di Rosario Lentini
La prima importante ricerca di statistica demografica siciliana venne pubblicata nel 1892 dallʼavvocato Francesco Maggiore Perni, professore di statistica presso lʼUniversità di Palermo, con il titolo La popolazione di Sicilia e di Palermo dal X al XVIII secolo [1]. In questo testo fondamentale ‒ pur tra non pochi errori di stampa e limiti derivanti dalla «inconsistenza problematica» [2] ‒ per la prima volta, ci si avvaleva dei dati di dettaglio di alcune “numerazioni” della popolazione e dei beni riguardanti tutti i comuni siciliani; sette, in particolare, i censimenti presi in considerazione dallʼillustre docente ‒ effettuati tra il 1569 e il 1831, meglio noti come “Riveli generali delle anime e dei beni”. Si trattava delle dichiarazioni ‒ rese ai commissari (agenti del censimento) [3] appositamente nominati dalle autorità con consegna di specifica patente (detta di elezione) [4] ‒ dei capifamiglia di tutti i fuochi (nuclei familiari) di ciascun comune siciliano, che venivano rilevate ogni qualvolta i governi dellʼIsola disponevano lʼeffettuazione di un censimento principalmente per ragioni fiscali e militari. Sulla base dei dati così raccolti, si determinava il carico fiscale dei comuni che avrebbe permesso di reperire i fondi per il “donativo” al re.
È unʼenorme mole di documenti che si conserva presso lʼArchivio di Stato di Palermo e che, da diversi decenni, gli studiosi continuano ad esplorare con successo, utilizzando i pochi dati grezzi delle dichiarazioni per elaborazioni statistiche sempre più sofisticate. Costituiscono, quindi, una fonte documentaria preziosa per la storia economica e sociale dei paesi e della Sicilia.
In verità, prima del 1569, si portarono a compimento altri due “Riveli″, nel 1505 e nel 1548, che tuttavia si limitavano a determinare il numero dei fuochi per ciascun comune, la relativa tassa e il totale degli abitanti delle tre valli (Val di Mazzara, Val Demone e Val di Noto) [5]. In questi primi due censimenti, per quel che riguardava Mazara, si contarono rispettivamente 1.430 e 1.472 fuochi [6].
Lo storico mazarese Filippo Napoli, pur non disponendo della documentazione necessaria per considerare i dati delle rilevazioni, accennava alla questione in un suo pregevole scritto pubblicato nel 1923, sottolineando come già un regolamento municipale del 1525 obbligasse i giurati (amministratori) della città ad effettuare la numerazione delle popolazione per accertare il numero dei cittadini idonei alla difesa della stessa e per stimare e regolare la quantità dei vettovagliamenti necessari [7].
«I riveli ‒ scrive Gino Longhitano ‒ rappresentavano lo strumento attraverso cui lo Stato moderno esercitava periodicamente in Sicilia un potere dʼinchiesta e di controllo sulla popolazione, a fini fiscali e militari. Si controllavano, attraverso quel meccanismo, gli effettivi demografici, per conoscere, dagli elementi della loro struttura per sesso e per età, il potenziale militare delle popolazioni» [8]. Dal totale dei riveli dei comuni si ricavavano poi i risultati sintetici, cioè i “Ristretti”, che venivano dati alle stampe e che offrivano un quadro completo delle informazioni acquisite, incluso il numero di animali posseduti, il valore dei «beni allodiali stabili» e dei «beni mobili», delle «gravezze» e della somma stimata dallʼautorità per il carico fiscale a carico del comune.
Così, per esempio, nel 1714, durante la breve dominazione piemontese della Sicilia da parte di Vittorio Amedeo II (1713-1718) ‒ reggente il viceré conte Maffei ‒ si svolse lʼattività di censimento i cui risultati sarebbero stati pubblicati due anni dopo [9].
