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I poeti popolari del Carnevale di Avola

Maschere del Carnevale di Avola (da Gubernale)

Maschere del Carnevale di Avola (da Gubernale)

di Sebastiano Burgaretta 

L’antica tradizione, ancora oggi viva, dei poeti dialettali di Avola che si esibivano in pubblico fino a tutto l’Ottocento trovava modo di esprimersi in occasione dei festeggiamenti in onore di San Corrado, il 19 febbraio, e nei giorni di Carnevale. All’antica tradizione delle sacre rappresentazioni certamente doveva risalire l’usanza, descritta dal Pitrè [1], delle gare poetiche in onore di San Corrado. Scrive il Gubernale che nella chiesa di San Giovanni nel febbraio del 1602 fu inaugurata una cappella dedicata al Santo [2]. «In seguito – aggiunge lo studioso – furono stabilite per l’occasione le accademie poetiche o gare fra i poeti contadini analfabeti che cantavano le lodi del Santo» [3].

Nel corso dell’Ottocento anche Mattia Di Martino si occupò di questa tradizione, in cui poeti popolari declamavano, da un piccolo pulpito, i loro componimenti in ottave siciliane a rima alternata, soffermandosi sui particolari della vita del Santo, al quale chiedevano protezione per i loro campi e i raccolti annuali delle loro fatiche. Scrisse lo studioso notigiano:

«Ricorrendo ogni anno la festa di S. Corrado, tu trovi nella chiesa del santo raccolta nelle ore pomeridiane una frotta di popolo intento a raccogliere dalla bocca di sei o sette giovani, che dicono pujeti, i miracoli del santo, che secondo essi accadono in quell’anno, esposti con bellissime canzuni estemporanee e d’occasione…canzuni che non restano lì, ma divenute patrimonio di quella gente si diffondono, e tali odi canterellare tuttodì nelle nostre campagne in occasione sia delle messi, sia della vendemmia: poiché quella gente…è tanto amante del canto, che non passa un’ora senza che tu oda le sue canzoni, che sotto i raggi cocenti del sole fanno sentir meno la noia del lavoro » [4].

 Nelle richieste e nelle invocazioni i poeti interpretavano l’anima popolare e le davano voce nell’esporre pubblicamente problemi della collettività e temi di interesse generale. Scrive il Pitrè: «Poiché non ne venivano risparmiate le autorità locali per loro mal governo e pe’ loro abusi, questa cantata mattutina è stata da qualche anno, con sommo dispiacere del popolo minuto, interdetta» [5].

Giuseppe Amato

Giuseppe Amato

I riferimenti satirici alla vita sociale e politica del tempo, oltre a inquadrare tali componimenti poetici nel solco secolare della storia dello strambotto siciliano, danno la misura della partecipazione delle classi subalterne alla vita di allora, rivelando la matrice popolare di certo dissenso, e contemporaneamente evidenziano la parentela strettissima con l’altra manifestazione di espressione di poesia popolare che si praticava, come ancora oggi, ad Avola, quella appunto dei canti carnevaleschi, comunemente detti storii ri Cannaluvari [6]. La cosa si spiega anche a causa della vicinanza cronologica tra i festeggiamenti in onore di San Corrado e i giorni del Carnevale, che allora andavano dal 7 gennaio al mercoledì delle Ceneri; ciò che di fatto è accaduto anche quest’anno, con il martedì grasso caduto il 13 di febbraio, cioè sei giorni prima del 19, giorno della solennità di San Corrado. Qualcosa di simile accadeva, nel corso dell’Ottocento, a Catania, quando le maschere delle cosiddette ntuppateddhi, in tutto simili ai nostri ruffiani, imperversano tra la folla nelle giornate della festa di Sant’Agata [7].

