il centro in periferia
di Bianka Myftari
Ho conosciuto la Corsica e i Confratelli del Santissimo Crocifisso della Pieve di a Serra nell’ambito del ciclo di seminari organizzati dalla Scuola di Specializzazione in Beni Demoetno- antropologici della Sapienza, un incontro molto stimolante dove per la prima volta ho ascoltato il canto polifonico corso. E poi ancora nell’agosto del 2018, grazie all’invito di Jean Charles Adami ad Alessandra Broccolini che ha coinvolto me e i miei colleghi, Francesca Romana Uccella, Flavio Lorenzoni e Selene Conti, allora studenti della scuola.
Quest’isola francese che si scalda nel sole italiano in passato ha subìto il giogo romano, pisano, genovese e francese, e si identifica con l’eroe sconfitto corso Pasquale Paoli che ha contrastato la Repubblica Francese, considerato dal movimento nazionalista della Corsica come “Il Padre della Patria”. L’identità dell’isola si intreccia con la storia del Mediterraneo che si riflette nel miscuglio etnico della sua gente, o la sua lingua derivata dal toscano antico. Questa caratteristica è ben visibile perché ogni segnalazione stradale, i nomi dei bar e vari cartelli pubblicitari sono bilingue, quella francese e còrsa. Una scritta in particolare messa sopra l’entrata di un bar attira la mia attenzione: “Pè a Corsica, un paese da fa”, un paese che esprime la sua forza e la sua ricchezza nella bellezza della diversità, vissuta come caratterizzazione, come identità e appartenenza [1].
L’esperienza còrsa, anche se breve, è stata una delle ricerche più intense e ricche che ho avuto, sotto molti aspetti, stimolando moltissimo le mie riflessioni e quelle dei miei colleghi. La Corsica è un’isola che mi ha sempre affascinata per la sua bellezza. «Ebbe dagli antichi greci il nome di Kalliste»[2] e Cyrnos dai romani riferendosi alla sua bellezza. Il paesaggio pittoresco si alterna tra picchi di montagna, guglie, laghi, vaste foreste attraversate da molti ruscelli. Del resto aveva affascinato e ispirato anche uno dei maggiori scrittori del Novecento, Honoré De Balzac, che scrive: «la Corsica è uno dei paesi più magnifici del mondo: ci sono montagne come quelle della Svizzera» [3]. La dorsale montuosa principale percorre l’isola trasversalmente, da nord-ovest a sud-est, dividendo la Corsica in due regioni, distinte in buona parte da un punto di vista geologico, con prevalenza di rocce cristalline granitiche sul versante a sud e a ponente e di rocce scistose e zone alluvionali a levante, «La divisione della Corsica è nel di qua, e nel di là dè Monti» [4].
Ed è proprio in montagna, a Pianellu, un piccolo paese con circa 75 abitanti dove si svolge la nostra ricerca. Il villaggio sorge a 900 metri sul livello del mare, collocato nella zona est dell’isola, e conosciuto per il Parco Regionale Naturale. Il suo paesaggio è molto particolare, unico al mondo per la sua primitività e per la natura selvaggia. Il clima è mite e temperato, creando una piacevole brezza in estate.
La strada per raggiungere il paese è ruvida e malconcia, con una lunga serie di curve; per chi viene da fuori e non ci è abituato risulta una vera sfida. Man mano che saliamo, la natura appare in tutta la sua bellezza, gli alberi diventano più fitti colorando di verde il paesaggio, si sente un gradevole odore di pino. Sembra che entriamo in un’altra dimensione regalando inconsapevolmente una sensazione di tranquillità e benessere.
Pietro Clemente nel suo articolo Piccoli paesi decrescono. Una rete per una battaglia di generazione cita una bellissima frase di Giacomo Becattini, ragionando intorno al tema dei luoghi e di una nuova coscienza dei luoghi, che in questo caso mi sembra pertinente ripetere: «Luoghi significa mondi piccoli, remoti, minori, interni, periferici a portata e misura di uomini e donne, come gli orti e i piccoli paesi» [5].
