Qualunque settore professionale sia oggetto della nostra riflessione, siamo abituati a usare il termine “competenze” riferendoci a quell’insieme di qualità, strettamente correlate fra loro, che consentono alla persona di realizzare con consapevolezza, autonomia, creatività e sovoir faire un’opera ben fatta. Per il mestiere del docente il tema delle competenze ha a che fare con la gestione di due processi: uno di tipo epistemologico, legato alla formazione continua e allo sviluppo di nuove potenzialità nel corso dello svolgimento della propria carriera, e uno, concreto e pragmatico, che coinvolge direttamente l’agire pedagogico e didattico.
L’insegnante ha il doppio onere di prendersi cura dell’emancipazione delle proprie e delle altrui competenze; ha la responsabilità di costituire un modello positivo per gli alunni nonostante sia anch’egli culturalmente connotato e sia consapevole del senso di appartenenza al proprio gruppo. Il docente che abbraccia la forma mentis interculturale, lavora costantemente sullo sviluppo della capacità di decostruire i propri stereotipi e della flessibilità nel gestire resistenze e conflitti interni di fronte a situazioni nuove e alterità non decifrabili nell’immediatezza, mettendo in atto soluzioni creative per comunicare e cercare equilibri dinamici. L’intenzionalità del conoscere “l’altro” è il primo passo per avviare il processo di acquisizione di queste competenze che non avrà mai fine, in quanto ci saranno sempre ulteriori “altri” da incontrare.
La corretta lettura del contesto in cui si verifica il contatto è di fondamentale importanza perché consente di interpretare il comportamento dell’individuo che non appartiene al proprio gruppo; comportamenti simili possono assumere significati molto diversi a seconda della cultura che li adotta. L’UNESCO (2013: 9-10), nella pubblicazione Compétences interculturelles. Cadre conceptuel et opérationnel, afferma: «le competenze interculturali includono, quindi, la capacità di anticipare i casi in cui l’ambiguità può destare confusione. Fornire una spiegazione preliminare, al fine di evitare equivoci, è un modo per rispondere a questo problema, evitando di dover riparare le cose dopo il fatto».
Il processo dell’acquisizione delle competenze da parte del docente esige una forte motivazione e un’autentica disposizione d’animo; è necessario esporsi a differenti modi di vedere le cose del mondo e provare interesse nel conoscerle; praticare l’empatia e l’ascolto attivo per creare ponti di collegamento con l’interlocutore senza mai trascurare i suoi feed-back. L’esperienza, la volontà di mettere in discussione il proprio punto di vista, la capacità di demolire i pregiudizi incoraggiano a conquistare la consapevolezza delle proprie cognizioni di fronte alla variabilità delle situazioni e al peso che ha la soggettività nell’interpretare i comportamenti degli alunni. La pedagogia interculturale, nella sua essenza inclusiva e nella sua cura nel rilevare la specialità di tutti, sostiene gli insegnanti nell’approfondimento della loro formazione personale. Infatti, come afferma Nigris,
«costituisce un impegno a lavorare per una sempre maggiore consapevolezza delle proprie rappresentazioni della realtà, dei propri modelli educativi e scolastici, della propria non neutralità e della non neutralità dei modelli educativi, pedagogici e didattici che adottiamo. La “norma” secondo cui si giudica giusto o non giusto, appropriato o non appropriato un certo comportamento, valore, principio, dipende sempre dal sistema simbolico di riferimento con cui interpretiamo la realtà, sia che si tratti di fenomeni legati all’immigrazione, sia che si tratti di contesti, situazioni, alunni, comportamenti “autoctoni”» (Nigris, 2003: 21-22).
