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Il corpo del potere. Pratiche alimentari neonatali dal fascismo ad oggi

   di   Walter Naniacopertina

   Nel periodo tra le due guerre, in Italia, una serie di mutamenti culturali, economici e politici contribuirono alla formazione di nuovi criteri di alimentazione neonatale che interferirono con l’equilibrio biologico dell’allattamento al seno, riducendone significativamente la durata nel tempo e influenzando di conseguenza la salute del neonato e della madre [1]. La riproduzione e il corpo materno in particolare sono state oggetto di studio da parte dell’antropologia culturale, e una prospettiva storica può evidenziare i processi attraverso cui la cultura plasma il corpo e le sue funzioni che, per quanto naturali possano apparire, incarnano concezioni ed interpretazioni di tipo culturale (Scheper-Hughes e Lock 1991). Dunque a partire da questa prospettiva è possibile evidenziare quale sia stata l’influenza, nel caso italiano, della politica demografica fascista, sugli odierni regimi alimentari, razionalmente adottati per l’età infantile.

Alcuni metodi proposti per l’alimentazione infantile quali la doppia pesata del neonato prima e dopo la poppata, e l’impiego di un orario stampato per l’allattamento, sono il risultato di cambiamenti sociali e istituzionali che hanno determinato un’omogeneità culturale protrattasi ben oltre la caduta del regime fascista, accettata e praticata tutt’oggi. Va da sé che il perpetrarsi di pratiche di allattamento dall’epoca fascista ad oggi obblighi ad un chiarimento: il regime investì la propria carica simbolica e organizzò la propria ideologia politica intervenendo su comportamenti riguardanti funzioni apparentemente naturali come l’allattamento e istituendo organismi quali l’ONPMI (Organizzazione Nazionale per la Protezione della Maternità e dell’Infanzia, poi denominata più semplicemente ONMI) con lo scopo di rafforzare e accrescere l’organismo biosociale italiano, esprimendo così la fusione tra politica agrario-economica e politica demografica. L’intensificato intervento dello stato in vari aspetti della vita privata, insieme allo specializzarsi delle discipline mediche in ostetricia, ginecologia e pediatria, ha significato una perdita di autonomia nell’ambito del proprio corpo, poiché si è creata una dipendenza dal parere e dall’intervento di esperti in materia di procreazione e funzione genitoriale. Invece, a partire dal dopoguerra, se da un lato è diminuito l’intervento dello Stato nella vita privata del cittadino, dato che sono caduti gli interessi ideologici sopra citati, dall’altro è persistita e anzi si è rafforzata l’autorità professionale medica che ha accresciuto la propria influenza nel campo della salute. Inoltre i cambiamenti postbellici in campo economico e familiare hanno progressivamente isolato la coppia e ridotto il dislivello di educazione e di mezzi, aumentando la dipendenza dall’intervento di esperti, protraendo abitudini alimentari uniformi, impedendo infine ai genitori la possibilità di istituire col neonato un rapporto non mediato.

1In Italia fino al volgere del XIX secolo, gravidanza, parto e allattamento erano considerate fasi interrelate del rapporto madre-figlio. In particolare l’allattamento era ritenuto parte integrante del rapporto a tal punto che se questo fosse mancato, la nascita sarebbe stata «imperfetta, contro natura, dimezzata» (Mercurii 1601: 105). Imperfetta perché nessun’altra donna sarebbe stata in grado di alimentare bene il neonato come la madre, contro natura perché nessuna specie animale partorisce senza l’intenzione di nutrire la prole, dimezzata perché negando il latte al bambino, la madre gli avrebbe sottratto lo stesso sostentamento che gli aveva fornito durante la gravidanza. La convinzione che un eventuale comportamento intemperante della madre potesse causare la morte del neonato, gettò le basi delle nuove misure di alimentazione infantile in era fascista. Una guida all’allevamento infantile testualmente afferma: «quante mamme hanno ucciso i loro nati con gli eccessi o l’irregolarità dell’allattamento!» (Confederazione Fascista dei Lavoratori dell’Industria 1940: 315).

