Stampa Articolo

I migranti e l’apprendimento dell’italiano: aspetti storici, normativi e operativi

test-lingua-italiana-x-stranieri-1508x706_ca cura del Centro Studi e Ricerche IDOS [*] 

Introduzione 

Questo approfondimento si occupa degli stranieri che apprendono la lingua italiana come seconda lingua (L2). Volendo contemperare l’importanza della lingua del Paese d’accoglienza con una sensibilità internazionale, non si può fare a meno di ricordare che la diversità delle lingue costituisce una ricchezza, salvo restando che tale diversità si configura spesso come una difficoltà quando ci si sposta per vivere all’estero, aspetto sul quale qui richiameremo maggiormente l’attenzione. Non si tratta di rinnegare la propria lingua, bensì di comporla con le esigenze che si impongono nel nuovo contesto [1].

Il cittadino straniero che decide di risiedere in Italia spesso vi arriva senza alcuna conoscenza linguistica previa e, quindi, incontra difficoltà nel familiarizzare con la nuova lingua. Nei flussi di massa contemporanei non si riscontra affatto una socializzazione anticipatoria, né sotto l’aspetto linguistico né sotto altri aspetti. La preparazione allo spostamento avviene solo nei casi individuali di migrazioni originate da ragioni professionali o affettive. Al contrario, tale preparazione potrebbe essere incentivata integrandola nella programmazione dei flussi: finora non si è andati al di là di qualche progetto, che per giunta ha destato delle perplessità nelle sue modalità applicative (aspetto sul quale ritorneremo).

Le difficoltà di apprendimento linguistico sono solitamente rese più ardue dalla scarsa disponibilità di tempo da parte dei migranti, dovendo ciascuno di essi provvedere alla propria sistemazione logistica, all’inserimento lavorativo e agli adempimenti burocratici, sia quando arriva da solo sia, ancor di più, quando ci siano familiari al seguito.

I problemi linguistici per i figli in età scolastica, che qui non vengono affrontati, dopo un’iniziale difficoltà vengono fortemente attenuati grazie all’elevata capacità di apprendimento dei minori e alla frequentazione dei coetanei italiani, favorita dall’inserimento scolastico. Tuttavia, anche se la loro conoscenza dell’italiano supera in breve tempo quella dei genitori, ciò non significa che non insorgano problemi. Lo attesta un’ampia bibliografia che si sofferma sulle iscrizioni che avvengono ad anno scolastico già iniziato, spesso in assenza di un supporto di mediazione linguistica; sulla carenza di corsi intensivi di italiano L2 rivolti ai neoarrivati; sulle insufficienti opportunità di doposcuola; sui ritardi e gli abbandoni scolastici; sulla canalizzazione di questi studenti negli istituti secondari superiori diversi dal liceo, nonché sull’alto tasso di abbandono scolastico e sul loro ridotto accesso all’università rispetto ai coetanei italiani [2].

Per gli adulti la situazione è più difficoltosa, in quanto essi devono far fronte ad adempimenti impegnativi con un’inesistente o ridotta capacità di comunicazione, potendo contare solo su connazionali volenterosi per un supporto di mediazione linguistica e sulla non sempre paziente disponibilità dei funzionari di turno.

Di seguito tratteremmo alcuni degli aspetti principali della questione, tralasciando quelli didattici che nella loro complessità meritano di essere affrontati a parte. Intenzionati a evitare che la brevità della trattazione vada a scapito della profondità, all’occorrenza abbiamo indicato alcuni testi di riferimento per poter condurre ulteriori approfondimenti. Gli autori di questo saggio sono stati parte attiva di due progetti di grande portata, promossi all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso dal primo direttore della Caritas diocesana di Roma, mons. Luigi Di Liegro [3].

Il primo progetto è stato il Dossier Statistico Immigrazione, poi diventato una pubblicazione indipendente gestita dal Centro Studi e Ricerche IDOS (acronimo di Immigrazione Dossier Statistico). Il Dossier, ampliato e perfezionato nel tempo, è stato in Italia il primo rapporto statistico sull’immigrazione e continua a essere anche quello più diffuso. Nel 2006 il Centro IDOS ha ritenuto opportuno dedicare un rapporto annuale specifico all’area della Capitale, attualmente intitolato Osservatorio sulle migrazioni a Roma e nel Lazio. Per la ricchezza dei contributi pubblicati esso si configura come un sussidio fondamentale per lo studio del fenomeno migratorio in quest’area. I coordinatori di questi due rapporti (Dossier e Osservatorio) sono tra i firmatari di questo saggio.

forumIl secondo progetto promosso da mons. Luigi Di Liegro è stato il “Forum per l’intercultura”, una piattaforma che negli anni ’90 è riuscita a far lavorare insieme, nella diffusione di nuovi orizzonti interculturali, associazioni, mediatori interculturali e operatori del mondo ecclesiale e laico, con una creatività e un entusiasmo che riuscirono a coinvolgere anche le istituzioni. Fu così possibile attuare una sensibilizzazione ad ampio raggio nei vari ambiti dell’area romana e offrire a mediatori interculturali, operatori, educatori e formatori, italiani e originari di diversi altri Paesi del mondo, lo spazio per uno scambio di esperienze nell’ottica di una crescita personale e comunitaria.

Dalla fine degli anni ’90 il Forum per l’intercultura ha dedicato ampio spazio all’insegnamento dell’italiano L2  ai minori e ai loro genitori, in particolare alle mamme, collaborando anche alla stesura, grazie al coinvolgimento di alcuni mediatori, del documento “La via italiana per la scuola interculturale” (MIUR, 2007), nonché offrendo percorsi formativi alle scuole in merito agli approcci da adottare per accogliere i minori e le loro famiglie, sia da un punto di vista socio-affettivo che linguistico.

Verso la fine del secondo decennio del Duemila la Caritas diocesana di Roma, ritiratasi Lidia Pittau, la storica coordinatrice del “Forum” per oltre due decenni, non ha ritenuto opportuno mantenere in vita il progetto. Comunque, due operatrici, che ne furono importanti protagoniste, hanno partecipato alla redazione di questo testo, mettendo a disposizione gli spunti tratti da quella eccezionale esperienza [4].

Nel primo paragrafo viene fatta una rassegna di quasi mezzo secolo di produzione legislativa sull’immigrazione in Italia, mostrando come, al suo interno, l’obbligo di apprendimento dell’italiano (sancito nel 2009) si è configurato, sin dall’inizio, più come una misura restrittiva che incentivante. Si è ritenuto necessario premettere una riflessione su un periodo storico così lungo per evidenziarne gli orientamenti sottostanti, sui quali (più che su una singola misura adottata) bisogna riflettere per riuscire a elaborare strategie adeguate di intervento.

Il paragrafo successivo è dedicato all’analisi del contratto di soggiorno, che pone a carico dell’immigrato di recente arrivo una serie di adempimenti e attribuisce grande importanza alla conoscenza dell’italiano nell’ambito del cosiddetto “permesso di soggiorno a punti” e, successivamente, nella procedura per l’acquisizione del permesso UE di lungo soggiorno e della cittadinanza italiana.

Non poteva mancare un paragrafo di natura psico-sociologica, dedicato al supporto che la conoscenza linguistica offre a una persona che viene a trovarsi in un ambiente differente da quello in cui si è svolta la sua prima socializzazione. La conoscenza della lingua locale è indispensabile tanto nella fase del primo inserimento, quanto in quella successiva del radicamento in profondità.

Le norme adottate dal legislatore rimarrebbero confinate sul piano formale senza il supporto di strutture specifiche. Per l’insegnamento dell’italiano agli immigrati adulti sono operativi in tutta Italia, nell’ambito della rete del Ministero dell’istruzione, i Centri per l’istruzione degli adulti (CPIA). Ciò nonostante, il raggio d’azione dei CPIA sarebbe insufficiente a rispondere all’intero bacino dei bisogni, se non fosse integrato dalle strutture del mondo sociale, che uniscono alla professionalità le ragioni solidaristiche. A titolo d’esempio presenteremo l’esperienza, per alcuni aspetti eccezionale, di “Scuolemigranti”, un’ampia rete operante a Roma dal 2009.

Durante la fase acuta della pandemia non si è potuto ricorrere all’usuale ed efficace insegnamento in classe ed è stato necessario rimediare con l’insegnamento a distanza (col telefono o online) attraverso lezioni individuali. Come dimostra un’esperienza condotta presso un quartiere di Roma, alla quale è dedicato un altro paragrafo, questo tipo d’insegnamento si è affermato come una modalità da affiancare a quello in classe, anche per accrescere il numero dei beneficiari.

L’ultimo paragrafo, dedicato alle conclusioni, prende l’avvio dalla consapevolezza che l’immigrazione sarà una componente strutturale nel futuro dell’Italia (a prescindere dai diversi orientamenti politici) e auspica che si arrivi a una presa di coscienza generalizzata sulla necessità della conoscenza linguistica per la convivenza tra gli italiani, gli immigrati venuti per lavoro in Italia e le persone arrivate per asilo politico o protezione umanitaria. 

slide_1Il tardivo inserimento dell’ apprendimento linguistico nella normativa sugli immigrati 

Una riflessione sull’evoluzione della normativa italiana sugli stranieri è fondamentale, sia per individuare gli orientamenti politici che l’hanno ispirata sia per rendersi conto dell’attenzione che è stata riservata o meno al fattore linguistico [5].

Le prime leggi sull’immigrazione furono accomunate da una notevole apertura all’accoglienza. La Legge Foschi (n. 943 del 1986) al primo articolo sancì la parità di trattamento nel lavoro e nell’accesso ai servizi sociali. È significativo ricordare che il provvedimento fu approvato con un consenso quasi plebiscitario. Questa legge, pur non fruendo di una specifica copertura finanziaria (alla quale, in ragione dei tempi supplementari necessari, si rinunciò per favorire l’approvazione del provvedimento prima dell’imminente fine della legislatura), segnò l’inizio di un dinamico periodo delle attività interculturali e dell’associazionismo degli immigrati, che poterono usufruire dei fondi messi a disposizione dalle regioni.

Si era partiti da un atteggiamento più aperto della popolazione, ma iniziarono a manifestarsi i primi atti d’insofferenza e, per contrastare questa tendenza, nel 1989 si svolse a Roma una grande manifestazione nazionale antirazzista, che fece da traino a un nuovo intervento legislativo. La legge Martelli (n. 39 del 1990) completò la normativa precedente, regolando l’accesso in Italia per motivi di lavoro, con disposizioni particolareggiate sul rilascio del permesso di soggiorno. Istituì un fondo per l’integrazione degli immigrati e introdusse la prima programmazione dei flussi, inducendo così a considerare la presenza straniera come un fenomeno stabile.