Nell’ambito delle competenze interculturali, l’aspetto distintivo è costituto dal rapporto con la diversità intesa nelle sue ampie accezioni, per esempio etnica, religiosa, di genere. Pertanto, tali competenze, entrano in azione nel momento in cui si interagisce in modo opportuno con persone che hanno stili di vita e comportamenti completamente differenti. Innanzitutto vengono movimentate le risorse affettive, motivazionali, relazionali, cognitive in quanto la conoscenza, se rimane ferma al livello superficiale, non fornisce le informazioni utili a interpretare una situazione nuova che ha bisogno di pensiero divergente e aperto. Infatti, conoscere credenze, tradizioni, modi di vivere diversi dal proprio è un fatto certamente importante, arricchente, ma non sufficiente per contrastare idee preconcette e favorire il ragionamento critico quando ci si trova a gestire una condizione complessa con gli alunni.
La comprensione, dunque, come atto generato dall’intelligenza emotiva, opera da evento chiarificatore unitamente alla sfera affettiva e valoriale permettendo di gestire situazioni difficili e portare serenità nell’ambiente di apprendimento. Tale aspetto delle competenze interculturali consente di “leggere” lo stato emotivo sul corpo dell’interlocutore e decifrarne il codice, nonostante la complessità, per poter trovare i punti di contatto attraverso cui riflettere insieme e trovare soluzioni comunicative (Milani, 2019). In classe, così come negli ambienti extrascolastici, l’attenzione alla pratica comunicativa dev’essere massima, perché grazie a essa è possibile mettere in risalto l’aspetto culturale proprio degli alunni e farne un mezzo di socializzazione. L’insegnante e gli alunni scoprono insieme, conoscendosi gradualmente e stando a contatto, le manifestazioni dei diversi repertori culturali e imparano quindi a mediare le posizioni contrastanti, a conciliare, a creare soluzioni accettabili e rispettose per ciascuno.
Si può affermare, pertanto, che l’acquisizione delle competenze interculturali, strumento necessario per l’educazione interculturale, è un processo permanente che interessa docenti, discenti e, una volta fuori dal contesto scolastico, le relazioni sociali. Tali competenze, volendo riportare un quadro sintetico, mirano a sviluppare le seguenti attitudini (Kerzil, Vinsonneau, 2004:101):
«• Essere in grado di analizzare una situazione di conflitto e cercare di trovare soluzioni;
• Accettare di considerare l’esistenza di diverse prospettive culturali;
• Accettare di vivere con persone di altre culture, siano esse di origine immigrata o meno;
• Conoscere e rispettare la propria cultura e quella degli altri;
• Essere in grado di affrontare i pregiudizi razzisti, xenofobi e intolleranti;
• Interessarsi ai costumi e ai valori di ciascun gruppo “etnico”;
• Acquisire familiarità con i processi migratori, i contesti culturali e i diversi modi di esprimere gli stessi sentimenti in base a ciascuna cultura».
Inoltre, dato che non è pensabile l’acquisizione delle competenze interculturali senza la dimensione valoriale ed etica, ecco declinati i valori principali di riferimento:
• Empatia: ogni persona deve imparare a capire gli altri, a mettersi nei loro panni e a essere tollerante nei confronti dei loro problemi;
• Solidarietà: l’educazione interculturale è un modo di imparare a vivere in una società umana e promuove il sostegno reciproco;
• Rispetto interculturale: l’educazione interculturale mira ad eliminare qualsiasi forma di dominio di una cultura sulle altre e sostiene una relazione egualitaria tra culture;
• Opposizione al nazionalismo: l’educazione interculturale deve essere in grado di rimuovere le barriere tra gli Stati e ampliare gli orizzonti dei cittadini.
