collegamenti pubblici tra aree suburbane e centri cittadini, rivitalizzazione delle zone degradate;
- rinnovamento ed incremento delle attività nei siti del patrimonio;
- numerosi cittadini raggiunti con una connessione gratuita transfrontaliera;
- incremento dei veicoli a zero emissioni, di smart grid e di progetti pilota per lo sviluppo urbano.
Muovendoci così dagli indicatori, parte finale e concreta della proposta, possiamo così rappresentarci il macrobiettivo di GO! 2025: valorizzare la cultura europea transfrontaliera e multilinguistica nel fare sistema, sfruttando azioni e mezzi con un basso impatto ambientale, per rendere il territorio unito da una rete trasversale di trasporti e imprese innovative e sostenibili, premianti il contributo creativo e di conoscenze dei giovani, che renda il territorio ecocompatibile, vivace e con ottimi standard di vita.
Un ruolo estremamente importante viene occupato dalla diversità linguistica intesa come risorsa originaria del territorio, intrecciata alla storia squisitamente multietnica del passato goriziano (nella sua accezione geograficamente ampia): in tale contesto, si rimarca la volontà di fornire al pubblico prodotti culturali multilingui, facenti uso da un lato delle lingue tradizionalmente parlate nell’area, ovvero italiano, sloveno e friulano, e dall’altro anche di quelle di più recente immigrazione, ovvero serbo-croato, albanese, cinese, ed altre. Viene sottolineata dunque la volontà di rendere le lingue un veicolo di scambio culturale, in linea con le pratiche locali di multilinguismo a livello storico, migliorando la comprensione reciproca fra le comunità e creando le condizioni per l’affermazione di un’identità locale, in senso sovranazionale, e dunque per questo decisamente europea.
3. Le testimonianze dei protagonisti
3.1 Le interviste
Dopo il lavoro di raccolta e analisi documentale, sul passato di Gorizia, sul presente della proposta GO! 2025, attraverso una serie di interviste rivolte a testimoni privilegiati, ci siamo rivolti anche al futuro, agli scenari, sul lungo periodo – leimotiv della proposta – che Nova Gorica – Gorizia Capitale europea della cultura potrebbe attivare. Abbiamo pertanto intervistato:
- la direttrice artistica di GO! 2025, Neda Rusjan Bric (in presenza in inglese) ed uno dei coordinatori per conto dell’ISIG, Lorenzo De Sabbata (online in italiano);
- il sindaco di Nova Gorica, Klemen Miklavič (via mail in inglese), e di Gorizia, Rodolfo Ziberna (in presenza in italiano); online in italiano, la delegata d’Ateneo su Gorizia dell’Università di Trieste, Sara Tonolo, e dell’Università di Udine, Nicoletta Vasta, ed online in inglese il vicerettore dell’Università di Nova Gorica, Franko Mladen.
- in presenza in italiano, due intellettuali, una di parte di slovena, Anja Medved, regista di documentari storici, e Fulvio Salimeni, professore di Storia contemporanea, presso la sede di Gorizia per l’Università di Udine, e presidente ICM.
Le domande per tutti sono state le seguenti, tranne quelle via mail destinate al sindaco di Nova Gorica:
- Come è nata l’idea di GO! 2025? Qual è stata la genesi del progetto di candidatura congiunta?
- Quali ostacoli ha dovuto affrontare?
- Come è stata accolta dalla cittadinanza?
- Quali possono essere le ricadute più estese sul territorio regionale di entrambi i paesi?
- Come viene percepita ora la candidatura congiunta, dopo la sua vittoria?
- Quali ricadute al di fuori della proposta pubblicata?
- Come può evolversi la questione del multilinguismo?
- Quali istituzioni, enti o organizzazioni potranno procedere uniti dopo il progetto?
- Qualcosa di importante da dire e che le domande poste non hanno dato l’opportunità di farlo?
Mentre al Sindaco di Nova Gorica, che siamo riusciti a contattare solo via mail e in ristrettezza di tempi, abbiamo sottoposto il quesito 1, 2, 4 e una sintesi della 6 e della 8: “Quali pensa che saranno gli effetti a lungo termine della CEC 2025 (dopo il 2026)”?