Pianellu rispecchia perfettamente questa caratteristica: un piccolo paese dove ci sono pochissime case, fatte per di più con pietra e legno. L’edificio più imponente è la chiesa di Santa Cecilia che data centinaia di anni. L’edificio presenta una forma a croce latina e nel suo complesso ha una facciata ampia, solenne ed armonica nell’aspetto, a due piani e di giuste proporzioni, coronata da un timpano triangolare di marcato stile barocco italiano[6]. Il secondo piano ha una finestra a forma di arco, decorata con vetri colorati che danno luce all’interno. Il campanile di stile barocco, a quattro piani, è sormontato da una cupoletta. Addossato all’edificio sul lato sinistro di chi guarda, gli conferisce un certo rilievo. La porta d’ingresso è di legno scolpito, si entra attraverso le scale poste su due lati. Merita uno sguardo particolare il monumento eretto davanti alla porta della chiesa, che raffigura un soldato pronto a lanciare una bomba. Consacrato ai caduti nell’ultima guerra, vi si leggono in basso su due tavole di marmo tutti i nomi dei morti. Credo sia questo uno dei ricordi più suggestivi che esista nell’architettura delle chiese dell’isola dedicato alla memoria dei caduti.
Questi villaggi hanno una particolarità, le case non sono concentrate, cioè costruite tutte nello stesso posto, ma sono sparse, una caratteristica questa non solo dei piccoli paesi ma di tutta la Corsica comprese le città.
Negli ultimi anni, in Corsica ha preso piede una nuova forma di coscienza e consapevolezza del proprio patrimonio culturale, specialmente nelle piccole regioni caratterizzate da particolare isolamento geografico, poiché non erano interessate da importanti vie di transito o da influssi esterni. Nel 1992 un gruppo di paesani spinti dall’amore per la loro terra e tradizione hanno creato la Confraternita di Santissimo Crocifisso della Pieve di a Serra, legati storicamente con l’arciconfraternita del SS. Crocifisso di S. Marcello a Via del Corso a Roma. Le pievi esistevano in passato come unità ecclesiastiche e amministrative. Ora non esistono più, ma sono rimaste nell’autorappresentazione.
Il nostro interlocutore privilegiato Jean Charles Adami è membro attivo della Confraternita. Per la comunità, far rivivere la confraternita significa rifiutare la desertificazione del territorio e della comunità per vivere una parentela sociale con un unico obbiettivo. Il mondo rurale è sempre stato abitato da agricoltori, pastori e artigiani, anche se i grandi movimenti di massa del dopoguerra, in particolare l’emigrazione verso il continente, hanno destrutturato e impoverito le campagne, in misura maggiore rispetto a quanto è accaduto in altre aree del Mediterraneo. Ma l’organizzazione di questo gruppo è dovuta soprattutto a una volontà identitaria, per preservare e continuare la tradizione, come la festa di San Vincente Ferrer.
Com’e noto, l’istituto della festa costituisce un luogo privilegiato per lo sguardo antropologico e al tempo stesso un nodo problematico di particolare spessore teorico, essendosi su questo tema cimentata la riflessione di svariate discipline. L’istituto della festa «costituisce di per sé un nodo cruciale della dimensione folclorica nelle sue molteplici valenze e implicandosi sul piano sociale, culturale e simbolico» [7]. «Se l’identità, come più volte è stato sottolineato dallo sguardo antropologico che riflette sui processi culturali, non è un deposito oggettivo di tratti culturali, un’“essenza”, fissa e immutabile, ma un processo dinamico, interpretativo, selettivo che una comunità costruisce (storicamente) e mette in atto (contestualmente e performativamente) e che si esprime in retoriche, testi, rappresentazioni e pratiche mutevoli e dinamiche, allora l’identità va intesa come processo di interpretazione e di autorappresentazione» [8], ed è proprio questa caratteristica che definisce e rappresenta la piccola comunità di Pianello.
Il termine “festa” copre una vasta area di significati, che può includere dalla festività intesa quale ricorrenza festiva all’istituto festivo eventualmente ad essa connesso, al festeggiamento come modalità di festa, alla festosità come qualità intrinseca della festa. Ricorrenza festiva, istituto festivo, festeggiamento e festosità, intesi anche come specificazioni semantiche della festa, restano comunque ampi e generici se non vengono decisi da altre coordinate di riferimento.
Le ricorrenze festive, soprattutto quelle religiose si presentano uguali, se non ricevono una individuazione più precisa in relazione al contesto culturale e locale nel quale si svolgono oggi e in relazione al contesto storico che le ha prodotte. Possono, infatti rivestire significati diversi, legandosi a diverse matrici culturali, di formazione più prossima o più remota nel modo più stabile o più casuale. Spesso ci imbattiamo in ricorrenze festive con una cadenza calendariale o meno, a sua volta fissa oppure variabile, festività occasionali ed episodiche, all’interno di società, di comunità anche di determinati gruppi.
