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Hans Küng. Una battaglia lunga una vita

copertina

Hans Küng

di Leo Di Simone

È morto lo scorso 6 aprile all’età di 93 anni Hans Küng, uno dei più grandi teologi, se non il più grande, che hanno ispirato e interpretato il Concilio Vaticano II e animato il postconcilio. Considerato da sempre antagonista di Joseph Ratzinger è stato una spina nel fianco e al tempo stesso un pungolo efficace per la teologia cattolica e non solo; anche un punto di riferimento della cultura internazionale. La sua opera teologica monumentale, costituita da tomi di migliaia di pagine, è ancora tutta da indagare, per cui appare prematuro un qualsiasi giudizio epistemologico, serio e non pregiudizievole, che probabilmente potrà cominciare ad essere balbettato da una successiva generazione di teologi. La nostra, almeno in Europa, non si è ancora completamente liberata dalle pastoie di una tradizione dogmatica che tende a rinchiudere Dio in concetti ideali standardizzati e fissi. Küng ha rotto gli schemi, gli equilibri raggiunti che si credevano definitivi e intoccabili e ha creato il panico; per l’audacia di voler oltrepassare le Colonne d’Ercole della teologia e farla navigare nell’immensità oceanica delle relazioni con tutte le dimensioni antropologiche. Una navigazione non priva di rischi e pericoli ma comunque una decisione coraggiosa che ha voluto far uscire la teologia dal piccolo stagno in cui si era impantanata.

Küng ha vivisezionato duemila anni di storia e pensiero cristiani per ritrovare il bandolo dell’intricata matassa del cristianesimo come religione, come fede, come cultura, come evento storico che ha sconvolto i precedenti assetti planetari; e lo ha fatto con una finalità precisa: «per comprendere meglio noi stessi in tutte le nostre dimensioni: ragione e cuore, coscienza e subconscio, storia e società, scienza e cultura» [1]. Ha messo in parallelo i dubbi della fede con il desiderio della certezza che caratterizzano l’homo religiosus, in un discorso che passa attraverso le vecchie confessioni e le più svariate ideologie, per indagare le ragioni del credere in Dio come quelle dell’ateismo filosofico, la relazione tra il Dio della Bibbia, quello dei filosofi e quello delle più importanti religioni mondiali, frugando tra l’enorme mole di materiale depositato nei magazzini della nostra contemporaneità culturale. Lì ha indagato l’essenza del cristianesimo, il suo nocciolo duro, la sua vera origine, insieme all’origine e al senso della Chiesa nella sua dimensione essenziale e nella variegazione prodotta dalle sue frantumazioni in confessioni e settarismi. Per tale lavoro ha coniugato tra loro elementi tra i più disparati, come la Rivoluzione francese e la teoria della relatività, la scienza naturale e la politica, l’epistemologia e la psicoanalisi, la storia delle religioni e la critica della religione, l’antropologia e la metafisica, il pensiero filosofico e l’arte, l’economia e la morale. Cosa non ha coinvolto nella sua teologia?

foto-1Era convinto che la teologia contemporanea non può assolvere adeguatamente il proprio compito senza conoscere le grandi correnti spirituali, politiche, sociali e culturali del suo tempo. La teologia cristiana, in quanto discorso responsabile sulla fede cristiana, richiede una conoscenza riflessa della contemporaneità se vuole raggiungere e soprattutto convincere gli uomini di oggi. Non può limitarsi a infiocchettare i dogmi con le petizioni di principio studiatamente più ammalianti e restare nel compiacimento di una autoreferenzialità monotona e inutile. Deve tener conto dei cambiamenti epocali del passato e di quelli in atto. Tutta l’opera di Küng è metodologicamente scandita dall’analisi dei cambiamenti di “paradigma” ispiratagli dal filosofo della scienza americano Thomas Kuhn per il quale il termine “paradigma” indica l’insieme di teorie, leggi e strumenti che definiscono una tradizione di ricerca in cui le teorie sono accettate universalmente. Poi accadono, in seguito a nuove scoperte, le rivoluzioni scientifiche, e nuovi paradigmi prendono il posto dei precedenti. Tale analisi ha permesso a Küng di ordinare sistematicamente le materie da lui trattate, di imprimergli rigore scientifico e di aiutarlo nella comprensione del presente storico, testimone di un epocale cambiamento di paradigma.

