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Gramsci e Pasolini, un dialogo di affinità politiche e intellettuali

317745661_2395589693922414_7809023686731561198_ndi Francesco Virga

L’ anno scorso sono stati pubblicati gli Atti di un importante Convegno di studi, svoltosi a Casarsa della Delizia (UD), intitolato: Il Gramsci di Pasolini. Lingua, letteratura e ideologia, a cura di Paolo Desogus (Marsilio Editori, Venezia 2022). Il curatore degli Atti, pur rilevando che tra i tanti che hanno influito sull’opera di Pasolini «pochi, anzi pochissimi sono stati rilevanti quanto Antonio Gramsci», ha dovuto riconoscere che «il confronto con Gramsci rappresenta ancora oggi una lacuna nella critica pasoliniana» [1]. Il Convegno si prefiggeva di colmare questa lacuna e, visti gli Atti, si può certamente considerare raggiunto l’obiettivo prefisso.

Pasolini e Gramsci: un’ostinata fedeltà

Paolo Desogus ha dato questo titolo alla sua relazione introduttiva sostenendo, sulle orme di Gianfranco Contini, che il rapporto di Pasolini con Gramsci – «Con te e contro te», espressione che si trova nelle famose Ceneri di Gramsci del poeta bolognese – è stato problematico fin dal principio. D’altra parte Pasolini cita per la prima volta Gramsci, in modo sommario, soltanto nel 1952, introducendo la sua antologia sulla poesia dialettale del 900.

ac79e0eb-df3f-46d7-88d5-2065280db6c0L’opera di Antonio Gramsci (1891-1937), come è noto, è postuma e comincia a circolare in Italia soltanto dopo la pubblicazione della prima edizione delle Lettere (1947) e dei Quaderni del carcere (1948-1951) nell’ edizione tematica voluta da Togliatti. Pasolini soltanto a partire dal 1960 mostra in modo chiaro di padroneggiare le categorie gramsciane. Forse anche per questo lo studio dell’influenza del pensatore sardo sull’autore corsaro è stata a lungo trascurata.

 Ma la vera ragione di questa distrazione, secondo Desogus, è dovuta alla particolare ricezione di Gramsci in Italia e al tortuoso percorso del marxismo negli studi letterari che, «proprio mentre esplodeva l’interesse critico verso Pasolini, hanno subìto la forte attrazione del post-strutturalismo, del pensiero debole e di altre tendenze molto distanti dai Quaderni del carcere» [2] .

É probabile che, in un primo momento, Pasolini sia rimasto colpito dalla statura morale dell’uomo chiuso in carcere dal regime fascista. Statura che emerge fin dalla prima edizione del suo epistolario che nel 1947 ha un successo straordinario di pubblico e di critica. Basti ricordare la recensione entusiastica che ne fece Benedetto Croce e il Premio Viareggio.  

A Pasolini il comunista sardo appare «tanto più libero quanto più segregato dal mondo, in una situazione suo malgrado leopardiana, ridotto a puro ed eroico pensiero» [3]. L’immagine di un Gramsci leopardiano torna in un passaggio centrale dell’intervista rilasciata ad Arbasino nel 1963, dove afferma: «L’unico antenato spirituale che conta è Marx e il suo dolce, irto, leopardiano figlio, Gramsci» [4].

9788811688921_0_536_0_75È certo, comunque, che nei suoi primi anni friulani (1946-1949), pur avendo letto poco o nulla di Gramsci, nel dirigere la sezione del PCI di un paesino friulano, partecipa a quella che Ernesto De Martino ha definito l’«irruzione nella storia del mondo popolare subalterno» dando il suo originale contributo alle lotte bracciantili di quegli anni, come mostrano alcune pagine del suo Sogno di una cosa [5].

Desogus ricorda opportunamente anche una significativa testimonianza di Pasolini di vent’anni dopo, laddove il poeta afferma che il suo interesse per Gramsci, oltre che a ragioni teoriche, era legato all’importanza che lui attribuiva al mondo contadino nella prospettiva rivoluzionaria.

