di Nicola Martellozzo
Credere e negare
«Denial as the negation of a truth (that the illness is caused by a [...] transmitted virus) with deleterious consequences (the refusal to use medication considered at best inefficient, at worst dangerous)». Il recente fenomeno di negazione del Covid-19 in Italia può essere sinteticamente descritto con questa frase di Didier Fassin (2020: 115). Frase che, però, si riferisce all’epidemia di AIDS in Sud Africa negli anni Novanta.
A rigor di termini, il negazionismo è un fenomeno che nasce nel Novecento, cominciando da quello “originario” legato alla Shoah (Vidal-Naquet 2008); c’è un negazionismo che rifiuta la teoria darwiniana dell’evoluzione (creazionismo), vari revisionismi ideologici, un negazionismo del cambiamento climatico (Norgaard 2011), e finanche un negazionismo del Covid-19. Si tratta solo di un’etichetta applicata a fenomeni di per sé diversi, o esiste un filo rosso che unisce tutte queste forme di negazione?
Neri Pollastri (2020) rinuncia a priori all’utilizzo di questo termine, adottato a ricoprire esattamente nessuno dei fenomeni cui viene applicato. Un’astensione consapevole fatta propria anche dal collettivo Wu Ming (2020), che ritiene il “negazionismo” un termine fin troppo compromesso, un cliché retorico poco utile. Al contrario, Lauso Zagato (2020) ha provato ad avvicinare alcuni aspetti del negazionismo legato al Covid e di quello riferito alla Shoah. In entrambi è possibile rintracciare una narrazione pubblica contrastante, che provoca incertezza e apre al dubbio. Nel caso dello sterminio nazista, la rappresentazione di una Germania “in buona fede”, vittima anch’essa del complotto nazista, inconsapevole dei campi di concentramento, è un tema che il Negazionismo ha usato per ridimensionare i numeri del genocidio, finanche per dimostrarne l’insostenibilità. Atteggiamenti ambigui e narrazioni indecise da parte delle autorità generano un clima di incertezza e scetticismo che favoriscono posizioni di diniego. Rispetto al caso italiano, Zagato ricorda i controlli alle aziende durante il primo lockdown, che a dispetto della rigidità predicata sono stati caratterizzati da un certo lassismo e da numerose zone grigie.
Sulla scorta di queste riflessioni, ciò che cercherò di fare in queste brevi note è rilevare una certa “aria di famiglia” tra le varie forme di negazione, che condividono alla base i medesimi processi culturali. Questo non significa svilire il Negazionismo della Shoah ponendolo sullo stesso piano di altri fenomeni, né legittimare l’abuso generalizzante del termine, né tanto meno giustificare in alcun modo questi atteggiamenti culturali. Un problema di fondo rimane infatti l’uso prescrittivo del termine (Fassin 2007: 115) e il giudizio morale che sottintende; “negazionismo” come cliché culturale, dai forti tratti polemici:
«[...] andando a vedere, si scopre che «negazionista» è un epiteto scagliabile contro chiunque critichi l’irrazionalità e/o iniquità di un provvedimento o anche solo si mostri scettico sulla sua efficacia, chiunque smonti un esempio di mala informazione mainstream sul virus o reagisca sbuffando all’ennesimo titolo strumentale, chiunque ricordi le responsabilità del governo o dei governatori» (Wu Ming 2020).
Consapevoli di questo, il nostro obbiettivo è considerare seriamente il negazionismo nella sua complessità, sospendendo ogni condanna e ogni assoluzione per esaminare invece le modalità con cui questi fenomeni nascono, si sviluppano e si impongono nella società. Un compito simile va ovviamente ben oltre lo spazio di queste pagine e le competenze di chi scrive, ma l’impatto del Covid fornisce uno scenario ideale – per quanto drammatico – in cui osservare simili dinamiche culturali. Facciamo nostra anzitutto la distinzione di Fassin tra l’atto del negare e il negazionismo vero e proprio:
«Both dimensions become evident in the fact that people are constantly slipping from “denial” (the empirical observation that reality and truth are being denied) to “denialism” (an ideological position whereby one systematically reacts by refusing reality and truth). This is a shift that is all the more significant, as denialism is usually reserved for the most morally sanctioned forms of denial, in particular those that concern genocide» (Fassin 2007: 115).
