di Francesca Spinola
Il cammino verso l’emancipazione femminile in Egitto negli ultimi trent’anni ha preso sempre più la forma di un movimento fatto di donne impegnate a conquistare spazi di libertà e di parità di genere, all’interno di una cornice religiosa. Questo sforzo ha trovato la sua ragion d’essere nella convinzione che l’Islam contenga in sé tutti gli elementi per assicurare alle donne un percorso di liberazione.
Come spiega Naṣr Ḥāmid Abū Zayd [1], nel discorso femminista appare subito chiaro che la cosa importante da fare è quella di distinguere fra ciò che l’Islam porta come contributo e la situazione specifica della condizione umana ai tempi dell’Arabia preislamica. Occorre sottolineare concetti come il monoteismo, la morale, la giustizia e l’eguaglianza, in contrapposizione alla condizione di assoggettamento e alla poligamia che derivano dalla cultura araba del VII secolo.
Da qui emerge subito come l’approccio femminista debba consistere, prima in un lavoro di revisione di quei versetti che gli uomini musulmani citano per dare fondamento alla diseguaglianza fra l’uomo e la donna, poi nella ricerca e rivalutazione di quei versetti che portano all’eguaglianza [2]. Un obiettivo che non si è ancora realizzato a causa delle distorsioni nell’interpretazione dei testi sacri perpetrate per secoli da esegeti e giuristi offuscati da una mentalità maschilista e patriarcale.
A pensarla così sono molte donne, fra cui l’egiziana Omaima Abou-Bakr [3] e l’afroamericana Amina Wadud [4], che contestano a una ristretta ma efficace élite di maschi di aver dato letture del Corano e di aver emesso sentenze giurisprudenziali che negano una visione di genere e una lettura da un punto di vista femminile del messaggio religioso. Si sviluppa in questo modo, in contrapposizione al femminismo laico in Egitto e a quello occidentale in Europa, il femminismo islamico, inteso come una delle molteplici anime del movimento delle donne in ambiti musulmani.
Un femminismo che scaturisce da almeno tre grandi filoni. Il primo è l’opposizione alla crescita dei movimenti islamisti più retrogradi. L’emergere di movimenti islamisti populisti e specialmente della Fratellanza Musulmana nel 1928, hanno ripercussioni sul cammino verso l’emancipazione della donna. La paura della disoccupazione per gli uomini e la spinta dei Fratelli Musulmani [5] verso una visione patriarcale del ruolo della donna e delle relazioni di genere restringono la portata della prima associazione di donne nata in Egitto, l’Unione delle Donne Femministe. Con il passare degli anni e dei diversi regimi, in Egitto il movimento femminista si polarizza sempre più in un movimento laico e secolare e un movimento religioso, anche a causa dell’affermarsi, fra gli anni ’70 e ’80, di movimenti islamisti che hanno l’intento di monopolizzare il discorso di genere e di etichettare il femminismo come antislamico [6].
Il secondo filone da cui emerge il movimento femminista islamico è quello che si forma nello sforzo di antagonismo e critica al femminismo imposto dall’Occidente, con il concetto di diritti che si porta dietro. Il terzo filone è di carattere sociale e si fonda su una sorta di ritorno della religione nella sfera privata e in quella pubblica [7]. Emerge così un tipo di femminismo che si presenta come un movimento intellettuale e dinamico che cerca di liberare, equiparare e responsabilizzare le donne su basi di riferimento islamiche che affondano le radici nel Corano, nella Sunna autentica e nel ragionamento giuridico, iǧtihād [8].
A spingere verso l’affermarsi di questo femminismo islamico, ma non islamista, è quindi anche e in buona parte quella tendenza dell’Europa e dell’Occidente a guardare all’Islam attraverso pratiche che rientrano sotto l’espressione “questioni di genere”, ma secondo idee e concetti estranei all’Islam stesso, piuttosto che a guardare alle sue credenze religiose. Questo innesca un processo di critica che passa attraverso la lente delle categorie occidentali. Un impedimento che produce preconcetti, che a loro volta si consolidano in stereotipi negativi sull’Islam, specialmente quando associati alla vita e allo status sociale della donna.