Ma a spiegare ancora meglio le ragioni per cui, dopo gli anni ottanta del 900, gli studi pasoliniani hanno ignorato quasi del tutto i debiti di Pasolini verso Gramsci, è soprattutto «l’egemonia neoliberale» che si afferma in Italia e in Europa dopo il 1989. Si assiste, infatti, allora, osserva giustamente Desogus, ad «una vera e propria smobilitazione, accompagnata da riposizionamenti e persino da abiure»; così nel nostro Paese tanti ex comunisti arrivano a considerare lo stesso Gramsci «un vecchio rottame del passato» [6]. Eppure, malgrado tutto, dopo il crollo del muro di Berlino e dell’URSS, Gramsci ha mostrato una resistenza imprevista ed ancora oggi, nel mondo intero, rimane uno dei pochi marxisti letto e studiato [7]. Da qui la recente ripresa d’interesse per l’opera aperta di Antonio Gramsci e la nuova attenzione sui debiti di Pasolini nei suoi confronti di cui è documento il libro che stiamo esaminando.

Il contesto

L’ Introduzione di Paolo Desogus è seguita dalle relazioni di Francesco Giasi e Angelo d’Orsi che si soffermano ad analizzare il contesto storico in cui avvengono i primi incontri tra le opere di Gramsci e quelle di Pasolini. Giasi dirige la Fondazione Gramsci dal 2016 ed è membro della Commissione scientifica dell’Edizione Nazionale degli Scritti di Antonio Gramsci tuttora in corso di stampa. Lo studioso ricostruisce attentamente la storia delle prime edizioni delle opere del sardo e la loro risonanza in Italia dal 1945 al 1975, soffermandosi anche sui punti meno noti e più controversi. Ad esempio, appare interessante la ricostruzione della contesa tra socialisti e comunisti sulla preziosa eredità di Gramsci negli anni suddetti [8]. E fa bene a rilevare l’originalità del marxismo gramsciano che, nei primi terribili anni trenta del secolo scorso, non esita a criticare un autorevole esponente del marxismo-leninismo sovietico [9].

30165032402Allo storico delle idee Angelo d’Orsi, autore di una recente biografia gramsciana, nel corso del Convegno, è stato affidato il compito di analizzare il contesto in cui Pasolini scrive le sue celebri Ceneri di GramsciD’Orsi ricorda la rivolta ungherese del 1957, scoppiata negli stessi mesi in cui Pasolini pubblica le sue Ceneri. L’allineamento dei comunisti italiani alla reazione sovietica provocherà tante polemiche e l’allontanamento dal PCI di Togliatti di tanti intellettuali. D’Orsi non manca di rilevare la passione linguistica di Pasolini che lo conduce a scoprire quella di Gramsci e dà anche il giusto rilievo alla rivista “Officina”, creata da Pasolini nel 1955 insieme a Roberto Roversi e Francesco Leonetti.

Lingua e popolo

La relazione del linguista Stefano Gensini ha occupato un posto centrale sia nel Convegno che nel libro che ne raccoglie gli Atti. Gensini dimostra come l’analisi gramsciana del linguaggio, che attraversa tutti i suoi Quaderni, è stata la via principale che ha permesso a Pasolini di fare suo il pensiero di Gramsci. É lo stesso Pasolini, infatti, a richiamare più volte nei suoi scritti un principio fondamentale del pensatore sardo: «ogni volta che affiora, in un modo o nell’altro, la quistione della lingua significa che si sta imponendo una serie di altri problemi» [10].

La lingua d’altronde non si riduce al linguaggio in senso stretto; la lingua, per Gramsci, è anche «cultura e filosofia (sia pure nel grado di senso comune), […] molteplicità di fatti più o meno organicamente coerenti e coordinati» in modo tale che «al limite ogni essere parlante ha un proprio linguaggio personale, cioè un proprio modo di pensare e di sentire» [11].

L’ incontro con i Quaderni del carcere di Gramsci dà a Pasolini la chiave di accesso ad un marxismo e a un comunismo diverso di quello che aveva amaramente sperimentato da giovane con l’assassinio del fratello partigiano e l’espulsione dal PCI per indegnità morale e politica. Pasolini trova teorizzato nei Quaderni un modo di porsi dell’intellettuale rispetto al popolo molto vicino alla sua personale sensibilità.

