Questo articolo nasce dall’osservazione delle dinamiche politiche e mediatiche che hanno caratterizzato il periodo di transizione tra l’amministrazione Biden e il ritorno di Trump alla Casa Bianca, a partire dall’elezione del 5 novembre 2024 fino all’insediamento ufficiale del 20 gennaio 2025. Durante quelle settimane, l’iperattivismo di Elon Musk, suo principale sostenitore e futuro ministro dell’amministrazione trumpiana, ha assunto una dimensione inquietante, oscillando tra provocazioni e dichiarazioni incendiarie. Nel frattempo, mi trovavo immerso nella lettura dell’ultimo libro di Nicolas Nova, Persistance du merveilleux, le petit peuple de nos machines (2024), un’opera che ha stimolato una riflessione su come il meraviglioso continui a persistere anche nell’universo digitale e politico contemporaneo. L’idea di interpretare Musk come un Joker postmoderno e Trump come un villain delle narrazioni fantastiche è nata proprio in questo contesto, nel tentativo di decifrare la natura simbolica del loro potere.
Nicolas Nova, antropologo franco-svizzero, è stato un ricercatore e docente di grande rilievo nell’ambito delle culture digitali e del rapporto tra tecnologia e immaginario collettivo. Professore alla HEAD di Ginevra, Nova ha dedicato la sua carriera allo studio delle interazioni tra uomo e tecnologia, analizzando fenomeni come il folklore digitale, la persistenza del meraviglioso nelle culture contemporanee e le mutazioni dell’immaginario collettivo nell’era delle macchine intelligenti. Inoltre, ha co-fondato il “Near Future Laboratory”, un collettivo di ricerca e design che esplora i futuri possibili attraverso la metodologia del design fiction, mescolando antropologia, tecnologia e speculative thinking per immaginare scenari alternativi. La sua morte improvvisa, avvenuta il 31 dicembre 2024 durante un trekking in Oman, è stata uno shock per chi lo conosceva e lo apprezzava. Nova non era solo uno studioso, ma un pensatore capace di mettere in discussione le narrazioni consolidate sul nostro rapporto con la tecnologia. La sua scomparsa ha lasciato un senso di perdita incolmabile tra colleghi, studenti e lettori che hanno trovato nei suoi studi una chiave di lettura originale e profonda del mondo contemporaneo.
Ispirato ai bestiari medievali, il libro illustrato Bestiary of the Anthropocene, curato da Nova nel 2023, documenta la nascita di nuove creature ibride nel nostro ambiente post-naturale. È un’opera che raccoglie osservazioni su entità come plastiglomerati, robot-cani da sorveglianza, montagne decapitate e aquile addestrate a combattere i droni, testimoniando la fusione tra biosfera e tecnosfera. Nova esplorava il modo in cui tecnologie e conseguenze inattese si intrecciano con il vivente, sfumando i confini tra ciò che è naturale e ciò che non lo è più. Il salto interpretativo, però, è arrivato con Persistance du merveilleux, il suo ultimo libro, pubblicato tre mesi prima della sua scomparsa: un testo visionario che getta nuova luce sulle trasformazioni del nostro immaginario. Nova ha analizzato come il meraviglioso, anziché svanire nell’era della tecnologia avanzata, continui a manifestarsi sotto forme inedite. Per “meraviglioso”, Nova non intende solo la semplice ammirazione per fenomeni o oggetti straordinari, ma una categoria più ampia, affine alla tradizione letteraria e artistica del genere fantastico, in cui elementi soprannaturali ed eventi straordinari si intrecciano con la realtà. La radice etimologica del termine, dal latino “mirabilia”, implica una relazione con lo stupore e il senso del miracolo, come già indicato da Jacques Le Goff (1991) nelle sue ricerche sulla cultura medievale. Nel libro, Nova esplora un bestiario di entità digitali – troll, virus, fantasmi informatici, zombie del cyberspazio – dimostrando come la nostra interazione con la tecnologia sia ancora fortemente intrisa di immaginari mitologici e archetipi ancestrali.
Nova suggerisce che, proprio come nel Medioevo le raccolte di “mirabilia” servivano a comprendere il mondo attraverso il prisma del fantastico, oggi il nostro rapporto con la tecnologia è costellato di entità ibride, al confine tra il naturale e l’artificiale. A questo proposito, introduce il concetto di “infra-vie artificielle” (infra-vita artificiale), riferendosi a quegli agenti che abitano lo spazio digitale senza essere né completamente vivi né del tutto inanimati, come i chatbot che riproducono le voci dei defunti o gli algoritmi predittivi che simulano una sorta di volontà autonoma. Il libro è un viaggio attraverso le storie di utenti che si trovano a interagire con macchine “stregate”, in cui dati, codici e intelligenza artificiale sembrano dare forma a nuove narrazioni mitologiche.