Dalle risposte si delinea uno scenario di un milieu fertile di idee e cultura sul quale il progetto può radicarsi e crescere. Lo scenario di uno sviluppo futuro, anche oltre il 2025, trova linfa vitale nel passato storico, geopolitco, culturale, linguistico e identitario del territorio. Importante il ruolo della società civile e del Terzo settore culturale:
- il progetto nasce dal basso, corroborato da una pronta adesione amministrativa, solida anche nel cambiamento dei vertici, sia dello stesso colore (Gorizia) ma anche opposto (Nova Gorica);
- nel segno di una continuità, che lascia ben sperare nella capacità di oltrepassare gli ostacoli emersi con ricadute sul lungo periodo;
- non solo per le due Gorizie, ma in un territorio immaginato da Lubiana a Venezia, nel quale le associazioni culturali anche piccole, trovano il loro empowerment, in rete e nelle competenze, per una sostenibilità stessa del progetto attraverso una progettazione europea anche di importante cabotaggio.
Dalle risposte traspare una grande disponibilità da tutti gli attori contattati, una grande visione, con al centro una solidità progettuale e ai bordi peculiarità diverse e arricchenti, come l’attenzione alle altre comunità sul territorio, oltre le tre di Gorizia, Nova Goriza e la parte slovena a Gorizia.
Non potendo, nell’economia del testo, riportare tutte le risposte per intero, abbiamo raccolto il contenuto emerso nelle seguenti parti:
3.1 Dalle azioni anticipatorie alla genesi
3.2 Multilinguismo locale del passato. Superamento delle barriere linguistiche
3.3 Memorie e rappresentazioni
3.4 Dagli ostacoli del presente alle sfide del futuro
3.2 Dalle azioni anticipatorie alla genesi
Già negli anni ‘60, in un’Europa divisa tra Est e Ovest dalla cortina di ferro e in piena guerra fredda, i sindaci di Gorizia, Michele Martina, e di Nova Gorica, Jožko Štrukelj, di due anni più giovane del primo, si conoscevano per i trascorsi in comune presso lo stesso liceo. Si attivò così un proficuo dialogo che sfociò il 17 novembre 1965 nella prima riunione in Europa di due sindaci, con Giunte comunali annesse, di due città separate dalla Cortina di ferro.
L’anno successivo veniva fondato, anche su istanza del sindaco Martina, l’Istituto di incontri mitteleuropei: al suo primo convegno, nella sua prolusione inaugurale Ungaretti evocò come fosse nella stessa terra a combattere cinquant’anni prima. «Ricordava che i commilitoni avevano fatto il loro dovere, ma hanno combattuto senza odio, avversari ma non nemici, fratelli che condividevano la comune sofferenza e orrori della guerra [...] E quindi era una guerra combattuta senza odio». Ci fu un’«ovazione del pubblico a un discorso contrastante la retorica della guerra» (Salimbeni).
Un decisivo balzo in avanti avvenne, secondo l’attuale sindaco di Nova Gorica, Miklavič, negli «anni successivi all’indipendenza slovena e l’avvicinamento all’adesione all’UE» che «hanno visto un processo di reintegrazione e riconciliazione. La vita e il ritmo quotidiano delle persone si intrecciarono sempre più e lentamente le due città iniziarono a formare un’area urbana comune». Infatti, oggi i giovani non dicono «vado in Slovenia, come noi un tempo dicevamo vado in Jugoslavia prima e in Slovenia poi, ma dicono vado a…» (indicando il nome del posto), riporta il sindaco di Gorizia, Ziberna. Inoltre, aggiunge che esistono una serie di iniziative economiche (Zona economica speciale europea – ZESE) e logistiche (Zona logistica semplificata rafforzata – ZLSR) che integrano il processo culturale e politico con dinamiche di scambio e dei trasporti.
Il clima culturale che si è, così, attivato ha contaminato l’immaginario e l’industria culturale, fino a veri e propri prodotti avveniristici rispetto a GO! 2025, come l’opera di Anja Medved, del 2004, “La città sul prato” che si chiude con le parole di un giornalista sloveno: «Questa città ha un esercizio da fare: come collegare due velocità in una» (dall’intervista alla regista stessa).
In questo clima favorevole, serviva l’evento scatenante. Quattro anni fa Bric – allora direttrice del Teatro SNG Nova Gorica – ed altre persone pensarono ad una candidatura congiunta di Nova Gorica e Gorizia come capitale europea della cultura. Assieme ad Igor Devetak – dal 2019 direttore del Primorski dnevnik, quotidiano degli sloveni in Italia con sede a Trieste – si recò dall’allora sindaco di Gorizia per proporre l’idea. Romoli, uscendo dal suo ruolo amministrativo, condivise la proposta con il candidato in pectore Ziberna, con un esito assolutamente positivo. Un elemento ripetuto è che Nova Gorica da sola, per la parte monumentale e storica nella parte di Stara Gorica (Gorizia), non avrebbe potuto farcela. Allora sei persone, collegate a Ong, università e istituzioni hanno immediatamente iniziato a riflettere sulla fattibilità. Al gruppo di lavoro, due anni fa, si è aggiunta Vesna Humar, che ha lavorato come coordinatrice per Nova Gorica alla seconda parte della candidatura.
