La “questione migratoria” è sempre presente nel dibattito pubblico del nostro Paese. Il più delle volte, occorre dirlo, si parla di migrazioni a sproposito e in modo capzioso: si parla genericamente di “migranti”, “flussi”, “ripartizione dei flussi”, ma dietro a queste parole ci sono persone, c’è l’altro, che sempre ci interroga e scuote (o dovrebbe farlo) le nostre inveterate convinzioni. La Sicilia è storicamente e geograficamente terra di migrazione, luogo-mondo di confronto tra culture, saperi, esperienze; in Sicilia è attiva dal 2015 la “Rete dei musei siciliani dell’Emigrazione”: otto musei, uno per provincia, manca all’appello Agrigento. Musei operanti, luoghi di costruzione di identità plurali attraverso la raccolta di dati sul fenomeno migratorio, attraverso la raccolta di storie e di archivi fotografici. Da qualche anno il lavoro delle persone impegnate a vario titolo in questi musei ha dato luogo anche a pubblicazioni che compongono pezzo per pezzo il mosaico della storia delle migrazioni siciliane.
È uscito nel 2022 La Sicilia migrante. L’emigrazione dell’area ionico-etnea tra Ottocento e Novecento (ταυ editrice – Fondazione Migrantes, 2022), ne sono autori Antonio Cortese e Grazia Messina: Cortese è studioso attento e profondo conoscitore delle dinamiche demografiche, avendo lavorato per anni all’Istat, Grazia Messina è direttrice della ricerca scientifica nel “Museo etneo delle migrazioni” di Giarre oltre che apprezzata studiosa di storia contemporanea e autrice di pubblicazioni sulle esperienze del laboratorio di storia nella scuola. Questi due studiosi hanno scritto un libro che dà conto delle dinamiche migratorie dell’Isola, con particolare riguardo per l’area ionico-etnea.
Ci convince il metodo adoperato: il libro presenta interessantissime tavole che dànno conto preciso del fenomeno migratorio nell’Isola, ma anche fotografie di album privati oltre a quelle custodite presso l’archivio del Museo etneo delle migrazioni, mappe, dati; dei quattro capitoli in cui è diviso il libro, l’ultimo ci presenta una serie di documenti d’archivio molto interessanti sulla gestione dei beni dei morti all’estero con le relative indicazioni sulla successione per i parenti rimasti in patria; viene quindi pubblicata una “lettera di richiamo” da “Nuova Ioch”. È quest’ultimo un documento straordinario almeno per due aspetti: quello linguistico e quello culturale. Il linguaggio adoperato è un impasto di registri, quello burocratico e quello confidenziale. Infatti queste missive, come scrivono gli autori, «si presentavano sotto forma di richieste inoltrate all’autorità, solitamente da parte di un congiunto, e rivolte a un familiare in procinto di partire, allo scopo di facilitare il disbrigo delle pratiche burocratiche previste per l’espatrio».
Più in generale, le scritture cosiddette “popolari” sono straordinari documenti che negli ultimi anni hanno profondamente modificato lo sguardo degli storici del fenomeno migratorio: uno sguardo che parte “dal basso” e che ha un riferimento iniziale nel Thompson di History from Below, saggio pubblicato nel 1966 dal “The Times Literary Supplement”. I documenti di vite “anonime” testimoniano certo la propria di storia, ma sono collettivamente segni di una storia pubblica ancora tutta da scrivere.
Ma andiamo con ordine attraverso le dense pagine di questo libro. La “stella polare” che ha guidato gli autori nella ricerca è lo studio delle cosiddette “catene migratorie” che hanno contribuito a formare le nuove comunità di migranti all’estero:
«Nel quadro di tale prospettiva analitica ha trovato modulazione la nostra ricerca, che ha riguardato un’area composta da diciannove comuni della provincia di Catania nel periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e gli anni Venti del Novecento, metodologicamente supportata dal materiale custodito negli archivi locali, nel Museo etneo delle migrazioni di Giarre e in collezioni private».