Questa riflessione mi ha accompagnato durante le settimane convulse dell’interregno tra Joe Biden e Donald Trump, dopo l’elezione del 5 novembre 2024 e prima dell’insediamento del 20 gennaio 2025. In quel periodo, l’iperattivismo di Elon Musk – principale sostenitore di Trump e figura centrale della sua nuova amministrazione – mi ha spinto a leggere il miliardario non solo come un attore politico ed economico, ma come una figura mitopoietica, un Joker contemporaneo capace di riscrivere le regole del gioco.
Elon Musk: il Joker del nostro tempo?
Nel corso del periodo di transizione, le dichiarazioni di Musk hanno assunto toni sempre più incendiari, provocatori e a tratti apertamente sovversivi. I suoi attacchi contro i governi europei, il sostegno all’AfD in Germania, la campagna denigratoria contro Keir Starmer nel Regno Unito, il rilancio di teorie cospirative, fino ai gesti ambigui e alle allusioni al suprematismo bianco durante la cerimonia di insediamento di Trump, hanno rafforzato l’immagine di un personaggio caotico, imprevedibile, capace di destabilizzare l’ordine istituzionale con una semplice dichiarazione su “X”, il suo social media.
Nell’immaginario collettivo contemporaneo, pochi personaggi polarizzano le opinioni quanto Elon Musk e Donald Trump. Nonostante le loro differenze in termini di stile, campo d’azione e obiettivi, entrambi incarnano figure archetipiche che affondano le radici in miti antichi, racconti letterari e strutture culturali profonde. A mio avviso, esplorare questi personaggi attraverso la lente del “meraviglioso” può aiutarci a comprendere non solo loro, ma anche le dinamiche della società contemporanea.
Come il Prometeo del mito greco, che rubò il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini, Musk sembra sfidare i limiti dell’umana capacità, promettendo un futuro interplanetario (SpaceX), una rivoluzione energetica (Tesla) e persino una simbiosi uomo-macchina (Neuralink). Lui è certamente il campione attuale dell’“ideologia progressista-tecnologica”, che identifica nella scienza e nella tecnica le chiavi per risolvere i problemi dell’umanità, eppure questa visione non è priva di ambivalenze. Prendendo ad esempio la figura di Icaro, Musk rischia di volare troppo vicino al sole, spingendo oltre i limiti del possibile senza una chiara considerazione degli impatti sociali, etici e ambientali. Oppure, come il Victor Frankenstein di Mary Shelley, un uomo consumato dalla ricerca del sublime tecnologico, Musk sembra anche incapace di prevedere pienamente le conseguenze del suo operato, per cui rischia di diventare “più mostro” del mostro che ha creato.
Musk si presenta come un portatore di luce e innovazione, ed incarna un’alchimia tra il genius loci della Silicon Valley e l’archetipo del trickster: un innovatore che, attraverso la trasgressione delle regole, crea nuovi paradigmi. La sua teatralità, che si esprime nei lanciafiamme di The Boring Company nel 2018 o nei tweet sempre più frequenti e controversi, è parte integrante del suo personaggio pubblico, un Willy Wonka del mondo tecnologico che mescola serietà e gioco in una miscela disorientante ma irresistibile.
Sul piano imprenditoriale ed economico, Musk sembra Gulliver in mezzo ai lillipuziani, una figura sovradimensionata in un contesto in fermento, ma abitato da entità decisamente più piccole e apparentemente banali, soprattutto rispetto alla portata delle sue visioni: si prova a vincolarlo, ma ogni sforzo sembra insufficiente rispetto alla sua ambizione.
Dall’altro canto, Musk può anche essere accostato alla figura del Joker, il folle lucido, il disturbatore anarchico che sfida le regole e scompagina l’ordine costituito. Un tecnopopulista inquietante che si è posto come una figura polarizzante, un personaggio che, se da un lato promette il progresso, dall’altro evoca paure legate al potenziale abuso del potere tecnologico e mediatico: un agente del caos che trasforma ogni contesto in una scena di scontro tra il vecchio ordine e una nuova, disturbante realtà, mosso da un costante sentimento di vendetta, come osserva Jérémy Sebbene (2024: 4-5). Così come il Joker dei fumetti e del cinema, Musk è un maestro della provocazione, capace di sfruttare i media e il linguaggio per piegare la realtà alla sua visione; è in grado di distruggere reputazioni, manipolare mercati e orientare l’opinione pubblica globale con pochi messaggi, talvolta con i meme di se stesso.