Sono stati coinvolti esperti di diversi settori, fatte delle candidature aperte e l’idea è stata presentata a stakeholder in entrambe le città. «L’obiettivo è quello di diventare una buona pratica-esperienza per altre aree di confine. Già raggiunto, perché vengono da altre città di confini europei per vedere com’è realmente» (da intervista a Bric).
3.3 Multilinguismo locale del passato. Superamento delle barriere linguistiche
Uno degli aspetti salienti che emerge dal programma è l’intento (e l’auspicio) di rendere le lingue locali ciò che rappresentavano in passato, ovvero elementi intrinseci di quel terreno fertile che favoriva l’arricchimento ed avvicinamento culturale reciproci, essendo esse comprese almeno passivamente dalla maggior parte degli abitanti, e libere da qualsiasi implicazione o manipolazione politica legata alle pagine più difficili dell’ultimo secolo di storia di questo confine. La candidatura congiunta può pertanto rappresentare un ulteriore incoraggiamento al rispetto della diversità linguistica e culturale caratterizzante i territori di confine, condizione che può garantire nuove forme di multilinguismo nonché una genuina apertura per raccogliere le sfide dell’integrazione di nuove identità culturali, che costituisce una delle più grandi prove del presente.
Per quanto riguarda le lingue nello specifico, dal momento che gli abitanti di Nova Gorica per la maggior parte dimostrano già una grande padronanza della lingua italiana, uno degli obiettivi principali sarebbe quello di incrementare la conoscenza dello sloveno nella popolazione italiana, grazie alla promozione di nuovi corsi mirati, «programmi di scambio per gli studenti» (De Sabbata), e ad una nuova sensibilità verso il vicino. In tale contesto, una funzione fondamentale viene giocata dalla comunità slovena in Italia, che funge come ponte fra i due lati del confine.
Su questo versante, un gioco importante lo possono giocare le università, quella di Udine da tempo impegnata su Gorizia con corsi inerenti alle relazioni, alla comunicazione e alle lingue, quella di Trieste, con il corso mirato alle relazioni internazionali, e quella di Nova Gorica, dove al suo interno già convogliano elementi di multilinguismo negli stessi docenti, per la maggior parte sloveni, ma che parlano anche l’italiano.
Secondo la prof.ssa Vasta, «non si può prescindere dalla multiculturalità. Se la sensibilizzazione alle differenze linguistica si accosta a quelle culturali allora porta lontano» sui temi della tolleranza, del rispetto della diversità e dell’accoglienza. La prof. Tonolo auspica «una lingua franca con cui comunicare» e fa riferimento al master congiunto di Udine e Trieste in giornalismo internazionale, dove i docenti ne sarebbero già in possesso. L’esperienza del vicerettore dell’Università di Nova Gorica Mladen Franko è costellata dal multilinguismo, non solo italiano e sloveno, ma anche friulano e ovviamente inglese, per ragioni familiari, ricordi di infanzia e professionali. La prof.ssa Vasta, inoltre, esprime ottimismo nel poter usare le risorse dipartimentali anche per attivare corsi per lo sloveno e vede nella conoscenza delle lingue «la cifra del futuro e dell’integrazione europea».
3.4 Marginalità e identità di confine di Nova Gorica e Gorizia: differenza rispetto a Lubiana e Roma
Dalle esperienze dei principali attori locali uniti nel programmare il futuro di queste due città emerge la consapevolezza di un posizionamento “marginale” di Gorizia e Nova Gorica in relazione al “centro”, sia per quanto riguarda l’Italia che la Slovenia. Le persone di confine sentono che la loro specificità e particolarità non è stata mai (e non viene ancora) abbastanza valorizzata da Roma e Lubiana, non essendoci una sensibilità verso le identità transfrontaliere, dal momento che lo Stato-nazionale svolge una funzione centralizzante ed in un certo senso “omogeneizzante”, livellando le differenze. Questo atteggiamento problematico da parte delle capitali Roma e Lubiana è emerso in maniera esemplare durante l’epidemia da Covid, quando sono state imposte delle restrizioni alla libera circolazione delle persone da una parte all’altra del confine.