Giovanni Dell'Albani

Giovanni Dell’Albani

I poeti erano gli stessi per le due manifestazioni nel corso dell’Ottocento. Verso la fine del secolo la gerarchia ecclesiastica, per intervento dei procuratori della chiesa di San Giovanni, proibì le declamazioni dei poeti dialettali, in occasione della festa di San Corrado, all’interno della chiesa, allo scopo di evitare grane con i potenti colpiti dai versi dei poeti. La stessa cosa non avvenne nelle pubbliche piazze e nei crocicchi delle strade di Avola, dove i poeti declamavano le storii nei giorni del Carnevale. Allora i poeti giravano per il paese soprattutto nelle ore pomeridiane su dei carretti siciliani riccamente addobbati per la circostanza [8], alle cui sponde erano attaccati ramoscelli di oleandro (rànnulu), alcuni dei quali gli occupanti del carretto usavano agitare in aria con le mani.

«Il carretto – scrive il Gubernale – è sormontato da più individui, quasi sempre contadini, vestiti nelle foggie richieste dall’argomento che debbono trattare, dove non deve mancare assolutamente il rappresentante la parte della donna, il quale veste il costume semplice delle nostre massaie, con un largo cappellaccio di curina (palma nana) in testa e un fazzoletto di falsa seta che lo copre in parte. Stanno innanzi l’autore della poesia, vestito per lo più da pulcinella, e il suonatore di brogna, strumento, ricavato da una conchiglia di tritone, che serve a richiamare l’attenzione della folla» [9].

Gli argomenti delle storii, scrive il Gubernale,

«sono tratti da una novità del giorno, e spesso pungono con frizzi l’amministrazione comunale, gli avvocati, i dottori, gli operai caravigghjàri (impagabili), gli usurai, i padroni di casa, i preti, i mugnai, i farinai, il governo ecc… Talvolta si mettono in caricatura certi individui conosciuti dal poeta, traendone, alla fine, una conseguenza morale»[10].
Salvatore di Stefano

Salvatore di Stefano

Di alcuni di questi poeti contadini vissuti nell’Ottocento si occupò, nei primi anni del Novecento, il Gubernale, che ne scrisse in vari numeri della rivista da lui fondata e diretta, “La Siciliana”. Tra questi poeti ricordiamo Antonino Inturri, inteso Lucerta, nato nel 1812 e morto nel 1897, il quale tra i suoi discendenti ha avuto altri poeti [11]. Altri poeti furono Giuseppe Artale, inteso Mumma (1813-1893) [12]; Giuseppe Amato, inteso Maccarruni (1864-1918) [13]; Rocco Caruso (1820-1864) [14].

La tradizione delle storii ri Cannaluvari si mantenne, pur con non poche difficoltà, anche nel ventennio fascista, ma fu poi nel secondo dopoguerra che essa ebbe rinnovato vigore, nel clima della ricostruzione e delle lotte politiche dei primi anni della Repubblica, allorché i poeti poterono tornare a trattare liberamente gli argomenti politici e le questioni sociali.

Antonio Monello

Antonio Monello

Nel secondo dopoguerra, tra i molti pueti avolesi, dei quali molti analfabeti, si distinsero Giovanni Dell’Albani [15] (1918-1974), Corrado Artale, il vivente Antonio Monello (1935), Salvatore Andolina (1924-1996), Sebastiano Parisi, Salvatore Tiralongo (1937-2016), Antonino Carbè, del quale ultimo si tramanda un componimento ispirato ai tragici fatti del 2 dicembre 1968, Lotta ppe diritti re braccianti. Il più grande fra tutti è stato Salvatore Di Stefano, che vinse spesso il primo premio in concorso e all’età di 84 anni lo vinse ancora con un componimento dedicato alla satira di costume intitolato A moda[16]. Le storii di Di Stefano (1920 – 2011) erano tutte ispirate a fatti reali, dei quali il poeta sviscerava, con modi comici e accenti satirici, le pieghe più amare, gli aspetti più duri, in un fluire spontaneo e veloce di suoni fonetici e di cadenze ritmiche che evidenziavano una perfetta padronanza del siciliano, anche nelle sue espressioni arcaiche e pregne di valenze semantiche ormai cadute in disuso o definitivamente perdute [17].