Donald Trump: il villain politico
Se Musk rappresenta il visionario prometeico o il Joker, Trump assume il ruolo dell’archetipo del villain, la nemesi del mondo contemporaneo. Più che il classico dittatore o il despota autoritario, Trump sembra appartenere alla categoria dei signori del caos dei mondi fantasy, i grandi antagonisti che, più che governare, si nutrono della distruzione e del conflitto. Il suo ritorno alla presidenza non è stato un ripristino dell’ordine, ma l’accelerazione di una frattura epocale, un’apoteosi della polarizzazione, come testimoniano le centinaia di suoi ordini esecutivi sull’istituzione di dazi doganali, espulsioni di immigrati irregolari, abrogazione dei programmi “diversità, equità e inclusione” (DEI), progetti di nuovi muri e trivellazioni.
La retorica di Trump si nutre di esagerazioni, semplificazioni e provocazioni, tratti che lo rendono simile al Barone di Münchhausen, celebre per le sue storie fantastiche e improbabili. Eppure, la sua figura non è meramente negativa. Come ogni trickster, Trump può essere visto come un agente di trasformazione, capace di dare voce a segmenti di popolazione marginalizzati e di portare a galla tensioni latenti nella società. Decine di milioni di elettori statunitensi e centinaia di milioni di ammiratori nel mondo credono in Trump e nel suo stile, vogliono un agente del caos che porti un cambiamento – anche attraverso l’inganno, la trasgressione e la sovversione delle norme. Trump, con la sua capacità di manipolare il discorso pubblico, è un maestro nel destrutturare i paradigmi esistenti, esponendone le contraddizioni e le fragilità. La sua ascesa riflette un profondo mutamento culturale: il passaggio da un modello di leadership basato sull’autorevolezza e la competenza a uno basato sull’autenticità percepita e sulla capacità di polarizzare. Questo cambiamento si radica nella trasformazione dell’“ethos” politico occidentale, sempre più influenzato dai meccanismi della cultura pop e dai social media.
Si potrebbe dire che Trump incarna una forma di declino tragico, come il Re Lear di Shakespeare, testardo e vanitoso, incapace di distinguere tra lealtà sincera e adulazione, portando disordine e confusione nel suo reame. Con il suo egocentrismo e il rifiuto di accettare critiche, Trump riflette questa dinamica, anche se il suo regno è il dominio mediatico-politico globale piuttosto che un ambito fisico o un territorio specifico. Tuttavia, come Lear, Trump non è mai completamente privo di carisma, e il suo crepuscolo è segnato da momenti di umanità disarmante, che rendono la sua figura più complessa di una semplice caricatura. Un’analogia illuminante si trova in una delle scene più celebri del Re Lear, quando il sovrano decaduto incontra il vecchio amico Gloucester, reso cieco dai nemici. Lear, ormai ridotto in miseria e in preda alla follia dopo essere stato tradito e cacciato dalle figlie, ispira a Gloucester una celebre battuta: «Sono tempi terribili quelli in cui i pazzi guidano i ciechi». Una frase che risuona inquietantemente nel nostro tempo, alludendo a una situazione politica e sociale percepita come ingiusta e caotica. Come Lear, Trump sembra incarnare la parabola del sovrano che, nel suo declino, diventa al contempo simbolo del potere che si sgretola e di un’umanità che fatica a riconoscere i propri errori.
Ma Trump non è pazzo. Anzi, forse la situazione è più seria, perché lascia intendere di essere protetto da Dio, una convinzione rafforzata dall’attentato subito in campagna elettorale, che ha alimentato la sua percezione di avere una missione divina. Questa dimensione quasi messianica si inserisce perfettamente nella sua narrazione politica, dove si presenta come il difensore ultimo dei valori tradizionali contro le forze che minacciano l’America.
Se la sua prima presidenza era stata interpretata da molti come un’anomalia, un colpo di fortuna o un errore del sistema, il suo ritorno al potere ha invece confermato che il trumpismo è più di un semplice fenomeno individuale: è il segno di una trasformazione strutturale della politica e della cultura globale. Trump non è solo un leader, è un simbolo. E i simboli, per loro natura, non svaniscono facilmente.