Su questo convergono le parole dei due sindaci: «La pandemia ci ha detto ancora una volta che le politiche e le misure di Lubiana e Roma non sono sensibili ai bisogni locali, e che i decisori lì troppo spesso ignorano la realtà di una città. Le due Gorizie possono servire da laboratorio per sviluppare un modello che può essere utilizzato per altre regioni transfrontaliere europee» (Miklavič); «La nostra ricchezza è la sommatoria di due identità diverse. Due terre ai margini che hanno la possibilità di costruire qualcosa di importante» (Ziberna).
Paradossalmente, forse proprio questa nuova divisione pandemica, con l’erezione di nuove barriere divisorie inimmaginabili dal tempo dell’ingresso della Slovenia nel regime di Schengen nel 2007, potrebbe aver favorito la vincita del titolo durante il pieno della seconda ondata della pandemia, grazie anche alla visibilità della notizia dei nuovi confini sui media internazionali nella primavera del 2020.
3.5 Memorie e rappresentazioni
Nessuno degli attori in gioco ritiene sia possibile giungere all’affermazione di una memoria unica sugli eventi del ‘900 che hanno segnato la storia di questo confine: tuttavia, si ribadisce la volontà di poter superare le divisioni e i pregiudizi, puntando ad un futuro segnato da cooperazione su vari livelli, e alla creazione di un nuovo capitolo della storia comune. Non si vuole in generale puntare ad un’identità unica che rappresenti entrambe le città, bensì valorizzare la diversità delle componenti identitarie relative alle comunità presenti. Anche in relazione all’interpretazione della storia recente, la volontà è quella di lasciare sì che la storia del confine venga presentata attraverso visioni multiple, e non sempre coincidenti una con l’altra. Su questo binario dei ricordi nascono le opportunità pensate per i visitatori su «come lungo il confine, dopo le due guerre, può venire interpretata la storia dalla parte slovena e dalla parte italiana» (Bric).
Sui ricordi divisi hanno anche in passato già lavorato in ambito culturale, come la regista Medved intervistata, che ci riporta un documentario sulle memorie personali del confine: con una «raccolta pubblica di memorie, aperto al confine nella serata del 21 dicembre 2007 [data dell’allargamento dell’area Schengen], abbiamo invitato cittadini di Nova Gorica e Gorizia, intervistato persone del loro ricordo di confine e costruito la base per un archivio di memorie congiunte». Medved è ben conscia delle differenze: «è importante parlare della memoria di questo territorio di confine che può parlare a tutti, ma forse non è possibile [di una memoria], perché ogni identità ha il suo protagonista. Abbiamo cercato di aggiungere uno spazio comune, in mezzo, una terza via non esclusiva, uno spazio spirituale [...] L’idea è che possa diventare un album di famiglia della città, in divenire come altri album di famiglia. E lì capire che siamo uguali, nonostante la storia apra memorie diverse. L’archivio può permettere una diversa narrazione che può avere diversa storia con diversi protagonisti in un sistema non gerarchico che può parlare a tutti, piccole storie di vita quotidiana [...] Nel programma di GO! 2025 hanno messo questo progetto: un’ambulanza che va a visitare villaggi di confine invitando le persone a portare documenti della memoria visiva che colleghi la loro famiglia alla storia attraverso le memorie di famiglia collegate alla fotografia».
3.6 Dagli ostacoli del presente alle sfide del futuro
Uno degli obiettivi dichiarati è quello di riuscire a creare un modello di cooperazione, di “buona pratica” fra le due città che possa poi essere “esportato” anche in altre zone d’Europa, in altre aree transfrontaliere. All’interno delle buone pratiche vi sono le soluzione dei punti di debolezza in una direzione trasformativa del territorio, per renderlo maggiormente inclusivo, giovane, sostenibile, interconnesso e green.