In altre parole, nel “diniego” si sperimenta e si riconosce uno scollamento tra la realtà e sue particolari rappresentazioni, mentre il negazionismo consiste in una posizione strutturata e sistematica di rifiuto. Vedremo nel prossimo paragrafo come questa fondamentale differenza venga articolata. Rispetto all’uso del termine nel contesto del Covid, è utile tenere a mente la distinzione di Wu Ming tra due insiemi di negazionisti: un primo gruppo ultra-minoritario che nega l’esistenza del virus in quanto tale; un secondo gruppo, più ampio, composito e sfaccettato, che si oppone – in tutto o in parte – alle misure governative di disciplinamento (Wu Ming 2020).
Appare chiaro come la negazione non si limiti semplicemente a rifiutare qualcosa, ma propone al contempo un insieme più o meno ampio, più o meno coerente, di rappresentazioni alternative, quelle che potremmo definire “sistema di credenze eterodosse”. Ne sono un esempio le varie fake news (termine non poco problematico) e le teorie cospirazioniste sorte attorno alla questione Covid-19, tanto diffuse da indurre l’Unione Europea a sostenere un’apposita campagna di sensibilizzazione [1]. In proposito, è interessante considerare i dati di un recente sondaggio della Gallup International Association, condotto sulla popolazione di 28 Paesi di tutto il mondo. Stupisce come circa un terzo del campione ritenga che dietro la pandemia vi sia l’azione deliberata di un potere straniero o di una forza estranea; come, inoltre, un altro 20% si trovi in uno stato di incertezza, che non esclude del tutto questa possibilità (GIA 2020).
Pollastri notava giustamente come per diversi mesi l’origine del virus e le dinamiche della sua diffusione siano rimaste avvolte da una serie di ipotesi, smentite e ritrattazioni, un insieme di narrazioni contrastanti prive di certezza che, invece di risolversi in una temporanea sospensione del sapere, hanno creato numerose interpretazioni conflittuali (Pollastri 2020). Una delle più note lega il diffondersi del patogeno all’adozione delle tecnologie 5G, come parte di un piano ordito da multinazionali o altri gruppi d’interesse per una varietà di obiettivi, dall’omicidio di massa al controllo della mente umana.
Come riscontrato da Georgiou, Delfabbro e Balzan (2020), le credenze complottiste sul Covid sono maggiormente diffuse tra quelle persone già “familiari” al tema delle cospirazioni e tra i soggetti più critici verso il governo. Se la prima osservazione suona quasi ovvia, la seconda è più interessante, insistendo sulle criticità delle narrazioni ufficiali e della loro (fragile) autorevolezza. Non sorprende che le teorie del complotto fioriscano proprio in situazioni di crisi e forte stress. Si possono generalmente classificare come complottisti tutti quei sistemi organizzati di credenze in cui specifici avvenimenti storici sono spiegati attraverso l’azione segreta e deliberata di forze occulte. L’attentato alle Torri Gemelle è un caso emblematico: tra i più grandi traumi collettivi degli anni 2000, negli Stati Uniti ha dato origine a centinaia di teorie di questo genere. Gli Illuminati, la Massoneria, il Deep State, varie specie di extra-terrestri, la CIA, i Gesuiti, e gli immancabili ebrei sono i principali protagonisti di queste credenze.
Ma in che cosa consiste, anzitutto, una credenza? Per decenni le scienze sociali l’hanno considerata come un’adesione passiva a particolari concezioni della realtà. In questo senso, credere alla scienza significa sottoscrivere la moderna visione empirica e razionale del mondo. Tuttavia, osservando le dinamiche del negazionismo, emerge un’idea di credenza più flessibile e incerta, fondata non sull’affermazione fideistica, ma sul dubbio; in cui negare è già credere.
Cristalli di dubbio
Fenomeni come catastrofi naturali, guerre o epidemie, sono tutte situazioni capaci di generare incertezza, una condizione fondamentale – anche se non sufficiente di per sé – per indebolire il sistema di credenze di una società. Quello che cercheremo di illustrare qui è come da un tale indebolimento si possa passare ad una parziale riarticolazione del sistema di credenze, fino all’affermarsi del negazionismo e delle teorie del complotto.