I media, nell’ultimo decennio in particolare, hanno fatto la loro parte, dalle televisioni ai social network, hanno contribuito a rinforzare idee preconcette, spesso decontestualizzate o mal spiegate, rimandando immagini di attualità dove la donna appare costretta a lasciare scuola e lavoro, a coprirsi con veli, a subire soprusi in nome di un generico concetto di Islam, erroneamente inteso come un monolite [9].
Questa visione della religione ha rinsaldato l’idea che la donna abbia ricoperto nella storia dell’Islam sempre e solo una posizione di inferiorità. Una deriva contemporanea che, unita a un passato non troppo lontano, in cui il principio di “liberazione della donna musulmana” era diventato la missione dei governi coloniali europei, ha contribuito a sviluppare quello che è stato definito un atteggiamento missionario dell’Occidente [10]. Un modo di pensare che ha avuto la corresponsabilità di innescare una eccessiva reazione di diversi gruppi islamisti.
La conseguenza è un inasprimento, sia con lo strumento della legge islamica che con l’utilizzo della forza, di quelle pratiche che limitano la vita delle donne musulmane e impongono loro cosa è lecito fare, come si devono vestire, dove possono andare o che, essenzialmente, le relegano in casa e le rendono il simbolo della sfera domestica. A fare fronte a questi meccanismi di cristallizzazione della donna e del suo ruolo, sono emersi nel cuore stesso delle società musulmane, diversi movimenti di donne femministe. Fra questi, in Egitto, si è affermato con sempre più voce, un gruppo di studiose e intellettuali che dagli anni ’90 sta mettendo in discussione sia i modelli imposti dall’Occidente, che quelli mutuati da culture, abitudini, tradizioni locali, che nulla hanno a che vedere con quanto affermato, rispetto alla donna e al suo ruolo nella società, dalle fonti originarie dell’Islam.
Queste forze interne affrontano non solo l’atteggiamento missionario dell’Occidente nei loro confronti, ma anche l’ostruzionismo interno, frutto di una mentalità patriarcale, retrograda e obiettivamente utilitaristica che, secondo la Abou-Bakr e molte altre femministe con lei, nulla ha a che vedere con i dogmi dell’Islam puro [11]. Fra le esponenti principali di questa corrente di femministe che si definisce con l’aggettivo “islamiche”, ci sono Amani Saleh [12], Hind Mostafà [13], Hoda El-Saadi [14], Mulki al-Sharmani [15], Mervat Hatem [16] e la stessa Abou–Bakr. Per loro, il femminismo islamico è un “progetto” (mašrū‘) o meglio ancora un “appello” (dā‘wa), aperto a tutti coloro che sono interessati alla questione femminile. Esso invita le studiose e gli studiosi specializzati in scienze religiose e sociali a concentrarsi sui problemi delle donne musulmane e a elaborare soluzioni dall’interno della religione stessa. Lo scopo è quello di produrre una nuova conoscenza religiosa in grado di promuovere l’uguaglianza fra i sessi e delle leggi che favoriscano l’inclusione delle donne nella società [17].
Il femminismo islamico, difronte a queste sfide, globalmente ha sviluppato delle metodologie, tutte fino ad ora di tipo finemente intellettuale, per arrivare agli obiettivi che si è posto. Il lavoro si è concentrato specialmente su tre ambiti. Il primo ambito è una revisione del fiqh, la giurisprudenza islamica, e una rilettura dei tafṣīr [18], in un lavoro di esegesi e di commentario coranico, con lo scopo di estrarne le letture e le interpretazioni maschiliste e sessiste e di metterne in luce, a partire da una lettura delle Fonti, i principi fondamentali di giustizia e uguaglianza. In questo campo la rivendicazione della Abou-Bakr va da una semplice revisione del fiqh e dall’invito ad utilizzare lo strumento dell’iǧtihād, ad una rifondazione degli usūl al-fiqh, principi fondamentali che orientano l’elaborazione del diritto e della giurisprudenza, integrando gli strumenti delle scienze sociali nel lavoro sui Testi [19].