Tra le principali sfide iniziali, per Bric, il vivere «in una città che era percepita unita e poi nuovamente divisa dal Covid: due città con completamente diverse amministrazioni; due differenti culture; differenti sistemi (anche di flussi economici)». Per la direttrice artistica del progetto, «uno dei grossi problemi sono le lingue. È veramente necessario che ci comprendiamo e noi dobbiamo parlare entrambe le lingue. Non vedo perché il bilinguismo debba essere ora un problema se prima della Prima guerra parlavamo quattro lingue». Se la lingua è stato uno dei primi ostacoli culturali, superabile attraverso l’esperienza nella progettazione internazionale dell’ISIG, secondo De Sabbata da superare erano due idee: una candidatura a capitale della cultura europea deve rappresentare il superamento di sfide-problematiche nel territorio, anziché essere vista come l’opportunità di una semplice vetrina sul territorio e/o di un finanziamento per continuare a riprodurre le stesse proposte culturali che si sono riprodotte nel tempo. Per cui il percorso è andato dall’acquisizione di fiducia alla condivisione del concetto che: «non basta ripetere, magari ampliata, un’offerta culturale che già c’è, ma bisogna creare qualcosa di unico, di specifico per la Capitale europea della cultura».
Quello che questo progetto vuole lasciare è l’«empowerment delle persone di entrambe le parti» (Bric) che, nei confronti della progettazione europea, anche se di piccole conoscenze, impareranno il processo e acquisiranno la rete di possibili partner. Questo in un orizzonte non solo estremamente sensibile a ricomporre la disequità generazionale, ma anche all’inclusione delle differenze: «si tratta anche di rendersi conto del fatto che il contesto socioculturale è cambiato, che esistono altre comunità importanti numericamente in entrambe le aree o comuni, che anche queste altre comunità hanno altrettanti diritti di produzione e fruizione culturale e che la loro produzione e fruizione culturale possono arricchire l’offerta facendola effettivamente diventare un po’ meno localista» (De Sabbata). Ciò che bisognerà fare è un’intensa e approfondita campagna di comunicazione, per far conoscere le opportunità a tutti delle offerte legate alle attività per e verso la Capitale europea della cultura.
Infine, le ricadute turistiche non sarebbero soltanto su Gorizia, Nova Gorica e dintorni, ma gli organizzatori auspicano che questo sviluppi l’attrattività di un’area più vasta, considerata la possibile mobilità da Liubljana a Venezia: i visitatori potrebbe fruire degli eventi della Capitale culturale europea in determinate fasce pomeridiane o serali, sostare fuori Gorizia, viaggiare il resto del tempo e scegliere, considerata la vicinanza di molte attrazioni e possibilità, di sostare più a lungo.
Le conclusioni di un testo rappresentano un confine. Ma la storia, i suoi protagonisti, come il confronto documentale e le interviste condotte, raffigurano due città, Gorizia e Nova Gorica, emblema insieme di come la parola confine implichi inesorabilmente il suo stesso superamento. Per cui anziché porre un paragrafo che chiuda questo lavoro d’indagine su un percorso ancora aperto, che di fatto è, dal tempo iniziale (quattro anni fa), a metà strada della sua realizzazione, troviamo più appropriato un ultimo paragrafo di apertura propositiva anziché di chiusura.
Qualcosa di grandioso è stato fatto, partendo dalla lungimiranza proattiva di un piccolo gruppo di persone. Questi gli elementi emersi che hanno reso possibile questo successo, che ci sentiamo di definire senza precedenti: la percezione che l’espressione materiale della cultura storica e artistica fosse su Gorizia; l’immaginario di un orizzonte condiviso, di un fiume che non separa le due città, ma le lambisce entrambe dalla stessa parte, per cui elemento di affinità e continuità; la storia e la cultura del territorio e delle sue identità; l’idea che una candidatura congiunta potesse portare un valore aggiunto; un serio lavoro di ricerca; enormi esperienze e professionalità coinvolte; l’alleanza istituzionale e la cooperazione transfrontaliera.
Se le diverse lingue (dove a queste si associano identità e culture) coinvolte rappresentano i punti cardinali di questo percorso, auspichiamo che la stella polare della sua concretizzazione possa essere l’inclusività. Come evidenziato in un’intervista: diverse sono le comunità (e con esse associazioni e persone) da poter coinvolgere; la più estesa partecipazione rappresenterebbe un ulteriore valore aggiunto, impedendo il rischio di autorefenzialità sul confine stesso, ammonimento ricevuto tra l’altro nella prima fase di valutazione del progetto.