Durante il governo tecnico presieduto da Lamberto Dini, il Decreto legge n. 489/1995 costituì un tentativo di riformare la normativa sull’immigrazione (tentativo che non era riuscito al primo governo Berlusconi del 1994). Il testo proposto unì, contraddittoriamente, disposizioni aperte all’accoglienza, volute dal centro sinistra, e previsioni rigide care al centro destra, in particolare alla Lega Nord, che faceva parte del Governo. Il testo non fu approvato (lo fu la misura della regolarizzazione in esso contenuta), ma dopo tre anni le norme aperte furono riprese e ampliate dal Governo del centro sinistra durante il primo Governo di Romano Prodi, mentre l’approvazione delle norme restrittive sarebbe seguita durante i governi di centro destra presieduti dall’on. Berlusconi.

Alla fine degli anni ’90, il segno che i tempi erano maturi per pervenire all’approvazione di una legge organica sull’immigrazione, con la dovuta attenzione anche alla tutela dei diritti e all’obiettivo dell’integrazione (i cui contenuti erano stati a lungo approfonditi nel corso di un lavoro di diversi anni svoltosi presso il CNEL), fu la ratifica da parte italiana nel 1997 della Convenzione Europea sullo Statuto giuridico del lavoratore migrante, testo concordato in seno al Consiglio d’Europa. La Legge Turco-Napolitano (n. 40 del 1998) dedicò all’integrazione degli immigrati un’ampia sezione con una serie di interventi organici: il suo impianto (programmazione dei flussi, integrazione degli immigrati e contrasto dell’irregolarità) fu ripreso nel Testo Unico sull’immigrazione (D.Lgs. n. 286 del 1988). Tra i temi affrontati dal legislatore vi furono l’inserimento a scuola dei figli degli immigrati e, seppure sommariamente, la mediazione interculturale, ma non l’obbligo, per gli adulti, di apprendere la lingua italiana.

Con la Legge Turco-Napolitano si chiuse un ciclo di un quarto di secolo, iniziato nel 1975 a seguito di una sentenza della Corte costituzionale, che rivolse al legislatore l’invito a superare le disposizioni approvate nel periodo fascista con una nuova legge più soddisfacente. La Legge 40 del 1998, nonostante l’ampio spazio dedicato ai diversi aspetti dell’integrazione, non si soffermò sull’apprendimento dell’italiano. In quello stesso periodo, altri Stati membri dell’UE considerarono, invece, l’integrazione come una materia da regolare anche relativamente ai doveri degli immigrati. Così fecero i Paesi Bassi nel 1998 e poi la Francia, l’Austria, la Germania e il Regno Unito. Questi Paesi, seppure con diversi orientamenti culturali, chiesero agli immigrati un certo adattamento al luogo di accoglienza e anche l’apprendimento della lingua del posto e la conoscenza del modello istituzionale.

Complessivamente, gli interventi legislativi del 1986, del 1990 e del 1998 furono accomunati da una valutazione complessivamente positiva delle migrazioni, anche per dovere di coerenza col passato migratorio dell’Italia (inizialmente molto vivo), e tesero a perfezionare la regolamentazione, seppure col tempo andasse crescendo l’opposizione a questa impostazione, sia nel Parlamento che nella società, i cui effetti si sarebbero fatti sentire nei primi due decenni degli anni 2000.

Una riflessione approfondita sulla portata del concetto d’integrazione induce a includervi anche l’apprendimento della lingua italiana, senza demandare il conseguimento di tale obiettivo esclusivamente alla buona volontà dei singoli. In Italia, anche dopo la Legge 40 del 1998, non si è mancato di insistere a più riprese sull’integrazione, ma senza riferimenti alla lingua: ciò risulta dall’analisi dei tre documenti programmatici delle politiche dell’immigrazione (2001-2003, 2004-2006, 2007-2009), predisposti dai governi dell’epoca in applicazione di una previsione del Testo Unico sull’Immigrazione.

Nella riflessione sulle politiche da attuare prevalsero le cosiddette preoccupazioni securitarie, che derivavano dalla paura nutrita da molti per un presunto “abnorme” tasso di delinquenza degli stranieri e per la loro “estraneità” rispetto alla tradizione culturale e religiosa italiana (specialmente nei confronti dei musulmani) [6]. A incentivare un atteggiamento diffidente nei confronti degli immigrati islamici fu la prima guerra del Golfo contro l’Iraq (1991), quando si arrivò a ipotizzare uno scontro tra cristianesimo e civiltà occidentale, da una parte, e islam dall’altra, come in effetti sostenne Samuel. P. Huntington in un suo famoso saggio del 1996 [7]. A far riflettere sulla tesi della inconciliabilità delle culture sopravennero, nel 2001, l’assalto alle Torri Gemelle di New York, progettato da Bin Laden, capo dell’Isis, e successivamente una serie di atti terroristici compiuti da diverse organizzazioni ispirate all’islam radicale, che colpirono particolarmente la Francia oltre a diversi altri Paesi europei.

Va detto, peraltro, che in un’Europa bisognosa dell’apporto degli immigrati a causa delle sue carenze demografiche, non necessariamente i citati condizionamenti esterni hanno portato a un orientamento radicalmente negativo, come avvenuto in Italia. Ne è stato un esempio virtuoso la Germania, che nei primi anni del 2000 ha sostituito alla precedente politica di rotazione una lungimirante politica d’integrazione, con un impegno assolutamente straordinario nell’insegnamento della lingua [8]. In Italia, invece, gli interventi legislativi adottati negli anni 2000 furono restrittivi per contrastare, nelle intenzioni dei proponenti, il potenziale comportamento negativo degli immigrati.

264875484_fa12d6069d_oLa Legge Bossi Fini (n. 189 del 2002), proposta dai responsabili politici della Lega Nord e di Alleanza Nazionale, introdusse disposizioni molto severe in materia d’ingresso, soggiorno e integrazione, in parte poi censurate dalla Corte costituzionale e in parte modificate a seguito del recepimento nell’ordinamento italiano di Direttive europee. Con questa legge si arrivò, per così dire, a “sdoganare” il clima di sospetto nei confronti degli immigrati e a irrigidire il contrasto sul tema tra gli schieramenti politici, fattori che da allora sono stati alla base delle mancate riforme, segnatamente quella della cittadinanza ai figli degli immigrati.

Una delle misure soppresse dalla Legge Bossi-Fini ci riporta al tema specifico del nostro approfondimento, e cioè al legame tra l’inserimento degli immigrati e l’apprendimento della lingua italiana. Si trattò dell’abrogazione della possibilità di venire in Italia per un ristretto numero di persone (quota fissata nel decreto annuale dei flussi) alla ricerca di un posto di lavoro, grazie alla garanzia offerta da persone italiane o straniere residenti in Italia, disponibili a coprire le spese per vitto, alloggio, assistenza sanitaria e anche i costi del viaggio di rimpatrio nel caso di mancato inserimento. Al posto di questo interessante meccanismo di incontro tra domanda e offerta di lavoro, soggetto tra l’altro a ogni tipo di controllo pubblico, si preferì sovvenzionare diversi costosi progetti (messi a bando in Italia) per la preformazione linguistica, da effettuare nelle stesse aree di emigrazione, di persone autorizzate all’ingresso in Italia (per lo più familiari interessati al ricongiungimento con i loro capifamiglia). A questo meccanismo sostitutivo furono mosse radicali critiche.

Un primo apprendimento della lingua italiana è sempre auspicabile e questa preparazione, debitamente documentata, dovrebbe anche essere favorita con una certa priorità nelle quote d’ingresso, ma, in una visione organica delle procedure e tenuto conto della scarsità delle risorse e della strategia adottata da altri Paesi di immigrazione, dovrebbero essere gli stessi immigrati a seguire sul posto i corsi di lingua, usufruendo delle possibilità offerte dalla rete costituita dalla Società Dante Alighieri, dalle associazioni  italiane e dagli istituti italiani di cultura, salvo restando l’impegno dell’Italia a favorire l’apprendimento linguistico dopo il loro arrivo nel Paese [9].

L’orientamento negativo di questa legge non impedisce, comunque, di riconoscerne alcuni aspetti apprezzabili, tra i quali il collegamento costituito presso il Ministero dell’interno dei diversi interventi ministeriali in materia di migrazioni e la creazione di un sistema di accoglienza dei richiedenti asilo, ma anche di constatare, a posteriori, un inasprimento ancora più elevato instaurato nel periodo successivo dalla stessa Lega Nord in materia di sicurezza. Richiamiamo l’attenzione sul fatto che nella Legge Bossi-Fini fu varata una modifica procedurale, poi diventata la base del permesso di soggiorno a punti che introdusse l’obbligo della conoscenza della lingua italiana. Infatti, così come già avveniva in altri Stati membri, fu deciso di accorpare in un’unica procedura la richiesta del permesso di soggiorno e quella del permesso di lavoro, e l’autorizzazione così concessa fu denominata contratto di soggiorno. Il passaggio della relativa competenza andò al neocostituito Sportello Unico presso le Prefetture. Al momento del suo varo questa innovazione non ebbe alcuna attinenza con la lingua italiana, ma nel 2009, nell’ambito delle modifiche del cosiddetto “Pacchetto sicurezza”, si pervenne al “contratto di soggiorno a punti”, con l’assegnazione di un punteggio molto alto alla conoscenza dell’italiano, accentuando così la sua funzionalità ai fini del soggiorno in Italia.

In questo contesto di allarmismo nei confronti degli immigrati si collocò il secondo Governo Prodi (2006-2008), che progettò di migliorare la normativa sugli immigrati, notevolmente modificata a seguito degli interventi restrittivi prima richiamati. Tale obiettivo non fu raggiunto perché il governo cadde prematuramente per la sua intrinseca debolezza, lasciando nuovamente il posto agli esponenti del centro destra, interessati piuttosto a un’ulteriore accentuazione delle esigenze securitarie, significativamente denominate “Pacchetto sicurezza”. Se ne fece carico il ministro dell’interno on. Roberto Maroni, personaggio di spicco della Lega Nord, che si adoperò per fare approvare la Legge n. 94/2009. Queste nuove e severe disposizioni in materia d’ingresso, soggiorno ed espulsioni furono modificate solo in parte con l’entrata in vigore delle Direttive europee “Rimpatri” e “Procedure” e per effetto della giurisprudenza, per cui nel complesso la situazione risultò più insoddisfacente rispetto all’assestamento determinatosi dopo la Legge Bossi Fini e ciò lascia intendere che l’obbligo di apprendimento dell’italiano non fosse stato deciso ispirandosi a un’ottica di integrazione promozionale.

gazz-uffNello stesso periodo adottò disposizioni sull’integrazione anche un altro dicastero, ma non a livello legislativo. Il ministro del lavoro di Forza Italia, Maurizio Sacconi, elaborò un “Piano per l’integrazione nella sicurezza”, proposto come un programma d’azione ministeriale. La sua era senz’altro un’impostazione più aperta e, rispetto agli orientamenti del “pacchetto sicurezza”, seppure chiaramente condizionata dalle già richiamate “preoccupazioni securitarie, apriva alla possibilità di un inserimento positivo degli immigrati. Non ci fu il tempo per sperimentare la sua efficacia perché il Governo dell’on. Berlusconi, iniziato nel 2008, rassegnò le sue dimissioni nel 2011 a fronte di una grave crisi finanziaria. Seguì il governo tecnico di Mario Monti (settembre aprile 2013) che, pur alle prese con i pesanti problemi economici e finanziari, varò una regolarizzazione, ritenuta funzionale alle esigenze dell’economia.