Il secondo ambito vuole la produzione di un sapere nuovo attraverso la riscrittura della storia delle donne musulmane e della riabilitazione del loro spazio e del loro ruolo nella storiografia musulmana. Il terzo ambito riguarda un lavoro di revisione della storia islamica da un punto di vista femminile e femminista. Attraverso i racconti storici musulmani, si tratta di far emergere le voci e le soggettività femminili con lo scopo di mettere l’accento sulla loro marginalizzazione e d’insistere sulla necessità della loro integrazione alla storia passata e presente, per una rielaborazione del pensiero e della produzione giuridica musulmana. Si tratta anche di far emergere delle intellettuali, pensatrici, sagge e storiche dell’Islam e di costituire un sapere religioso e scientifico diffuso e prodotto sulle donne dalle donne. Per quel che concerne questo lavoro sui testi storici e sulla memoria delle donne attraverso la storia musulmana, sono considerate fondamentali le opere di Omaima Abou-Bakr pubblicate soprattutto negli anni ‘90 sulle figure storiche e sulle donne mistiche. Diventa pertanto un dovere quello sforzo, di cui parla la Abou-Bakr nelle sue opere, di lettura e rilettura impegnata dei testi sacri e della sunna a cui ogni femminista, se non ogni donna musulmana, deve sentire la responsabilità di essere chiamata [20].
Ciò comporta una diligente e saggia reinterpretazione delle fonti religiose islamiche, libera da pregiudizi, e un ritorno al messaggio autentico dell’Islam, ovvero l’applicazione della giustizia e del rispetto della dignità umana che equivalgono tra uomini e donne. In altre parole, ciò significa prendere in considerazione la prospettiva di genere, considerando i ruoli attribuiti a uomini e donne nell’ambito pubblico e privato, e integrare il punto di vista delle donne musulmane [21]. È qui che la Abou-Bakr si dice convinta della necessità che le donne, e gli uomini, musulmani facciano uno sforzo in più, quando afferma
«Lo sforzo richiesto è pertanto quello di studiare a fondo la giurisprudenza e i suoi contesti sociali e di riesaminare le opinioni giurisprudenziali islamiche in cui la cultura locale ha prevalso sul chiaro testo o sulle sue intenzioni e in cui non è stata tenuta in conto la capacità mentale e giuridica della donna e le è stata proposta una visione di inferiorità» [22].
L’autrice ravvisa in questo concetto, quello dell’inferiorità mentale della donna, un contrasto con ciò che invece afferma il testo sacro in modo chiaro, quel naṣṣ ṣarīḥ, del Corano e della Sunna del Profeta, che parla di giustizia e misericordia, princiìpi dominanti nel sistema islamico. Per usare le parole stesse della nostra autrice con riferimento a cosa significhi per lei essere femministe islamiche oggi e parti attive di questa ǧender ǧiḥād, essa sottolinea la necessità di passare dalla consapevolezza dell’esistenza di un problema e dalla sua mera critica, al proporre riforme e suggerire alternative. Ciò comporta ritornare a focalizzarsi sul messaggio autentico dell’Islam, ovvero «l’applicazione della giustizia e del rispetto della dignità umana che equivalgono tra uomini e donne» [23].
In questa ottica ha inizio da parte di molte femministe islamiche egiziane, cui la Abou-Bakr si ispira, una rilettura della tradizione religiosa (il tafsīr e il fiqh) nata intorno al Corano e da cui emerge una nuova ermeneutica femminista islamica, fatta sulla base dell’iǧtihād, la ricerca indipendente sulle fonti religiose.
Due sono essenzialmente gli obiettivi di tale attività intellettuale, il primo è “setacciare” [24] la tradizione religiosa, per discriminare le consuetudini e le usanze patriarcali che influenzano il processo esegetico. Il secondo è proporre conoscenza religiosa alternativa basandosi sul principio del tawḥīd, l’unicità di Dio e del ‘adl [25], la giustizia.
Dal punto di vista storico, le femministe egiziane decostruiscono la storia dell’Islam attraverso la lente del ǧender. Si tratta di un lavoro di ricerca approfondita e analitica delle fonti storiche, il cui scopo è ritrovare quelle voci femminili che sono rimaste incagliate nei testi sacri, silenziate da giuristi ed esegeti maschilisti, per ricostruire l’immagine e la vita delle donne nelle epoche passate e dal loro esempio far ripartire una nuova coscienza di genere [26]. Molte difficoltà delle donne nascono, secondo queste prime esegete coraniche, dalla confusione tra Islam e consuetudini sedimentate nei secoli. Occorre distinguere tra ciò che è divino, in quanto proviene da Dio, e ciò che è tradizionale, in quanto frutto di mentalità umana, di usanze e costumi sviluppatisi durante la storia.