Fin dalle prime righe del Quaderno 11 (riportate nell’edizione Platone-Togliatti all’inizio del Materialismo storico) Gramsci insiste sull’idea che ogni essere umano, storicamente determinato, sia portatore di una sua filosofia, per quanto disorganica, fatta essenzialmente di senso comune. É questa la base sulla quale deve innestarsi ogni tentativo di portare le classi subalterne a una coscienza critica. Ma farlo non è facile perché «una delle maggiori debolezze delle filosofie immanentistiche consiste appunto nel non aver saputo creare una unità ideologica tra il basso e l’alto, tra i semplici e gli intellettuali» [12]. A tal fine l’intellettuale deve riuscire a far proprio, con passione e convinzione, il punto di vista delle classi subalterne. Scrive infatti Gramsci:

«L’errore dell’intellettuale consiste nel credere che si possa sapere senza comprendere e specialmente senza sentire ed essere appassionato […], cioè che l’intellettuale possa esser tale (e non un puro pedante) se distinto e staccato dal popolo-nazione, cioè senza sentire le passioni elementari del popolo comprendendole e quindi spiegandole  e giustificandole nella determinata situazione storica e collegandole dialetticamente alle leggi della storia, a una superiore concezione del mondo, scientificamente e coerentemente elaborata;  non si fa politica-storia senza questa passione, senza questa connessione sentimentale tra intellettuali e popolo-nazione. In assenza di tale nesso i rapporti dell’intellettuale col popolo-nazione sono o si riducono a rapporti di ordine puramente burocratico e formale» [13].       

asor-rosa-scrittori-e-popolo-1200x1811Questo passo dei Quaderni, condiviso pienamente da Pasolini, negli anni sessanta del secolo scorso venne frainteso da tanti; Alberto Asor Rosa ne fece persino la caricatura arrivando ad accusare i due di populismo [14]. Laddove, osserva giustamente Gensini, si trattava – soprattutto in Gramsci – esattamente del contrario.

Nella parte finale della sua relazione Gensini si sofferma ad analizzare gli scritti linguistici di Pasolini del 1964-1965, tra i più gramsciani dell’intera opera sua, e di quella parte degli Scritti corsari (1973-1975) imperniati sull’analisi del linguaggio e del comportamento giovanile.

A metà degli anni sessanta con una conferenza intitolata Nuove questioni linguistiche, il cui testo venne pubblicato sul settimanale comunista Rinascita, Pasolini colse in alcuni segni del mutato linguaggio politico nazionale l’inizio di un profondo cambiamento della società italiana.  Ancora una volta il poliedrico scrittore venne frainteso e frontalmente attaccato da linguisti e sociologi che vedevano invaso il loro campo da un dilettante privo di autorità. Ma a parte il fatto che Pasolini, in successivi interventi, ridimensionò la portata delle sue affermazioni, osservando di aver voluto indicare soltanto delle linee di tendenza che confermavano l’intuizione gramsciana sulla stretta relazione esistente tra cambiamenti economici e sociali e cambiamenti culturali e linguistici, Gensini finisce per dare ragione a Pasolini che seppe cogliere in anticipo la profonda trasformazione della società italiana.

Le successive letture semiologiche, antropologiche e psicoanalitiche compiute dallo scrittore corsaro nei primi anni settanta, secondo Gensini, non contraddicono il suo precedente approccio gramsciano ai problemi ma lo aggiornano. Così gli interessi semio-linguistici dell’ultimo Pasolini si innestano sulla base gramsciana dando nuovi e più affinati strumenti a quella attenzione verso il senso comune e la cultura popolare.

318001143_2395589747255742_7549286445050475905_nIl linguaggio del comportamento offre dunque un nuovo immenso scenario per leggere quel che si muove nei processi egemonici del presente e che sfugge alle analisi condotte in termini angustamente economico-politici. Un caso esemplare dell’applicazione di questo metodo è l’articolo che pubblica il 7 gennaio 1973 sul Corriere della Sera a proposito dei capelloni.