Venendo agli ultimi dieci anni, a dirigere il governo è stato Enrico Letta (2013-2014) e, dopo le elezioni europee e il successo di Matteo Renzi, a quest’ultimo è spettato il posto di presidente del Consiglio dei ministri (2014-2016), a sua volta rimpiazzato (dopo l’esito negativo del referendum sulla riforma costituzionale) da Paolo Gentiloni (2016-2018). Marco Minniti, ministro dell’interno nel governo Gentiloni, è riuscito a ridurre i numerosi sbarchi del triennio 2014-2016 (conosciuti come “crisi migratoria del Mediterraneo”) con la stipula di controversi accordi con la Libia (rinnovati anche in seguito), imperniati sul trattenimento dei migranti sul posto senza garanzia alcuna sul loro trattamento. Il Partito Democratico, sempre al governo in questi anni in coalizione con altri partiti, ha avuto al suo interno la nomina dei presidenti del Consiglio dei ministri ma non è riuscito a fare approvare riforme strutturali sull’immigrazione, né in materia di integrazione e neppure sulla cittadinanza ai minori figli di immigrati (dalla grande portata pratica e anche simbolica), che ha ottenuto l’assenso solo di un’aula parlamentare.

Negli anni 2018-2019 si è insediato il primo governo presieduto da Antonio Giuseppe Conte (giugno 2018-settembre 2019), formato dai Cinquestelle e dalla Lega (non più Lega Nord). Il vicepresidente del Consiglio dei ministri e ministro dell’interno Matteo Salvini, molto preoccupato per gli arrivi (peraltro fortemente diminuiti dopo le misure adottate dal precedente ministro Minniti), ha ritenuto una priorità per il Paese inasprire la normativa e ha proposto due “decreti sicurezza” (D.L, n. 13 del 2018, interamente dedicato agli immigrati, e D.L. n. 53 del 2018). Questi decreti sono stati convertiti in legge e approvati dal parlamento, nonostante le riserve espresse dal Presidente della Repubblica (dei quali si è tenuto conto solo nel secondo governo Conte). Per effetto delle norme promosse dalla Lega è stata ridimensionata l’apertura verso gli immigrati per motivi umanitari e la loro presenza nelle strutture di accoglienza, sono state ridotte le sovvenzioni a queste strutture ed è stata negata l’iscrizione degli interessati nell’anagrafe dei residenti. Quest’ultima misura è stata ben presto giudicata illegittima, ma nel complesso si è determinato, comunque, un notevole peggioramento.

Per quanto riguarda l’apprendimento dell’italiano, un effetto negativo è stato causato dalla riduzione della diaria messa a disposizione dei cittadini stranieri accolti nel sistema delle strutture per i richiedenti asilo, per cui molti enti gestori non sono stati più in grado di offrire ai loro ospiti l’insegnamento della lingua italiana. Per i cittadini stranieri che hanno chiesto la cittadinanza, oltre al prolungamento del periodo per l’esame della loro pratica (da due a tre anni), è stato richiesto un livello più alto di conoscenza linguistica (livello B1, pari al livello di cui ai parametri indicati dal Consiglio d’Europa).

Durante il secondo governo Conte (settembre 2019-febbraio 2021), sostenuto dai Cinque Stelle e dal Partito Democratico, le norme fatte approvare da Salvini con decretazione d’urgenza sono state modificate (come prima accennato) per inserire i correttivi proposti dal Presidente della Repubblica. La problematicità riscontrata nella tenuta del governo in carica ha indotto il presidente Mattarella (riconfermato nel mese di gennaio 2022) a non chiudere la legislatura anticipatamente e ad incaricare un governo tecnico di unità nazionale con l’inclusione di quasi tutti i partiti. È stato questo il governo di Mario Draghi (febbraio 2021-ottobre 2022). Il presidente Draghi, tenuto conto dei diversi orientamenti dei partiti sostenitori del suo governo, non ha fatto proposte o adottato decisioni in tema di politica migratoria (salvo il comune richiamo all’Unione Europea per dare un maggiore sostegno nella regolamentazione dei flussi) e ha preferito concentrare l’attenzione sull’economia (Programma nazionale di ripresa e resilienza sostenuto dall’UE), sul sostegno alle imprese, sulle misure necessarie per  superare definitivamente la pandemia da Covid, sulla riduzione dell’inflazione e il sostegno ai cittadini e alle imprese, oltre ad assicurare il sostegno all’Ucraina dopo la guerra mossale da parte della Russia (20 febbraio 2022).

Da ultimo, dopo le elezioni di settembre 2022, si è insediato il Governo di centro destra presieduto da Giorgia Meloni (ottobre 2022), che ha affidato il ministero dell’interno al prefetto Piantedosi, già capo gabinetto di Matteo Salvini quando questi era responsabile di quel dicastero. Sono emerse preoccupazioni per il numero degli sbarchi, ma sono emerse anche aperture al prolungamento della durata del permesso di soggiorno e all’ampliamento delle quote annuali d’ingresso per lavoro, mentre l’integrazione, e ciò che questo processo comporta, continua a essere un tema scarsamente dibattuto tra i partiti politici.

Le critiche da noi fatte nel presentare l’evoluzione legislativa degli ultimi 50 anni, specialmente con riferimento agli interventi degli ultimi due decenni, non hanno fatto venire meno la consapevolezza di una certa provvidenza autocorrettiva riscontrabile anche in questo processo storico: la necessità di fatto (l’immigrazione nella sua dimensione strutturale per il futuro del Paese) è in grado di temperare le rigidità ideologiche, che continuano a considerare l’immigrazione come un cuneo di estraneità. L’apprendimento dell’italiano non è più soltanto un obbligo ma anche un corridoio interculturale, che aiuta gli immigrati a sentirsi concittadini prima ancora di acquisire la cittadinanza e stimola le strutture pubbliche (in primis quelle scolastiche) e il mondo sociale a sostenerlo come perno della convivenza. 

a3f7f15c2dd548b9190a5dd244908e50_xlAnalisi del DPR n. 179/2011: il mutuo impegno tra l’immigrato e lo Stato nel processo d’integrazione 

L’accordo d’integrazione introdotto dalla Legge n. 94 del 2009 è stato regolamentato, a due anni di distanza, dal D.P.R. 14 settembre 2011 n. 179. I suoi 14 articoli e 3 allegati hanno fissato i criteri e le modalità applicative per la maturazione o perdita dei crediti necessari, comunemente chiamati “punti (art. 1, comma 25, legge 94/2009). Chi viene in Italia per la prima volta e chiede il rilascio di un permesso di soggiorno della durata di almeno un anno, è tenuto a stipulare un contratto d’integrazione con lo Stato italiano. La firma dell’accordo avviene presso lo Sportello unico per l’immigrazione, struttura della Prefettura territorialmente competente che rilascia il primo permesso ed è anche competente per la gestione dell’accordo. Il Regolamento ha anche previsto l’istituzione dell’anagrafe nazionale degli intestatari degli accordi d’integrazione, i cui dati però sono scarsamente conosciuti.

Sono tenuti alla stipula dell’accordo i cittadini stranieri a partire dai 16 anni: per i minori tra i 16 e i 18 anni è richiesta anche la controfirma dei genitori. Con la sottoscrizione dell’accordo, l’immigrato assume nei confronti dello Stato diversi impegni, segnatamente quelli di seguito indicati: 

a) acquisire un livello adeguato di conoscenza della lingua italiana (il livello A2 determinato dal Consiglio d’Europa);

b) acquisire una sufficiente conoscenza dei principi della Costituzione e dell’organizzazione e funzionamento delle istituzioni [10];

c)  acquisire una sufficiente conoscenza della vita civile, con particolare riferimento ai settori della sanità, della scuola, dei servizi sociali, del lavoro e degli obblighi fiscali;

d)   garantire l’adempimento dell’obbligo di istruzione da parte dei figli minori. 

A sua volta, con l’accordo, lo Stato si impegna a sostenere, con idonee iniziative e, nei limiti delle risorse disponibili, il processo d’integrazione. Segnatamente lo Stato si impegna ad assicurare il godimento dei diritti fondamentali e la pari dignità sociale senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali, prevenendo le manifestazioni di razzismo e di discriminazione. Lo Stato svolge questo suo compito in collaborazione con le Regioni, gli Enti Locali, i Centri di istruzione degli adulti (CPIA, di cui alla legge 27 dicembre 2006, n. 296), le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori.

Va richiamata l’attenzione sulla mancata citazione, tra le forze che collaborano con le istituzioni pubbliche, delle organizzazioni del terzo settore e del volontariato, da considerare invece un vero e proprio salvagente nei ricorrenti casi d’intervento pubblico deficitario. Tra l’altro, nell’ambito del volontariato hanno iniziato a inserirsi anche gli immigrati, ma tale impegno non è stato preso in considerazione nell’assegnazione dei crediti. Eppure, è stata condotta e pubblicata la prima indagine nazionale sul volontariato svolto da cittadini di origine immigrata. L’iniziativa si è avvalsa del supporto della Rete nazionale dei Centri di Servizio per il volontariato (CSVnet). Nel volume sono presentati casi esemplari e interviste, come anche sono analizzati i dati raccolti sulla dimensione di questo impegno. Il mondo del volontariato anticipa, così, al suo interno la reciprocità solidaristica auspicabile per la società nel suo complesso [11].         

Il testo approvato evidenzia che gli adempimenti posti a carico dell’immigrato al fine di ottenere la garanzia del soggiorno non sono meri adempimenti esterni, a prescindere dalla sua adesione personale alla specificità del Paese che lo ha accolto, del quale è chiamato a conoscere e accettare i princìpi fondamentali del suo ordinamento. Affinché l’immigrazione non rimanga una realtà estranea alla società d’accoglienza, è indispensabile favorire lo scambio interculturale e, perciò, si rimane perplessi sia quando gli immigrati considerano gli obblighi previsti come meri adempimenti esterni senza una finalità sociale, sia quando le strutture pubbliche si spendono poco per la programmazione di attività che facilitino l’integrazione, pur essendo queste menzionate nel testo normativo. 