La proposta che ci sentiamo di suggerire, per raggiungere il coinvolgimento più soddisfacente è quello della “comunicazione partecipativa”, che viene utilizzata per passare «da una logica verticale ad una logica orizzontale, dalle proposte a breve termine alle proposte a lungo termine, dai prodotti ai processi; da una prospettiva individuale ad una comunitaria» (Del Valle, 1997) (Buraschi et al. 2017: 17). È alla base della creazione di ecosistemi comunicativi (Martin Bandero, 1999), dove tutti partecipano al cambiamento, anche in chiave culturale per la costruzione di nuove cornici di senso e significato (Nos Aldas, 2007), attraverso un processo di empowerment nel quale le persone assumono le capacità e la responsabilità della partecipazione: tutti concetti emersi nel nostro lavoro di ricerca. Non v’è dubbio che Nova Gorica – Gorizia 2025 Capitale europea della cultura sia un enorme successo per il territorio coinvolto, ora, indubbiamente uno dei compiti da portare avanti sarà quello di renderlo di tutto il territorio.
Dialoghi Mediterranei, n. 50, luglio 2021
[*] Seppure il lavoro sia frutto di riflessione comune, le parti 1.1, 1.3, 1.4, 1.5, 1.6, 3.3, 3.4, 3,5 sono da attribuirsi a Giustina Selvelli, le parti 1.2, 1.7, 2, 3.1, 3.2, 3.6 e 4 a Nicola Strizzolo.
Note
[1] Per quanto riguarda la prima, essa include la lingua tedesca, che rivestiva qui un ruolo fondamentale a livello ufficiale durante il periodo asburgico, ed è poi rimasta come retaggio saliente in ambito culturale anche dopo la caduta dell’impero, venendo insegnata a lungo come principale lingua straniera nelle scuole ( poi superata dall’inglese); per la famiglia slava si tratta ovviamente dello sloveno, lingua storicamente presente a Gorizia e quella ufficiale in Slovenia, nonché lingua della minoranza slovena in Italia, che si diversifica nei suoi tanti dialetti locali, ma anche del serbo-croato, lingua ufficiale della Jugoslavia che raggiunse questi luoghi grazie alle dinamiche di migrazione interna che coinvolsero i lavoratori provenienti dalle altre repubbliche. In relazione alla famiglia linguistica romanza troviamo l’italiano, ma anche la lingua friulana, nonché il dialetto locale di origine veneta introdotto attorno al XVI secolo dalle truppe di occupazione della Repubblica di Venezia.
[2] La denominazione sostituì quella di “Regno dei Serbi, Croati e Sloveni” nel 1929.
[3] Specifichiamo, per non fare un torto a nessuno degli esclusi, che sono solo esempi che rappresentano un contesto di protagonisti e attività decisamente più ampio e che la nostra ricostruzione, considerata l’economia del testo, non può avere alcuna presunzione di esaustività descrittiva della realtà.
[4] Cfr. “Gorizia-Nova Gorica. L’idea di città unica divide gli intellettuali”. Servizio di Alex Pessotto, nella sezione “Gorizia”, de Il Piccolo, di giovedì 29 aprile 2021: 21.
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Giustina Selvelli, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di studi linguistici e culturali comparati dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove ha conseguito il suo Dottorato di ricerca in slavistica, è stata Assistant Professor in antropologia culturale presso l’Università di Nova Gorica, Senior Scientist in multilinguismo presso l’Università di Klagenfurt ed Erasmus Mundus Postdoctoral F ellow presso l’Università di Novi Sad. Ha tenuto insegnamenti e seminari sui temi della sociolinguistica delle minoranze etniche e della globalizzazione presso l’Università di Klagenfurt, il Balkar Institute for Balkan and Black Sea Studies della Yildiz Technical University di Istanbul e all’Università dell’Egeo a Mitilene (Grecia). La sua monografia The Alphabet of Discord. The Ideologization of Writing Systems on the Balkans since the Breakup of Multiethnic Empires sarà pubblicata nell’autunno 2021 nella collana Balkan Politics and Society della casa editrice Ibidem (Stuttgart).
Nicola Strizzolo, professore in Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università degli Studi di Udine, è anche professore invitato di Sociologia presso il Seminario interdiocesano San Cromazio e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose delle diocesi di Gorizia, Trieste e Udine. Tra le sue numerose pubblicazioni in tema di formazione a distanza, media e devianza, comunicazione e relazioni pubbliche: La comunicazione eclettica. Le dimensioni comunicative nella web society (con A. Pocecco e C. Melchior, Franco Angeli 2019); cocuratore di “Spettacolarizzazione della disabilità: media, estetizzazione e riconoscimento”, numero 2/2020 della rivista scientifica Salute&Società edita da FrancoAngeli; per le Edizioni Gutenberg è in uscita il volume Narcisismo 2.0? Tra cultura, comunicazione e web society.
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