di Castrenze Ezio Fiorenza
Il mio primo incontro con l’olio di oliva risale ai tempi della scuola media quando il mio professore organizzò una visita didattica presso un frantoio. Prima di allora ricordo ancora la sensazione di disgusto che provavo nei confronti dell’olio; non riuscivo, non solo ad apprezzarlo ma non volevo sentirne neanche l’odore.
Ma dopo quella visita al frantoio qualcosa in me sicuramente è cambiato. Sarà stata la percezione visiva di quel processo, e l’affascinante storia dell’ulivo raccontata in maniera coinvolgente dal mio professore, che da quel momento l’olio per me diventò una cosa buonissima, preziosissima ma anche indispensabile.
Le sensazioni ricavate da quella visita sono state consolidate dalla mia adorata nonna che con le sue premure e le sue abili mani mi preparò un bel piatto di olive fresche schiacciate e condite con olio appena uscito dal frantoio.
La magia avvenne quando ci sedemmo a tavola mi disse: «tieni, inzuppalo nell’olio, fai come me». Il sapore fu un trionfo per le mie papille e per il mio olfatto … tant’è che ancora oggi ricordo quei momenti come fossero oggi e conservo la bontà di quei preziosi alimenti.
Esperienze di questo tipo credo che, soprattutto nella cultura dei popoli del Mediterraneo, siano alla portata di tutti. Il lavoro nei campi è stato condotto da sempre a livello familiare, condizione che obbligava la presenza dei bambini anche nelle operazioni di raccolta, a cui partecipavano inconsapevolmente e spensieratamente come ad un gioco collettivo.
A questi ricordi, a queste lontane sensazioni attingo quando, girovagando per le campagne, cerco occasioni per documentare frammenti di realtà attraverso gli scatti fotografici.
Quel giorno mi sono imbattuto, infatti, in uno scenario bucolico che mi precipitò nel passato della mia infanzia, nelle memorie di quella stagione felice tra gli oliveti delle campagne. Incontrando una famiglia intenta nella raccolta delle olive, compresi subito che quelli erano attimi da cogliere al volo.
I gesti e le facce, la fatica e le posture dei grandi, i giochi, i sorrisi e le capriole dei bambini, erano non diversi dalle immagini che conservavo delle mie esperienze infantili.
Guardavo a quella famiglia raccolta attorno agli alberi, con le braccia tese tra i rami e le mani tra le foglie, e ritornavo alla mia infanzia, alla mia famiglia.
Ripensavo a quel lavoro vissuto come una festa, che si prolungava, in alcuni casi, anche nel periodo natalizio, in mezzo agli odori e ai sapori dell’autunno che si consumava nelle campagne tra vendemmia dell’uva e raccolta delle olive.
Invece delle attuali reti di nylon si utilizzavano i teli di iuta, pesanti da trasportare e da rimuovere, e la brucatura oggi operata da abbacchiatori pneumatici o elettrici era condotta rigorosamente a mano: si accarezzavano le drupe per staccarle e farle scivolare amorevolmente sui teli e da lì poi, nei sacchi di iuta, oggi sostituiti dalle cassette di plastica. Al calar della sera finalmente le olive portate al frantoio sarebbero divenute olio prezioso.
Le sequenze del lavoro che ho fotografato sembrano appartenere ad un mondo quasi del tutto scomparso, ad una realtà contadina a conduzione ancora tradizionale e familiare. Più in là, nelle grandi tenute agrarie, a raccogliere le olive ho visto giovani migranti – anche minori – originari dell’Africa piegati in tempi e ritmi di lavoro concitati, costretti a salari di fame, nascosti in casolari degradati.
Non ho più visto bambini che giocano e corrono tra gli uliveti, raccogliendo le olive, tra un salto e una piroetta, all’ombra della rassicurante presenza dei genitori. Ho visto invece adolescenti dalla faccia scura, silenziosi e laboriosi, arruolati all’alba e dispersi nelle nostre campagne, resi quasi invisibili tra gli alberi e i muri della vergogna.
Dialoghi Mediterranei, n. 42, marzo 2020
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Castrenze Ezio Fiorenza, fotografo e artista multimediale siciliano, si forma a Milano all’Istituto Europeo di Design. Ha operato a Palermo con l’Associazione “Quadrato Verde”, come fotografo naturalista, collabora col C.A.I. (Club Alpino Italiano), come fotografo speleologico documentando cavità naturali e artificiali come i Canat. Partecipa a mostre collettive e organizza personali d’arte a Palermo, Poggio Mirteto (RI) a Gibellina presso le Orestiadi, e in altre città siciliane. Iscritto all’UIF (Unione Italiana Fotoamatori), é socio fondatore dell’Associazione “La Scatola del Tempo” che si occupa di comunicazione multimediale.
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