1-1280x640Gli adempimenti e le attività rilevanti per l’assegnazione dei crediti 

È di un biennio la durata dell’accordo di soggiorno, pari quindi alla durata più usuale dei primi permessi di soggiorno di chi viene in Italia per lavoro o ricongiungimento familiare. Nel corso di questo periodo gli immigrati sono tenuti a maturare almeno 30 crediti e ne ricevono in dotazione 16, da completare con l’acquisizione di altri crediti a seguito di specifici adempimenti. I crediti si possono anche perdere, perché si dà luogo a una sottrazione quando si maturano crediti in negativo. Ad esempio, la mancata partecipazione alla sessione di formazione civica determina la perdita di 15 dei 16 crediti inizialmente assegnati [12].

Gli adempimenti, come specificato dalla normativa del 2011, riguardano i settori della sanità, della scuola, del lavoro, dell’istruzione e dell’educazione dei figli e, naturalmente, dell’apprendimento della lingua italiana. Trascorsi due anni dalla sottoscrizione dell’accordo, lo Sportello unico procede a una verifica. Il suo esito è positivo se l’interessato ha maturato almeno 30 crediti, inclusi i 16 crediti ricevuti in dotazione. Se, invece, i crediti sono di meno, all’interessato è accordato il periodo supplementare di 1 anno per totalizzare i 30 crediti richiesti per concludere positivamente l’impegno assunto con lo Stato.  Le disposizioni sui crediti da maturare sono contenute negli allegati A, B e C al D.P.R. n. 179 del 2011. È indispensabile far conoscere agli interessati queste particolarità affinché ne possano tenere conto nel loro operato.

Va dato atto della consistente quotazione attribuita alla conoscenza della lingua italiana: 16 crediti per la conoscenza a livello A1 e 29 per quella a livello A2. Non appare invece altrettanto soddisfacente (a volte troppo bassa o inesistente e a volte troppo alta) la quotazione di altri crediti, che talvolta sembra basata su una visione poco realistica dei nuovi venuti, come quando si insiste sulla frequenza di un dottorato o su un lavoro di docenza. A differenza di quanto fatto per l’avvio di un’attività autonoma, è assente qualsiasi riferimento al lavoro dipendente, mentre sarebbe stato auspicabile, ad esempio, prevedere l’assegnazione di crediti nel caso di acquisizione di una qualifica professionale o dello svolgimento di un incarico sociale in azienda (delegato sindacale, responsabile per la sicurezza). Sono, inoltre, soggetti a una bassa valutazione i titoli di studio maturati nei Paesi di origine: si arriva al riconoscimento di 5 crediti al massimo, ben poco rispetto ai 60 crediti previsti per il conseguimento del dottorato in Italia.

Un certo punteggio è assicurato anche nei casi in cui gli immigrati si facciano carico di adempimenti importanti nel loro percorso d’interazione. Vengono presi in considerazione la scelta del medico, la stipula di un contratto d’affitto di una casa, la sottoscrizione di un mutuo, l’inizio di un’attività autonoma (come prima accennato). Sorprende che per l’assegnazione dei crediti non sia stata presa in considerazione la certificazione di un impegno nel settore del volontariato o l’assunzione di responsabilità nell’ambito dell’associazionismo sociale. La decurtazione dei crediti (in verità abbastanza contenuta) è prevista nei confronti dell’immigrato soggetto a misure di sicurezza personali: segnatamente, in caso di condanna (anche non definitiva, nonostante la presunzione d’innocenza) al pagamento di un’ammenda non inferiore a 10 mila euro, a una condanna (anche non definitiva) con pena di reclusione non inferiore a tre anni. Ciò detto, resta vero che è più facile acquisire crediti anziché perderli.

Nel caso in cui per un cittadino straniero il conteggio dei crediti sia pari o inferiore a zero, ne consegue che i termini dell’accordo non sono stati rispettati e, di conseguenza, il permesso di soggiorno non sarà rinnovato e verrà a mancare l‘autorizzazione a restare in Italia. 

imagesI Centri per l’istruzione degli adulti 

I Centri per l’istruzione degli adulti (CPIA), istituiti con DPR  29 ottobre 2012, hanno sostituito i Centri territoriali permanenti (CTP) in precedenza operanti. I CPIA, che hanno iniziato la loro attività nell’anno scolastico 2014-2015, sono strutture che fanno capo al Ministero dell’Istruzione (e “del merito,” secondo l’aggiunta decisa dal Governo Meloni) per l’istruzione degli adulti (e anche dei già sedicenni), sia che si tratti di italiani che di stranieri: in questo secondo caso i soggetti interessati devono essere titolari di un permesso di soggiorno in corso di validità, condizione che solitamente non viene fatta valere dalle organizzazioni di volontariato.

L’offerta formativa dei CPIA prevede, per gli stranieri, l’alfabetizzazione e l’apprendimento dell’italiano come seconda lingua (L2) e, per tutti, il conseguimento della licenza media o del diploma di una scuola secondaria superiore, professionale, tecnica o artistica (questo anche a beneficio dei giovani che abbiano già compiuto i 16 anni di età e non possano seguire i corsi diurni). Il percorso linguistico riservato agli stranieri è finalizzato al raggiungimento di un livello di conoscenza della lingua italiana non inferiore al livello A2 del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue, elaborato dal Consiglio d’Europa.

L’immigrato raggiunge il livello A2 quando è in grado di comprendere e utilizzare frasi di uso comune; comunica in attività semplici e di abitudine che richiedono un semplice scambio di informazioni su argomenti familiari e comuni; sa descrivere in termini semplici aspetti della sua vita, dell’ambiente circostante; sa esprimere bisogni immediati. L’esame serve ad accertare se il soggetto è in grado di comprendere un testo e di costruire una frase semplice, rispettando la sintassi. I test sono somministrati secondo modalità omogenee e riconosciute a livello internazionale, presso i Centri di Istruzione per gli Adulti (CPIA) o presso le Università o altri centri abilitate/i. I Centri si avvalgono di docenti del Ministero dell’Istruzione con esperienza specifica nell’educazione degli adulti, ma possono avvalersi anche di altro personale competente, del settore pubblico o privato, mediante apposite convenzioni.

I CPIA sono strutture scolastiche autonome, dotate di un proprio organico e di uno specifico assetto didattico e organizzativo, con una sede centrale in ogni territorio. Su apposita designazione delle regioni, si procede all’erogazione dei percorsi didattici presso istituti secondari di secondo grado, con i quali viene stipulato un accordo.

Nel corso del tempo, in Italia l’insegnamento dell’italiano L2 ai migranti non è stato praticato sistematicamente. Inizialmente si è trattato dell’impegno di insegnanti volenterosi ma non sempre dotati di adeguate competenze finalizzate a una formazione didattica specifica. Col tempo sono aumentati i corsi di specializzazione (anche a livello universitario) e le relative certificazioni e nel 2016 il Ministero dell’istruzione ha indetto il primo concorso per l’insegnamento dell’italiano l2. Attualmente il numero di docenti esperti in questa materia è più alto e sono più ricorrenti le opportunità per specializzarsi al riguardo. 

copertina-dallavalleL’apprendimento della lingua locale come rimedio alla destrutturazione causata dalla migrazione 

La letteratura sociologica sull’emigrazione italiana all’estero, non solo su quella di data più remota ma anche su quella svoltasi nel secondo dopoguerra, ha evidenziato che raramente gli spostamenti si sono svolti sulla base di una socializzazione anticipatoria in grado di far conoscere la storia del Paese di destinazione, i suoi usi e costumi, il suo modo di vivere quotidiano e, quanto meno, i primi elementi della sua lingua. Al contrario, il bisogno di sopravvivere faceva partire impreparati e, correlativamente, la necessità di manodopera portava il Paese di destinazione ad accettare queste “braccia da lavoro” in fabbrica, ma non nella società. Si giunse a scrivere che, chi si trasferiva in una fabbrica del centro-nord Europa da un remoto paesino agricolo del sud Italia o delle sue isole, era come se facesse un salto di diversi secoli, dal Medioevo alla modernità.

Oggi l’Italia, settimo Paese più industrializzato del mondo, è diventato uno sbocco dei flussi migratori e le aree di origine sono l’Africa, sia del nord che subsahariana, l’Asia o l’America Latina, per lo più luoghi lontani, non solo geograficamente ma anche culturalmente.

Si prova un disorientamento quando si lascia l’ambiente in cui è avvenuta la propria socializzazione, di cui la diversità linguistica è un aspetto non trascurabile. Questa distanza comporta necessariamente il pericolo di destrutturazione: relazionale, perché si perdono i riferimenti parentali e amicali; lavorativa, perché si è assoggettati ad altri metodi, e spesso anche a uno sfruttamento estremo; comportamentale, perché diversi principi ispiratori (sociali e religiosi) sono profondamente diversi; giuridici, perché le norme e il sistema politico non sono gli stessi in vigore nel proprio Paese e, sotto alcuni aspetti, possono risultare in contrasto.

Il rimedio alla destrutturazione, una deriva da evitare perché socialmente pericolosa, è l’inclusione nel contesto del Paese ospitante. Su questo concetto si è molto discusso ma, semplificandone il contenuto sostanziale, si può ritenere che un immigrato è chiamato ad adattarsi alle norme fondamentali del Paese che lo accoglie (i principi costituzionali e le leggi applicative), salvaguardando però le specificità che non risultino in contrasto con il nuovo contesto. La lingua locale è il veicolo indispensabile per attuare quest’opera di mediazione e ciò è sufficiente ad attestare la sua irrinunciabile necessità.

Non basta vivere per tanti anni in un Paese e ricevere l’autorizzazione a restarvi a tempo indeterminato, acquisendo anche la cittadinanza: tutto ciò, pur formalmente corretto, può avvenire in una cornice di estraneità esistenziale. Pertanto, è fondato affermare che, prima ancora dell’intervento legislativo che ha introdotto l’obbligo di una certa conoscenza della lingua italiana, già sussisteva una sorta di obbligatorietà funzionale, perché la sua conoscenza è fin dall’inizio indispensabile, sia nel mondo del lavoro che nella società: la norma ha sancito, dunque, una necessità insita nell’ordine delle cose. La lingua è importante per agevolare tanto il percorso di avvicinamento degli immigrati agli italiani, quanto l’avvicinamento della popolazione ai nuovi arrivati; per capire il mondo che ci circonda e per poter partecipare alla vita del Paese dove si vive.