Nel primo capitolo è dato dagli autori un “quadro generale” del fenomeno migratorio dal 1876 al 1976: cento anni della nostra storia che culminano nell’anno della inversione di tendenza della migrazione nel nostro Paese, ovvero l’Italia diventa Paese di immigrazione dopo essere stata Paese di emigrazione. Ben 26 milioni di persone nel secolo considerato hanno lasciato il Paese per intraprendere, per usare l’espressione di De Gasperi, “le strade del Mondo”: dalla cosiddetta prima migrazione fino ai quasi 9 milioni di espatri della “grande emigrazione”; i flussi si bloccarono quasi del tutto durante il regime fascista, per riprendere con vigore nel secondo dopoguerra. È di questo periodo (1947) il libretto Per l’emigrante, sorta di manualetto realizzato in collaborazione tra CICS (Comitato italiano di cultura sociale) e Young Men’s Christian Association, nel quale è testualmente scritto:
«Questo libretto non è un invito a emigrare. Se avete lavoro e pane nel vostro paese, se pur attraverso fatiche e difficoltà, vi sta innanzi la speranza di un miglioramento futuro, restate dove siete, perseverate sul vostro banco, sul vostro campo, sul vostro tornio: la patria è povera, ma come tutte le mamme è contenta se le state vicino. Ma se davvero non vedete soluzione, se la necessità vi assilla, se avete preso la decisione di cercare lavoro fuori, allora leggete con attenzione questo libretto. Forse vi troverete un’utile guida».
Interessante l’accenno che gli autori fanno alla emigrazione siciliana in Tunisia, fenomeno che si ebbe tra i primi del Novecento e il 1956 e che ha prodotto straordinarie interconnessioni linguistiche, sociali e anche religiose tra le due sponde.
Cortese e Messina passano poi in rassegna le partenze dalle diverse aree e province della Sicilia, viene così ricordato con puntualità il dato delle numerose partenze nel XIX secolo dalla Sicilia interna, area di latifondo e sfruttamento del lavoro, area di miniere di zolfo e salgemma nelle quali venivano impiegati i bambini; anche dai paesi costieri, che avevano resistito alla tentazione di partire, si ebbe una emorragia di persone tra il 1911 e il 1913: dalla zona degli agrumeti messinesi fino alla Stretto. «La zona ionico-etnea» – oggetto dell’indagine particolare dei nostri due autori – «subì danni enormi, come le isole Eolie e le altre zone vitate della Sicilia, per l’arrivo di fillossera e peronospera alla fine dell’Ottocento». L’area di Catania, Siracusa e Messina aveva resistito al richiamo d’espatriare anche grazie agli «equilibri interni nelle attività produttive, distribuendo lavoro stagionale redditizio e profitti della terra ad una fascia molto ampia della popolazione».
Nel secondo capitolo gli autori affrontano l’emigrazione di un’area specifica, come abbiamo detto, ossia del comprensorio ionico-etneo. Un’area quest’ultima omogenea dal punto di vista della forma del territorio e del dinamismo imprenditoriale legato sì ai prodotti dell’agricoltura, ma anche all’artigianato. Un territorio questo studiato da Enrico Iachello per quanto riguarda la contea di Mascali e, più in generale, da Melania Nucifora; un territorio al centro di importanti studi storici dal 1999 al 2007 anche grazie al Master in Storia e Analisi del Territorio che si ebbe presso l’Università degli Studi di Catania. Ancor più nello specifico, l’attenzione al Mezzogiorno del nostro Paese prende le mosse da un convegno tenutosi a Bari nel 1985 dal titolo molto eloquente: “Forme e limiti di un processo di modernizzazione: il Mezzogiorno d’Italia tra la crisi dell’antico regime e l’Unità”. La storia d’Italia di qualsiasi specie, dell’emigrazione o della letteratura, abbisogna di un’attenzione critica avulsa dalla rappresentazione folklorica, dicotomica e contrastiva (Nord vs Sud) del nostro Paese, per collocare la storia del Mezzogiorno arretrato nella storia del colonialismo europeo, come dimostra oggi Carmine Conelli in un suo documentato saggio (Il rovescio della nazione. La costruzione coloniale dell’idea di Mezzogiorno, Tamu,2022).
Dal porto commerciale di Riposto, finito di costruire nel 1906, partivano carichi di vino per Austria-Ungheria, Germania, Svizzera, Francia, Egitto: al ciclo del vino erano legati i politicizzati bottai di Riposto, fautori nel 1892 della creazione del Fascio dei lavoratori. Per avere una dimensione chiara della storia della migrazione di questo territorio occorre dunque addentrarsi nei meandri della storia delle colture, della trasformazione della vocazione vitivinicola di Riposto in agrumicoltura per la presenza di fillossera e peronospera; occorre considerare che la situazione dell’analfabetismo nella Provincia di Catania nel 1911 faceva registrare un 65% di analfabeti rispetto al 90% dei primissimi anni post-unitari, e questo anche grazie alla legge Daneo-Credaro che istituiva la figura dei maestri per concorso statale.
Ebbene, nonostante questo dinamismo Giarre, Riposto, Piedimonte Etneo facevano registrare un decremento della popolazione residente. Le cause della migrazione vengono rintracciate dagli autori nella
«frantumazione della grande proprietà fondiaria, l’abolizione del maggiorascato con il Codice civile napoleonico, la crescente pressione fiscale dello Stato, la liquidazione dei demani e dei beni della Chiesa, la fine degli usi civici, la guerra doganale con la Francia […] Il fallimento dei Fasci siciliani contribuì inoltre ad alimentare la sfiducia delle fasce popolari in possibili e rapidi mutamenti del proprio status quo».