Il discorso femminista islamico va in questa direzione: scava nella religione, nella tradizione esegetica e giuridica, nella storia dell’Islam, per scoprire l’origine dei problemi delle donne e superarli. Per le femministe islamiche il Dio unico e il Corano rappresentano il porto sicuro da cui partire. La reinterpretazione della tradizione esegetica islamica costituisce la grande impresa, presupposto indispensabile per ogni modifica delle leggi che regolano la vita delle donne.
Il nuovo femminismo islamico cui aderisce la Abou-Bakr costituisce un allontanamento dal precedente focus basato sui diritti delle donne, verso un focus più ampio sull’uguaglianza di genere e sulla giustizia sociale, come principi fondamentali e intersecanti sanciti nel Corano [27]. La Abou-Bakr non si ferma al passato, ma si ispira e cita a sostegno delle sue tesi, voci progressiste e femministe anche del presente, quando afferma che l’Islam non precisa e non stabilisce compiti in un sistema sociale chiuso senza consentire un margine di variazione, differenze e cambiamenti, tanto più se si guarda al versetto che recita:
Uomini, noi vi abbiamo creato da un maschio e da una femmina, e abbiamo fatto di voi vari popoli e tribù affinché vi conosceste a vicenda; ma il più nobile di voi è colui che più teme Dio. Dio è sapiente e informato di tutto [28].
Un versetto che riconosce la realtà di questo pluralismo sociale e culturale e la diversità dei sistemi di nazioni e gruppi [29]. A sostegno di questa idea cita Amina Wadud, considerata una controversa studiosa afroamericana, che parla dell’Islam “da una prospettiva di genere”. Nella prima donna ad aver guidato la preghiera del venerdì a New York nel marzo 2005 [30] e poi a Oxford nell’ottobre 2008 [31], suscitando immenso scalpore, la Abou-Bakr trova un sostegno alle sue teorie sulla necessità di rileggere il Corano secondo una prospettiva di genere e di reinterpretare alcune sentenze che sono andate verso la direzione di sminuire e cristallizzare il ruolo della donna. La Wadud è infatti la prima grande sostenitrice dell’idea che quando i musulmani recitano il Corano, sono loro stessi a scegliere cosa sottolineare e come, cosa esasperare e cosa sminuire, con l’uso del giudizio personale, quell’iǧtihād, che è generalmente ammesso e autorizzato nell’ambito della legge islamica [32].
Questa nuova ermeneutica sensibile al genere intrapresa dalla Abou-Bakr sulla scia di molte altre prima di lei e insieme a lei, vuole dimostrare dunque l’esistenza dell’uguaglianza di genere nel Corano, oscurata dagli esegeti maschi che nel costruire un corpus di commentari coranici (tafsīr) hanno promosso la dottrina della superiorità maschile, in perfetto accordo con la mentalità delle culture patriarcali prevalenti. Questo tipo di ermeneutica femminista distingue tra i principi fondamentali universali o senza tempo e ciò che è particolare o contingente, ovvero effimero e passeggero.
L’ermeneutica femminista adotta tre approcci: rivisitare versetti (āyāt) del Corano per correggere false narrazioni in circolazione, come i resoconti della creazione e degli eventi nel giardino primordiale, che hanno portato ad affermazioni di superiorità maschile; citare versetti che enunciano inequivocabilmente l’uguaglianza tra donne e uomini; decostruire versi attenti alla differenza maschile e femminile che sono stati comunemente interpretati in modi che giustificano il dominio maschile.
Non a caso in questo campo la Abou-Bakr si ispira a esegete come Amina Wadud e alla sua grande opera di esegesi sul Corano e la donna [33], e a Riffat Hassan [34], che hanno contribuito a correggere da un punto di vista di genere le narrazioni ampiamente diffuse che pretendono di essere coraniche. Wadud e Hassan, come fa la stessa Abou-Bakr, indicano versetti del Corano che dichiarano come donne e uomini siano stati creati nello stesso momento come due compagni da un unico sé o un’unica anima (nafs wāḥida).