L’apprendimento della lingua italiana, per il migrante, è il primo essenziale elemento di inclusione, poiché favorisce la sua capacità di integrare in maniera armoniosa le sue diversità, volgendole ad arricchimento e non a detrimento della convivenza comune, evitando così un mancato apprezzamento o l’esclusione sociale. Il lavoro è certamente la motivazione principale che spinge i migranti a raggiungere il nostro Paese. Non sorprende, quindi, che l’esigenza di acquisire competenze linguistiche sia spesso connessa alla ricerca del lavoro, all’ambientazione nel contesto lavorativo, all’acquisizione di termini/processi che facilitino le abilità professionali, all’adattamento/comprensione dell’organizzazione del lavoro, alle relazioni con il datore di lavoro e con i colleghi dell’unità lavorativa.

Un’altra area delicata è quella dai rapporti burocratici, che da una parte possono costituire un appesantimento per i funzionari preposti al loro disbrigo e, dall’altra, una vera e propria “croce” per gli interessati, per i quali comporta la perdita di ore di lavoro, quando non si fruisce di permessi retribuiti, e attese defatiganti.

Al riguardo induce a riflettere l’osservazione fatta da un operatore sociale impegnato tra i migranti a Roma, dopo il trasferimento dell’Ufficio Stranieri della questura dalla centralissima zona della Stazione Termini a una zona remota della Tiburtina, mentre moderni palazzi, con ampio spazio circostante e poco distanti dalla fermata della metropolitana di Cinecittà, sono stati destinati dal Ministero dell’Interno ad altri uffici non preposti al contatto con il pubblico. Questo è stato il commento dell’operatore: «Li hanno posti il più lontano possibile dalla vita della città e dagli occhi della gente». Viene da pensare all’immediato dopoguerra, quando gli italiani partivano settimanalmente in treno dalla stazione centrale di Milano per la zona carbonifera del Belgio. Essi arrivavano la notte ed erano subito trasferiti in distaccamenti lontani dai centri abitati (inizialmente nei campi utilizzati per i prigionieri tedeschi), senza che la popolazione si rendesse conto dei flussi di queste persone, che restavano pressoché invisibili ed estranee alla loro vita [13].

Quanto riferito offre lo spunto per affermare, in linea generale, che è necessario conferire concretezza e visibilità all’integrazione dei nuovi venuti, con accorgimenti giuridici, sociali, culturali e anche di tipo urbanistico, parimenti funzionali a contrastare negli immigrati il senso di smarrimento e di emarginazione. Per ricorrere ai termini utilizzati dal sociologo Georg Simmel all’inizio del secolo scorso nel suo famoso excursus sulla figura degli stranieri, si deve far sì che essi appaiano sempre più un in-group e non un out-group.

La Scuola di lingua italiana di sant'Egidio

La Scuola di lingua italiana di sant’Egidio

Una terza area, che evidenzia la funzionalità della lingua, è quella delle relazioni sociali: con i vicini di casa, con i negozianti del quartiere, con il postino, con i vigili urbani e con gli insegnanti, per limitarci ad alcuni esempi. Questo va detto per quanto riguarda i rapporti immediati. Oltre ad essi vi sono anche le relazioni italiani-immigrati che non comportano la presenza fisica, le notizie o l’intrattenimento tramite la radio o la televisione, il rapporto con le autorità tramite i loro avvisi o le loro disposizioni, quello con i giornali, e così via. L’apprendimento linguistico è, quindi, necessario per ridurre al minimo i disagi nella fase del primo inserimento, salvo restando che la conoscenza dell’italiano è preziosa anche nella fase del secondo inserimento, quello stabile, da cui dipende l’innesto fruttuoso dei membri appartenenti ai diversi gruppi linguistici.

È proprio in questa seconda fase, generalmente caratterizzata da un relativo superamento delle difficoltà pratiche e finanziarie iniziali, che gli immigrati più dotati, grazie all’apprendimento dell’italiano, possono dare il meglio di se stessi nelle relazioni umane, come anche professionalmente, culturalmente e socialmente. La possibilità di apprendere a un livello soddisfacente la lingua italiana rientra pienamente nel concetto di pari opportunità, rappresenta il perno di un’adeguata politica di inclusione.

A questo punto si pone il problema di come intervenire per facilitare l’insegnamento dell’italiano agli immigrati, grazie all’azione delle strutture pubbliche e al coinvolgimento del mondo sociale. Sulla resa dei percorsi linguistici influiscono vari fattori: Paese di origine, età, livello previo di scolarizzazione, capacità individuale, situazione familiare, condizione abitativa, periodo di permanenza in Italia, contatto nel tempo libero o durante il lavoro con persone che parlano italiano, opportunità formative. Anche il Paese di origine esercita un certo impatto: l’apprendimento dell’italiano, per esempio, è mediamente più rapido per i migranti provenienti dall’Europa dell’Est o da Paesi ispanofoni e francofoni, ma mediamente più lungo per gli asiatici o gli arabofoni. Raggiunto il livello base della lingua italiana, per poterla approfondire e perfezionare sono necessari anni e, di conseguenza, anche una profonda motivazione a continuare nello studio. Per questo spesso i livelli più alti di insegnamento (successivi al B1 secondo QCER) sono poco frequentati.

Le esigenze di formazione linguistica sono molto complesse in un Paese come l’Italia, caratterizzato da un consistente insediamento di cittadini stranieri e da ricorrenti nuovi arrivi, anche di persone in cerca di protezione umanitaria o di asilo politico: è richiesto, perciò, un forte impegno delle strutture pubbliche e del mondo sociale. 

Scuolamigranti a Roma

Scuolemigranti a Roma

L’apporto del volontariato: il caso di Scuolemigranti a Roma e nel Lazio 

Alle strutture della rete pubblica si affiancano, per l’offerta dell’italiano come lingua seconda, anche le organizzazioni sociali che, nonostante la volontarietà dell’impegno e a prescindere dalla diversa estrazione culturale, religiosa e politica, hanno rivelato un’accentuata professionalità: centri di volontariato, associazioni di promozione sociale, parrocchie, biblioteche comunali, ONG, centri sociali, fondazioni e alcune cooperative sociali.

Gli obiettivi sono gli stessi ma, tra le due reti, sussistono anche delle differenze, che quasi sempre si compongono armoniosamente grazie alla disponibilità a collaborare reciprocamente. La rete sociale è in grado di offrire interventi molto diversificati, in alcuni casi complementari, grazie alla sua flessibilità, non solo di tempo, di riferimenti territoriali, di orari, ma anche in termini di metodologie, didattica, sperimentazioni e sostegno individualizzato.

La rete sociale può essere (di fatto già lo è) un continuum con quella pubblica, a beneficio dei soggetti impossibilitati a fruire delle opportunità offerte dal sistema ufficiale per ragioni di orario e/o di distanza dalle sedi di insegnamento. Ad esempio, nel 2013-2014, su 27.310 iscritti ai corsi d’italiano L2 nel Lazio, il 52,6% frequentava i corsi della scuola pubblica e la restante quota quelli della rete sociale, con una proporzione però rovesciata a Roma (58,3% presso la rete sociale).

Una fruttuosa linea operativa per ampliare il volontariato linguistico consiste nel mettere a disposizione delle associazioni, dopo l’orario di chiusura delle attività ordinarie, gli edifici scolastici in cui poter insegnare l’italiano. È un’esperienza che alcune scuole stanno già realizzando (e non solo per l’insegnamento della lingua), mostrando in concreto che è possibile una collaborazione innovativa tra pubblico e privato.

Qui di seguito presentiamo, come esempio di volontariato linguistico, Scuolemigranti, un’associazione nata a Roma nel 2009 per operare come rete di collegamento tra le realtà sociali che si occupano dell’insegnamento gratuito dell’italiano ai migranti. In quello stesso anno, la nuova associazione ha curato la sua prima pubblicazione sulle scuole aderenti [14]. Questo volume ha posto in risalto le soluzioni organizzative e scelte metodologiche adottate per garantire agli immigrati una bassa soglia di accesso ai percorsi formativi, far conoscere e valorizzare le diverse iniziative mettendole in rete e collegandole con il sistema pubblico. In una successiva pubblicazione del 2009, sempre edita dal Centro Servizi per il Volontariato, è stato ribadito che circa cento associazioni di Roma e del Lazio, impegnate nell’insegnamento dell’italiano ai migranti, collegandosi tra di loro hanno dato vita ad una esperienza forse unica nel panorama italiano. Infatti, esse hanno messo in comune esperienze, materiali didattici (da segnalare in particolare i quaderni), tecniche, metodologie e strumenti di insegnamento, modelli laboratoriali e linee per un intervento interculturale, sottoscrivendo con le strutture pubbliche protocolli e intese di collaborazione, secondo un modello concordato con l’Ufficio scolastico regionale [15].

La sede di Scuolemigranti è stata da ultimo stabilita presso il Centro Servizi Volontariato del Lazio, dove offre informazioni per gli immigrati interessati alle opportunità formative e per le persone desiderose di inserirsi nell’ambito del volontariato linguistico, oltre a organizzare iniziative formative e di scambio di comune interesse per le associazioni aderenti (seminari, convegni, studi, indagini) e a occuparsi del collegamento con la rete pubblica. Questa accorta impostazione ha consentito alla rete di raggiungere in poco tempo i 10 mila iscritti, anche se negli anni della pandemia da Covid-19 vi è stata una drastica riduzione [16].

download-1Sulle strutture aderenti e sugli iscritti ai corsi nei singoli anni scolastici hanno riferito puntualmente i coordinatori di Scuolemigranti che si sono succeduti nel tempo (prima Augusto Venanzetti e poi Paola Piva): i loro rapporti sull’attività svolta (e anche altri articoli dedicati all’andamento della rete) sono apparsi nelle edizioni annuali dell’Osservatorio Romano sulle Migrazioni (dal 2020 diventato Rapporto sulle migrazioni a Roma e nel Lazio).

Alcuni dati aiutano a rendersi conto dell’ampiezza del lavoro svolto. Scuolemigranti ha operato in 35 comuni (nella Capitale, nei comuni della Provincia di Roma e in quelli delle altre province laziali), ha garantito ai migranti la partecipazione gratuita ai corsi a tutti i livelli, da quello più basso a quello avanzato (complessivamente i corsi sono stati 65), ha sostenuto didatticamente le associazioni aderenti e i relativi insegnanti.

Scuolemigranti, insistendo sulla conoscenza come strumento di inclusione, in collaborazione con l’istituto di ricerca delle Acli (IREF) ha anche avviato un’indagine sul profilo sociale e linguistico degli iscritti ai corsi, basandosi su un campione di 5.800 persone. Già dalla metà del secondo decennio degli anni 2000 sono state evidenti le variazioni intervenute nella composizione degli iscritti ai corsi e delle loro esigenze, evidenziate anche da altre indagini condotte in regione [17].

