Seguo Pietro Lacasella da diverso tempo, soprattutto attraverso le sue pagine social, e apprezzo molto la sua capacità di leggere in modo intelligente e mai scontato gli scenari montani in questo tempo di crisi e di grandi contraddizioni. Quando ho saputo che Pietro sarebbe stato ospite alla Libreria Alpe Colle, un altro luogo a me caro nonché interessante esperienza di libreria di montagna, ho subito colto l’occasione per incontrarlo e ascoltare dalla sua viva voce il racconto del percorso che ha portato alla scrittura di Sottocorteccia (People editore 2024) Il libro è un viaggio appassionante tra le foreste italiane per tentare di comprenderne meglio lo stato di salute, il futuro che le attende, e le trasformazioni che le stanno interessando alla luce dell’inarrestabile impatto portato dal cambiamento climatico. Conoscere meglio ciò che accade nei nostri boschi induce un’inevitabile riflessione sul rapporto uomo-ambiente e sulla necessità di ricostruirlo su basi completamente nuove.
Sottocorteccia nasce dal tentativo di comprendere meglio un allarmante fenomeno che sta mettendo in ginocchio le peccete del Nord Est. Per quelli che ancora non ne hanno sentito parlare, il bostrico (nome scientifico Ips typographus) è un minuscolo insetto che trova il suo habitat ideale nei boschi di abete rosso. La sua azione principale consiste nello scavare condotti estremamente elaborati sotto la corteccia che vanno ad interrompere lo scorrimento della linfa. Questo provoca in breve tempo il deperimento dell’albero, portandolo spesso anche alla morte. Gli alberi malati sono facilmente individuabili dalla tinta rossastra delle loro chiome, una visione funesta soprattutto per gli abitanti delle valli di Veneto e Trentino.
La voce narrante che guida il lettore nella comprensione di questo fenomeno è duplice. Il racconto inizia con lo sguardo curioso di Pietro Lacasella, antropologo e appassionato di montagna, che scopre il bostrico una mattina guardando fuori dalla finestra di casa e accorgendosi con stupore del cambio improvviso del colore di alcune zone del bosco. Da qui il tentativo di capire meglio chi sia questo minuscolo abitante del bosco, e cosa comporti la sua presenza sempre più ingombrante non solo da un punto di vista ecologico ma anche umano: le foreste cambiano il loro aspetto e questo ha un impatto profondo nella percezione di coloro che abitano la montagna. Che significato ha un paesaggio stravolto dall’azione del bostrico dal punto di vista sociale, economico ma anche e soprattutto emotivo? La voce di Pietro si intreccia con quella di Luigi Torreggiani, giornalista e dottore forestale, che arricchisce la narrazione con lo sguardo dell’esperto e guida il lettore nella comprensione dei meccanismi di funzionamento di quel delicato ecosistema che è il bosco.
È subito chiaro che l’epidemia di bostrico non può essere realmente compresa se non inforcando degli occhiali multifocali. Come la maggior parte dei fenomeni contemporanei, essa risulta essere l’esito di una molteplicità di fattori che si sono sommati nel tempo e la cui interazione ha prodotto l’odierno epilogo. Quasi tutte le variabili in gioco hanno a che fare con l’azione dell’uomo. Infatti nel libro si parla di cambiamenti climatici, perché a loro viene immediatamente attribuita l’elevata recrudescenza dell’epidemia. Il bostrico non è una specie alloctona: questo coleottero fa da sempre parte dei nostri habitat e, in condizioni di normalità, assolve ad una funzione importantissima dal punto di vista ecologico, ovverosia quella di favorire la selezione di alberi sani rispetto agli esemplari malati. La voce di Francesco Parisi, scienziato forestale esperto in insetti saproxilici intervistato da Pietro e Luigi, illustra bene il ruolo del coleottero all’interno del bosco:
«Il bostrico è chiamato dagli abeti in difficoltà e opera, da solo o in compagnia di altre specie, iniziando una fase che porterà le piante colpite, in modo repentino oppure lento, a deperire e poi a morire. Dove una pianta muore, nel bosco entra nuova luce e dove c’è luce i semi possono germinare. Nel frattempo, il legno dell’abete morto, attaccato da tantissimi altri organismi, viene degradato fino a ridiventare terra, humus, substrato fertile che mantiene in vita la foresta» (Lacasella, Torreggiani:84).