Tali esegete mostrano quindi come le interpretazioni maschili comuni abbiano trasformato lo specifico e il contingente in norme universali. Nell’affrontare l’argomento maschilista secondo cui gli uomini hanno autorità sulle donne, il commento del Corano femminista va a decostruire versi particolari e ad attirare l’attenzione su altri che affermano la reciprocità delle responsabilità di fronte a Dio. L’esame rigoroso dei testi e la contestualizzazione dei termini e delle frasi coraniche perseguiti da queste commentatrici femminili, servono nello sforzo di dimostrare come tali interpretazioni patriarcali contraddicano il messaggio coranico di base dell’uguaglianza di genere [35].
Questo progetto di femminismo islamico basato sul Corano, che sta rapidamente guadagnando terreno, è il femminismo islamico della Abou-Bakr e di tante donne come lei impegnate in questo sforzo. Lo scopo che la Abou-Bakr sembra perseguire insieme alle altre “sorelle nell’Islam” unite in questo movimento è quello di divulgare a un più vasto pubblico la loro conoscenza delle interazioni dinamiche che ritengono esistere tra il Corano, la giurisprudenza e il quadro dei diritti nel sistema islamico e di promuovere argomentazioni basate sui diritti, fondate su realtà vissute e su una comprensione dell’Islam che sostiene l’uguaglianza e la giustizia.
Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025
Note
[1] Naṣr Ḥāmid Abū Zayd, (1943-2010), pensatore egiziano, professore di studi islamici, teologo liberale, accusato di apostasia. W. Salman, L’islam politique et le enjeux de l’interpretation: Naṣr Ḥāmid Abū Zayd, Mimésis, Milano 2017.
[2] N.H. Abū Zayd, Reformation of Islamic Thought, Amsterdam University Press, Amsterdam 2006: 90-91
[3] Omaima Abou-Bakr è professoressa di Inglese e Letteratura Comparata all’Università del Cairo e direttrice del The Women and Memory Forum. È autrice di numeri testi e articoli accademici. Il suo nome non è translitterato ma scritto come essa stessa si firma.
[4] Amina Wadud è un’accademica afroamericana musulmana, esponente di spicco del femminismo islamico. Nel 1992 pubblica “Qu’ran and woman”, una rilettura del testo coranico da una prospettiva di genere. Nel 2006 pubblica Inside the gender jihad. Women’s reform in Islam. “Wadud, Amina (nata Mary Teasly)”, Enclicopedia Treccani on line.
[5] I Fratelli Musulmani sono la prima organizzazione musulmana di carattere politico-religioso nata in Egitto che conteneva un’ala più radicale e una più moderata ma tutte guardavano con favore alla nascita di uno stato islamico. Lapidus, A History of Islamic Society, 574-575
[6] L. Sorbera, “Early reflections of an Historian on Feminism in Egypt in Time of Revolution”, Genesis, Rivista della Società Italiana delle Storiche, XII/1, 2013, Femminismi nel Mediterraneo, Viella, Roma 2013: 20-27.
[7] R. Pepicelli, “Femminismo islamico: una storia plurale”, Genesis, Rivista della Società italiana delle storiche XII/1, Femminismi nel Mediterraneo. Viella, Roma 2013: 101-102.
[8] A. Saleh, Islamic Feminism as an intellectual movement, in Khotwa center for documentation and studies.
[9] E.W. Said, Orientalismo, l’immagine europea dell’Oriente, Feltrinelli, Milano 2013: 20.
[10] C. Hillebrand, Islam, una nuova introduzione storica, Giulio Einaudi editore, Torino 2016: 120.
[11] O. Abou-Bakr, A Muslim woman’s reflections on gender. Gender perspectives in Islamic traditions. Islam 21 project, The International Forum for Islamic dialogue, 1999.
[12] Amani Saleh è professoressa e ricercatrice universitaria egiziana. Ha scritto su studi islamici con particolare attenzione all’epistemologia coranica e al femminismo islamico. È membro dell’Association for Studying Women in Civilization (ASWIC)
[13] Hind Mostafà, ricercatrice egiziana in Scienze Politiche, impegnata nella ricerca per al-Mar’ah wa-al-hadarah (La femme et la civilisation) fondato nel 2000.