«Sono convinto – diceva già nel 1989 – che oggi noi tutti, sia in Europa, in Asia, in Africa sia in America, ci troviamo nel mezzo di un nuovo mutamento epocale, di una nuova svolta storica, e precisamente nel passaggio dalla modernità al “postmoderno”. Comunque si voglia intendere il temine “postmoderno”, è incontestabile che sta giungendo a maturazione la crisi dei valori della modernità (scienza, tecnologia, industria, democrazia) finora dominanti. […] Questo cambiamento di paradigma però non è l’esito di una crisi storica recente; esso ha iniziato a profilarsi sempre più chiaramente già dalla fine della prima guerra mondiale […] allorché l’Europa cominciò a perdere la sua posizione di predominio mondiale ed ebbe inizio un’epoca postimperialista, postcolonialista, postconfessionale…» [2].

Hans Küng, a differenza di tanti altri, ha semplicemente preso coscienza di essere esistenzialmente coinvolto nel travaglio del cambiamento di paradigma, se non altro per una questione anagrafica; un travaglio che ha animato tutta la sua lunga esistenza testimone di mutazioni progressive e inarrestabili delle quali ha reso puntualmente conto nella sua colossale autobiografia (1184 pagine): Una battaglia lunga una vita. Idee, passioni, speranze. Il mio racconto del secolo [3]. Un’autobiografia sui generis, che oltre a raccontare il suo cammino di fede, la sua vocazione al sacerdozio, i suoi studi, la sua carriera di teologo, ciò che lui chiama «piccola storia», ne narra una più grande, quella della Chiesa cattolica e della teologia nella società del mondo contemporaneo. La prima storia racconta la sua vita, che è stata dura e piena di battaglie, ma «al contempo molto interessante». E alla fine, dice, «malgrado diverse esperienze dolorose, il mio bilancio è positivo: sono rimasto cristiano, cattolico, teologo, e prete con tutte le facoltà, malgrado pensino che sia troppo pericoloso per i seminaristi di teologia! Mi ritengo fortunato, anche rispetto ad altri teologi francesi che hanno avuto un destino ben più doloroso, e che non hanno sopportato questo delirio…»  [4]. E si riferisce al delirio delle mortificazioni subite da tanti eminenti teologi bacchettati da una gerarchia ecclesiastica che voleva coartarne la libertà intellettuale in nome di un fissismo dogmatico invocato a presidio di una concezione autoritaria di ortodossia. Uscire fuori da schemi prestabiliti e precostituiti era ed è considerato un attentato al principio di autorità che per secoli ha regolato la storia drammatica e complessa del cristianesimo e del cattolicesimo in particolare.

foto-2In Una battaglia lunga una vita Küng narra la genesi del mutamento del suo “paradigma” intellettuale, della sua conversione, così come convenzionalmente ma ambiguamente si traduce il termine greco metànoia, che dal verbo metanoeo significa letteralmente “cambiare pensiero”. Se cambia il paradigma storico se ne deve intellettualmente trovare uno che lo interpreti autenticamente, un nuovo modo di pensare e vedere la realtà, anche quella che sembra eternamente definita. Fin da giovane si era interessato a ciò che succedeva veramente nel mondo; da studente di teologia ebbe anche la fortuna di conoscere i grandi teologi dell’inizio del XX secolo, a Roma, in Svizzera e a Parigi, cosa che lo ha molto gratificato e irrobustito intellettualmente. Decise perciò di allargare i suoi orizzonti e così le sue sfere di interesse sono diventate molteplici: dalla cristologia all’unità della Chiesa, dall’ecumenismo alla pace tra le religioni, fino al dialogo interreligioso, ai rapporti tra scienza e fede, ai problemi nella vita della comunità universale, all’estetica e all’analisi musicale… ma sempre mantenendo il centro nella fede cristiana, e senza mai perdere di vista la sfera teologica nel considerare altre cose.

Un fatto fu però decisivo nel mutamento del suo paradigma mentale: il rigetto, da parte di papa Pio XII, dei preti operai. Ne rimase sconvolto. Fu lì che cominciò a dubitare dell’autorità pontificia e del “sistema” Chiesa [5] che parecchi anni dopo gli farà pubblicare il libro con un grosso punto interrogativo rosso sulla copertina e dal titolo: Infallibile? [6]. Per questo libro che metteva in dubbio la cosiddetta infallibilità papale, nove anni dopo (!), all’esordio del suo pontificato, Giovanni Paolo II lo privò della qualifica di teologo cattolico, senza altre sanzioni. Ciò non impedì al Senato accademico dell’Università di Tubinga di prenderlo sotto la propria tutela, consentendogli di continuare il suo insegnamento presso l’Istituto per la Ricerca Ecumenica che Küng stesso aveva fondato. Küng, così, pensò che la sua attività di teologo avrebbe dovuto votarsi ad una più approfondita comprensione della forma presente del cristianesimo: «Non è il passato in quanto tale che mi interessa qui, ma come e perché il cristianesimo è divenuto quello che è oggi, in vista di quello che potrebbe essere» [7].