Ed è proprio su questa numerazione che voglio qui di seguito soffermarmi, non soltanto per fornire alcuni dati ed elaborazioni ma, soprattutto, per ovviare alla povertà di ricerche specifiche su questa fonte documentaria essenziale per la ricostruzione della storia cinque-settecentesca di Mazara. E, innanzitutto, le informazioni da cui procedere vanno attinte negli inventari archivistici nei quali si indicano gli anni e la numerazione dei volumi disponibili, che riporto qui di seguito [10]:
Tralascio le informazioni sui censimenti ottocenteschi, pre e postunitari, sia di fonte amministrativa che ecclesiastica, reperibili in altra tipologia di fondi, per i quali rimando a pubblicazioni già esistenti [11]. Dal “Ristretto” a stampa relativo al comune di “Mazzara”, (al n. 7 della tav. 1 riguardante i comuni demaniali dellʼomonima Valle), si traggono i seguenti valori [12]:
Da questi pochi e poveri dati si rileva che, se i capifamiglia censiti erano 1.873 e il totale della popolazione (al netto degli ecclesiastici che non rientravano nel censimento amministrativo) era di 6.964, ogni nucleo era composto mediamente da 3,7 individui; che gli uomini rappresentavano il 48,3% del totale contro il 51,7% delle donne; che, di conseguenza, lʼindice di mascolinità era di 93,4 ogni 100 femmine mentre lʼindice di femminilità era pari a 106,9 ogni 100 maschi. Inoltre, la popolazione maschile utile allʼassolvimento delle esigenze militari (da 18 a 50 anni) costituiva il 45,5% del totale di genere, quindi inferiore rispetto alla restante parte (minori e anziani) pari al 54,5%. Se si confrontano i dati della vicina Marsala, limitatamente al numero di fuochi (2.430) e al totale delle anime (14.016), si perviene al risultato di 5,7 individui per nucleo familiare, mediamente due in più rispetto alla composizione di quello mazarese.
Ulteriori considerazioni si potrebbero sviluppare confrontando più censimenti, per interpretare i flussi demografici e lʼandamento di altri indici (natalità, nuzialità, fertilità, mortalità), anche con lʼausilio di dati rilevabili dai registri parrocchiali. Le informazioni sugli animali posseduti (nn. da 6 a 9 della tabella) erano nella generalità dei casi sottostimate anche per la maggiore facilità di occultamento degli stessi.
Le altre voci, pure disponibili nel “Ristretto” in questione, riguardavano i valori attribuibili al patrimonio immobiliare e mobiliare di tutti i dichiaranti (poco più di 180 mila onze), nonché alle imposte che gravavano su detto patrimonio (poco più di 54 mila onze) e, in ultimo, alla quota del donativo che si stimava a carico del comune di Mazara e che avrebbe dovuto essere ripartito tra i 1.873 fuochi [13].
Fin qui i risultati sintetici dati alle stampe; ma la ricchezza delle informazioni di dettaglio risiede nei verbali manoscritti intestati a ciascun capofamiglia, che per lʼanno in questione sono raccolti nei 3 volumi del fondo Deputazione del Regno numerati 1604, 1605 e 1606, e sottolineati nella tabella sopra riportata. Ciascun volume è corredato da Indice dei nomi, con rispettivo numero di foglio per lʼimmediata individuazione dellʼintestatario delle dichiarazioni.
Lʼimportanza di questi indici travalica, in realtà, la mera funzione “cerca-trova” ad uso di ciascun volume, potendo costituire essi stessi oggetto di studio di onomastica e più specificamente di antroponimia, per esempio, per identificare le diverse componenti etniche o la prevalenza di alcuni cognomi e gruppi familiari.
Come noto, dʼaltronde, Umberto Eco ha dedicato al tema degli elenchi una suggestiva e originale riflessione, distinguendo tra lista pratica e lista poetica: «Le liste pratiche rappresentano a modo loro una forma, perché conferiscono unità a un insieme di oggetti che, per quanto difformi tra loro, ubbidiscono a una pressione contestuale, ovvero sono apparentati per lʼessere o per lʼessere attesi tutti nello stesso luogo o per il costituire il fine di un certo progetto. […] Una lista pratica non è mai incongrua, purché si individui il criterio di assemblaggio che la regola»[14].