Francesco Caruso

Francesco Caruso

Tra le voci più fedeli allo stile tradizionale delle storii negli ultimi decenni ha primeggiato Francesco Caruso [18], che ha vinto ben dieci volte [19] il primo premio nell’annuale concorso. Nelle sue storii Caruso tratta argomenti vari, inerenti alla vita vissuta, ai valori morali, alle tradizioni e agli usi locali. Nel 1984 partecipò per la prima volta al Concorso carnevalesco indetto dal Comune con una storia intitolata Malu tempu. Ricorda che quell’anno la vittoria andò al pluripremiato Salvatore Di Stefano, che presentò la sua storia intitolata A antinna lucali. Da allora ha partecipato a più di trenta volte al Concorso annuale. La vena poetica non è nuova nella sua famiglia, poiché già nell’Ottocento il suo bisnonno, padre della nonna paterna, il siracusano Carmelo Messina, componeva poesie, e lo stesso padre di Francesco, Gaetano, amava motteggiare e giocare con le parole.

Francesco Caruso compone e scrive di suo pugno le sue storii, in quartine a rime alternate. Versi e rime gli vengono facilmente all’orecchio, senza sforzi di sorta, perché egli obbedisce a una sorta di musica interiore che gli detta i versi e le cadenze ritmiche di essi. Quello che di studiato c’è è lo sforzo che egli ha fatto inizialmente in passato, per rendere fonograficamente i suoni e i ritmi musicali che armonizzano i versi, cosa evidente anche nel tentativo di sistemare empiricamente accenti e punteggiatura. Dettagli comprensibilissimi in una persona che non ha condotto studi letterariamente adeguati [20]. Segno, comunque questa sua ricerca, di serietà e di impegno creativo degno di apprezzamento. Una storia recentemente scritta da lui e ancora inedita è Vita cara, che, col suo permesso, ho il piacere di pubblicare in conclusione qui di seguito:

Vita cara 
Oggi addaveru c’acciui nun si po’ campari
È tuttu caru, e ccu sta pinzioni tantu scassa
Nunn’avemu mancu i soddi ppi mangiari
Paijannu bulletti, ogni gnornu c’è na tassa.
 
L’acqua ro paisi, ni la puttaru alli stiddi
Ora ni costa ciù ssai ri l’acqua minerali
Nunn’è bona ppi lavarini né i peri né i capiddi
Arriva arrugghiata e fa fetu ri miricinali.
 
A spazzatura ppo Cumuni è na ricchizza
Ppi iddi vali quantu l’oru a vintiquattru carati
Ni mannunu bulletti, cca vastasata e la stizza
Mentri iddi scialunu, nuiautri caremu malati.
 
O surmercatu, nun ci po’ ijri ppi fari a spisa
Ti mancunu i soddi, am’ha paijari i bulletti
Arresti cca panza vacanti, ti levunu la cammisa
Prima i vutamu, e poi ccu nui fanu ni spetti.
 
Ra correnti appoi, nun ni parramu è na cruci
Quann’era nicu, iu mi scantaia ro scuru…
Ora comu arriva a bulletta mi scantu ra luci
Mi veni nu friddu e a frevi e…tuttu ca suru.
 
U bellu c’acciui mancu a mòrriri cummeni,
Macari o cimiteru si paijunu bulletti salati
Ppi trasiri rintra o campusantu, si virunu peni
Ci vonu pottafogli cini ri soddi o fora ristati.
 
Se rispammiamu, ppi ccù u facemu? Ppi iddi..!
Ppi sti quattru guvirnanti, ca su latri e trarituri
Sempri scialannu, a facciazza ri li puvireddi
Ccu l’anima a struppeddu, allappusi e senza anuri.
 
Ppi nun ni fari frigari, m’ha vinutu na pinzata
Se moru iu, a me muggheri, ccu stu riscùssu stranu
Ci agghiu rittu, mi fai crimari, a cinniri veni pusata
Rintra na buccitedda e a mettu supra o cantarànu.
 