Ce n’è abbastanza, e a tutto questo si aggiunse anche la presenza massiccia della fillossera. Queste cause espulsive non bastano però a spiegare l’emigrazione da questo territorio così “in fermento”, così vivace dal punto di vista culturale e commerciale; secondo gli autori è «il desiderio di miglior fortuna» una delle concause decisive per innescare il movimento migratorio: chi era già partito “richiamava” parenti e amici con la promessa di terre dell’oro; le compagnie di navigazione sguinzagliavano i propri agenti per i paesi dell’Isola per cercare proseliti, gente disposta a lasciare tutto per inseguire il sogno di terre lontane.
Ancora gli autori:
«I migranti diretti in Africa erano lavoratori impegnati per lo più nella pesca, ma non mancavano contadini, artigiani, muratori, scalpellini, sterratori e manovali, questi ultimi chiamati dalla realizzazione del porto di Tunisi, dalla ferrovia Tunisi-Sousse-Kairouan (1892-1896) e dalla costruzione dei palazzi destinati ad ospitare militari e funzionari francesi in presidio locale».
Dalla Sicilia orientale vi sarà anche un’ondata migratoria verso l’Egitto. Anche l’Australia sarà terra nella quale approderanno da Messina, Giarre, Milo.
Carmelo, Alfio, Maria Barbagallo; Vincenzo e Maria Sciuto, Alfio e Giuseppe Torrisi, Concettina Coco: nomi che sono vite, vite di persone che hanno lasciato i propri paesi per cercare fortuna altrove. Tra queste storie quelle delle donne siciliane sbarcate a Lawrence, nel Massachusetts: le donne americane che lavoravano nelle fabbriche tessili a Lawrence avevano abbandonato questo lavoro mal pagato ed estenuante: il loro posto venne preso dalle donne siciliane. Nonostante le terribili condizioni di lavoro e la paga scarsa, queste sperimentano per la prima volta nella loro vita un’autonomia economica; per alcune d’esse ci fu anche la possibilità di studiare e migliorare così la propria condizione sociale e lavorativa.
La storia della migrazione è anche storia di famiglie intere che decidono di partire: gli autori riportano le vicende migratorie della famiglia Bella, emigrata nel Massachusetts; dei fratelli Raiti di Linguaglossa; dei fratelli Castorina da Giarre; di Alfio Privitera in Australia. Tutti “parenti stretti” del bolognettese Tommaso Bordonaro, autore del fortunato libro La spartenza. Queste storie ci interrogano, ci mettono di fronte inevitabilmente alla potenza della narrazione. Le scritture, le narrazioni di migrazione costituiscono un archivio archetipico, una comunità ideale e, come ci ricorda Daniel Fabre, «più questa comunità è numerosa, più è chiamata a rappresentare la realtà di una società o di una esperienza collettiva. L’archivio delle memorie autobiografiche è una società che si racconta». Le storie di Basso, Garofalo, Bordonaro e degli Alfio Privitera o dei fratelli Castorina hanno una dimensione comunitaria: parlano anche di noi, parlano anche a noi, hic et nunc.
Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023
_____________________________________________________________
Nicola Grato, laureato in Lettere moderne con una tesi su Lucio Piccolo, insegna presso le scuole medie, ha pubblicato tre libri di versi, Deserto giorno (La Zisa 2009), Inventario per il macellaio (Interno Poesia 2018) e Le cassette di Aznavour (Macabor 2020) oltre ad alcuni saggi sulle biografie popolari (Lasciare una traccia e Raccontare la vita, raccontare la migrazione, in collaborazione con Santo Lombino); sue poesie sono state pubblicate su riviste a stampa e on line e su vari blog quali: “Atelier Poesia”, “Poesia del nostro tempo”, “Poetarum Silva”, “Margutte”, “Compitu re vivi”, “lo specchio”, “Interno Poesia”, “Digressioni”,“larosainpiù”,“Poesia Ultracontemporanea”. Ha svolto il ruolo di drammaturgo per il Teatro del Baglio di Villafrati (PA), scrivendo testi da Bordonaro, D’Arrigo, Giono, Vilardo. Nel 2021 la casa editrice Dammah di Algeri ha tradotto in arabo per la sua collana di poesia la silloge Le cassette di Aznavour. Con Giuseppe Oddo ha recentemente pubblicato Nostra patria è il mondo intero (Ispe edizioni).
______________________________________________________________