Ecco che per esercitare il controllo sulla crescita infantile, si scisse il rapporto madre-figlio, spostando l’attenzione dalla relazione tra i due ai bisogni di uno solo: il neonato. Il fabbisogno alimentare, anziché essere specifico per ogni neonato, divenne uniforme, con allattamento regolare (Bertaccini 1922). L’allattamento breve e distanziato si fondava sull’idea che tutti i neonati possedessero la medesima, misurata capacità dello stomaco (Confederazione Fascista dei Lavoratori dell’Industria 1940). In luogo dell’antico detto per il quale i bambini dovevano mangiare poco e spesso, fu stabilita una tabella invariabile e definitiva, in base alla quale nutrire il neonato con poppate imposte dal medico attraverso la madre, a cui era vietato allattare negli intervalli tra una poppata e l’altra (Bumm 1923).

02 Non solo si imposero orari specifici, ma si sottopose il latte materno a test qualitativi, col risultato che a molte madri fu imputato di avere latte troppo acquoso o troppo ricco. Si ricorse dunque a correzioni tramite tecniche aggiuntive, somministrazione di acqua e zucchero, o cessazione totale dell’allattamento al seno. In questo contesto la doppia  pesata portò agli estremi l’enfasi sulla regolarità ed uniformità nella produzione del latte materno, sulla nutrizione e sulla crescita del neonato. In base all’età e al peso, al neonato era somministrato un certo numero di grammi per pasto e poiché il bambino consumava la medesima quantità di latte ad ogni poppata, ci si aspettava che questi aumentasse di peso «con una certa regolarità, vale a dire dai 20 ai 25 grammi al giorno» (Bertarelli 1936: 312) [2]. I dispensari dell’OMNI fornivano controlli medici che, tramite pesate frequenti, insistevano sulla regolarità nell’aumento di peso del neonato.

L’importanza della crescita infantile era essenziale al programma fascista di incremento demografico, all’interesse economico, culturale e militare dello Stato. Ciò sarebbe stato ottenuto incrementando la fertilità e riducendo la mortalità infantile, per mezzo di programmi che attuassero un’intrusione nella vita familiare, giustificata dal concetto di necessità storica e nazionale. Bisognava elevare il singolo individuo come cellula biologicamente e culturalmente integrata nell’organismo italiano (Gini 1930). Molti fascisti ripetevano la frase di Hegel: «non è uomo chi non è padre», che Mussolini  parafrasò in «non è fascista chi non è padre» (Fabbri 1933: 142). Pende (1933: 110) aggiunse: «Non merita il titolo nobilissimo di donna, cioè di signora e regina dell’uomo e della famiglia, chi non vuole o non sa essere madre».

La promozione dell’allattamento quale simbolo e attività centrale della maternità si articolò in due modi: istruzione delle madri in materia di cura del neonato (prima e dopo il parto) secondo criteri razionalizzati, e preparazione delle ragazze alla maternità. Il primo compito era delegato all’ONMI, alle corporazioni e al Dopolavoro. Il secondo, tramite le scuole e la partecipazione delle giovani all’Opera Nazionale Balilla. Le donne dovevano essere educate ad essere produttive, piene di abnegazione e madri competenti. Opinione diffusa era che una popolazione numerosa fosse necessaria alla ricchezza nazionale economica e culturale.

Nel periodo postbellico il consenso accordato ai metodi di alimentazione infantile crebbe drasticamente: il parto si trasferì dalla casa all’ospedale, sebbene già un numero crescente di donne avesse partorito in cliniche ed ospedali sin dagli anni venti. Ed è proprio in ospedale che per la prima volta si utilizzò la doppia pesata e venne distribuito un orario stampato, controllando così la produzione di latte e considerando buonsenso sapere quanto latte venisse consumato ad ogni poppata o distanziare i pasti, come se lo stomaco del bambino fosse un contenitore con una determinata capacità specifica. In aggiunta al parto in ospedale, donna e bambino iniziarono a compiere frequenti visite presso ostetriche e medici nelle cliniche prenatali e pediatriche, istituite anche nelle piccole città a partire dagli anni cinquanta [3].

3I particolari metodi per l’alimentazione infantile quali doppia pesata ed orario, nonostante facenti parte di processi storici antecedenti al fascismo, e alternative ad un allattamento prolungato ed esclusivamente materno fossero da tempo in uso nelle classi socio-economiche più abbienti, furono introdotti per ragioni ideologiche nella politica del regime, riuscendo a standardizzare le abitudini di tutte le classi sociali. Tutto ciò dimostra le modalità in cui la cultura possa dare origine a idee e comportamenti diffusi e accettati. Per ironia, questo intervento, mediato dalla cultura, sulla natura biologica dell’allattamento, si è verificato in un contesto di generalizzato interesse e approvazione per l’allattamento stesso. Ciò evidenzia il livello d’infiltrazione dei costrutti culturali, e in particolare politici, sul senso comune relativo al corpo, contribuendo alla comprensione dei punti in cui cultura e natura si intersecano.