foto-3Il «grosso libro sul cristianesimo» fu la risposta radicale alla costatazione della «sua grande crisi», a partire dall’interrogativo: «Esiste davvero il cristianesimo o non si tratta piuttosto di diversi cristianesimi: l’ortodosso-orientale, il cattolico-romano, il protestantico-riformato»? Che relazione c’è tra «il sistema romano, il tradizionalismo ortodosso, il fondamentalismo protestante» in quanto «manifestazioni storiche del cristianesimo, che non sono sempre esistite e che un giorno scompariranno» perché «non fanno parte dell’essenza del “fatto” cristiano!» [8]. E non è stato facile illustrare, in un altro migliaio di pagine, la sintesi di un bilancio critico e storico di venti secoli di cristianesimo, tracciare una visione multidimensionale delle sue «costellazioni complessive» che vanno da quella eurocentrica della modernità a quella policentrica della «postmodernità postcolonialista e postimperialista», che tenga conto delle inculturazioni e delle acculturazioni africana, asiatica, americana settentrionale e meridionale e oceanica… su una linea d’orizzonte universale, cioè “cattolica”. Un’opera molto diversa dai soliti manuali di storia della Chiesa; di fatto sfruttando il metodo paradigmatico Küng ha messo in luce le strutture dominanti di un processo bimillenario, individuato l’origine e la maturazione delle costellazioni complessive del cristianesimo, descritto la sopravvivenza nel presente di paradigmi sclerotizzati nella “tradizione”; perché «i paradigmi più antichi non scompaiono con l’avvento del nuovo, ma continuano a svilupparsi parallelamente al nuovo paradigma» [9].

Tale modo di procedere, fattosi metodo in Küng, ha trovato opposizioni decise e talvolta feroci nel conservatorismo ecclesiastico. Non è indifferente il metodo nella ricerca scientifica. E quando la ricerca riguarda la storia essa va attraversata tutta, fino allo stremo delle forze e all’usura di tutti gli strumenti a disposizione. L’analisi approfondita dei diversi paradigmi del cristianesimo, diacronicamente e sincronicamente, ha messo sostanzialmente in evidenza la differenza tra due diverse linee di pensiero, due differenti visioni e considerazioni dei paradigmi stessi, dando luogo alla battaglia sulle interpretazioni degli assunti fondamentali. La forte contrapposizione tra Küng e Joseph Ratzinger, prima che diventasse Benedetto XVI, non è stata di natura personale, né poteva esserlo data la natura mite dei due protagonisti, ma è consistita nel fatto che si sono trovati a capeggiare posizioni del tutto opposte in riferimento a paradigmi differenti. Per Küng il paradigma più importante per comprendere il cristianesimo è quello della sua origine nel giudaismo, il paradigma di base. Un fatto parecchio trascurato nella teologia cattolica. Per Ratzinger il cristianesimo è cominciato solo grazie all’incontro tra il messaggio biblico e la filosofia greca, che ha consentito la formulazione dei dogmi sorretti da una griglia filosofica ed un lessico peculiare che parlava di natura, di ipostasi, di sostanza e di consustanzialità per definire il mistero di Dio e di Gesù Cristo. L’obiezione di Küng è che oggi non si può continuare a fare teologia servendosi di quelle «categorie greche allora indispensabili, ma oggi insufficienti». Si chiede: «Come può un europeo o un americano medio, come può a maggior ragione un ebreo, un cinese, un giapponese, un africano raccapezzarsi in quel linguaggio cifrato di conio greco?» [10]. Eppure è stato questo cristianesimo di stampo ellenistico, almeno in quanto a lingua e concettualità, ad avere la meglio sul giudeo-cristianesimo, a fare la storia. Pur senza voler svalutare la sua importanza dottrinale per lo sviluppo storico della fede cristiana Küng, concordando con Karl Rahner, ritiene che quelle formule vanno viste «più come inizio che come fine» [11].

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Karl Rahner e Joseph Ratzinger