Il periodo della pandemia si è chiuso con un pesante deficit a livello sanitario, per le numerose morti, le restrizioni sociali e l’impoverimento, mentre sul piano dell’insegnamento linguistico ha fatto emergere aspetti sia positivi che negativi, come precisato nel realistico quadro fatto dal coordinamento di Scuolemigranti. Il lockdown ha favorito l’emersione di uno strato di allievi altrimenti non raggiungibili e di volontari inattesi. Tuttavia, non va sottovalutato il drastico taglio all’offerta complessiva di corsi di italiano, che ha interessato sia le scuole del volontariato sia il ramo della scuola pubblica per adulti (Cpia). Prima della pandemia la rete “Scuolemigranti” raccoglieva in media 11.500 iscritti all’anno [18], nel 2021 ne sono stati raggiunti appena un terzo [19]. In due anni si stima che 15-16 mila adulti stranieri non abbiano avuto accesso alle scuole del volontariato.  Ne consegue che il futuro della rete “Scuolemigranti” e delle strutture ad essa aderenti dovrà essere caratterizzato da un impegno ancora più intenso. 

Scuolemigranti a Roma

Scuolemigranti a Roma

Le opportunità dell’insegnamento a distanza: il caso romano del Gruppo Welcome 

Welcome è un gruppo di volontariato a favore degli immigrati costituito presso la Parrocchia S. Pio X alla Balduina, un quartiere residenziale dietro la Basilica di S. Pietro a Roma, nella parte iniziale della pendice di Monte Mario. Questo quartiere, sorto nell’immediato dopoguerra per ospitare esponenti della borghesia professionale, è rimasto tale ma, a seguito dell’invecchiamento dei primi residenti, ha richiesto sempre più l’apporto di badanti e collaboratrici familiari (queste anche a beneficio di giovani coppie che hanno sostituito quelle scomparse). Sono diventati numerosi anche i piccoli imprenditori immigrati: negozianti di frutta e verdura (moltissimi), gestori di lavanderie, negozi di ferramenta, servizi di lavaggio di autovetture e di riparazione delle scarpe.

Raramente gli immigrati arrivati da tempo hanno avuto la possibilità di seguire lezioni di italiano e per questo, chi tra di essi pensa all’Italia come al Paese del suo definitivo insediamento, è interessato ad acquisire una maggiore conoscenza della lingua (anche in previsione della richiesta della cittadinanza italiana). Quelli che continuano ad arrivare, con permesso di soggiorno (specialmente per ricongiungimento familiare) o senza (i più, per via della impossibilità di entrare regolarmente in Italia per la ricerca di un lavoro), si rendono conto di dovere imparare l’italiano per poter rinnovare il permesso di soggiorno, se regolari, o per riuscire a trovare un posto di lavoro, se in posizione di irregolarità.

Il Gruppo Welcome, dopo aver consolidato la sua esperienza nell’organizzazione di incontri tra donne migranti del quartiere e, successivamente, anche con gli uomini, e dopo aver promosso l’insegnamento dell’italiano in apposite classi (diventando anche sede di esami), nel 2020 ha dovuto fronteggiare la crisi determinata dall’epidemia da Covid-19, con la conseguente impossibilità di tenere i corsi nelle classi [20]. A questa difficoltà comune a tutte le strutture impegnate nell’insegnamento, si è aggiunta la morte della fondatrice del Gruppo, Lidia Pittau (13 agosto 2020), una straordinaria organizzatrice e animatrice che, come accennato nell’introduzione, poteva contare su un’ultradecennale esperienza di lavoro interculturale presso la Caritas diocesana di Roma. Il Gruppo era venuto così a trovarsi nell’impossibilità di organizzare i corsi, di prevedere gli incontri, i laboratori, le uscite e le altre attività svolte in precedenza. La nuova coordinatrice del Gruppo, Karolina Peric, per evitare la completa interruzione delle attività dovuta all’impossibilità di incontrarsi, alla fine del 2020 ha concordato con il Gruppo il lancio di un programma di insegnamento dell’italiano via telefono, dando l’avvio a una campagna per il reclutamento di insegnanti volontari (di preferenza nell’ambito della parrocchia) e di immigrati interessati ad avvalersi di questa opportunità.

L’idea si è rilevata provvidenziale. Il volantino ideato per far conoscere il programma, diffuso attraverso le e-mail e pubblicato su qualche sito (in particolare, sui siti del Centro Servizio Volontariato del Lazio e della Rete Scuolemigranti di Roma) ha presto riscosso un’ampia risonanza, ben al di sopra delle iniziali aspettative. Per dare un’idea delle dimensioni del servizio reso nel biennio 2020-2022 ci si è avvalsi degli appunti presi dai volontari di Welcome preposti a ricevere le richieste di iscrizione. Si è trattato di appunti semplici, poiché la maggiore preoccupazione ha riguardato la ricerca di volontari e la prestazione dell’insegnamento. Tuttavia, l’analisi dei contatti e della corrispondenza intercorsa ha consentito di cogliere alcuni tratti di indubbio interesse.

I Paesi di provenienza degli iscritti sono stati più di 30 e le persone segnalatesi per fruire del servizio a distanza sono state un centinaio. Alla trentina di volontari della Parrocchia S. Pio X (e a quelli fuori parrocchia che li hanno affiancati da altri posti) si sono rivolti, oltre ai singoli immigrati residenti del quartiere, diverse strutture: ad esempio, le parrocchie vicine, qualche servizio della Caritas diocesana, la Comunità femminile Scalabriniana, qualche organizzazione operante nel settore dei rifugiati (come quella dei Gesuiti), qualche ambasciata e anche qualche pensionato universitario. Un esempio, tra i tanti, dà un’idea della risonanza avuta da questa offerta on line. È pervenuta a Welcome una richiesta dal Piemonte, da parte di una giapponese interessata a conseguire un master in arte culinaria, bisognosa di un insegnante d’italiano rispondente alle sue peculiari necessità. In questo caso il Gruppo ha preferito esserle d’aiuto per trovare sul posto una soluzione confacente. In qualche altro caso, invece, come accaduto con una rifugiata tibetana, la lontananza territoriale non ha impedito la sua presa in carico.

L’elevato numero di richieste è certamente dipeso sia dalla tempestività e dal modo di reclamizzazione del servizio, sia dall’estrema facilità per gli interessati di registrarsi per ottenerlo. Infatti, è stato sufficiente l’invio di una e-mail (con il nome e il numero di telefono) a welcomespiox@gmail.com o, in alternativa, l’invio di un messaggio whatsapp a uno dei due numeri di segreteria o anche una semplice telefonata. Quindi, verificato via telefono il livello di conoscenza dell’italiano, è stato assegnato l’insegnante ritenuto più adatto: a quel punto il docente e lo studente hanno scelto insieme il giorno e l’ora delle lezioni (una o due volte la settimana). Quanto all’orario, grazie alla presenza di diversi volontari, si è potuto andare incontro a tutte le richieste (qualcuno è stato disponibile a dare le lezioni anche alle 7.30 della mattina e di domenica). In questo modo sono state salvate iscrizioni che altrimenti sarebbero venute meno.

Scuolemigranti a Roma

Scuolemigranti a Roma

Sul piano didattico molti docenti hanno preferito seguire il percorso indicato in qualche manuale, invitando i loro studenti ad acquistarlo su internet (ma non di rado gli è stato dato in omaggio dallo stesso insegnante). Nel corso del servizio non sono mancati i momenti di affanno. In un caso di assoluta urgenza si è trovata la volontaria linguistica a Porto Azzurro, nell’isola d’Elba, ma quando questa era pronta a iniziare l’allieva non era più rintracciabile. Il lavoro fatto non è stato però vano. L’immigrata (si è trattato di una donna in questo caso), costretta a ritornare nel suo Paese per questioni personali, si è detta interessata alle lezioni, che le sono state impartite da Roma e continuano ormai da due anni. A sua volta la volontaria di Porto Azzurro, sempre motivata a rendersi utile, ha preso in carico un’immigrata arrivata di recente nella sua isola.

Hanno studiato con Welcome anche una brasiliana e una peruviana, entrambe in Italia per motivi di studio, che hanno chiesto di continuare ad avere lezioni anche dopo il rimpatrio. Così è stato, e le due donne, diventate buone conoscitrici dell’italiano, si sono adoperate a loro volta come insegnanti volontarie per migranti bisognosi di un supporto linguistico, attivando un interessante “volontariato di ritorno”. Una prospettiva che potrebbe essere tenuta in considerazione per i Paesi che in passato hanno accolto una consistente collettività italiana e che ora sono diventati aree di emigrazione verso l’Italia.

Trattandosi solitamente di persone senza una precedente esperienza di insegnamento (ad eccezione dei docenti andati in pensione), non sono mancate le difficoltà didattiche iniziali, specialmente con i principianti (e, in particolare, con quelli provenienti da determinati Paesi), ma alla fine ciascun volontario è riuscito a mettere a punto il suo metodo. Alcuni volontari hanno anche seguito dei corsi di perfezionamento organizzati dal CEDIS (Certificazione e Didattica Italiano per Stranieri). Non è mancata l’esperienza (più impegnativa ovviamente) con persone che dovevano imparare a leggere: la rete “Scuolemigranti” ha evidenziato, nei suoi ultimi rapporti, l’aumento di questi casi. Al disagio dell’insegnamento a distanza si è supplito con la presenza, a fianco del discente, di un familiare o un amico come “spalla” del docente.

Singolare è stata la presa in carico di uno straniero presente in Italia per motivi giudiziari. Secondo il suo avvocato difensore la buona volontà, dimostrata con lo studio dell’italiano, potrebbe essere valutata dal giudice così positivamente da fargli rilasciare un permesso di soggiorno con relativa iscrizione anagrafica e autorizzazione al lavoro: sarebbe per lui l’inizio di un’esistenza regolare. Non meno singolare è il caso di un giovane che sta ultimando il ciclo della scuola secondaria superiore, con ritardi abissali rispetto alle conoscenze medie (non solo dell’italiano) che si richiedono a quel livello: Welcome è riuscito a mettere insieme quattro insegnanti volontari di sostegno, con una full immersion che probabilmente gli consentirà il recupero necessario.