In Corsica, a fine Ottocento e inizi del Novecento le feste religiose erano scomparse, come la maggior parte dei rituali còrsi, ma hanno visto la rinascita solo alla fine degli anni ‘60, periodo che coincide con i primi movimenti identitari. Non sappiamo per quale motivo il culto è stato abbandonato, ma sappiamo che «la nostra microregione, indubbiamente tra le prime in Corsica ad essere cristianizzata, propone alla devozione solo santi primitivi. È sorprendente che Saint Vincent Ferrer, un domenicano del XV secolo, sia venerato a Pianellu» [9]. Vincente Ferrer nacque a Valencia in Spagna, il 23 gennaio 1350 e morì in Francia il 5 aprile del 1419. Fu un grande predicatore dell’ordine dei Domenicani ed è il patrono della città di Valencia. La comunità valenciana celebra il santo a partire dal secondo lunedì di Pasqua con un programma che dura una settimana, per poi svolgere la processione solenne nel giorno del suo anniversario. La festa inizia con il suono dei Gremi de Campaners della Cattedrale della città e adiacente al convento dell’ordine dei domenicani, per proseguire poi a intervalli durante tutta la giornata [10].
Secondo la leggenda, Vincente Ferrer quando era a Roma cadde gravemente malato, dopo egli attribuì la guarigione ad un intervento di Gesù Cristo, che gli sarebbe apparso in visione insieme ai santi Domenico e Francesco d’Assisi che gli avrebbero ordinato di dedicarsi alla predicazione del Vangelo [11]. I successivi anni della sua vita li trascorse predicando, attraversando tutta l’Europa occidentale e con molta probabilità andò anche nell’isola della Corsica. Dopo la sua canonizzazione si sviluppò un intenso culto in diverse parti d’Europa come in Italia, Francia, Inghilterra e Spagna. In Italia, il culto di San Vincente e molto diffuso, e venerato come santo patrono in più di quaranta paesi, e uno di questi porta il nome di San Vincenzo.
Come a Valencia anche a Pianellu le tradizioni orali indicano come data per la celebrazione del santo il 5 aprile [12], spostato il 20 agosto, in modo che le famiglie di pastori, allora nel pascolo nei monti di Pianellu, potessero essere presenti e partecipare alla festa. Non sappiamo di preciso quando è stata spostata la festa perché non ci sono documenti scritti al riguardo. Le celebrazioni di San Vincente Ferrer consistono in un pellegrinaggio che parte dalla chiesa di Santa Cecilia a Pianellu fino alla piccola cappella di San Vincente che si trova all’incirca cinquanta minuti a piedi dal paese. Riguardo al pellegrinaggio ci viene in aiuto Lello Mazzacane che scrive:
«Il pellegrinaggio assume sempre come elemento fondante la forma del viaggio, di andata e di ritorno. Il viaggio finisce cioè per diventare esso stesso la forma codificata, essenziale, del pellegrinaggio, la sua forma-festa. Non c’è pellegrinaggio senza viaggio, e tra i due viaggi è racchiusa la festa. Questo andare, carico di tutti i significati simbolici, mitici, magici, della storia come della leggenda come della fiaba, questo andare dal luogo profano al luogo sacro, dal quotidiano al festivo, costituisce esso stesso la più riconoscibile tra le forme materiali e simboliche del pellegrinaggio»[13].
In questo caso c’è da specificare che rispetto ai pellegrinaggi svolti in Italia, qui a Pianellu, non si va ad un santuario ma in una piccola cappella. Nel pomeriggio della vigilia della festa di San Vincente si celebrano i Vespri nella chiesa di Santa Cecilia. La messa dura un’ora ed è totalmente cantata dalla confraternita di Santissimo Crocifisso.