Eppure la storia della Chiesa ha mostrato che esse sono state perfino finalizzate e che quel paradigma ha resistito fino ai nostri giorni. Questo e il successivo, quello “romano-cattolico”, a cui Ratzinger, secondo Küng, è molto affezionato perché attribuisce somma importanza al ruolo del papato, anzi «all’assolutismo del papato». Ed è qui che muove le critiche al ministero petrino assunto dal suo antico collega di Tubinga: «Si è fissato sul problema del papato, visto come un’istituzione assoluta nell’XI secolo e nella Riforma gregoriana. È lì che è nato quell’assolutismo del papato che nel primo millennio non esisteva. Il clericalismo contro i laici, la legge del celibato e la liturgia: è l’eredità dei Franchi. Anche io ovviamente ho studiato la teologia medievale, ma certo non mi sono fermato lì. Ratzinger invece sì. Quello che descrivo, e che viene confermato anche dalle sue azioni come papa, è molto chiaro. Benedetto XVI considera il processo della Riforma protestante come la volontà di dissolvere il legame della filosofia greca con il cristianesimo, e questo per lui significa la decadenza! Non ha mai condotto un confronto positivo con i riformatori, e non ha ovviamente alcuna simpatia né per l’illuminismo né per la modernità. La dis-ellenizzazione, la decadenza acuita dai progressi delle scienze moderne, la filosofia contemporanea, la concezione dello Stato, la Rivoluzione francese, Darwin, l’evoluzionismo e per finire, momento tra i più “bassi” della storia, la rivolta degli studenti nel 1968, sono veramente per lui dei fattori di declino. Come racconta nella sua autobiografia, alla fine di questo processo verso la decadenza ci sono l’ateismo e l’immoralità. Infine, la differenza tra lui e me è che lui ha finito la sua biografia con Tubinga, con il momento in cui è diventato arcivescovo di Monaco, e non proferisce parola sugli anni seguenti, perché il seguito è una “storia oscura”, e lì si vede che abbiamo scelto due strade molto diverse. Peccato! Abbiamo seguito due cammini diversi ma siamo cattolici, non si può negare che anche io sia un prete cattolico! Non potrei mai lasciare la mia Chiesa, ma sto mostrando con la teologia che bisogna prendere sul serio il Concilio Vaticano II e che l’essenza del cristianesimo è Gesù Cristo, ma quello della storia e non quello dei concili, che sono un’interpretazione ellenistica del Gesù Cristo del Nuovo Testamento» [12].

Niente e nessuno hanno potuto distrarre Küng dal cammino intrapreso. La visione lucida dei paradigmi rintracciati lo ha portato sempre più a focalizzare la sua opera teologica sulla figura davvero paradigmatica del cristianesimo: Gesù di Nazareth. Il suo libro Tornare a Gesù [13] ripercorre quasi in maniera nostalgica quella metànoia vocazionale che ha sostenuto la sua lunga vita a partire dal giovanile innamoramento per la figura enigmatica del Nazareno, fino alla scoperta, tramite lo studio della moderna esegesi, di un Gesù come figura storica viva e perennemente attuale: «Ora che si avvicina la fine della mia attività, dopo aver veleggiato per ampi orizzonti teologici, sento il bisogno e la gioia di tornare al nucleo della mia teologia, là dove batte il mio cuore» [14]. Per Hans Küng il cristianesimo non può essere nulla di astrattamente dogmatico, di rigidamente dottrinario, di rigorosamente istituzionale, ma un percorso di vita in cui «ci si sforza di orientarsi praticamente a questo Gesù Cristo. Di più non è richiesto». Da questa fedeltà a Gesù Cristo nasce la sua stessa attività teologica da molti giudicata controversa: «La mia vita personale, così come ogni altra, con i suoi alti e bassi, e anche la mia lealtà verso la Chiesa si possono comprendere soltanto a partire da questo riferimento. Proprio la mia critica alla Chiesa, come quella di tanti cristiani, scaturisce dalla sofferenza per la discrepanza tra ciò che questo Gesù storico è stato, ha predicato, ha vissuto, ha combattuto, ha patito, e ciò che oggi la Chiesa istituzionale con la sua gerarchia rappresenta. Questa discrepanza è spesso diventata insopportabilmente grande. Gesù nelle trionfali cerimonie pontificie della basilica di San Pietro? Oppure in preghiera con il presidente americano guerrafondaio e Benedetto XVI alla Casa Bianca? O che partecipa a un dispendioso viaggio di Stato con il “Vicario” sulla papamobile? Inconcepibile!» [15].

foto-5Avrebbe desiderato un dialogo più aperto con i papi che ha incrociato nella sua esperienza ecclesiale e teologica. Paolo VI, costatate le sue alte qualità mostrate ai tempi del concilio come “perito”, cioè consulente teologico, avrebbe voluto integrarlo nel sistema romano, ma Küng preferì la libertà di pensiero e di espressione ad una carriera curiale. Quarant’anni dopo il concilio Küng fece memoria delle richieste puntuali e motivate che indirizzò a papa Montini, perché si potessero tradurre più coraggiosamente nella prassi le decisioni di riforma conciliare: «di non fermare il rinnovamento, ma di realizzarlo nel senso della ecclesia semper reformanda» [16]. Ne ebbe una risposta affettuosa ma diplomatica e sibillina, in puro stile montiniano. Con Giovanni Paolo II, come abbiamo accennato, fu rottura sin dall’inizio. Il giudizio che Küng proferisce sul papa polacco è di aver indirizzato gli ordinamenti conciliari nel senso della restaurazione e della conservazione, col paravento di una grande apertura all’esterno. «Non voleva parlare con nessuno che avesse una posizione diversa dalla sua nell’ambito della Chiesa. Era un pontefice che parlava molto del dialogo ma non ha mai condotto nessun vero dialogo con chi non era d’accordo con lui» [17].