Nel corso degli anni, parallelamente alla ricerca pedagogica interculturale e inclusiva, sono stati elaborati svariati strumenti atti a rilevare e a misurare il grado di competenze interculturali presenti nei docenti. Qui di seguito vengono presi in esame i due maggiormente utilizzati dagli studi sperimentali. Il primo è il DMIS, Developmental Model of Intercultural Sensitivity, elaborato da Milton J. Bennett (1986), poi ampliato e fissato come standard di riferimento nella versione IDI, Intercultural Development Inventory (Hammer, Bennett, Wiseman, 2003). Il modello di sviluppo della sensibilità interculturale (DMIS) è stato creato per descrivere e interpretare le reazioni delle persone di fronte alle differenze culturali in diversi contesti fra cui quello scolastico e aziendale. Si era potuto osservare durante i setting che gli individui assumevano atteggiamenti ricorrenti, e quindi raggruppabili in specifiche categorie, nel momento in cui si rapportavano alla differenza culturale. L’esposizione continua a situazioni in cui era necessario relazionarsi a gruppi diversi, consentiva di implementare le capacità comunicative e trasformarle in una sempre maggiore competenza, passando da una posizione prettamente “etnocentrica” a una “etnorelativa”.
Il principio fondamentale che regge tale modello è quello della “differenziazione”, che trova forma nella maniera in cui le persone mettono in atto strategie per riconoscere e coesistere con l’alterità nonostante le differenze. Le differenze risiedono sia nella visione soggettiva del mondo, che varia da individuo a individuo, sia nelle culture che forniscono ai gruppi strumenti per interpretare la realtà e agire di conseguenza. Accrescere la sensibilità interculturale vuol dire essere disposti ad apprendere a riconoscere e a relazionarsi con i differenti modi di percepire il mondo. Se il contatto con la differenza culturale diventa più complesso e ricco di sfumature, la competenza nei rapporti interculturali aumenta.
Basandosi sui concetti derivati dalla psicologia cognitiva e dal costruttivismo, Bennett suddivise i comportamenti che si manifestavano in situazione in modo ripetuto in sei tappe progressive rispetto alla sensibilità verso le differenze culturali. Ogni tappa indica una specifica struttura cognitiva che determina alcuni tipi di atteggiamenti e di comportamenti in relazione alla percezione della differenza culturale. Pertanto, riconosciuto il processo cognitivo attivato, è possibile formulare previsioni sulle condotte degli alunni così da adattare l’approccio educativo al fine di facilitare lo sviluppo della sensibilità interculturale nella tappa successiva. Qui di seguito sono indicate le fasi descritte da Bennett:
Fasi etnocentriche: negazione (isolamento, separazione); difesa (denigrazione, superiorità, ribaltamento); minimizzazione (universalismo fisico, universalismo trascendentale). Fasi etnorelative: accettazione (rispetto delle differenze comportamentali, rispetto della differenza dei valori); adattamento (empatia, pluralismo); integrazione (valutazione contestuale, marginalità costruttiva) (Bennett, 1993: 29).
La negazione della differenza culturale è la fase in cui la propria cultura viene vista come l’unica possibile. Le altre culture vengono eluse attraverso l’isolamento psicologico o fisico dalle diversità. In questo stadio le persone generalmente ignorano la differenza culturale, anche se possono agire in modo aggressivo per allontanare il diverso se si presenta una situazione percepita come pericolosa.
Nella fase della difesa contro le differenze culturali, viene mantenuta la scissione rigida fra il gruppo di appartenenza e il gruppo della diversità. Qui è evidente l’assegnazione del prestigio sociale in senso assoluto al proprio gruppo e la svalutazione del gruppo considerato opposto e popolato da persone inferiori. L’atteggiamento preminente è quello di difesa dalle presunte minacce perpetrate dalla differenza culturale, di conseguenza vengono esplicitati giudizi negativi nei confronti delle altre culture a prescindere dal tempo in cui si trovano nel Paese ospite.
Lo stato della minimizzazione della differenza culturale prevede che gli elementi che formano la cognizione del mondo insita nella propria cultura, siano percepiti come universali. Tale atteggiamento annichilisce l’ammissione di qualsiasi forma di differenza altrui al punto da banalizzare e spogliare delle peculiarità caratterizzanti l’identità personale. Le persone che si trovano in questa fase cercano somiglianze, punti comuni e, nel caso in cui non le trovino, possono cercare di imporre correzioni al comportamento dell’altro pur di appagare le proprie aspettative.