Credo, perciò, sia utile, come primo approccio alla fonte documentaria, proporre un esempio di “lista pratica” e cioè lʼelenco completo dei nomi dei capifamiglia mazaresi o a qualsiasi titolo intestatari dei verbali rilevati dai tre volumi in questione, per ordine alfabetico, rispettando lʼortografia originale (quindi con tutte le varianti per es.: Accardo, dʼAccardo, di Accardo; Menzapelle, Mezzapelle, Mezzapelli) e con lʼindicazione del numero del volume di riferimento (vedi Appendice a fine testo).
Il numero complessivo dei censiti nei tre volumi risulta di 1.116 capifamiglia così ripartiti: 384 nel vol. 1604; 370 nel vol. 1605; 362 nel vol. 1606. Si constata, quindi, che rispetto al dato sintetico sopra indicato di 1.873 fuochi, cʼè un deficit documentario di 757 unità (1.873 ‒ 1.116), corrispondenti al contenuto di altri due volumi (quarto e quinto) che verosimilmente sono andati perduti [15]. Tuttavia questa lacuna non impedisce di approfondire alcuni aspetti illustrati nella relazione conclusiva datata 4 agosto 1714, consegnata al commissario generale per il censimento, don Mario Boccadifuoco, nominato dal governo per coordinare le attività in tutta la «comarca di Trapani». Questo breve ma puntuale resoconto, redatto da due periti locali, si trova in apertura del primo volume (1604), di seguito allʼIndice dei capifamiglia; il Boccadifuoco, infatti, non essendo mazarese, aveva la necessità di individuare esperti che ‒ scelti a sua discrezione ‒ potessero coadiuvarlo nella valutazione e nelle stime di valore dei beni e delle produzioni agricole; in particolare, «pro extimatione vinearum» decise di avvalersi del novantenne Nicola Bono e per quella degli olivi si rivolse al sessantenne Giovanni Buffa.
Secondo lʼautorevole parere dei due citati mazaresi le contrade che assicuravano una maggiore resa vinicola erano Bonfiglio, Curcio, Granatelli, Decanato (detta anche Roccazzo) le quali «sogliono producere un anno per lʼaltro botte una e mezza per ogni migliaro [sottinteso di viti]» (la “botte” mazarese aveva una capacità di circa 412 litri); nelle altre contrade, invece, le rese si attestavano su una botte ogni mille viti. Le spese per la coltivazione si stimavano a unʼonza ogni mille viti e il mosto si vendeva solitamente a due onze e dieci tarì per botte; il vino «resiso», cioè spurgato dalla feccia, si vendeva, invece, a tre onze per botte.
Per quanto riguardava gli olivi il perito Buffa segnalava le contrade Baglio dʼElefante, Spataro, Granatelli, Custera, Roccazzo, S. Cosimo e Damiano, Curcio, S. Giorgio e Bonfiglio nelle quali ogni 50 «piedi» (alberi) si ricavava un cantàro di olio, cioè poco meno di 80 chilogrammi (un cantàro equivaleva a Kg. 79,342). Diversamente, in quelle denominate S. Maria, delli Marini, del Paradiso, Giangreco, Pegni, S. Elia e Sammaritana, «per esser più piccoli alberi sogliono producere un anno per lʼaltro ogni numero sessanta piedi dʼolive cantàro uno dʼoglio».
Di particolare interesse è la notazione relativa al cosiddetto «beneficio del nòzzulo» cioè lʼulteriore materia grassa e residuale che si otteneva dalla pressatura dei noccioli delle olive, che poteva andare a vantaggio del proprietario del trappeto o dellʼolivicoltore, come lascia intuire la frase riportata nella relazione: «per conci delle quali [per la cura degli ulivi] si spende onza una ogni numero 60 piedi, dandoli di più il beneficio del nozzulo».
