di Salvo Cristaudo
Le attuali attività parossistiche dell’Etna e dello Stromboli mi riportano indietro nel tempo con ricordi indelebili e, a solo pensarci, mi si accappona ancora la pelle.
Una normale giornata lavorativa, una telefonata passatami dal centralino al mio interno, un invito ad una escursione sull’Etna in quel momento in cui manifestava una forte attività esplosiva a dir poco spettacolare. Per me costituiva, quindi, un invito a nozze, che non potevo assolutamente rifiutare.
La voglia di fare qualche scatto, di affrontare con gli amici un’avventura organizzata al momento mi portarono a chiedere un permesso all’Azienda e correre verso casa per prendere l’attrezzatura e farmi trovare pronto all’appuntamento.
Se la memoria non mi inganna era luglio 1976. Una splendida giornata che avrebbe dovuto assicurarci una “tranquilla” e veloce escursione e un rientro a casa per cena.
Armato pertanto di treppiedi, borsa fotografica, zainetto con qualcosa da mangiare, una piccola bottiglietta di whisky, una piccola torcia e una giacchetta quasi da passeggio da indossare in caso di necessità, mi ritenevo pronto.
Passa a prendermi alle 15,30 con il fuoristrada il mio amico che si era fatto promotore di questa passeggiata. Il fuoristrada era scoperto e nulla da dire. Faceva caldo e avremmo potuto raggiungere il cratere anche in maniche di camicia; ai tempi e a quell’età, si poteva fare.
Eravamo in cinque, uno più folle dell’altro con tanto entusiasmo e una voglia infinita di fotografare.
Arrivati a Nicolosi ci presentiamo alla Forestale, per farci autorizzare a proseguire lungo i loro sentieri che ci avrebbero portato quasi a ridosso del cratere attivo.
Ma non fu così. Fummo bloccati in quanto in quel momento l’attività era fortemente aumentata con conseguente blocco di accesso a tutti nell’intera area. Nessuno poteva avventurarsi. Divieto assoluto e senza deroghe.
Beh … non potevamo tornarcene sconfitti. Decidemmo, quindi, di aggirare l’ostacolo risalendo dal versante di Randazzo; forti del fatto che l’amico, alla guida, diceva di essere un gran conoscitore dei luoghi e di quei sentieri. Sosteneva sicuro che, pur allungando il percorso e i tempi, ci avrebbe portato a destinazione certa.
Ricordo quei sentieri dal fondo parecchio accidentati e il calar della luce ci faceva pure intuire che avremmo sicuramente saltato la cena. Ma dai …. siamo arrivati fin qui e non proseguiamo? Guardate su, dietro quel monte … vedete il bagliore? Stiamo per arrivare … fantastico!!!
E fu così che ci trovammo di fronte a un muro di ghiaccio. Impossibile proseguire! Ringraziavo Dio per aver portato la giacchetta da passeggio che pensavo di non dover usare. Lasciamo la jeep e proseguiamo a piedi verso quel bagliore che ci sembrava essere vicinissimo ma era pura illusione. Si trattava del classico miraggio nel deserto.
Si camminava con la sola luce di una luna che quella sera era fortunatamente luminosissima. Uno dietro l’altro e seguendo non più un sentiero certo ma quasi ipnoticamente quel rosso intenso del bagliore.
Il terreno su cui marciavamo era neve ghiacciata ricoperta dalla cenere nera del vulcano e questo ci portava spesso a cadere.
Fra una imprecazione e l’altra ci trovammo a camminare, si fa per dire, sulla parete del cratere Nord-Est fino a quel momento dormiente. Essendo, quindi, un cono abbastanza pronunciato ci aiutavamo appoggiando la mano alla parete, puntando i piedi nella terra nera.
A un tratto sentimmo che il terreno cominciò a sussultare e un enorme boato, avvertito anche da chi già dormiva a Catania, ci stordì. Era esploso in quel momento anche quel cratere in cui eravamo. Fummo investiti da gas e fortunatamente da piccole pietre.
Nella totale oscurità ci siamo guardati tutti negli occhi. Ma non bisognava perdere la calma. Dovevamo assolutamente tornare indietro e il più velocemente possibile verso la jeep.
Fu così che cominciammo a scendere fra cadute e imprecazioni. A un tratto sentiamo un sibilo. Non capivamo cosa potesse essere ma ci siamo resi subito conto che eravamo sull’orlo di un precipizio, che davanti a noi c’era il vuoto. Quel sibilo era del primo della fila che era volato giù senza accorgersene. Panico totale!
Ci siamo distesi a terra e cominciammo a chiamare l’amico nella speranza di ricevere una risposta. Ricordo che nel frattempo altri due fecero improvvisamente, senza volerlo, la stessa fine. Il terreno su cui eravamo era neve ghiacciata ricoperta di terra e con il nostro peso andava franando. Cadde anche il quarto e io rimasi solo, trattenendo il respiro e ripercorrendo nella mia mente tutta la mia vita e i miei affetti.
Dio volle che quella piccola torcia che avevo dato al primo della “cordata” rimase accesa e io potei vedere quella luce come una capocchia di spillo che mi fece capire che la situazione era veramente drammatica.
Cominciai a sentire qualche lamento e per fortuna compresi che erano tutti salvi ma assolutamente anche tutti malconci. Non avevo scampo. O cadevo come e sopra agli altri o mi buttavo cercando di “guidare” la mia discesa su quella parete di ghiaccio. Cosi feci. Mi strinsi la borsa fotografica sul petto, allargai gambe e braccia e mi buttai.
La mia paura era quella di trovare qualche spuntone ma fortunatamente andò bene. Una interminabile discesa dove pantaloni e giacca si lacerarono provocandomi delle abrasioni dolorosissime. Arrivai addosso agli altri in uno stato fra felicità per averla scampata e di terrore infinito. Seguirono attimi di forte agitazione fra tutti noi. Era ormai notte e non sapevamo neanche dove fossimo.
Nel frattempo le nostre famiglie preoccupatissime avevano lanciato l’allarme e cominciarono le ricerche. Pronto a partire ci fu anche un elicottero. Ci riparammo sotto un cespuglio attendendo l’alba, sorseggiando whisky e mangiando qualche biscotto.
Poi cominciammo a scendere verso Piano Provenzana dove ci imbattemmo in un mezzo della Forestale che ci stava cercando. Grande e giusta lavata di capo. Rifocillati e accompagnati a casa. Ricordo che sono rimasto ben otto giorni a letto per i dolori e il trauma subito.
In quel preciso posto dove siamo precipitati otto giorni prima era morto un escursionista tedesco. Proprio lì! È il caso di ripetere il detto siciliano: “mbriachi e picciriddi ‘u signuri aiuta” ……
Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024
__________________________________________________________________________________
Salvo Cristaudo, nato a Catania ma ormai da moltissimi anni residente a Palermo dove ha lavorato nel settore informatico. Fotografo che ama il paesaggio e predilige il dettaglio, i colori e i contrasti. Da qualche anno si occupa delle opere della street photography.
______________________________________________________________