In un importante studio sull’efficacia simbolica, Carlo Severi ribalta la prospettiva classica sulla credenza, pensandola come una proiezione attiva da parte del credente (Severi 2020: 77). L’antropologo italiano sottolinea l’importanza di immagini e rappresentazioni, le quali si prestano a interpretazioni personali molto più dei discorsi persuasivi basati su retoriche razionali, che cercano un’adesione ideologica. Come nel famoso lavoro di Ginzburg sui Benandanti, le esperienze traumatiche che sfuggono ad una spiegazione immediata generano incertezza, portano ad una «sospensione angosciosa del giudizio» (Severi 2000: 78). Le teorie del complotto condividono con le credenze dei Benandanti l’esistenza (e il mantenimento) di lacune e “punti neutri” passibili di interpretazioni soggettive, che permettono di adattare questi sistemi eterodossi a molteplici punti di vista.
Nel loro metodo per la misurazione delle teorie cospirazioniste, Brotherton, French e Pickering (2013) insistono proprio sui processi ideativi e creativi che accompagnano – e talvolta sostituiscono completamente – le analisi razionali delle informazioni. Per Severi al centro della credenza non c’è un sistema di asserzioni certe, una dogmatica, piuttosto una condizione dubitativa: “non so se esista”, al tempo stesso ammissione di dubbio e possibilità d’esistenza, che erode dall’interno il sistema di credenze ortodosso (Severi 2000: 80). Nel sondaggio citato nel paragrafo precedente quasi un quinto della popolazione si trova in questo stato incerto, non sapendo se la pandemia sia davvero intenzionale, ma non potendolo nemmeno escludere.
La riflessione di Fassin sul diniego è per certi versi simmetrica a quella di Severi. Per l’antropologo francese al cuore della negazione c’è una condizione intermedia e incerta tra il sapere e il non sapere, oscillante tra il “so, ma non voglio sapere” e il “so, ma non posso sapere”, tra la malafede di Sartre e la negazione inconscia di Freud. Rimane quella particella verbale uguale per entrambe le posizioni, quel “so” che costituisce l’inevitabile riconoscimento di quello che si vuole negare. Non si può rifiutare qualcosa che non si conosce, non si può rinnegare qualcosa in cui non si crede. La condizione di dubbio precede sempre la negazione, che in termini sociali significa che ogni posizione eterodossa nasce sempre all’interno di un sistema ortodosso. Questo ovviamente non esclude una gradualità di questi processi, né il fatto che successivamente entrambi i sistemi di credenze si ridefiniscano per opposizione tra loro [2]. Ogni sistema sociale possiede un certo grado di flessibilità, superato il quale avviene una separazione. Si pensi al mesmerismo e alle teorie del magnetismo animale, a lungo dibattute all’interno dell’Accademia francese di Medicina prima di venire definitivamente escluse dal novero delle scienze. Anche dopo questa rottura il mesmerismo continuò a mantenere un certo consenso in Francia, scomparendo nel tempo con la nascita della psicoanalisi e della moderna psichiatria.
Questo recupero di agentività nella credenza, alla base della prospettiva di Severi, non sempre si traduce in qualcosa di positivo, specie quando riguarda il credere nelle cospirazioni. Per Umberto Eco, le teorie del complotto non hanno solo l’effetto deleterio di ridurre la partecipazione politica delle persone, ma anche quello di “annebbiare” l’interpretazione critica degli eventi:
«A trarre maggior beneficio dalle fantasticherie su un presunto complotto sono proprio le istituzioni che la teoria del complotto vorrebbe colpire. Il che vale a dire che a immaginare che a far crollare le due torri sia stato Bush per giustificare l’intervento in Iraq [...] si smette di analizzare le ragioni vere per cui Bush è intervenuto in Iraq» (Eco 2013).