Quindi, conclude Francesco Parisi, il bostrico è divenuto un vero e proprio flagello perché la sua presenza nei boschi si situa in uno scenario di disequilibrio, in cui gli alberi sono in una costante condizione di fragilità e quindi più esposti all’attacco del coleottero. Una fragilità che deriva in primis dalle condizioni climatiche alterate. Il rimando alla tempesta Vaia è continuo nel libro, perché essa è sicuramente la causa principale quantomeno dell’innesco dell’epidemia. Vaia è stata uno dei primi eventi meteorologici estremi causati dalle alterazioni climatiche, eventi che stanno purtroppo diventando la norma anche nella nostra penisola. L’enorme quantità di legname abbattuto ha rappresentato un invito a nozze per il bostrico, che da endemico è diventato rapidamente epidemico, andando ad attaccare anche alberi sani ma in situazione di grande stress a causa di altri effetti del surriscaldamento globale, quali le temperature eccessive, gli inverni troppo miti e le sempre più frequenti ondate di siccità. Ecco che allora le chiazze rossastre nelle peccete delle Alpi si fanno sempre più estese, e con questo cresce anche l’inquietudine. Vaia e il bostrico sono solo due effetti distinti ma complementari della stessa questione climatica. In un caso la crisi si manifesta con un evento improvviso e devastante, nell’altro assistiamo invece all’agonia silenziosa di una parte del mondo vegetale. Entrambi sono il segnale ormai sempre più evidente di un equilibrio ormai spezzato.
Tuttavia, gli effetti del cambiamento climatico non sono l’unico contributo umano all’espansione dilagante del bostrico. Il libro analizza con molta accuratezza anche il ruolo giocato dalle scelte di silvicoltura fatte nel secolo scorso, scelte che hanno puntato a privilegiare la monocoltura rispetto alla varietà ecologica. Al presente praticamente nessun bosco italiano può essere considerato completamente naturale, ovverosia non toccato dall’opera dell’uomo. È un fatto di cui siamo quasi totalmente inconsapevoli perché nell’immaginario di ciascuno di noi le foreste sono angoli di natura incontaminata, in cui prevale la dimensione del selvaggio e del non umano. Non è così. I boschi come li vediamo ora sono il frutto di decenni (se non addirittura secoli) di selezione di determinate specie arboree più utili all’uomo rispetto ad altre. È il caso del castagno, albero onnipresente nei boschi del Piemonte, ma è anche e soprattutto il caso dell’abete rosso in Trentino. I boschi del Nord Est sono da tempo immemore riserve di legname fondamentali per le economie locali, ma solo a partire da fine ‘800 in Trentino si è dato avvio ad una politica di rimboschimento fondata sulla predominanza dell’abete rosso. L’industria del legname che ne è derivata ha avuto ricadute importanti non solo in termini economici ma anche sociali, fornendo lavoro alle popolazioni locali ed evitando così lo spopolamento delle aree montane (Lacasella, Torreggiani 2024:152).
Se la gestione dei boschi in favore della monocoltura ha quindi avuto indubbi vantaggi, tuttavia le conseguenze nella gestione dell’epidemia in corso sono a dir poco drammatiche. Studi recenti mostrano come l’impatto del bostrico sia stato molto più contenuto laddove l’abete rosso convive con altre specie arboree. Insomma, la questione è controversa e resta comunque difficile prendere una posizione netta a favore o sfavore delle monocolture. Gli autori riescono molto efficacemente a tratteggiare la complessità del tema, sottolineando in molte parti del libro la necessità di analisi e risposte altrettanto complesse. Parlare di bostrico oggi significa cercare di comprendere meglio le scelte di silvicoltura del passato e del presente, per spiegare non solo il loro impatto sulla salute dei boschi ma anche le motivazioni e i bisogni socio-economici a cui vanno a rispondere, per capire quale direzione si vuole imboccare nel futuro.