Ratzinger non era proprio il suo candidato per la successione a Giovanni Paolo II; tuttavia sperò, ricordando l’antica amicizia e il sodalizio tubingese, in un cambiamento di indirizzo in virtù del nuovo ruolo assunto, per la grazia di stato come suole dirsi. I due si incontrarono da vecchi amici il 24 settembre del 2005 a Castelgandolfo ed ebbero un colloquio di circa quattro ore che le fonti vaticane dichiararono svoltosi in un «clima amichevole», senza scontri «circa le questioni dottrinali persistenti tra Hans Küng e il magistero della Chiesa cattolica». Küng durante l’incontro presentò a Ratzinger la sua «ricerca sull’etica mondiale per le grandi religioni del mondo»; negli anni ’90, infatti, nel suo libro Progetto per un’etica mondiale [18] (in tedesco Weltethos) aveva lanciato l’idea, attraverso la costituzione della Fondazione etica mondiale per la Ricerca, Formazione, Incontro interculturale e interreligioso, di un dialogo tra le diverse confessioni religiose basata sulla ricerca di princìpi e regole comuni, a partire dalla “Regola d’oro” comune a tutte: «Non fare agli altri ciò che non vuoi che gli altri facciano a te». Il papa si mostrò contento, affermando che l’impegno per una rinnovata consapevolezza dei valori che sostengono la vita umana era pure un obiettivo importante del suo pontificato [19]. Lì per lì il teologo aveva pensato: «Ecco, magari troverà una svolta e sarà diverso come papa… ma purtroppo – dovette constatare in seguito – ha perso quasi tutte le grandi possibilità che ha avuto. Il suo problema è che non è mai cambiato, per niente. Ha perfino rimesso la messa medioevale tridentina con la liturgia del medioevo, e inoltre si presenta negli abiti di papa Leone X dei Medici, che è stato il responsabile della totale rottura con Lutero, dato che non ha fatto nulla di ragionevole nei suoi confronti. Quindi mi chiedo, come può presentarsi oggi nei panni di questo papa? Manca solo la sedia gestatoria e la tiara per ritornare al medioevo!» [20].

foto-6Un giudizio così duro e tagliente riteniamo dipenda essenzialmente dal fatto che Küng considerò le scelte magisteriali e pastorali di Benedetto XVI come un tradimento degli orientamenti del Vaticano II, con l’aggravante che il papa credette di giustificare le sue scelte con un contorto ragionamento sulla necessità di una revisione ermeneutica dei pronunciamenti conciliari, sulla linea di una continuità con la Tradizione piuttosto che con la discontinuità e la rottura come molti intendevano. Küng, in maniera molto più chiara ed esplicita aveva invece collocato il Vaticano II come «crocevia decisivo nel cambiamento di paradigmi, quello sotteso alla Riforma, e quello della modernità» [21]. Anche questa volta due ermeneutiche contrarie si erano incontrate scontrandosi, ma al vaglio dei concetti è naturale che ogni riforma debba portare in sé una discontinuità: qualcosa deve cambiare, altrimenti in cosa consiste una riforma, un ri-dare forma? Si ri-forma solo ciò che è de-formato! Si dovrebbe allora dire che una salutare discontinuità non ha minacciato la reale natura e identità della Chiesa; semmai ha permesso alla Chiesa stessa di recuperare sue componenti che nei precedenti paradigmi erano stati compromessi e deformati [22].

Küng venne a trovarsi nell’identica situazione in cui cinque secoli prima si era trovato Erasmo da Rotterdam, se è lecito rivisitare Plutarco e tentare paralleli tra due grandi figure. Anche Erasmo si trovò tra l’incudine della Chiesa cattolica e il martello luterano, anche lui incompreso da una parte e dall’altra, anche lui legato alla sua appartenenza cattolica con l’intento di riformare la Chiesa e la teologia. Anche lui iniziatore, forse inconsapevole, di un nuovo paradigma metodologico che voleva introdurre in teologia lo studio filologico della Bibbia e il rapporto con gli studi umanistici. Capì che era ora di cambiare registro e che il tempo del nominalismo e dello scotismo era finito, ma non riuscì a convincere Roma che dopo la sua morte condannò i suoi scritti, né Lutero che lo apostrofò «velenoso polemista» e «porco di Epicuro» [23]. È la croce da portare per il saper vedere troppo avanti! Küng lo considera coprotagonista di quell’epoca che aspirò alla renovatio christianismi, ad una religiosità laicale nello spirito dell’Umanesimo riformatore e della Bibbia [24].