Rispetto al caso Covid, Johnson et al. (2020) osservano come certe credenze negative sul virus e sulle pratiche terapeutiche connesse siano spie di una più generale sfiducia nella scienze e nell’autorevolezza dei medici. Questo atteggiamento non è privo di ricadute rischiose per la salute, ad esempio nel rifiuto di vaccinarsi. Fassin riporta un atteggiamento simile verso la campagna di vaccinazione per l’AIDS in Sud Africa, osteggiata perché ritenuta parte di un programma segreto di sterilizzazione della comunità nera (Fassin 2020: 165). Un recente sondaggio (Lazarus et al. 2020) condotto su un campione di 19 Stati mostra una grande fiducia nei confronti dei vaccini anti-Covid in sperimentazione, con estremi opposti nella popolazione cinese (98% di fiduciosi) e in quella polacca (27% di non fiduciosi). In generale, i ricercatori hanno riscontrato i tassi più alti nelle nazioni asiatiche con governi centrali molto forti, come Cina, Sud Corea e Singapore, gli stessi Stati in cui le app di tracciamento hanno avuto una maggiore efficacia in termini di contenimento dei contagi. Tuttavia il livello medio di questa fiducia, se tradotto come disponibilità a vaccinarsi, è ancora insufficiente a garantire l’immunità complessiva della popolazione.
Pensando a quanto detto sugli aspetti proiettivi della credenza, le persone indecise sulla pericolosità dei vaccini non sono soggetti passivi; al contrario, sono fortemente impegnati nella ricerca di informazioni (Johnson et al. 2020: 231) che gradualmente strutturano il loro sistema di credenze. Johnson et al. hanno rilevato anche una significativa differenza qualitativa tra strategie retoriche ufficiali (ortodosse) e negazioniste (eterodosse) rispetto all’utilizzo dei vaccini. Confrontate fra loro, le rappresentazioni anti-vax sono più eterogenee e flessibili, fanno leva su argomenti emozionali e di forte impatto, esercitando un’attrazione maggiore nei confronti degli indecisi. La falsità e la verificabilità degli argomenti passa dunque in secondo piano. Si tratta di un elemento tipico della post-verità, quella condizione che permette a certe tesi di persistere nonostante la loro falsificazione pubblica. Tali affermazioni possono essere anche in totale contrasto con qualunque nozione scientifica, come l’inesistenza del virus Covid-19. Questa forma di negazionismo è interessante perché segna il passaggio – sempre più frequente – da una negazione di tipo epistemologico, che riguarda i modi di conoscere e interpretare la realtà, a una di tipo ontologico, i cui viene messa in dubbio la realtà stessa. Tale prospettiva viene esercitata in entrambi i sensi dato che, come nota Wu Ming, l’accusa di negazionismo sta diventando sinonimo di “negare la realtà”.
Consideriamo adesso la credenza che lega Covid-19 e 5G, attraverso uno studio che usa il tracciamento dei rumors su Facebook per ricostruire le dinamiche di diffusione delle teorie del complotto (Bruns, Harrington & Hurcomb 2020). Queste “indiscrezioni” fatte circolare nei social media vengono usate dalle persone per colmare autonomamente le incompletezze e le ambiguità lasciate dalle narrazioni ufficiali. Torniamo dunque all’aspetto cruciale sottolineato da Zagato in apertura, ossia la presenza di rappresentazioni pubbliche contrastanti che generano incertezza. Rispetto a questi rumors vanno distinti due aspetti: la misinformation, ossia il misconoscimento involontario delle informazioni, e la disinformation, disinformazione in senso stretto, deliberata alterazione delle notizie, produzione di fake news.
I ricercatori distinguono diverse fasi che gradualmente impongono queste teorie eterodosse nel dibattito pubblico (2020: 16-22). Innanzitutto vi sono gruppi cospirazionisti pre-esistenti che costituiscono una sorta di humus eterogeneo, ancora irrelato alle circostanze, in cui germogliano le prime indiscrezioni e abbozzi di credenza. Segue una prima fase di diffusione, lenta e di portata limitata, che però i social media possono accelerare allargando la platea potenziale e facilitando lo scambio di informazioni. In questo processo di radicamento avviene anche una raffinazione delle credenze, che cominciano così ad assumere forme più definite, più specifiche e “adatte” alle circostanze. Infine, la voce di celebrità e mass media amplifica queste credenze, imponendole all’attenzione dell’opinione pubblica. L’incertezza iniziale viene così catalizzata e articolata intorno al nesso virus-5G, fino ad assumere la forma di vero e proprio sistema di credenze che gradualmente irrigidisce il dubbio in certezza.