Superato lo scoglio dell’etnocentrismo, il momento successivo è intraprendere il percorso etnorelativo che passa attraverso l’accettazione della differenza culturale, condizione in cui la propria cultura viene vista come una delle numerose presenti al mondo e di pari complessità. L’accettazione non assume il significato di “accondiscendenza”, infatti la differenza culturale può ricevere un giudizio negativo che, tuttavia, non è etnocentrico. La qualità che contraddistingue le persone che si trovano in questa fase è costituita dall’apertura alla conoscenza e dal rispetto della differenza culturale.
La tappa dell’adattamento alla differenza culturale consiste nel porsi in relazione con un’altra cultura in modo fenomenologico, astenendosi completamente dal giudizio e assumendo comportamenti adeguati per comunicare con quella cultura. La flessibilità di pensiero e la sensibilità di chi si trova in questa fase portano ad avere una cognizione del mondo disponibile ad accogliere princìpi provenienti da altre prospettive modificando intenzionalmente il proprio atteggiamento per favorire il dialogo e gli scambi con l’altra cultura.
L’ultima fase, quella dell’integrazione della differenza culturale, è definibile come il momento in cui le persone cercano di condensare in uno i diversi modelli culturali con cui vengono costantemente in contatto senza creare però un melting pot. Si tratta di una fase molto complessa dove è necessario mettere sempre in discussione il proprio sistema di valori e l’identità personale, correndo il rischio di sentirsi senza terra e senza punti di riferimento. Questa condizione è diffusa fra le comunità di minoranza che si trovano spesso a viaggiare e a trovare dimora stabile solo temporaneamente.
Il secondo modello che qui viene preso in esame è stato elaborato da Darla Deardoff (2009), la quale descrive quattro aree, l’una legata all’altra, dove si trovano raggruppate le competenze interculturali. Nell’insieme esse formano il profilo del docente competente secondo l’approccio interculturale (ma il principio è estendibile a tutti). Innanzi tutto viene considerato l’atteggiamento (emotivo, affettivo) in situazione: il modo di porsi accogliente e affettuoso nei confronti degli alunni stimola l’apertura in quanto costituisce un modello di comportamento desiderabile; a seguire, il modello fa riferimento alla conoscenza, alla comprensione e alle abilità interculturali come elementi che agevolano la discriminazione dei significati contenuti in determinati comportamenti e permettono al docente di trasferire alla classe strumenti per un’interpretazione critica di ciò che accade; poi, la capacità di riflettere su questioni interculturali (risultato interno maggiormente auspicato di questa competenza) consente di modificare il proprio punto di vista e di trovare le più appropriate modalità di comunicazione con le altre culture, stabilendo con esse un dialogo caldo e positivo e superando la rigidità di pensiero; infine, la capacità di fare introspezione e di riflettere in profondità sulle proprie risorse a disposizione per affrontare situazioni a prima vista difficili o poco chiare in contesti interculturali, genera la capacità di interagire in modo costruttivo (risultato esterno desiderato) con gli alunni e di stabilire rapporti di fiducia sempre più intensi.
Ecco schematicamente il modello proposto da Deardoff: Il docente competente in senso interculturale: deve avere autoconsapevolezza culturale; deve poter comprendere il punto di vista dell’altro, dei suoi valori, delle norme e dei diversi modi in cui si manifesta l’esistenza; deve saper individuare l’influenza esercitata dalla cultura di riferimento sul comportamento dell’alunno e sul suo modo di comunicare; deve possedere dimestichezza nell’ambito sociolinguistico soprattutto in relazione al collegamento fra varietà linguistica, identità culturale e inserimento nella società.