Le categorie di appartenenza degli studenti sono le più disparate: colf, badanti, uomini in cerca di lavoro, casalinghe, studenti universitari, laureati, muratori, artigiani, negozianti. Le persone munite di permesso di soggiorno solitamente sono interessate al conseguimento del certificato linguistico di livello A2 e, in minor misura il livello B1, ma non mancano quelle vogliose di parlare meglio l’italiano a prescindere dalla certificazione. Qualche studente ha proposto la lettura di un libro di comune interesse con l’insegnante, fermandosi per la comprensione di frasi o costruzioni difficili, trasformando un rapporto meramente linguistico in uno scambio culturale. Naturalmente non sono mancati i casi di migranti non regolari, per i quali la lingua è stata parimenti ritenuta importante.

Scuolemigranti a Roma

Scuolemigranti a Roma

È iniziato per caso, ma poi è continuato grazie al passaparola, il contatto con diversi professori universitari provenienti da diversi Stati del Brasile (San Paolo, Rio de Janeiro, Spiritu Santo), interessati a capire e parlare l’italiano in breve tempo, a farsi correggere i testi da presentare a qualche facoltà universitaria o a qualche rivista in Italia. Grati per il sostegno ricevuto, questi docenti, nonostante la distanza oceanica, hanno continuano i rapporti e hanno coinvolto a distanza, in alcune delle loro iniziative, persone conosciute tramite Welcome.

I volontari hanno sentito la soddisfazione di aver insegnato agli immigrati a leggere testi, conversare e scrivere in italiano. È stata la gratificante esperienza di contribuire a un parto, quello del linguaggio. Sono state rese da loro alcune apprezzabili riflessioni sulla “voce” come collante coinvolgente in grado di rimediare alla lontananza fisica. Non è trascurabile aggiungere che l’insegnamento dell’italiano, anche a livelli semplici, comporta il ripasso della propria lingua, colmando lacune e facendo chiarezza su aspetti problematici. L’insegnamento fa bene a chi lo riceve e a chi lo pratica.

Diverse sono state anche le categorie di appartenenza dei volontari, parrocchiani e non parrocchiani: pensionati o persone ancora in attività lavorativa, studenti, iscritti a master sull’immigrazione, anziani, persone di mezza età, giovani, ex impiegati, ex lavoratori, ex insegnanti, ex-professori, ex dirigenti d’azienda, in qualche caso (come accennato) anche qualche migrante o ex immigrato rimpatriato. Cessata la pandemia e venuto meno il divieto di incontrarsi, dai contatti telefonici si è passati a incontri non virtuali ma in presenza, presso l’abitazione di qualche insegnante volontario, mettendo insieme 4-5 studenti immigrati e 4-5 italiani e ricomponendo, così, un ambito relazionale normale.

Per fissare gli incontri si è approfittato di una ricorrenza particolare (una laurea, un diploma sportivo, un rimpatrio di una persona iscritta ai corsi) e si è aggiunto un pasto, un piccolo tocco scenico (mezz’ora con un cantante coinvolto nell’evento per i rapporti amicali, oppure con un etnomusicista immigrato e il figlio, con una giovane immigrata esperta di arti marziali e disponibile a una breve presentazione della sua bravura, con un docente universitario straniero anch’esso iscritto al corso). Per diverse persone l’atmosfera semplice e calda di questi incontri è stata la prima esperienza di conoscenza alla pari della casa di un italiano e per questo hanno sentitamente ringraziato: ovviamente l’italiano è stata la lingua d’obbligo e tutti lo hanno parlato con naturalezza e con qualche sbaglio, che in quella circostanza non è stato corretto.

Non meno importanti sono stati gli effetti tra gli italiani. L’insegnamento a distanza, oltre a essersi rivelato un’occasione preziosa per inserire nuove persone nell’ambito del volontariato, ha favorito la presa di coscienza della dimensione internazionale insita in una società multietnica: “il mondo in una, stanza”, si potrebbe dire, alludendo alla famosa canzone di Gino Paoli. I volontari sono diventati degli “integratori” in una società in cui poco si parla di accoglienza: essi sono entrati con naturalezza nella vita personale dei loro studenti (e all’occorrenza delle loro famiglie), ne hanno conosciuto i problemi, hanno fornito consigli e spesso si sono messi personalmente a disposizione per trovare soluzioni, con un insieme di valenze che vanno ben oltre i casi individuali.

Nel futuro Welcome continuerà ad affiancare il servizio on line a beneficio di quanti non possono frequentare i corsi in classe, che sono finalmente stati ripresi. Il concetto di reciproca integrazione tra italiani e stranieri abbisogna di essere proposto con convinzione in questa fase storica di crisi ricorrenti, che rischiano di indurre alla chiusura nel proprio egoismo: questo è l’orizzonte proposto dalla Costituzione, ribadito sul piano delle motivazioni dal comandamento cristiano dell’amore del prossimo, un tema caro al Parroco don Andrea Celli. In questo modo il volontariato linguistico si configura anche come azione politica, perché prefigura un nuovo tipo di società. 

scuola-lingua-cultura-santegidio-2018Conclusione 

Siamo convinti che, partendo dal volontariato linguistico, si possa pervenire a una realistica e suggestiva considerazione geopolitica sul futuro dell’Italia. Le riflessioni qui svolte hanno inteso fornire un contributo sul piano della conoscenza e delle motivazioni, senza astenersi dalle critiche, ma anche con una grande attenzione alle possibili prospettive.

La gestione dei flussi migratori in Italia, per le caratteristiche dei suoi confini e la sua collocazione geografica, è oggettivamente molto difficile, e richiede un maggiore supporto dell’Unione Europea. In uno scenario così caratterizzato è indispensabile una solida capacità di bilanciamento tra ordine pubblico e contenimento dei flussi, da una parte, e salvaguardia dei diritti delle persone e incentivazione di un positivo processo d’inserimento – di cui l’apprendimento dell’italiano è una componente fondamentale – dall’altra. Abbiamo visto, invece, che in Italia il collegamento tra processo di inserimento e inclusione e apprendimento della lingua italiana è stato avviato tardivamente e senza un organico inserimento all’interno della programmazione dei flussi, attuando una politica più impositiva che incentivante.

La situazione attuale, quindi, non è soddisfacente ma non esclude il perseguimento di prospettive interessanti. I migranti, in ragione del loro numero (oltre 7 milioni, inclusi quelli diventati cittadini italiani, più di un decimo della popolazione residente), secondo le previsioni demografiche sono destinati ad aumentare, diventando una quota ancora più consistente degli italofoni. Il miglioramento del livello linguistico ne farà degli agenti più apprezzati nella nostra economia e nella nostra cultura, come del resto è prefigurato, anche per i cittadini non comunitari, nella Direttiva europea sui soggiornanti di lungo periodo, che ne ha sancito l’inserimento anche negli uffici pubblici [21].

I migranti sono anche i naturali diffusori nel mondo, attraverso le usuali relazioni con i familiari, i parenti e gli amici, della conoscenza dell’Italia e, in una certa misura, anche della sua lingua [22]. Hanno richiamato l’attenzione su questi aspetti i volumi intitolati Words4link – scritture migranti (Edizioni IDOS, Roma, 2021), che compendiano i risultati di un progetto realizzato dalla cooperativa Lai Momo con il Centro Studi e Ricerche IDOS, in collaborazione con numerosi altri partner. Il proposito è stato quello di valorizzare e diffondere la conoscenza e la lettura di quella complessa produzione letteraria che, per convenzione, è chiamata “scrittura migrante”. Si è provveduto, perciò, a mettere in relazione soggetti ed enti attivi nel settore; stilare una mappatura degli attori chiave (persone e strutture). Motivo ispiratore è stata la convinzione che questa produzione culturale possa innescare un cambiamento nella rappresentazione dei migranti, favorendo la convivenza e superando i pregiudizi. Di questo complesso panorama (narrativa, poesia, saggistica, fumettistica, ecc.) i volumi pubblicati offrono al lettore una serie di contributi scritti da esperti e da autori emergenti (ai quali sono dedicate anche delle schede).

Stando così le cose, e senza rinunciare all’ipotesi di un più soddisfacente assetto normativo, bisogna fare tutto il possibile (e non sarebbe poco!) sia nell’ambito delle strutture pubbliche competenti per l’insegnamento, sia in quello sociale. Anche se dovesse perdurare un’accentuata contrapposizione tra i partiti, le vie del volontariato linguistico restano aperte, assicurando un grande aiuto ai migranti, alla società e anche a chi lo pratica. E, col tempo, tutto questo portato di esperienza e studio potrebbe influire anche a livello politico. 