Il processo metallurgico di ricristallizzazione offre un’utile metafora per ricapitolare quanto detto finora. Questo tipo di trasformazione consiste nella riorganizzazione della struttura interna di un sistema complesso, come può essere una lega metallica. Distinguiamo quattro fasi: raggiungimento condizioni critiche (a), nucleazione (b), accrescimento dei grani (c), e ricristallizzazione (d). La ricristallizzazione non avviene in qualunque circostanza, ma occorrono precise condizioni perché la struttura preesistente venga indebolita e se ne formi una nuova. In particolare, il raggiungimento di una temperatura critica aumenta il grado di disordine interno del sistema, la sua entropia. In ambito sociale questo disordine è provocato da guerre, epidemie, crisi economiche o catastrofi, esperienze traumatiche capaci di alterare radicalmente il nostro rapporto con la realtà, creando un clima di incertezza (a). Il dubbio nasce proprio da questa crisi delle rappresentazioni e del quotidiano, che indebolisce il sistema di credenze di riferimento. A questo punto inizia la fase di nucleazione, ovvero la formazione di nuovi cristalli a partire da alcuni nuclei originari. In una lega metallica questi nuclei si formano spontaneamente attorno a dei punti di discontinuità, piccoli aggregati o impurità che innescano il processo di aggregazione degli atomi.
Anche nello studio di Bruns, Harrington e Hurcomb dei nuclei preesistenti di complottisti costituiscono il primo step nella diffusione di credenze eterodosse, ma non si tratta sempre o necessariamente di quest’ultimi. Fallimenti terapeutici, effetti collaterali dei farmaci, malasanità, tutte queste esperienze pregresse costituiscono quella che Fassin chiama «economia del risentimento» (Fassin 2007: XIX), una riserva di memorie dolorose che si congiunge all’economia del sospetto, basata invece su una sfiducia presente verso certe istituzioni. Questa insofferenza verso la biomedicina ha trovato nuova forza ed espressione nello scenario del Covid, portando le persone a mettere in dubbio certe misure di contenimento del virus, la neutralità dei ricercatori, l’interesse delle case farmaceutiche, fino agli stessi dati sulla mortalità del patogeno (b). È da questi primi nuclei che, gradualmente, i dubbi cominciano a diventate dinieghi.
La terza fase vede appunto la crescita dei grani, cioè dei micro-cristalli eterogenei che ancora non costituiscono una struttura vera e propria. Lo scenario è quello di un sistema ancora disordinato e disarticolato, in cui numerose credenze e abbozzi di teorie cominciano a emergere, raggiungendo un numero sempre più ampio di persone (c). Caratteristiche di questa fase sono la negazione e il sospetto, in cui l’incertezza iniziale, per certi versi “neutra” (come sospensione del giudizio), viene declinata in modo circoscritto verso avvenimenti o soggetti precisi. Abbiamo visto come la negazione sia sempre un dis-sconoscimento, talvolta deliberato mis-conoscimento. Possiamo invece descrivere il sospetto come un dubbio gravato dalla sfiducia verso qualcosa o qualcuno. Ripensando a Ginzburg circa la credenza nelle streghe, il dubbio è dei Benandanti, il sospetto è degli inquisitori. È solo nell’ultima fase, di vera e propria ricristallizzazione, che questo insieme eterogeneo assume una forma precisa, irrigidendosi in un sistema ordinato di credenze. I grani metallici crescono fino a congiungersi e giustapporsi, raggiungendo un nuovo equilibrio.
Negazionismi e teorie del complotto incarnano queste strutturazioni internamente coerenti di credenze eterodosse (d), in cui la negazione circoscritta o il sospetto isolato diventano vere e proprie rappresentazioni del reale con aspirazioni prescrittive. Notiamo come ogni complottismo sottenda necessariamente una negazione, nella misura in cui rifiuta in maniera più o meno netta una certa lettura degli eventi o delle memorie storiche: coloro che ad esempio sostengono una cospirazione dietro l’11 settembre negano la versione ufficiale del governo.