Accussì facènnu, nun ni po’ frigari lui Cumuni
Nuiautri rui, am’assiri ciù furbi assài ri iddi
Rispammijamu nui e nun si mamgiunu sti latrùni
I soddi ni spinnèmu nui, che nostri picciriddi.
 
Quannu a settembri, occarunu ti rijala u mustu
Macari senza ciccàlla a nuddu, aviri a vastasata
Pigghi rù cuccia ra me cinniri e annuci u mustu
Appoi dopu gnornu u cùli e ti fai a mustata.

Un’ultima nota: voglio riservare, infine, un omaggio al decano oramai dei poeti popolari avolesi fedeli alla tradizione, il vivente Antonio Monello, che io ho incontrato più volte nel corso degli anni, registrandone la voce e trascrivendo i suoi componimenti. Allego qui i versi di una storia che presentò negli anni Novanta. Si tratta di quella intitolata I pulitichi, componimento che mantiene i caratteri tematici della tradizione con la satira politica esplicitamente espressa e con il linguaggio pittoresco e anche osceno tipico del rovesciamento dei ruoli e del parlare sboccato contemplato e permesso nei giorni del Carnevale. In questa sede io l’ho trascritta fonograficamente, per rispettare il vernacolo dell’autore, che è analfabeta e non ha scritto di suo pugno i versi, affidati perciò soltanto alla sua memoria:

Salutu a-ttutti a-ccu mi sintiti,
ccà parra l’omu ri la viritati.
Cu çiana e-cciana, cchi cazzu vuliti?
ca li prumessi sovi sunu minciati
e sû-mminciati ri chiddhi bbeddhi rossi,
comu riçi Prodi, Berlusconi ansemi a Bossi.
Li pulitichi ppi-mmia sû-ttutti fassi
e sû ‘na picca ri sautafossi,
nun sunu bboni ri mèttiri sassi,
chiddhi minuti li fanu cciù-ddhossi.
Quannu ȃ accabbata sti çinc’anni passi,
e-nni talìi ccu-ll’ucciazzi rossi,
è ‘nutili ca rriri unni passi,
ca n’ha’ lassatu a-nnui tanti supossi,
supossi amari e-ddhi chiddhi pisanti.
Nta çinc’anni avìssinȃ-ffari miraculi comê santi,
ma miraculi ppi-ddhanni e-ppicciriddhi,
comu a pattrê-Ppiu e Sam-Mastianu ri Miliddhi. 
Dialoghi Mediterranei, n. 66, marzo 2024
Note      
[1] G. Pitrè, Spettacoli e feste popolari siciliane, ristampa anastatica, il Vespro 1978: 200-201.
[2] Cfr. F. Gringeri Pantano, Storia e immagini della chiesa di San Giovanni Battista in Avola, Emanuele Romeo Editore, Siracusa 2001:12.
[3] G. A. Gubernale, Avola festaiola, Associazione Filodrammatica Avolese, Avola 1988: 20.
[4] M. Di Martino, Canti popolari siciliani raccolti ed illustrati da G. Pitrè, estratto da “Favilla”, Siena 1870: 5; cfr. S. Burgaretta, Poesia popolare e poeti dialettali in Sicilia, in “Il Cantastorie”, terza serie, n.2 (53): 71.
[5] G. Pitrè, Op. cit,: 201; cfr. S. Burgaretta,  La memoria e la parola, Armando Siciliano Editore, Messina- Civitanova Marche 2008: 185.
[6] Cfr. S. Burgaretta, Piazza ed epos di popolo; in “Pentèlite 2002”: 37-58, poi in Idem, La memoria e la parola, cit.:185.
[7] Cfr. G. Verga, La coda del diavolo, novella compresa nella raccolta; inoltre S. Burgaretta, Avola. Note di cultura popolare, Armando Siciliano Editore, Messina-Civitanova Marche 2012: 91-95, Idem, Le ruffiane, in “I quaderni dello specchio di Alice”, n. 1febbraio 2011: 28-29.
[8] Cfr. S. Burgaretta, Poesia popolare… cit.: 71; inoltre Idem, Avola. Note di cultura popolare, cit.: 86-88.
[9] G. A. Gubernale, Op. cit.: 28-29.
[10] Ivi: 29.
[11] Cfr. “La Siciliana”, a. V, n.2, agosto 1919; inoltre S. Burgaretta, Art, cit.: 73; Idem, La memoria e la parola, cit.:
194- 199
[12] Cfr. “La Siciliana”, a.VII, n. 3. marzo 1924; inoltre S. Burgaretta, Art cit.: 73; Idem, La memoria e la parola, cit.: 191-192.
[13] Cfr. “La Siciliana”, a IX, nn. 4-5, aprile-maggio 1926; inoltre S. Burgaretta, Art cit.: 73; Idem, La memoria e la parola, cit.: 192-194.
[14] Cfr. G. Gubernale, Scritti folkloristici, ms. presso la Biblioteca comunale di Siracusa, fascicolo 1609: 134, inoltre S. Burgaretta, art cit: 74.
[15] Cfr. S. Burgaretta, Poeti per scherzo, in “la Sicilia”, 30 gennaio 1986, inoltre Idem, La memoria e la parola, cit.:.200.
[16] Cfr. S. Burgaretta, La memoria e la parola, cit.: 263.
[17] Cfr. S. Burgaretta, Incontro con Salvatore Di Stefano, in “Il Cantastorie”, nn. terza serie, 4 (55), dicembre 1981: 270-277; 5 (56), gennaio-marzo 1982: 24-25 e.30; 7 (58), luglio-settembre 1982: 28-31 e 48. Inoltre Idem, Salvatore Di Stefano e le sue Storii ri Cannaluvari, in Idem, La memoria e la parola, cit.: 208-229; Idem, Contastorie, cantastorie e storie di poeti popolari nella Sicilia orientale, in AA.VV. I sentieri dei narratori, Associazione Figli d’Arte Cuticchio, Palermo 2004: 101-113.  
[18] Francesco Caruso è nato ad Avola il 13 marzo 1950. Cfr. S. Burgaretta, Riti e usanze popolari ad Avola, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo, 2021: 119-123.
[19] I titoli dei componimenti premiati sono: L’eredità ro ziu schettu ranni; Semu tutti nuticiani; Cinquant’anni ri vita aulisa; Petri; Lu matrimoniu ri me frati; Vogghiu fari u sinnicu; A ghiotta; Biatu l’uttimu, sarà u primu; I cucchi; U ‘mbrugghiuni.   
[20] Caruso ha la licenza elementare e la frequenza dell’Avviamento professionale, quello che ebbe fine nel 1962, allorché si diede corso alla Scuola Media unificata.

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Sebastiano Burgaretta, poeta e studioso di tradizioni popolari, ha collaborato con Antonino Uccello e, come cultore della materia, con la cattedra di Storia delle Tradizioni Popolari dell’Università di Catania. Ha curato varie mostre di argomento etnoantropologico in collaborazione col Museo delle Genti dell’Etna, con la Villa-museo di Nunzio Bruno, con la Casa-museo “A. Uccello”, col Museo teatrale alla Scala di Milano. Ha pubblicato centinaia di saggi e articoli su quotidiani, riviste e raccolte varie. Tra i suoi volumi di saggistica: Api e miele in Sicilia (1982); Avola festaiola (1988); Mattia Di Martino nelle lettere inedite al Pitrè (1992); Festa (1996); Sapienza del fare (1996); Retablo siciliano (1997); Cultura materiale e tradizioni popolari nel Siracusano (2002); Sicilia intima (2007); La memoria e la parola (2008); Non è cosa malcreata (2009); Avola. Note di cultura popolare (2012); Verbumcaru (2020); Riti e usanze popolari ad Avola (2021); Alle soglie del tèmenos (2021); I giorni del corona (2021); La giostra delle apparizioni (2021).

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