Nel suo oscillare tra farsa e tragedia, tra ordine e caos, Trump si configura come un catalizzatore di tensioni profonde. Il suo stile di leadership, basato sul conflitto permanente e sulla spettacolarizzazione, ha accelerato la mutazione del politico in intrattenimento e dell’informazione in propaganda. Più che un semplice presidente, Trump è il protagonista di una narrazione epica, una figura archetipica in cui milioni di persone si identificano, non tanto per quello che fa, ma per quello che rappresenta: il rifiuto delle élite, l’illusione dell’uomo forte, la promessa di riscatto dalla frustrazione e dalla marginalizzazione.
Ambivalenze e archetipi nella contemporaneità
Musk e Trump condividono un tratto fondamentale: l’ambivalenza. Entrambi sono celebrati come eroi e condannati come antieroi, a seconda della prospettiva. Musk è il genio innovatore o il capitalista spregiudicato? Trump è il difensore dei dimenticati o il demagogo narcisista? Questa ambiguità è il segno distintivo delle figure archetipiche, che condensano in sé opposti inconciliabili.
La loro coesistenza nella stessa epoca riflette le tensioni profonde della contemporaneità, divisa tra il sogno di un progresso illimitato e il bisogno di ritrovare una connessione con le emozioni più primordiali. Entrambi polarizzano, ma proprio per questo svelano le faglie profonde della società contemporanea, tra progresso tecnologico e tribalismo sociale, costringendoci a riflettere sulle direzioni che vogliamo intraprendere.
Nel breve termine, l’etnocentrismo estremo di Trump potrebbe sembrare dominante, perché si nutre di paure e conflitti immediati e, soprattutto, dimostra che l’identità e l’appartenenza sono temi potenti e facilmente mobilitabili in un mondo sempre più frammentato. A lungo termine, però, il progresso scientifico e tecnologico rappresentato da Musk ha un vantaggio strutturale, perché le soluzioni pratiche hanno maggiori chance, specie se offrono soluzioni a problemi globali, come la crisi climatica, le pandemie e la scarsità di risorse. La tecnologia, se guidata da una visione etica, può creare un senso di comunità globale e aprire nuove opportunità per l’umanità. Questo non significa che il percorso sia lineare o privo di ostacoli: l’utopia tecnologica di Musk potrebbe fallire se non riuscirà a essere inclusiva o se alimenterà nuove forme di disuguaglianza.
Nel mentre, il rischio più concreto è di cadere in una deriva autocratica, soprattutto negli Stati Uniti, che sono da tempo il modello di riferimento per le democrazie occidentali. L’erosione delle istituzioni liberali, l’incremento degli estremismi e l’uso strumentale della tecnologia per il controllo sociale sono tutti segnali preoccupanti. Come osserva Anne Applebaum nel suo ultimo libro, anch’esso uscito negli ultimi mesi del 2024, Autocrazie. Chi sono i dittatori che vogliono governare il mondo, «una mancata regolamentazione dell’IA prima che distorca il dibattito politico potrebbe avere un effetto catastrofico con l’andare del tempo» (ivi: 147), per cui – aggiunge – è necessario che le democrazie lavorino insieme «per promuovere la trasparenza, creare standard internazionali, assicurare che non siano le autocrazie a fissare le regole e a dare forma ai prodotti» (ivi: 148).
Se la visione trumpiana del mondo dovesse prevalere e gli USA dovessero trasformarsi in una democrazia illiberale – o addirittura in una tecnocrazia autocratica – ci sarebbero ripercussioni devastanti a livello globale, rafforzando tendenze autoritarie in altre regioni e indebolendo le istituzioni internazionali. Allora la questione è capire chi sia il Batman che possa battere il Joker o chi sia il Buffone che dica la verità sul sovrano tragico.
Uscita nelle prime settimane della nuova presidenza Trump-Musk, l’autobiografia di Bill Gates, Source Code. I miei inizi (2025), offre uno spunto interessante: anziché raccontare il magnate nel suo periodo di massimo successo, il libro esplora la sua formazione, le sue insicurezze giovanili e le radici della sua visione del mondo. È una narrazione che certamente lo umanizza, spogliandolo della sua aura di tecnocrate freddo e lo rende, almeno sulla carta, un’alternativa credibile a Musk e Trump. Ma può davvero essere lui Batman, l’antagonista positivo? Bruce Wayne è un miliardario che sceglie di non sfruttare la propria ricchezza per governare Gotham, ma per proteggerla. Similmente, Gates, dopo aver lasciato Microsoft, ha utilizzato la sua influenza per cause globali come la salute pubblica, la lotta ai cambiamenti climatici e l’accesso all’istruzione. Inoltre, se Musk rappresenta l’imprevedibilità, l’anarchia e il culto della personalità, Gates è invece caratterizzato da razionalità, pragmatismo, filantropia scientificamente orientata. Mentre Musk parla di colonizzare Marte, Gates investe nella riduzione della malaria. Mentre Musk usa i social per provocare e destabilizzare, Gates li usa per divulgare. D’altronde, Batman non usa la tecnologia per sé stesso, ma per difendere la sua metropoli. Ma Gates non è e non sarà mai Batman, innanzitutto perché Gates fa parte di un’élite economica che esercita un potere immenso sulla società, anche se con intenti apparentemente nobili, mentre Batman è un vigilante, non un governante. In altri termini, sebbene Gates possa essere un’alternativa a Musk e Trump, non rappresenta una vera rottura del sistema, ma solo una sua versione più “morale”.