Allora non si può parlare di bostrico se non prendendo in considerazione lo stretto, inscindibile rapporto tra uomo e bosco. Il bosco non è un ambiente naturale autonomo e distinto da quello in cui vive l’uomo. Non lo è in termini di sopravvivenza dell’essere umano che ha bisogno dei servizi ecosistemici resi dal bosco stesso. Non lo è in termini economici perché il bosco garantisce un lavoro alle popolazioni locali e quindi la possibilità di mobilitare le economie montane. Non lo è anche in termini identitari, perché l’uomo ritrova una sua appartenenza emotiva e sociale nel bosco. Questo valore emerge in molte narrazioni riportate in Sottocorteccia. Sono storie raccolte da Pietro e Luigi parlando con gli abitanti della montagna, coloro che vivono nelle zone maggiormente colpite dall’epidemia e che manifestano una palese sofferenza nell’osservare la perdita di quelle foreste con cui esiste un legame affettivo fortissimo.
L’incontro di Pietro con un cacciatore, e il doloroso racconto del bosco che cambia fatto da quest’ultimo, esprime bene questo sentimento:
«[vedere questi boschi mutare così velocemente] è una cosa forte perché questi boschi mi accompagnano sin dall’infanzia. È una cosa forte perché sono boschi nostri, della comunità. È una cosa forte perché sono i boschi dove venivo a camminare con mio papà, e adesso a quei rami è rimasto appeso il suo ricordo. Ma se i rami si seccano e cascano assieme al tronco, quel ricordo rischia di svanire» (Lacasella, Torreggiani 2024: 113-114).
Queste parole raccontano di un paesaggio che non è esterno all’uomo, di una natura che non è distinta dalla cultura e dalle relazioni sociali. È un concetto ben espresso da Tim Ingold quando parla del rapporto tra le popolazioni di cacciatori-raccoglitori e l’ambiente in cui vivono, e spiega che l’identità è sempre inscritta nel paesaggio:
«è attraverso l’abitare in un paesaggio, incorporandone le caratteristiche entro una struttura di attività quotidiane, che questo diventa casa per cacciatori e raccoglitori» (Ingold 2024:407).
Da qui nasce il senso di spaesamento che le persone provano nel momento in cui il paesaggio muta, non si fa più elemento famigliare ma diventa estraneo, diverso, quasi alieno. I propri abitanti perdono un elemento di continuità con le proprie radici, con la propria storia, e sono pervasi da un senso di disorientamento, se non di vera e propria sofferenza.
Questo sentimento si sta accentuando sempre più a causa dei cambiamenti climatici che provocano profondi mutamenti nel territorio così come lo conosciamo. La mancanza di neve sulle Alpi, i fiumi in secca per le siccità prolungate, lo stravolgimento degli Appennini a seguito di inondazioni e del dissesto idrogeologico, la perdita di boschi centenari a causa di veri e propri uragani tropicali. Tutto questo impone una revisione profonda del rapporto tra l’uomo e il proprio territorio, che non ha solo a che vedere con i danni economici prodotti da questi eventi estremi. Questi mutamenti hanno un impatto anche emozionale su ciascuno di noi, e ci fanno confrontare con la perdita di punti di riferimento fissi e duraturi nel tempo.
Per questo la parola chiave di tutto il libro è complessità. È un termine che richiama la necessità di non ridurre il dibattito sul bostrico a semplici rapporti di causa-effetto nel tentativo di trovare una soluzione efficace e definitiva. Non esiste una sola causa, come non esiste un unico responsabile ed una sola via d’uscita al problema. La questione va posta all’interno di uno scenario, quello del rapporto uomo-ambiente nel mondo contemporaneo, che è di per sé complesso e che chiama tutti noi ad una presa di coscienza diversa, capace di integrare diversi livelli di comprensione e di azione.
Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025
Riferimenti bibliografici
Descola, P. 2005, Oltre natura e cultura, Raffaello Cortina Editore, Milano
Ingold, T. 2024 “ “Caccia e raccolta come modi di percepire l’ambiente”, in Allovio, S. Ciabarri, L. Mangiameli, G. 2024, Antropologia culturale: i temi fondamentali, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Lacasella P., Torreggiani, L. 2024, Sottocorteccia. Un viaggio tra i boschi che cambiano, People, Busto Arsizio.
Van Aken, M. 2020, Campati per aria, Elèuthera, Milano.
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Chiara Dallavalle, già Assistant Lecturer presso la National University of Ireland di Maynooth, dove ha conseguito il dottorato di ricerca in Antropologia Culturale, collabora con il settore Welfare e Salute della Fondazione Ismu di Milano. Si interessa agli aspetti sociali e antropologici dei processi migratori ed è autrice di saggi e studi pubblicati su riviste e volumi di atti di seminari e convegni.
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