Il quadro di sintesi rappresentato da Bono e Buffa è un piccolo affresco di un paese agricolo i cui prodotti principali mercantilizzati erano oltre ai cereali, al vino e allʼolio anche lino, ortaggi, fave, carrubbe, formaggi, cascavalli, e soprattutto cera e miele dʼapi, le cui arnie venivano prezzate molto bene: «Ape, ogni quaranta vascelli fanno una posta. Prezzo onze 13 e 10 tarì».
Ma nella Mazara non ancora vocata alla pesca e con un limitato numero di padroni di barca che trasportavano prodotti locali verso la capitale o a Marsala e Trapani, le dichiarazioni riguardanti i civili possidenti non erano numerose; si veda, ad esempio, quella della vedova Cecilia Politi, proprietaria di piccoli appezzamenti produttivi coltivati a vigna e ulivi. La condizione sociale dominante era ben altra e il numero degli indigenti e nullatenenti, da un sommario esame dei tre volumi, appare molto elevato. Sarebbe utile unʼattenta analisi di tutti i verbali per accertare quanti di questi riportino solo la formula «pauper, nihil habens», anziché il dettaglio di possibili beni immobili, di gioie o animali, sottostante allʼindicazione dei nomi dei componenti del nucleo familiare. La relazione al Boccadifuoco si chiudeva con la dichiarazione congiunta di Bono e Buffa: «E questo essi relatori lo sanno, dicono e riferiscono come prattici e periti nellʼesercizij sudetti come di sopra nel Territorio di cotesta Città di Mazzara».
In chiusura, auspicherei che le brevi considerazioni qui svolte servissero a stimolare lʼinteresse dei laureandi mazaresi in scienze storiche nei confronti di questa fonte documentaria pressoché trascurata e che è, invece, di primaria importanza per una conoscenza approfondita delle dinamiche demografiche ed economiche della città negli ultimi cinque secoli. Naturalmente i “Riveli generali delle anime e dei beni” sono una delle chiavi di accesso, non certo lʼunica; le carte dellʼarchivio diocesano, i registri parrocchiali, le minute dei notai, rappresentano i sentieri paralleli da percorrere e da interconnettere per una comprensione “tridimensionale” della storia locale. Questi studi sono fondamentali e anche lʼamministrazione della città ‒ nella fattispecie la funzione assessoriale con delega ai beni culturali ‒ potrebbe agevolarli acquisendo, per esempio, le scansioni integrali di quanto già disponibile presso lʼArchivio di Stato, con una spesa sostenibile per lʼente, ma onerosa per i giovani studiosi. Lʼidentità della città nelle sue diverse fasi storiche va studiata bene e in profondità; non mancano i documenti.
Dialoghi Mediterranei, n. 48, marzo 2021
[1] Francesco MAGGIORE PERNI, La popolazione di Sicilia e di Palermo dal X al XVIII secolo. Saggio storico-statistico, Stab. tip. Virzì, Palermo 1892.
[2] Gino LONGHITANO, Studi di storia della popolazione siciliana. I – Riveli, numerazioni, censimenti (1569-1861), C.U.E.C.M., Catania 1988: 11.
[3] MAGGIORE PERNI, La popolazione di Sicilia cit.: 124.
[4] Francesco FERRARA, Studi sulla popolazione della Sicilia, «Giornale di statistica», 1840: 208-264.
[5] Domenico LIGRESTI, Dinamiche demografiche nella Sicilia moderna (1505-1806), Franco Angeli, Milano 2002: 13.
[6]Rossella CANCILA, Il censimento della popolazione siciliana del 1505 e la nuova ripartizione del carico fiscale, «Archivio Storico per la Sicilia Orientale», anno LXXXV (1989), fasc. I-III: 106; Eadem, Fisco ricchezza comunità nella Sicilia del Cinquecento, Istituto storico italiano per lʼetà moderna e contemporanea, Roma 2001: 418.