Questo irrigidimento non è provocato solo dalla necessità sociale “interna” di auto-rappresentazione, ma anche dal contrasto “esterno” con il sistema di credenze ortodosse. Come osserva Severi: «La coerenza del sistema di credenze dei Benandanti, quel che ne fa la negazione della dottrina – viene da fuori, proviene dal riconoscimento, prima inferito da sparsi indizi, e poi dalla formulazione esplicita, da parte dei giudici della Chiesa, di una anti-dottrina» (Severi 2000: 78). Ma mentre i Benandanti non si opponevano programmaticamente alla Chiesa, al contrario i negazionismi del Novecento fanno della negazione il proprio atto fondativo. Ciò vale anche per le teorie del complotto, queste moderne mitologie laiche che hanno nel sospetto e nel segreto il loro centro. Cos’è del resto un segreto, se non qualcosa che è negato alla vista, che non si può conoscere? Nel complottismo viene ribaltata la condizione dubitativa della credenza, “so che è così!”. Quando il dubbio diventa sospetto, l’incertezza non è più concessa.
Crepe nell’autorità
Come notava Eco, credere in cospirazioni e complotti «indirizza la pubblica immaginazione verso pericoli immaginari distogliendola dalle minacce autentiche» (Eco 2013). Tuttavia, anche etichettare qualunque atteggiamento critico come negazionismo o complottismo ha il medesimo effetto, distogliendo l’attenzione da ogni breccia nelle rappresentazioni “ufficiali”, come se queste ultime si irrigidissero, cercando di diventare impenetrabili ad ogni critica. Al contrario, questa pandemia globale ci ha mostrato la fragilità di certe narrazioni, i passi falsi di numerose istituzioni nazionali e internazionali, nonché la difficoltà della comunità scientifica nel comunicare efficacemente il proprio sapere. Tutto ciò ha comprensibilmente aumentato il senso di incertezza e di smarrimento nelle persone, portando molti a cercare autonomamente un nuovo orizzonte di senso per queste circostanze eccezionali. Di nuovo, questo non significa giustificare il negazionismo, bensì cercare di comprendere le ragioni della sua esistenza. Tra queste vanno annoverate le mancanze e gli errori di istituzioni politiche e del sistema sanitario, che hanno visto indebolirsi la loro autorevolezza. Certo, non è un fenomeno inedito del 2020, semmai quest’anno ha raggiunto una particolare intensità.
Tra i fattori più rilevanti Pollastri (2020) annovera l’incertezza dei dati riguardanti il virus, un’ambiguità declinata sotto almeno tre aspetti: completezza, provvisorietà e trasparenza. Il monitoraggio costante di questa pandemia mondiale ha prodotto una mole immensa di informazioni grezze, che vanno necessariamente interpretate e contestualizzate per assumere un senso. Mentre l’incompletezza e la provvisorietà dei dati ci ricordano a priori l’impossibilità di descrivere nella sua totalità il fenomeno Covid, la trasparenza riguarda invece la possibilità di accesso, la disponibilità delle informazioni per tutta una serie di attori sociali, cittadini compresi. Sono nate così diverse iniziative tese ad ottenere un libero accesso ai dati della pandemia, come quella promossa dall’associazione Ondata [3]. Lo scopo non è solo quello di garantire la disponibilità dei dati in sé, ma di esplicitare tutta quella serie di pratiche e processi culturali che trasformano tali dati in valutazioni di rischio, utili a determinare a loro volta le differenti misure restrittive applicate al territorio nazionale. Ma la questione dell’accesso ai dati è solo uno degli aspetti critici; potremmo ricordare l’inefficacia dell’app di tracciamento Immuni, la conflittualità delle norme regionali e provinciali [4] o, più in generale, il mancato implementamento di procedure condivise per far fronte alla seconda ondata di contagi. Da questo punto di vista pensare a oscure macchinazioni e piani segreti è quasi consolante, perché presuppone a monte una competenza – nel male, ma pur sempre una competenza – che invece è stata tragicamente carente. Vale la massima del rasoio di Hanlon: «Never attribute to malice that which can be adequately explained by stupidity».