Dal punto di vista epistemologico e metodologico, Deardoff indica che l’insegnante debba indagare e apprendere i sistemi culturali, i sistemi di valore, i diversi stili comunicativi, le metodologie didattiche appropriate per sviluppare negli alunni sentimenti prosociali nei confronti di gruppi diversi dal proprio. Fra le abilità necessarie in senso interculturale per la professione del docente, la studiosa cita: la comprensione dei contesti storici, politici e religiosi; la pratica del decentramento; la sospensione del giudizio; il saper osservare e ascoltare; il saper riflettere; il saper collaborare; il saper comunicare in modo appropriato ed efficace; il saper gestire i conflitti. Inoltre, annovera fra le attitudini considerate fondamentali: l’empatia culturale; l’orientamento relativista; il rispetto per le altre culture; il riconoscimento dell’altro come persona; il rispetto e accettazione dell’altro; l’attitudine a sospendere il giudizio; la tolleranza per l’ambiguità; la pazienza; la gentilezza; l’autostima; la flessibilità; lo humour.
Completa il profilo del docente competente l’intenzionalità rivolta alla progettazione del curricolo, delle attività, nonché la cura nella cernita dei materiali didattici, dei locali scolastici, nel verificare e scegliere i libri di testo e la capacità di coinvolgere costantemente i genitori e il resto del personale della scuola. Come si evince dalle caratteristiche del modello proposto da Deardoff, le competenze interculturali di un insegnante coinvolgono per prima cosa la sfera emozionale e solo successivamente le altre risorse frutto dell’esperienza e della formazione professionale. L’approccio è di tipo ecologico e sistemico, pertanto invita a tenere in considerazione tutti gli aspetti dell’educazione al fine di promuovere lo sviluppo delle competenze interculturali di tutte le persone che ruotano attorno alla scuola e non solo quelle degli alunni.
Il proverbio africano Xhosa ubuntu ngummuntu ngabantu, traducibile con Una persona è una persona solo attraverso altre persone, sembra racchiudere il significato dell’approccio interculturale. Si legge in Compétences interculturelles. Cadre conceptuel et opérationnel (UNESCO 2013: 21):
«Ubuntu è una parola africana che si riferisce a una concezione filosofica di interdipendenza nelle relazioni fra esseri umani. È sia un ideale etico che un aspetto dell’identità australiano-africana. Ubuntu non è solo un modo di essere lodevole di un essere umano o in un insieme di valori e di pratiche, ma l’essenza stessa dell’umanità come riconoscimento dell’umanità degli altri. Ciò che fonda lo statuto di persona, è la relazione etica con l’altro».
Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021
Riferimenti bibliografici
Bennett, M. J. (1986), A developmental approach to training for intercultural sensitivity, International journal of intercultural relations, 10(2): 179-196.
Bennett, M. J. (1993), Towards ethnorelativism: A developmental model of intercultural sensitivity, in R. Paige (Ed.), Education for the intercultural experience: 21–71). Yarmouth, ME: Intercultural Press.
Deardorff, D.K. (2009), The SAGE, handbook of intercultural competence, Thousand Oaks, CA: Sage.
Hammer, M. R., Bennett, M. J. & Wiseman, R., (2003), Measuring intercultural sensitivity: The Intercultural Development Inventory, International Journal of Intercultural Relations, n.27(4): 421–443.
Kerzil, J., Vinsonneau, G. (2004), L’interculturel: principes et réalités à l’école, Fontenay Sous Bois: Sides.
Milani, M. (2019), Pedagogia e competenza interculturale: implicazioni per l’educazione, Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education, vol. 23, n. 54 (07): 93-108.
Nigris, E.(2003) (ed.), La didattica interculturale nella scuola italiana, in Fare scuola per tutti. Esperienze didattiche in contesti multiculturali: 21-61), Milano: FrancoAngeli.
UNESCO (2013), Compétences interculturelles. Cadre conceptuel et opérationnel, Parigi.
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Laura Isgrò, vive a Palermo, dove ha conseguito la laurea in Lettere classiche e il Diploma di regia e recitazione teatrale presso la scuola di teatro Teatès diretta da Michele Perriera. Da qualche tempo effettua un percorso di riflessione scientifica sulla tauromachia. Attualmente sta avviando un progetto di ricerca nell’ambito della pedagogia interculturale.
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