[14] Hoda El-Saadi è Professoressa di Arabo e civiltà islamica alla American University in Cairo. Il suo scopo è usare la storia (e le sue interpretazioni) per rafforzare la posizione delle donne musulmane nel presente, nonché per formulare un discorso culturalmente islamico che incorpori la prospettiva delle donne e la consapevolezza del genere
[15] Mulki al-Sharmani è docente presso l’Unità di Studi sulla Religione, Facoltà di Teologia, Università di Helsinki. È anche membro di Musawah, il Movimento globale per l’uguaglianza e la giustizia nella famiglia musulmana.
[16] Mervat Hatem è professore di scienze politiche alla Howard University di Washington DC. Il suo lavoro esamina, tra le altre questioni, il fenomeno del femminismo di stato egiziano, l’impatto della liberalizzazione economica e politica sulle donne arabe ed egiziane e la convergenza delle opinioni islamiste e laiche sul genere.
[17] Elsakaan,Il femminismo islamico in Egitto, donne, religione e giustizia di genere, in Studia sull’Islam/7, Aracne Roma 2019.
[18] tafsīr pl. tafāsīr, “interpretazione” (come processo e genere letterario), generalmente, ma non sempre, del Corano. Rippin, A. “Tafsīr”. In Encyclopaedia of Islam, Second Edition.
[19] M. Al-Sharmani, “Islamic Feminism, Transnational and National Reflections”, in Approaching Religion, Vol.4, (2), Dicembre 2014: 91.
[20] Al-Sharmani, “Islamic Feminism”, Approaching Religion: 83-94.
[21] Abou-Bakr, “Trends and Directions in Contemporary Islamic Feminist Research”. Arab Feminisms: Gender and Equality in the Middle East, edited by Jean Said Makdisi, Noha Bayoumi and Rafif Rida Sidawi, I.B.Tauris, London 2014: 333–343.
[22] Abū-Bakr, Shukrī, al-marʾa wa-al-ǧender, 32. (La traduzione dall’arabo è dell’autrice di questo articolo).
[23] Abou-Bakr, “Trends and Directions”, Arab Feminisms: 333-343.
[24] Parola usata dalla Abou-Bakr.
[25] ʿadl, giustizia, azione equa secondo la volontà di Dio. Brockopp, Jonathan E., “Justice and Injustice”, in Encyclopedia of the Qurʾān.
[26] Elsakaan, Il femminismo islamico in Egitto: 24-27.
[27] Roded, Ruth. “Women and the Qurʾān”. In Encyclopaedia of the Qurʾān.
[28] Corano, Al-Ḥuǧurāt (49), 13.
[29] Abū-Bakr, Šukrī, al-marʾa wa-al-ǧender: 15.
[30] The New York Times, 19 marzo 2005.
[31] BBC News, 17 ottobre 2008.
[32] A. Wadud, Qurʾan and Women. Rereading the Sacred Text from a Women’s Perspective, Oxford University Press, New York – Oxford, 1999.
[33] Wadud, Qurʾan and Women
[34] Riffat Hassan è una pakistano-americana riconosciuta a livello internazionale come una pioniera della teologia femminista islamica e come un’attivista che ha fatto molto per promuovere i diritti delle donne nelle società musulmane.
[35] Badran, Margot. ‘Feminism and the Qurʾān’. In Encyclopaedia of the Qurʾān.
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Francesca Spinola, giornalista professionista attualmente residente a Tunisi, ha conseguito un diploma in Studi arabi e islamistica presso l’Istituto Dar Comboni al Cairo e un master in Studi arabi e islamici presso il PISAI – Pontificio istituto di studi arabi e islamica. È laureata in scienze politiche indirizzo politico internazionale (Università “La Sapienza”). Sta associando al giornalismo la ricerca in studi islamici con un focus sulle questioni di genere. È autrice di numerosi articoli giornalistici e di alcuni saggi di cui l’ultimo è Blu Tunisi: viaggio nella città e nei suoi cinque storici villaggi edizioni Infinito, 2024.
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