Una delle tesi più usate dai “negazionisti del disciplinamento” è quella dell’annullamento della vita sociale attraverso misure eccessivamente restrittive, scientificamente ingiustificate o finanche illiberali. L’azzeramento sociale e il confinamento in casa ridurrebbero la vita “ai minimi termini”, meramente fisiologici, un’idea condivisa anche da pensatori del calibro di Giorgio Agamben. Fin dalle prime avvisaglie della pandemia, il filosofo ha rilasciato periodicamente delle riflessioni fortemente critiche nei confronti delle misure di disciplinamento e dell’operato dei governi. In particolare, Agamben dissente rispetto al modo in cui le informazioni sono socialmente tradotte in pratiche restrittive: «sulla base di questi dati […] le libertà costituzionali sono state sospese, la popolazione è stata terrorizzata, la vita sociale cancellata» (Agamben 2020).
La forma più estrema cui giungono alcuni è quella della dittatura sanitaria, in cui i governi approfitterebbero (o favorirebbero) della pandemia da Covid per bypassare le misure di controllo democratico ed esercitare un potere illiberale sulla popolazione: in pratica, un golpe politico giustificato dalle misure emergenziali. Anche se la retorica della “paura di morire” appare più come una creazione mediatica che come un’esperienza collettiva diffusa (Pollastri 2020), è innegabile che il lockdown abbia comportato numerosi disagi: aumento dei casi di suicidio, depressione e violenze domestiche, solo per ricordare le conseguenze peggiori. Nonostante la retorica della vita “ai minimi termini” cerchi di riaffermare questi aspetti dolorosi, rischia però di trascurare completamente la creatività con cui le persone hanno reinventato il proprio quotidiano, creando nuove forme di socialità; un interno panel del recente convegno SIAA è stato dedicato proprio ai nuovi riti nati durante la pandemia, rituali che spesso cercano proprio di elaborare una sofferenza che non trova sfogo altrimenti.
Alla base di queste espressioni di creatività culturale c’è il bisogno di superare una condizione di incertezza, lo stesso bisogno che spinge gli incerti a cercare informazioni e credere in qualcosa. Un bisogno di dare senso, attraverso gesti e pensieri, ad una realtà in crisi, che ha perso la sicurezza dei propri riferimenti. Non è possibile rimandare o posticipare tutto ciò a data da destinarsi, a dopo la pandemia; le persone non possono posporre la sofferenza come una riunione Skype, ma agiscono autonomamente. Se tutto questo si traduce in negazioni e complotti, è anche per effetto delle numerose crepe che si sono aperte nel corpo delle istituzioni – politiche, scientifiche, biomediche – da cui gradualmente perdono la propria autorevolezza.
Cercare di comprendere il negazionismo significa interrogarsi su tutti gli aspetti di questo fenomeno, compresi quelli più ambigui e problematici. Fassin restituisce una di queste sfaccettature minori, quando afferma che «negazione, nel suo senso più profondo, è rifiuto per l’intollerabile»[5] (Fassin 2007: 120). È possibile rintracciare in queste credenze eterodosse un rifiuto, più o meno deliberato, per una situazione intollerabile? In circostanze che privano progressivamente le persone di “libertà” (di scelta, di azione, di vita) considerate scontate, immaginare un complotto e trovare un nemico che, per quanto nascosto e malvagio, è pur sempre umano, non permette forse di recuperare almeno parte di quella agency personale che le misure di disciplinamento sembrano minacciare?
Dialoghi Mediterranei, n. 47, gennaio 2021
Note
[1]https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/coronavirus-response/fighting-disinformation/identifying-conspiracy-theories_it [controllato 19/11/20].
[2] L’esempio estremo è quello che Gregory Bateson descrive come sistema schismogenetico, che possiamo rintracciare nelle dispute teologiche dei primi secoli del Cristianesimo, momento cruciale per il formarsi dell’ekklesia in contrapposizione alle varie eresie.