All’indomani, Pianellu si sveglia con il suono delle campane di Santa Cecilia, segnando il preludio dei festeggiamenti e l’inizio del pellegrinaggio, che è guidato e cantato sempre dalla Confraternita del SS. Crocifisso. La confraternita esce dalla chiesa portando in processione una croce lignea; il confratello William Bouzuk, è il primo che porta la croce, seguito da altri membri della confraternita e dai paesani, cantando l’Ave Maria. I confratelli sono vestiti con una tunica bianca, una mantellina di velluto blu che avvolge il torso e le braccia; intorno ai fianchi hanno il cordone dell’obbedienza. Nel corteo ci sono anche alcuni turisti che incuriositi si incamminano verso l’antica cappella di San Vincente. La cappella di stile architettonico romano-pisano si trova molto distante dal villaggio. La confraternita ha fatto un lavoro di ristrutturazione volta a rendere la cappella nuovamente accessibile alle funzioni religiose, gestendo sia questa struttura che la chiesa di Santa Cecilia.
La processione è scandita da tre fermate che simboleggiano la Trinità cristiana, durante le quali i confratelli cantano formando un cerchio, simbolo di unità e fratellanza, ma è anche un momento di aiuto reciproco nel sostenersi l’un l’altro nel trasporto della croce. Il sentiero per arrivare alla piccola cappella passa attraverso una natura selvaggia, una parte di essa e conosciuta come Valle d’Alesani, una meta molto ambita per gli alpinisti.
Si sale ancora, il terreno è ruvido, in alcune parti scivoloso per la presenza del fiume Cursigliese, ci sono forti pendenze ed in certi punti il passaggio è molto stretto. Una volta raggiunta la meta, hai la sensazione di libertà e leggerezza, in un certo senso la ricompensa della fatica.
La cappella, un tempo abbandonata, svolge un ruolo importante non solo per lo svolgimento della festa, ma è anche un luogo dove si riuniscono i fedeli, non solo da Pianellu ma anche dai paesi vicini, aspettando la confraternita e l’inizio della messa eucaristica. Al momento della sua riabilitazione, la cappella perse il suo orientamento simbolico da ovest (morte) a est (luce di Cristo, vita), comune a tutta l’architettura religiosa dell’epoca. È indubbiamente per comodità che il vero ingresso ad ovest sia stato poi bloccato e che si sia pensato di sfruttare l’apertura absidale ad est per realizzare una nuova porta.
Prima dell’inizio della messa Jean Charles suona la campana della cappella, i fedeli sono seduti fuori perché la cappella è troppo piccola e non riesce a contenere tutti. Una parte della messa si svolge in francese con il sermone del parroco, l’altra in latino e còrso con i canti della confraternita, dove Lysien spicca per la sua voce potente. Al termine della messa e prima della processione della statua di S. Vincente Ferrer è usanza indire un’asta per potersi aggiudicare lo stendardo del Santo, così da poterlo portare in processione. Se facciamo un confronto con altre aste rituali svolte in Italia, per esempio quella che interessa la festa patronale di S. Antonio da Padova in Basilicata, vediamo che per potersi aggiudicare una delle quattro staffe della statua del Santo così da poterlo portare in processione, si può arrivare a spendere cifre impensabili. Al contrario, l’asta rituale che si svolge per la festa di San Vincente è “finta”, perché alla fine dell’asta può portare la bandiera non chi offre più soldi ma chi ha avuto difficoltà economiche durante l’anno. I soldi raccolti vanno alla comunità e alla chiesa. L’asta rappresenta un momento particolare e allo stesso tempo delicato, e deve essere gestita da una persona che conosce la comunità e che sia vicino alle persone.
Jean Charles Adami come membro della confraternita opera nella vita religiosa dei paesani; insieme al parroco entra nella casa di tutti per la benedizione, che generalmente viene effettuata dopo Pasqua, e in questo modo conosce la situazione economica di ciascuna famiglia [14].
Per Jean Charles l’asta diventa una grande responsabilità verso la comunità perché spesso una decisione sbagliata può provocare dei conflitti tra le famiglie. Attraverso l’asta rituale, si dà la possibilità di contribuire alla vita comunitaria, creando un forte legame tra questa famiglia e la comunità, così da evitare tensioni e conflitti. Jean Charles afferma la difficoltà di gestire i meccanismi della vita paesana perché entrano in mezzo altre dinamiche come quella economica o quella dell’orientamento politico, però i fedeli devono essere uniti dietro un’unica bandiera, quella della fede. «Con l’accettazione della famiglia che la porta, con l’autorità della confraternita, con lo sguardo del sacerdote. Siamo in un funzionamento un po’ arcaico»[15].