Evidentemente, il Batman di cui abbiamo bisogno non è una figura individuale, ma la collettività. La vera opposizione al populismo di Trump e all’anarchismo tecnologico di Musk non può arrivare da un altro miliardario, ma da un rinnovamento delle istituzioni democratiche e della società civile.
In questo scenario, Gates potrebbe essere il consigliere di Batman, non il Cavaliere Oscuro stesso. La sua funzione è più vicina a quella di Alfred, il maggiordomo-saggio che supporta Batman con la sua intelligenza ed esperienza, piuttosto che a quella del vigilante mascherato. Se riuscissimo a costruire un equilibrio tra progresso e valori umani, tra libertà e sicurezza, tra innovazione e giustizia sociale, allora Batman sarebbe la democrazia, la società civile, l’umanità stessa. In altre parole, la vera sfida è superare la logica di Batman e Joker, e costruire un modello in cui il futuro non sia deciso da pochi individui iperpotenti, ma da una società in grado di autodeterminarsi.
Eppure, nel tentativo di ridefinire il nostro rapporto con il potere, con la tecnologia e con il concetto stesso di leadership, non possiamo ignorare il ruolo del meraviglioso. Tornando al libro di Nicolas Nova, vediamo come l’era digitale non abbia affatto disincantato il mondo, ma anzi, abbia prodotto una nuova fase del meraviglioso, una dimensione dove il tecnologico e il fantastico si intrecciano, dando vita a una “ménagerie numérique” – un bestiario digitale fatto di intelligenze artificiali, algoritmi e dispositivi con cui interagiamo ogni giorno.
In questo scenario, se Trump e Musk sono figure mitologiche del presente, la risposta non è cercare un altro eroe, ma riscrivere il mito collettivo. E forse è qui che Batman si dissolve del tutto: non serve più un vigilante solitario, ma una società capace di riconoscere e governare il proprio rapporto con il meraviglioso tecnologico, senza farsi sopraffare né dal caos del Joker né dalla regressione autoritaria di un Lear morente.
La questione, allora, non è solo chi guiderà il futuro, ma quale narrazione vogliamo adottare per affrontarlo.
Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025
Riferimenti bibliografici
Applebaum, Anne, 2024: Autocrazie. Chi sono i dittatori che vogliono governare il mondo, Milano, Mondadori.
Gates, Bill, 2025: Source code. I miei inizi, Milano, Mondadori.
Le Goff, Jacques, 1991: L’Imaginaire médiéval, Parigi, Gallimard.
Nova, Nicolas; DISNOVATION.ORG, 2023: A Bestiary of Anthropocene, Heindoven, Set Margins’.
Nova, Nicolas, 2024: Persistance du merveilleux, le petit peuple de nos machines, Parigi, Premier Parallèle.
Sebbene, Jérémy, 2024, Elon Musk. American mégalo, in “Franc-Tireur”, n. 159, 27 novembre.
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Giovanni Gugg, dottore di ricerca in Antropologia culturale è assegnista di ricerca presso il LESC (Laboratoire d’Ethnologie et de Sociologie Comparative) dell’Université Paris-Nanterre e del CNRS (Centre National de la Recherche Scientifique) e docente a contratto di Antropologia urbana presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Università “Federico II” di Napoli. Attualmente è scientific advisor per ISSNOVA (Institute for Sustainable Society and Innovation) e membro del consiglio di amministrazione del CMEA (Centro Meridionale di Educazione Ambientale). I suoi studi riguardano il rapporto tra le comunità umane e il loro ambiente, soprattutto quando si tratta di territori a rischio, e la relazione tra umani e animali, con particolare attenzione al contesto giuridico e giudiziario. Ha recentemente pubblicato per le edizioni del Museo Pasqualino il volume: Crisi e riti della contemporaneità. Antropologia ed emergenze sanitarie, belliche e climatiche.
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