[7] Filippo NAPOLI, Spigolature storiche di Mazara antica, Tip. L. Giliberti, Marsala 1923: 101-119.
[8] LONGHITANO, Studi di storia cit.: 12.
[9] Descrizione generale deʼ Fuochi, Anime, e Facoltà così Stabili allodiali, come Mobili delle Persone Secolari del Regno di Sicilia conforme alla numerazione ultimamente fatta nellʼAnni 1714 e 1715, Stamp. G.B. Aiccardo, Palermo 1716.
[10] Archivio di Stato di Palermo, inventari dei due fondi: Tribunale del Real Patrimonio (Riveli) e Deputazione del Regno (Serie riveli). Sono entrambi disponibili on-line in https://www.saassipa.beniculturali.it/archivi-vigilati/inventari-on-line/ selezionando “Complessi documentari e strumenti di ricerca″. Potrebbe aggiungersi ai volumi indicati nella tabella anche il vol. 480 (1681-82) della citata serie riveli del fondo Tribunale del R. P., riguardante il comune di Monte San Giuliano (Erice), contenente fra lʼaltro anche il ″rollo″ della milizia ordinaria di cavallo di Mazzara.
[11] Rosario LENTINI, Mazara tra censi e censimenti. Per una storia dellʼidentità sociale, in Antonino CUSUMANO, Rosario LENTINI, Mazara 800-900. Ragionamenti intorno allʼidentità di una città, Sigma, Palermo 2004: 105-125; Gaetano NICASTRO, La Diocesi di Mazara nelle relazioni «ad limina» dei suoi vescovi (1800-1910), Istituto per la storia della Chiesa mazarese, Trapani 1992.
[12] Descrizione generale deʼ Fuochi, cit., tav. 1 “Val di Mazzara Demaniale”.
[13] Il “ristretto” si articolava su 17 valori; oltre a quelli sopra indicati in tabella (dal n. 1 al n. 9), gli altri otto erano: 10) valore dei beni allodiali (privati) stabili; 11) valore di beni mobili; 12) somma di tutte le facoltà (cioè nn. 10+11); 13) gravezze (imposte) stabili; 14) gravezze mobili; 15) somma delle gravezze (cioè nn. 13+14); 16) “resto di liquido di tutte le facoltà”; 17) “somma appurata dalla bonatenenza sopra la quale si fa il ripartimento”.
[14] Umberto Eco, Vertigine della lista, Bompiani/Giunti Editore, Milano 2019:116.
[15] Che possa trattarsi di due volumi mancanti è facilmente intuibile dalla consistenza dei tre volumi disponibili che mediamente contengono 372 verbali (372 x 3 = 1.116); se si ipotizza che i fuochi mancanti fossero raccolti in altri due volumi si otterrebbe un dato medio analogo (757: 2 = 378,5).
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Rosario Lentini, studioso di storia economica siciliana dell’età moderna e contemporanea. I suoi interessi di ricerca riguardano diverse aree tematiche: le attività imprenditoriali della famiglia Florio e dei mercanti-banchieri stranieri; problemi creditizi e finanziari; viticoltura ed enologia, in particolare, nell’area di produzione del marsala; pesca e tonnare; commercio e dogane. Ha presentato relazioni a convegni in Italia e all’estero e ha curato e organizzato alcune mostre documentarie per conto di istituzioni culturali e Fondazioni. È autore di numerosi saggi pubblicati anche su riviste straniere. Tra le sue pubblicazioni più recenti si segnalano: La rivoluzione di latta. Breve storia della pesca e dell’industria del tonno nella Favignana dei Florio (Torri del vento 2013); L’invasione silenziosa. Storia della Fillossera nella Sicilia dell’800 (Torri del vento 2015); Sicilia del vino nell’800 (Palermo University Press 2019).
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