Dallo spiazzo davanti alla cappella, muove la processione rituale con la statua di San Vincente, portata su una piccola macchina lignea a braccia da quattro uomini. É preceduta da colui che si è aggiudicata l’asta che porta lo stendardo del santo, color rosso con la scritta “SAINT VINCENT FERRIER PRIEZ POUR NOUS”, al centro è collocata l’immagine del santo. La piccola processione viene accompagnata dalla tradizione vocale della confraternita, il canto religioso è eseguito solo da voci maschili dedicato alla Vergine Maria, nonché l’inno còrso #Diu vi salvi Regina#. È un brano che viene cantato quasi sempre nelle feste religiose, ma soprattutto viene cantato da tutti, compresi i bambini. I confratelli cantando, mettono la mano sull’orecchio sinistro, alcuni chiudono gli occhi, quando cantano sembrano di essere in trance.
«Il testo poetico è una parafrasi italiana dell’inno religioso latino Salve Regina, di attribuzione incerta, mentre la melodia fu verosimilmente composta dal gesuita San Francesco di Geronimo, verso il 1680, epoca cui risale una delle prime edizioni a stampa di questo canto. Fu tuttavia Markus Römer il primo ad accorgersi che la versione adottata nel 1735 dalla Consulta d’Orezza come inno nazionale della Corsica indipendente presentava una variante al primo verso dell’ultima strofa, che dalla lezione originale “Voi dai nemici vostri/A noi date vittoria” divenne “Voi dai nemici nostri/A noi date vittoria”. In questo modo, anche un canto di lode alla Madonna poté diventare di volta in volta canto di guerra, di rivendicazione politica o di affermazione identitaria»[16].
La consapevolezza della propria alterità culturale è stata determinante nel processo di recupero e rafforzamento dell’identità, che ha portato alla ricerca di coloro che erano detentori di conoscenze e modi di essere, come afferma anche il priore della confraternita Antonio Esposito, «per ricostruire la memoria orale abbiamo chiesto ai più anziani, il loro aiuto è stato essenziale»[17]. Oggi, i canti tradizionali fanno parte del repertorio di tutti i gruppi musicali còrsi, tanto che la forma polifonica vocale corsa per eccellenza, la paghiella, nel corso degli anni Ottanta è divenuta simbolo identitario. La processione della statua di S. Vincente viene accompagnata anche da altri paesani che sono venuti da villaggi vicini, come Moita, Zuani, Bustanico, o Mazzola, tracciando un percorso circolare che termina al punto di partenza. Dopo la processione, la messa, si conclude con la benedizione del pane da parte del parroco, distribuito a tutti i presenti.
La festa continua sulla riva del fiume Bravone, in un’atmosfera più laica, trasformandosi in una sorta di “pranzo rituale”. È importante sottolineare l’aspetto profano del tempo festivo, che si accosta, parallelamente, secondo un’ermeneutica interpretativa di senso e significato, ad un’impostazione dell’esistenza e del quotidiano di tipo sacrale, riscontrabile in una suddivisione e scansione ciclica, circolare del tempo all’interno del rituale di San Vincente, scandito dal calendario liturgico. Il cibo è legato al momento festivo della commensalità fra gli uomini, è un momento intimo e allo stesso tempo collettivo, e nel contempo, narra di un patrimonio gastronomico e rituale, un dialogo tra natura e cultura.
Il cibo, a saperlo leggere, è un libro di memoria e, se viene dalla terra in cui siamo nati, è anche un pezzo della nostra infanzia e della nostra storia. I prodotti alimentari, innegabilmente, sono la caratterizzazione di un territorio, in cui le varie popolazioni hanno affermato la propria identità e il diritto all’esistenza. Quindi storia del cibo, ma anche la storia nel cibo. Il rito della commensalità della festa e segnata dai “banchetti” posti nella natura e caratterizzati dal consumo dei prodotti che rappresentano questa terra: vino, formaggi, salumi, e altri prodotti alimentari, espressioni gastronomiche dal profondo valore simbolico. L’etnografia del presente diventa, quindi, monito di come sia dinamico il patrimonio culturale immateriale di una comunità.