Che Pasolini non avesse comunque dimenticato Gramsci è dimostrato dall’ultimo suo intervento pubblico, in un Liceo di Lecce, qualche giorno prima di essere brutalmente tolto dalla circolazione. Allora Pasolini, senza smentire il suo spirito critico, ha esortato i presenti a non imbalsamare la lezione gramsciana e a cercare insieme «un nuovo modo di essere gramsciani» [15].

Non riprendo le altre relazioni raccolte in questo bel volume perché sostanzialmente non aggiungono né tolgono nulla alle tesi fin qui esposte. Permettetemi solo di ringraziare Stefano Gensini per aver ricordato il saggio Lingua e potere in Pier Paolo Pasolini, pubblicato 12 anni fa su Quaderns d’Italia, una rivista dell’Università di Barcelona [16]. Il primo capitolo di quel saggio s’intitolava Il Gramsci di Pasolini, e fa piacere vedere che, con lo stesso titolo, due lustri dopo una nuova generazione di studiosi si sono raccolti per riflettere sull’eredità di due protagonisti del nostro 900.                                                

          

Dialoghi Mediterranei, n. 64, novembre 2013
Note
[1] DESOGUS, Paolo in Aa.Vv.  Il Gramsci di Pasolini. Lingua, letteratura e ideologia, Marsilio Editori, Venezia 2022: IX
[2] Ivi:4-5.
[3] PASOLINI Pier Paolo, Passione e ideologia, Garzanti, Milano 1960:487 e DESOGUS in op. cit.; 13.
[4] PASOLINI, Intervista rilasciata ad Alberto Arbasino nel 1963, ora in Saggi sulla politica e la società, Mondadori Meridiani 1999: 1573.
[5] DESOGUS, cit.: 7.
[6] Ivi:5.
[7] Ibidem.
[8] GIASI Francesco, La ‘risonanza’ degli scritti di Gramsci. Edizioni e letture dal 1945 al 1975, in op. cit.:37-59.  
[9] Giasi si riferisce alla famosa critica gramsciana al materialismo volgare di N. Bucharin, cit.: 45
[10] GRAMSCI, Q. 29: 2346.
[11] GRAMSCI, Q.11: 1330.
[12] Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Editori Riuniti, Roma 1971: 9. Questa edizione riproduce la prima edizione tematica del dopoguerra pubblicata da Einaudi. Pasolini non fece in tempo a vedere l’edizione critica dei Quaderni stampata qualche mese prima del suo assassinio.
[13] Ivi:13. Celebre passo dei Quaderni che Gensini riproduce per esteso
[14] Asor Rosa, Scrittori e popolo, Samonà&Savelli, Roma 196,
[15] Gensini Stefano, cit.:108.
[16] Stefano Gensini cita il mio saggio in una ampia nota di p.87.

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Francesco Virga, laureato in storia e filosofia con una tesi su Antonio Gramsci nel 1975, fino al 1977 lavora con Danilo Dolci nel Centro Studi e Iniziative di Partinico. Successivamente insegna Italiano nelle scuole medie della provincia di Palermo. Nel 1978 crea il Centro Studi e Iniziative di Marineo che continua ad animare anche attraverso un blog. È stato redattore delle riviste «Città Nuove», «Segno» e «Nuova Busambra». Tra le sue pubblicazioni si ricordano: Il concetto di egemonia in Gramsci (1979); I beni culturali a Marineo (1981); I mafiosi come mediatori politici (1986); Cosa è poesia? (1995); Leonardo Sciascia è ancora vivo (1999); Pier Paolo Pasolini corsaro (2004); Giacomo Giardina, bosco e versi (2006); Poesia e storia in Tutti dicono Germania Germania, di Stefano Vilardo (2010); Lingua e potere in Pier Paolo Pasolini (2011); Danilo Dolci quando giocava solo. Il sistema di potere clientelare-mafioso dagli anni cinquanta ai nostri giorni (2012); Giuseppe Giovanni Battaglia, un poeta corsaro, in Aa. Vv. Laicità e religiosità nell’opera di G.G. Battaglia (2018); Eredità dissipate. Gramsci Pasolini Sciascia, Diogene editore Bologna 2022.

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