Dialoghi Mediterranei, n. 62, luglio 2023 
[*] Hanno partecipato alla redazione del testo Ginevra Demaio, Luca Di Sciullo, Anna Onorati, Karolina Peric e Franco Pittau. 
Note
[1] Cfr. Synergasìa, Centro Studi e Ricerche IDOS, I nuovi scenari socio-linguistici in Italia. Richiedenti asilo, migranti, interpreti e nuovi scrittori, “Affari Sociali Internazionali – Nuova Serie, n. 3-4/2013, Roma, 2014.
[2] Sull’inserimento dei figli degli immigrati nel sistema scolastico si possono consultare le disposizioni ministeriali in vigore: Ministero dell’istruzione, Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri.
https://www.miur.gov.it/documents/20182/2223566/linee_guida_integrazione_alunni_stranieri.p%20df/5e41fc48-3c68-2a17-ae75-1b5da6a55667?T=1564667201890. Per quanto riguarda l’area romana, si può consultare questa recente bibliografia: Priori A., “Alunni stranieri: la fatica di trovare un posto a scuola”, in Centro Studi e Ricerche IDOS, Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, Osservatorio Romano sulle Migrazioni. Quindicesimo Rapporto, Edizioni IDOS, Roma 2020: 117-123; Nota A., “L’adolescenza straniera: le problematiche dai 14 ai 16 anni”, in Centro Studi e Ricerche IDOS, Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, Osservatorio sulle migrazioni a Roma e nel Lazio. Diciassettesimo Rapporto, Edizioni IDOS, Roma 2022: 112-117; Venturini C., “Discol contro i respingimenti scolastici”, in Centro Studi e Ricerche IDOS, Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, op. cit., 2022: 215-221.
[3] Cfr. Pittau F., “Mons. Luigi di Liegro: una vita tra fede e promozione umana”, in Dialoghi Mediterranei, n. 60, 1 marzo 2023.
[4] Cfr. Caritas di Roma, Forum per l’intercultura: 18 anni di esperienza, Edizioni IDOS, Roma, 2008. Questa pubblicazione, ricca di memorie e prospettive, è stata realizzata con il contributo della Provincia di Roma, quando ne era assessore alle Politiche Sociali Claudio Cecchini.
[5] Sono qui riportati i riferimenti bibliografici di alcuni approfondimenti del Centro Studi e Ricerche IDOS (curati da Franco Pittau): “Politiche migratorie: la lezione della Prima Repubblica”, in Dialoghi Mediterranei, n. 46, novembre 2020. Al periodo successivo sono dedicati i seguenti contributi: “35 anni di immigrazione in Italia”, in Dossier Statistico Immigrazione 2006, IDOS, Roma, 2006: 69-76; “Immigrazione in Italia: dagli anni Settanta alla crisi del 2008 fino all’attualità”, in Dossier Statistico Immigrazione, 2019, Edizioni IDOS, Roma, ottobre 2019: 99-105. In una sua pubblicazione il Centro Studi IDOS ha offerto anche una visione complessiva della normativa vigente sugli stranieri: Iafrate P., La normativa sugli immigrati e sui rifugiati in Italia: tra formalità e operatività, Edizioni IDOS, Collana Agorà, 2018.
[6] Gli elementi di critica nei confronti di un diffuso pregiudizio allarmistico rispetto alla presunta tendenza a delinquere degli immigrati si trovano in Iafrate P., Pittau F., “Immigrazione e criminalità: elementi per una nuova valutazione”, in Dossier Statistico Immigrazione 2018, Edizioni IDOS, Roma, 2018:185-190.
[7] Cfr. Centro Studi e Ricerche IDOS, Université Laval, Pittau F., Vacaru N.E., (a cura di), Immigrazione e integrazione tra le due sponde dell’Atlantico, Edizioni IDOS, Roma, 2020.
[8] Ambasciata di Germania in Italia, Caritas Italiana, a cura di Di Sciullo L., Pittau F., Schmitz K, (a cura di), Da immigrato a cittadino: esperienze in Germania e in Italia – Vom Einwanderer zum Mitbuerger. Erfahrungen in Deutschland und Italien, Edizioni IDOS, Roma, febbraio 2008.
[9] È opportuno citare il caso del governo canadese che, nel valutare le domande presentate per andare a lavorare in quel paese, assegna un consistente punteggio alle domande per lavoro e assegna un punteggio molto alto ai candidati con ottima conoscenza delle due lingue ufficiali: Cfr. Pittau F., “Canada: evoluzione dei flussi migratori dall’Italia e della collettività italo-canadese”, in Dialoghi Mediterranei, n. 58, 1 novembre 2022.
[10] Questo punto viene ribadito con la seguente frase riportata di seguito: «Lo straniero dichiara, altresì, di aderire alla Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione (Decreto del Ministro dell’interno del 23 aprile 2007, Gazzetta Ufficiale n. 137 del 15 giugno 2007) rispettandone i principi». Sarebbe stato sufficiente aggiungere la seguente precisazione al punto b): «impegnandosi a rispettare detti principi». Forse si è preferito ritornare sul punto per enfatizzare l’importanza della Carta dei valori e della cittadinanza.
[11] Ambrosini M., Erminio D. (a cura di), Volontari inattesi. L’impegno sociale delle persone di origine immigrata, Erikson, 2019.
[12] La sessione formativa garantita dallo Stato ha una durata non inferiore a cinque e non superiore a dieci ore e prevede l’utilizzo di materiali e sussidi tradotti nelle lingue straniere.
[13] Cfr. Pittau F., Lodetti G., “L’emigrazione italiana in Belgio: da minatori emarginati a cittadini e funzionari europei”, in Dialoghi Mediterranei, n. 54, marzo 2022 (on line).
[14] CSV Lazio e Spes, Scuolemigranti: le scuole del volontariato a Roma e nel Lazio, Roma, 2009. Cfr. anche: Venanzetti A., “La rete scuolemigranti nel Lazio e il sostegno ai minori”, in Osservatorio Romano sulle Migrazioni. Nono Rapporto, Edizioni Idos, Roma, 2012: 74-81.
[15] CESV Roma (a cura), Laboratorio di cittadinanza. Imparare l’italiano con la Rete, Roma, gennaio 2014.
[16] Per un aggiornamento sul periodo pre-Covid cfr: Catania D., Desideri Di Curzio I.,  Piva P., “Indagine sulla domanda e offerta di apprendimento della lingua italiana nel Lazio”, in Centro Studi e Ricerche IDOS, Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, Osservatorio Romano sulle Migrazioni. Quattordicesimo Rapporto, IDOS, Roma, 2019: 69-75.
[17] Cfr. Bianchi L., Catarci M., Fiorucci M., Grossi M., Mazzucco E.“Indagine sulle scuole di italiano per stranieri promosse dall’associazionismo a Latina e provincia”, in Osservatorio Romano sulle Migrazioni. Tredicesimo Rapporto, Edizioni IDOS, Roma, 2018: 84-90; Catarci M., Fiorucci M., Trulli M., “Una pratica di pedagogia militante nel contesto romano e laziale: la Rete Scuolemigranti”, in Osservatorio Romano sulle Migrazioni. Undicesimo Rapporto, Edizioni IDOS, Roma, 2016: 74-80.
[18] Vedi Proietti L., Desideri Di Curzio I., Toniolo Piva P., “Indizi di nuove esigenze formative dalle scuole di italiano del volontariato”, in Centro Studi e Ricerche IDOS, Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, Osservatorio sulle Migrazioni. Quindicesimo Rapporto, Edizioni IDOS, Roma, 2020: 108-114; nel 2019 registravamo 10.798 allievi immigrati.
[19] Manca la possibilità di fare un confronto con gli iscritti nei Cpia ai corsi di italiano e a quelli per conseguire il diploma di terza media.
[20] Il Gruppo Welcome non è stato l’unico della Rete Scuolemigranti a dedicarsi all’insegnamento a distanza: cfr. Desideri Di Curzio I., Teofili M., Toniolo Piva P., “Imparare l’italiano al telefono: esperimenti nella Rete Scuolemigranti, in Centro Studi e Ricerche IDOS, Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, Osservatorio sulle Migrazioni a Roma e nel Lazio. Sedicesimo Rapporto, Edizioni IDOS, Roma, 2021: 99-106; Desideri Di Curzio I., Piva P., “Rete Scuolemigranti. Oservatorio sulle scuole di italiano al tempo della pandemia”, Osservatorio sulle Migrazioni a Roma e nel Lazio. Diciassettesimo Rapporto: 54-60, IDOS, Roma, 2022: 54-60.
[21] Purtroppo, la scarsa propensione a tenere conto dell’effettiva preparazione dei soggetti da inserire nei vari ambiti e l’idiosincrasia degli italiani a riconoscere pari opportunità agli immigrati, vede questi relegati in posizioni molto marginali, nonostante le loro doti, fatta eccezione per le squadre di calcio di alto livello agonistico.
[22] Un supporto in tal senso viene anche dal fatto che Roma è la sede mondiale del cattolicesimo e che il Papa, anche quando non è italiano (come è avvenuto per gli ultimi tre Papi), celebra la liturgia in latino o in italiano e tiene i suoi discorsi pubblici spesso attraverso trasmissioni seguite in tutto il mondo. 

_____________________________________________________________ 

Ginevra Demaio, dal 2004 ricercatrice sociale presso il Centro Studi e Ricerche Idos, ente specializzato nell’analisi socio-statistica delle migrazioni in Italia e in Europa, per il quale svolge attività di ricerca, curatela di pubblicazioni, gestione e coordinamento di progetti, formazione nell’ambito di master universitari e corsi professionali. Scrive stabilmente sul “Dossier Statistico Immigrazione”, di cui cura la sezione sugli stranieri nel mercato del lavoro e l’approfondimento sugli studenti di cittadinanza straniera nelle scuole e università italiane. Dal 2005 è curatrice dell’“Osservatorio sulle migrazioni a Roma e nel Lazio”. Collabora con riviste e siti specializzati. Con Maria Paola Nanni e Benedetto Coccia ha curato il libro Le Migrazioni femminili in Italia. Percorsi di affermazione oltre le vulnerabilità (Edizioni Idos, 2023). 
Luca Di Sciullo, dottorato in filosofia, è attuale presidente del Centro Studi e Ricerche IDOS, dove si è specializzato nell’analisi dei processi di integrazione degli immigrati a livello territoriale. Ha curato, per conto del CNEL, una serie di nove Rapporti sugli Indici di integrazione degli immigrati in Italia, di cui ha ideato, messo a punto e consolidato la metodologia di misurazione. Dal 2009 è docente di filosofia presso l’Istituto Filosofico Teologico “San Pietro” di Viterbo, aggregato al Pontificio Ateneo “S. Anselmo” di Rom. 
Anna Onorati, durante gli studi in Scienze dell’Educazione svolti in Germania presso l’Albert-Ludwigs-Universität di Friburgo in BRSG ha insegnato italiano ai bambini e alle bambine nati e cresciuti in Germania; nel 1992, al rientro in Italia, ha insegnato a Roma, come volontaria, italiano L2 ai migranti presso la Caritas di Roma e successivamente dal 2000 ha avviato una collaborazione con il Forum per l’intercultura della Caritas di Roma per l’insegnamento dell’Italiano ad alunne e alunni e alle loro mamme delle scuole del territorio romano. Attualmente per la Caritas di Roma segue il gruppo di docenti volontari di italiano L2 che insegnano ai minori presso il Centro di Aggregazione Giovanile 5D e coordina laboratori intorno al dialogo interculturale rivolti a giovani delle scuole secondarie di primo e secondo grado di Roma e provincia.
Karolina Peric, dottoressa in Lettere, dopo la laurea inizia la collaborazione con il Forum per l’intercultura della Caritas di Roma dove ricopre diversi ruoli, da mediatore linguistico culturale a coordinatrice di percorsi didattici interculturali nelle scuole. Ha collaborato con diversi Enti pubblici e privati lavorando nei progetti socio-educativi con una forte impronta interculturale. Dal 2001 è vice presidente dell’associazione culturale SUAMOX, autrice di progetti artistici e culturali improntati sulla conoscenza delle diverse espressioni culturali del mondo. Attualmente coordina il Gruppo Welcome, uno spazio interculturale con la scuola di Italiano per stranieri presso la Parrocchia San Pio X alla Balduina a Roma.
Franco Pittau, dottorato in filosofia, è studioso del fenomeno migratorio fin dagli anni ‘70, quando condusse un’esperienza sul campo, in Belgio e in Germania, impegnandosi nella tutela giuridica degli emigrati italiani. È stato l’ideatore del Dossier Statistico Immigrazione, il primo annuario del genere realizzato in Italia. Già responsabile del Centro studi e ricerche IDOS (Immigrazione Dossier Statistico), continua la sua collaborazione come Presidente onorario. È membro del Comitato organizzatore del Master in Economia Diritto Interculture Migrazioni (MEDIM) presso l’università di Roma Tor Vergata e scrive su riviste specialistiche sui temi dell’emigrazione e dell’immigrazione.

______________________________________________________________

 

 

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Migrazioni, Politica. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>