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Hans Küng e Karl Barth

In una prospettiva teologica il Vaticano II è stato il frutto dei movimenti di rinnovamento teologico del XX secolo: nel campo biblico, liturgico, patristico, ecumenico. Movimenti che negli anni precedenti il concilio erano stati disapprovati e silenziati e hanno dovuto vivere e agire clandestinamente. Se ne coglie l’eco nei testi preparatori del Vaticano II ad opera della Curia romana, che vennero fortemente criticati per la loro arretratezza nei confronti del rinnovamento teologico in corso da decenni [25]. Teologi guardati in precedenza con sospetto divennero periti ufficiali del concilio. Tra questi il giovane Hans Küng nominato perito del concilio da papa Giovanni XXIII. Era sospettato già allora di filoprotestantesimo, dato che nella sua tesi dottorale del 1957 aveva messo in parallelo le tesi del teologo riformato svizzero Karl Barth, sulla spinosa questione della “giustificazione”, con i pronunciamenti puntuali in materia del Concilio di Trento. Küng affrontò la secolare diatriba tra cattolici e protestanti, durata cinque secoli, ponendola sul piano del linguaggio teologico: le divergenze avrebbero potuto essere intese come espressioni di diverse scuole teologiche, e in quanto tali entrambe passibili di coesistenza all’interno dell’unica e medesima Chiesa. La puzza di eresia si avvertiva forte in ambito cattolico. Dovettero passare 42 anni per appurare che il giovane teologo aveva visto giusto; la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, documento redatto da teologi cattolici e luterani, è stato pubblicato ad Augusta, in Germania, il 31 ottobre 1999 e vi si afferma lo stesso riconoscimento delle verità fondamentali della dottrina della giustificazione [26].

«Nonostante tutte le resistenze e le ricadute, con il Concilio Vaticano II anche per la chiesa cattolica il Medioevo, insieme con la Controriforma, è finito. Più esattamente: il paradigma romano-medioevale, controriformistico-antimoderno, ha fatto il suo tempo […] il cambiamento di paradigma per una costellazione moderna-postmoderna, frenata dall’alto, ha compiuto grandi passi in avanti a partire dal basso […] La grande controversia circa la forma del futuro della chiesa cattolica e del cristianesimo certamente prosegue» [27].

Poi arrivò l’atto di coraggio e di riscatto di Joseph Ratzinger, insperato quanto invocato da Hans Küng e dunque un repentino e inatteso cambiamento di paradigma.

«Chi l’avrebbe detto? Quando, tempo fa, decisi di rinunciare alle mie cariche onorifiche al compimento del mio 85° anno, ero convinto che il sogno da me coltivato per decenni, cioè di assistere di nuovo nella mia vita a una svolta nella nostra Chiesa, come ai tempi di Giovanni XXIII, non si sarebbe più realizzato. E invece guarda un po’: Joseph Ratzinger, che ha condiviso con me per qualche anno un tratto della sua vita – abbiamo entrambi ottanta­cinque anni –, improvvisamente ha abbandonato prima ancora di me la sua carica papale e proprio il 19 marzo, giorno del suo onomastico e del mio compleanno, gli è subentrato un nuovo papa, con il sorprendente nome di Francesco» [28].

Così, nell’epilogo della sua autobiografia Küng riporta il discorso tenuto il 14 aprile 2013, a Lucerna, alla fine di una conferenza, quando colse l’occasione per parlare del nuovo pontificato e della situazione della Chiesa. Non c’è dubbio che Küng, in questi ultimi anni della sua vita, si sia sentito più in sintonia con lo stile e il governo di papa Francesco. E qui i detrattori tradizionalisti e reazionari potranno ricamare le loro elucubrazioni maligne su questa affinità elettiva; ed è un fatto scontato che fa parte della dialettica dei paradigmi. Di fatto, poco tempo dopo l’elezione di Francesco, Küng scrisse una lettera al «primo papa latino-americano» e, con sua grande gioia, ricevette una risposta «manoscritta e fraterna» con la quale si considerò «quasi informalmente riabilitato», come egli stesso ebbe a dire. Una riabilitazione ufficiale da Roma non la considerava però «così importante» per se stesso, quanto piuttosto per la gente e per la Chiesa. Ma il fatto che più deve averlo gratificato è quello di aver sentito dalla bocca del pontefice una «citazione di Küng» il 26 novembre 2015 a Nairobi, capitale del Kenya, quando papa Francesco fu ricevuto dagli alti rappresentanti musulmani: «Nessuna pace tra le religioni è possibile senza un dialogo tra le religioni».