La festa dunque, non è solo un’eredità religiosa per la comunità, ma è anche un modo per esprimere il profondo legame con la terra, far conoscere la qualità dei loro prodotti, profumati di fatica e sacrificio, ancorati alle loro tradizioni. Il grande poeta Virgilio, questo momento sicuramente lo avrebbe descritto come fede della felicità rurale. La festa, nella dimensione identitaria locale salda anche la prospettiva globale, attraverso il radicamento al passato ma soprattutto grazie a pratiche ibride, e alle tensioni perennemente creative. Questa festa sembra quasi divenire per gli attori locali una lente d’ingrandimento del mondo, attraverso cui la dimensione identitaria si cimenta nel contemporaneo per fissare il proprio ruolo e la propria presenza, grazie ai mezzi con i quali la stessa si muove, si modifica nel tempo e acquista senso e significato diverso.
Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021
Note
[1] Matei Candea, Anonymous introductions: identity and belonging in Corsica, The Journal of the Royal Anthropological Institute, Vol. 16, No. 1, 2010: 119-137.
[2] Giacomo Boswell, Relazione della Corsica, Londra, 1769: XXIV.
[3] Lettera a madame Hanska, 27 marzo 1938. “La Corse est un des plus magnifiques pays du monde: il y a là del montagnes comme celles de la Suisse”.
[4] Giacomo Boswell, Relazione della Corsica, Londra, 1769: XXVVII.
[5] Pietro Clemente, Piccoli paesi decrescono. Una rete per una battaglia di generazione, in “Dialoghi Mediterranei”, settembre 2017 n. 27.
[6] Oreste Ferdinando Tencajoli, Chiese di Corsica. Documenti di storia Corsa, a cura della rivista “Corsica antica e moderna” di Livorno, Roma, 1933.
[7] Lello Mazzacane, Un modello per tutte le feste. Devozione e regole nel sistema delle feste campane, in (a cura di) Luigi. M, Lombardi Satriani, Santità e tradizione: itinerari antropologico-religiosi in Campania, 2005: 25.
[8] Alessandra Broccolini, Cuori ribelli: una ribellione, un’apparizione mariana e la nascita di una festa locale, in Santi, Pantasime e Signori. Feste della Bassa Sabina, a cura di Alessandra Broccolini, Emiliano Migliorini, Roma, 2003.
[9] http://www.cunfraterna-di-a-serra.com, Hypothèse du culte de Saint Vincent Ferrier; Livre de la Compagnia del Santissimo Rosario de Pianellu mentionnant un frère général Dominicain, 1696.
[10] Festività di San Vincenzo Ferrer a Valencia, visitavalencia.com.
[11] Vida de San Vincente Ferrer, basilicasanvincenteferrer.es
[12] Cfr. Intervista a Jean Charles Adami, 22/08/2018, Corsica.
[13] Mazzacane, 1985: 40
[14] Cfr. Intervista a Jean Charles Adami, Corsica, 2018.
[15] Ibidem.
[16] Claudio Cento, Il riacquisto musicale in Corsica. Una ricerca sul campo a Pigna, tesi di laurea in D. A. M. S., Università degli studi di Bologna, 2004: 23
[17] Intervista ai confratelli dell’Santissimo Crocifisso della Pieve di a Serra, Corsica, 2018.
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Sitografia
Hypothèse du culte de Saint Vincent Ferrier, cunfraterna di a serra.com
Vida de San Vincente Ferrer, basilicasanvincenteferrer.es
Interviste
Intervista a Jean Charles Adami, Corsica 2018.
Intervista ai confratelli del Santissimo Crocifisso della Pieve di a Serra, Corsica, 2018.
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Bianka Myftari, laureata in Lingue Lettere presso l’Università di Tirana (Albania), per proseguire gli studi a Roma in Editoria e Scrittura all’Università La “Sapienza”. Consegue anche il Diploma della Scuola di Specializzazione in Beni Demoetnoantropologici. Dal 2019 ad oggi ha lavorato come antropologa in vari progetti, avviati da diverse istituzioni pubbliche e private. Attualmente è impegnata in progetti presso il Museo Storico della Liberazione di Roma e l’Istituto Culturale per il Patrimonio Immateriale. Le sue pubblicazioni sono: Narrazioni da “Italia dalle molte culture” – I Gurdwara dell’Agro Pontino, 2020; Sguardi incrociati, cronaca di una festa. Santa Fermina, un’eredità alle nuove generazioni, 2020; La festa di Santa Fermina come patrimonio culturale immateriale. La dimensione identitaria tra Civitavecchia e Amelia, PAV edizioni, Roma 2021.
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