Dialoghi Mediterranei, n.9, settembre 2014
Note
1 A proposito di studi sul co-adattamento e sull’interrelazione tra evoluzione biologica e organizzazione sociale, cfr. Durham 1991, Cohen 1989, Konner 1982. Questi studi, benché non prendano in considerazione in modo esplicito il cambiamento culturale in una prospettiva storica, pongono l’accento sul confronto tra la variazione transculturale degli universali biologici umani con diversi tipi di organizzazioni sociali, variabili nel tempo e nello spazio.
2 Da notare come questi standard di consumo di latte siano rimasti sostanzialmente invariati sino ad oggi. Si noti inoltre che mentre le donne di inizio XX secolo ricordavano di avere allattato fino a due anni di età del bambino, portando con sé i figli al lavoro nei campi di giorno e dormendo con loro di notte, le donne che allattano al giorno d’oggi non sono in grado di proseguire oltre i tre o quattro mesi.
3 Interessanti sono le riflessioni di Cosmacini (1989) e Preti (1987), secondo i quali il periodo fascista ha costituito un punto cruciale di transizione anche per i medici, trasformati da medici condotti a specialisti dello stato sociale del dopoguerra. 
Riferimenti bibliografici
Bertaccini C., 1922, Nozioni elementari d’igiene, Bologna, Cappelli
Bertarelli E., 1936, Difendi te stesso. Guida alla conoscenza del corpo umano, Milano, Treves Editore
Bumm E., 1923, Trattato completo di ostetricia. Ad uso degli studenti e dei medici pratici, Milano, Società Editrice Libraria
Cohen M. N., 1989, Health and the rise of civilization, New Haven, Yale University Press
Confederazione Fascista dei Lavoratori dell’Industria, 1940, La cultura del lavoratore, Firenze, Lya L.
Cosmacini G., 1989, Medicina e sanità in Italia nel ventesimo secolo. Dalla Spagnola alla II Guerra Mondiale, Roma-Bari, Laterza
Durham W., 1991, Coevolution. Genes, culture, and human diversity, Stanford, Stanford University Press
Fabbri S., 1933, La difesa della famiglia e della stirpe, L’economia Italiana, 1, pp. 140-142
Foucault M., 1988, La naissance de la clinique, Paris, Presses Universitaires de France
Gini C., 1930, Nascita, evoluzione, e morte delle nazioni, Roma, Libreria del Littorio
Konner M., 1982, The tangled wing. Biological constraints on the human spirit, New York, Holt, Reinhart and Winston
Maglietta V., 1985, Puericultura. Pediatria preventiva e sociale, Milano, Casa Editrice Ambrosiana
Mercurii S., 1601, La commare o riccoglitrice, Venezia, Giovanni Battista Giotti
Opera Nazionale Maternità e Infanzia, 1970, Libretto Sanitario Infantile, Roma, ONMI
Pende N., 1933, Eugenica e politica demografica, L’economia Italiana, 1, pp. 107-110
Pini G., 1923, Famiglia e matrimonio, Milano, Imperia
Preti D., 1987, La modernizzazione corporativa (1922 – 1940). Economia, salute pubblica, istituzioni e professioni sanitarie, Milano, Franco Angeli
Scheper-Hughes N., Lock M., 1987, The mindful body: a prolegomenon to future work in medical anthropology, Medical Anthropology Quarterly, 1, pp. 6-41
Scheper-Hughes N., Lock M., 1991, The messagge in the bottle: illness and the micropolitics of resistance, The Journal of Psychohistory, 18, 4, pp. 409-43

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Walter Nania, giovane laureato in Beni Demoetnoantropologici all’Università di Palermo, ha conseguito la laurea specialistica in Antropologia culturale e Etnologia a Bologna. Successivamente ha lavorato presso lo SMA (Sistema Museale dell’Ateneo di Bologna), prestando servizio al museo di Antropologia. Ha frequentato la scuola di specializzazione in Beni demoetnoantropologici dell’Università di Perugia e svolto attività di ricerca presso il Museo delle Culture di Lugano. Attualmente è responsabile delle attività di AlQuds – Casa della Cultura Araba – Palermo e si occupa di immigrazione e seconde generazioni.

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