Il dialogo ha costituito una categoria importante nella vita e nell’opera di questo grande teologo impossibile da comprendere senza un mutamento di paradigma mentale, senza quella famosa metànoia essenziale solo per capire correttamente il Vangelo e lo spirito autentico del cristianesimo. Küng tenne conto della difficoltà e della necessità della metànoia intellettuale nel lavoro teologico, e lo riferisce quale paradigma metodologico per il suo approccio a Barth: la sua difficoltà a comprendere Barth era dovuta al fatto che egli «parla e pensa altrimenti». E in questo caso non resta altro da fare che imparare la sua lingua e il suo modo di pensare, perché la sua terminologia, l’apparato categoriale di cui egli si serve, non sono quelli della teologia cattolica mutuati dalla Scolastica, ma quelli presi a prestito assimilando tutto lo sviluppo filosofico che va da Kant a Hegel e soprattutto la teologia di Schleiermacher [29]. Solo chi ha uno spettro intellettuale non angusto può capire il discorso. Il dialogo è un colloquio comprensivo che si sostituisce alla semplice dialettica e trasforma l’avversario in un interlocutore. In questo assunto Küng ha creduto fermamente.

foto-8Nel 2015 uscì uno dei suoi ultimi libri che suscitò, anch’esso, clamore: Morire felici? Lasciare la vita senza paura [30]. Per i media e i soliti detrattori un libro in difesa dell’eutanasia; in realtà il suo testamento spirituale in difesa dell’alto valore della vita e della dignità umana e la difesa dei diritti del malato contro ogni forma di accanimento terapeutico: «Nessuno mi convincerà che rassegnarmi a una vita in stato vegetativo sia la volontà di Dio. Come cristiano, non voglio che altri diretti interessati si facciano questa idea» [31]. Alla sua morte la Pontificia Accademia per la Vita sul suo profilo Twitter ha commentato: «Scompare davvero una grande figura nella teologia dell’ultimo secolo, le cui idee e analisi devono fare sempre riflettere la Chiesa, le Chiese, la società, la cultura». L’Osservatore Romano (7 aprile 2021) ha pubblicato un’intervista al cardinal Walter Kasper, che del giovane professor Küng fu allievo a Tubinga e successivamente assistente; ne ha riconosciuto i meriti, specie sul fronte ecumenico e del dialogo interreligioso, oltre al suo impegno per un rinnovamento nella Chiesa e l’attuazione delle riforme. «Nell’estate scorsa – prosegue Kasper – ho telefonato al Pontefice dicendogli che Küng era vicino alla morte e voleva morire in pace con la Chiesa. Papa Francesco mi ha detto di trasmettergli i suoi saluti e le sue benedizioni “nella comunità cristiana”. Certamente le differenze teologiche erano rimaste e non sono state risolte. Ormai non si poteva più discuterne. A livello pastorale e umano, però, c’è stata una pacificazione».

Così è partito Hans Küng! Ha abbandonato questo campo di battaglia in direzione della pace. Forse adesso si renderà conto dell’importanza dell’assioma dettato da Karl Barth, un monito per tutti i teologi, e cioè che «tutto ciò che l’uomo dice di Dio è l’uomo che lo dice». Da parte sua, Hans, come Paolo, può dire di aver combattuto la buona battaglia e di aver conservato la fede. Una battaglia per la verità, come ha sottolineato il quotidiano della presidenza dei vescovi italiani Avvenire (6 aprile 2021) che ha parlato di una «figura difficile ma centrale nella Chiesa nata dal Vaticano II», di cui non si può negare «la sincera ricerca della verità». Perciò lo salutiamo, recitando con lui la preghiera con cui chiude il suo libro sulla vita [32]:

Così, tranquillo e fiducioso,
pongo anche il mio futuro nelle tue mani.
Siano molti anni o solo poche settimane,
mi rallegro di ogni nuovo giorno che mi è donato
e lascio a te in piena fiducia senza preoccupazione e angoscia
tutto ciò che mi attende.
Perché tu sei come l’inizio dell’inizio e il centro del centro
come anche la fine della fine e il fine dei fini.
Ti ringrazio, mio Dio,
perché tu sei misericordioso
e la tua bontà dura in eterno.
Amen. Così sia.
Dialoghi Mediterranei, n. 49, maggio 2021
Note 
[1] H. Küng, Dio esiste?, Fazi Editore, Roma 2012: 7.
[2] Id., Maestri di umanità. Teologia e letteratura in Thomas Mann, Hermann Hesse, Heinrich Bӧll, Rizzoli, Milano 1989: 8.
[3] Id., Una battaglia lunga una vita. Idee, passioni, speranze. Il mio racconto del secolo, BUR, Milano 2015.
[4] Intervista ad H. Küng pubblicata su «MicroMega» 4/2010.
[5] Ivi.
[6] H. Küng, Infallibile?, Queriniana, Brescia 1970.
[7] Id., Cristianesimo. Essenza e storia, Rizzoli, Milano 1997: 10.
[8] Ivi: 8-9.
[9] Ivi: 10-11.
[10] H. Küng, Essere cristiani, BUR, Milano 2012: 168.
[11] Ivi, nota 22: K. Rahner, Probleme der Christologie von heute, in Schriften, vol. I, 1954: 169.
[12] Intervista ad H. Küng pubblicata su «MicroMega», cit.
[13] H. Küng, Tornare a Gesù, Rizzoli, Milano 2013.
[14] Così nella quarta di copertina.
[15] H. Küng, Tornare a Gesù, cit., 9.
[16] Cfr. H. Küng, Il concilio dimenticato, in «Concilium» 4/2005, 139-151.
[17] Intervista ad H. Küng, cit.
[18] H. Küng, Progetto per un’etica mondiale, Rizzoli, Milano 1991.
[19] Cfr. L. Accattoli, Küng, il teologo ribelle ricevuto dal Papa “Una gioia reciproca”, in «Corriere della Sera», 27 settembre 2005.
[20] Intervista ad H. Küng pubblicata su MicroMega 4/2010, cit.
[21] A. Torres Queiruga, Il Vaticano II e la sua teologia, in «Concilium» 4/2005: 33.
[22] Cfr. J.A. Komonchak, Benedetto XVI e l’interpretazione del Vaticano II, in A. Melloni e G. Ruggeri (a cura di), Chi ha paura del Vaticano II?, Carocci, Roma 2009: 69-84.
[23] Cfr. M. Lutero, Il servo arbitrio, Claudiana, Bolzano 2017: 71-130.
[24] H. Küng, Cristianesimo, cit.: 472.
[25] Cfr. J.A. Komonchak, Benedetto XVI e l’interpretazione del Vaticano II, cit.: 82.
[26] Sia il luogo sia la data della pubblicazione sono significativi: secondo la tradizione, il 31 ottobre 1517 vennero affisse a Wittenberg da Lutero le famose 95 tesi (sebbene la storiografia attuale sembra propensa a considerare questo evento come una leggenda); ad Augusta, durante la Dieta del 25 giugno 1530, venne promulgata la “Confessione Augustana”, che stabiliva i principi dottrinali del luteranesimo.
[27] H. Küng, Il concilio dimenticato, cit.: 151.
[28] Id., Una battaglia lunga una vita, cit.: 1112.
[29] Cfr. A. Russo, Hans Küng e la teologia come scienza, in «Studium» 106 (3/4): 185-206 (2010).
[30] H. Küng, Morire felici? Lasciare la vita senza paura, Rizzoli, Milano 2015.
[31] Ivi: 149.
[32] Ivi: 156.
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Leo Di Simone, teologo, scrittore, esperto di musica liturgica e di arte sacra, ha insegnato Antropologia culturale e Liturgia presso la Facoltà Teologica di Sicilia (Palermo), l’Istituto di Scienze Religiose di Mazara del Vallo e l’Istituto Teologico di Scutari (Albania). È presbitero della Diocesi di Mazara del Vallo e docente stabile di teologia presso la Scuola Diocesana di Teologia. Nella stessa Diocesi coordina il progetto “Operatori di pace” e dirige l’Ufficio Diocesano per i Migranti. Tra le sue pubblicazioni, si segnalano i seguenti volumi, editi da Feeria (Panzano in Chianti): Liturgia secondo Gesù. Originalità e specificità del culto cristiano. Per il ritorno a una liturgia più evangelica (2003)Vexilla Regis. La croce dipinta di Mazara del Vallo. Icona pasquale della liturgia (2004); Beato Angelico. L’estetica del Verbo incarnato (2004); Le rotte dei Misteri. La cultura mediterranea da Dioniso al Crocifisso (2008); Liturgia medievale per la Chiesa postmoderna? La questione del “rito antico” nel racconto del “rito romano” (2013). Ha curato, per i tipi de Il Colombre, il volume Trasfigurazione. La Basilica Cattedrale di Mazara del Vallo. Culto Arte e Storia (2006). L’ultimo suo volume è un saggio biografico su Thomas Merton: Il romanzo di Thomas MertonUn umanista cristiano nell’era postcristiana, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani (2018).

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