[3] https://www.open.online/2020/11/10/coronavirus-open-firma-la-campagna-per-chiedere-trasparenza-sui-dati-al-governo/ [controllato 19/11/20].
[4] Ricordiamo solo il pronunciamento opposto tra i TAR di Bari e di Lecce sulla chiusura delle scuole.
[5] Traduzione personale.
Riferimenti bibliografici
Agamben, Giorgio, 2020, “Alcuni dati”, Una voce. Rubrica di Giorgio Agamben, 30 ottobre 2020, https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-alcuni-dati [controllato 19/11/20].
Brotherton, Robert, French, Christopher C., & Pickering, Alan D., 2013, “Measuring belief in conspiracy theories: The generic Conspiracist beliefs scale”, Frontiers in Psychology 4, 279.
Bruns, Axel, Harrington, Stephen, Hurcombe, Edward, 2020, “‘Corona? 5G? or both?’: the dynamics of COVID-19/5G conspiracy theories on Facebook”, Media International Australia 177(1): 12-29.
Eco, Umberto, 2015, “Conclusioni sul complotto. Da Popper a Dan Brown”, Lectio Magistralis presso l’Università di Torino, 10 giugno 2015, https://www.cicap.org/n/articolo.php?id=278419 [controllato 19/11/20].
Fassin, Didier, 2007, When Bodies Rembeber. Experiences and Politics of AIDS in South Africa, Berkeley: University of California Press.
Gallup International Association [GIA], 2020, “The Coronavirus: a vast scared majority around the world (snap poll on Cov19 in 28 countries)”, marzo 2020, https://www.gallup-international.com/ [controllato 19/11/20].
Georgiou, Neophytos, Delfabbro, Paul, Balzan, Ryan, 2020, “COVID-19-related conspiracy beliefs and their relationship with perceived stress and pre-existing conspiracy beliefs”, Personality and Individual Differences 166: 110201.
Johnson, Neil F., et al., 2020, “The online competition between pro- and anti-vaccination views”, Nature 582: 230-233.
Lazarus, Jeffrey V., et al., 2020, “A global survey of potential acceptance of a COVID-19 vaccine”, Nature Medicine, https://doi.org/10.1038/s41591-020-1124-9 [controllato 19/11/20].
Norgaard, Kari M., 2011, Living in Denial: Climate Change, Emotions, and Everyday Life, Cambridge: The MIT Press.
Pollastri, Neri, 2020, “La Caporetto del pensiero razionale. Una lettura pratico-filosofica della pandemia” Dialoghi Mediterranei 46, novembre 2020, https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/la-caporetto-del-pensiero-razionale-una-lettura-pratico-filosofica-della-pandemia/ [controllato 19/11/20].
Severi, Carlo, 2000, “Proiezione e credenza. Nuove riflessioni sull’efficacia simbolica”, Etnosistemi. Processi e dinamiche culturali 7: 75-85.
Vidal-Naquet, Pierre, 2008, Gli assassini della memoria. Saggi sul revisionismo e la Shoah, Roma: Viella.
Wu Ming, 2020, “A cosa serve l’epiteto «negazionista» e quale realtà contribuisce a nascondere”, Giap. Il Blog di Wu Ming, 15 novembre 2020, https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/11/caccia-al-negazionista/ [controllato 19/11/20].
Zagato, Lauso, 2020, “Tra negazionismi e narrazioni pubbliche ambigue”, Dialoghi Mediterranei 46, novembre 2020, https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/tra-negazionismi-e-narrazioni-pubbliche-ambigue/ [controllato 19/11/20].
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Nicola Martellozzo, dottorando presso la Scuola di Scienze Umane e Sociali (Università di Torino), negli ultimi due anni ha partecipato come relatore ai principali convegni nazionali di settore (SIAM 2018; SIAC 2018, 2019; SIAA-ANPIA 2018). Con l’associazione Officina Mentis conduce un ciclo di seminari su Ernesto de Martino in collaborazione con l’Università di Bologna. Ha condotto periodi di ricerca etnografica nel Sud e Centro Italia, e continua tuttora una ricerca pluriennale sulle “Corse a vuoto” di Ronciglione (VT).
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