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Il giovane Cocchiara: le fasi di una svolta

copertina_cocchiara_page-0001di Alessandro D’Amato [*] 

Nel panorama della storia degli studi delle scienze demoetnoantropologiche italiane, la figura di Giuseppe Cocchiara (1904-1965) è spesso riduttivamente accostata a un illustre predecessore: Giuseppe Pitrè. Quest’ultimo è stato il capostipite di una tradizione disciplinare che ha registrato nella Sicilia della seconda metà dell’Ottocento e dei primi due decenni del Novecento un grande fermento, grazie alla presenza di un numero cospicuo di collaboratori periferici, che lo informarono costantemente circa le tradizioni popolari dei piccoli centri dell’Isola. Oltretutto, fu proprio Cocchiara a rilevare e rivelare le modalità attraverso cui Pitrè riuscì a entrare in contatto con un numero tanto esteso di collaboratori, residenti nelle varie province siciliane: 

«nel lavoro di ricerca, il Pitrè – lavoro che data la sua mole non poteva essere compiuto da una sola persona – fu aiutato, in ispecial modo, dai fratelli Ardizzone, i quali trovandosi a dirigere il più importante quotidiano della Sicilia[1], erano – e lo sono tutt’oggi – in contatto coi loro corrispondenti. E accanto ai fratelli Ardizzone bisogna ricordare, fra i molti benemeriti, il Di Giovanni, il Salomone-Marino, il Guastella, il Castelli, l’Amico, il Giuffrè e il Rubino. Il Pitrè, in ultimo, voleva pubblicare tutto ciò che gli era stato scritto per far vedere quale fosse stato l’uso fattone. Ma, anche senza questa pubblicazione, che Egli non arrivò a dare alla luce, è ben risaputo che l’uso fattone è quello di un artista. E di un grandissimo artista che sa anche essere scienziato!»2. 

Questa stessa fase storica fu tra l’altro definita da Paolo Toschi come un vero e proprio «periodo aureo degli studi folkloristici (…) un periodo laborioso e felice, una specie di umanesimo non più rivolto alle opere degli antichi scrittori ma all’oscura poesia e arte del popolo»3, rendendo in tal modo un grande merito a una tradizione di studi che, da Pitrè e Salomone Marino in poi, ha regalato all’ambito italiano delle discipline demoetnoantropologiche un contributo notevole. La cosiddetta ‘scuola palermitana’, che nel settore DEA è ancor oggi fattivamente e organicamente presente con un numero di testimoni in grado di rinnovarsi ciclicamente e di apportare sempre nuovi e innovativi elementi di riflessione, non può, del resto, non fare i conti con le proprie origini e con un’eredità che riconduce, sì, ai nomi dei due medici palermitani ma che, allo stesso tempo, non può tralasciare il ruolo assunto per circa un quarantennio da Giuseppe Cocchiara. A quest’ultimo, d’altronde, va ascritto il merito di aver reso possibile che la tradizione inaugurata da Pitrè e interrottasi bruscamente nel 1916, anno in cui morirono – nel breve volgere di poche settimane – tanto lo stesso Pitrè (21/12/1841 – 10/04/1916) quanto Salomone Marino (08/12/1847 – 17/03/1916), trovasse nuova linfa e si rivitalizzasse grazie al graduale richiamo alle nuove e più moderne acquisizioni che Cocchiara via via apprese nel corso del suo percorso di studi compiuto al di fuori dell’Isola e durante la frequentazione di personaggi di grande spessore, che si dimostrarono di cruciale interesse nel determinarne il relativo processo di maturazione intellettuale.

Giuseppe Cocchiara con la moglie ad Atene, 1959 (Archivio familiare Guido Cocchiara)

Giuseppe Cocchiara con la moglie ad Atene, 1959 (Archivio familiare Guido Cocchiara)

La tradizione di studi di Pitrè fu ancorata a posizioni tardoromantiche legate al mito di una presunta identità nazionale siciliana e a criteri positivistici di raccolta dei materiali. A lui si deve la fondazione di un importante trimestrale, diretto insieme all’amico e collega Salvatore Salomone Marino: l’«Archivio per lo studio delle tradizioni popolari», che tra il 1882 e il 1909 ospitò, accanto agli italiani, gli scritti di alcuni tra i maggiori studiosi internazionali di folklore, da Max Müller a Paul Sebillot, da José Leite de Vasconcellos a Thomas Frederick Crane, da Friedrich Salomon Krauss a Henri Gaidoz, solo per citare alcuni nomi tra i più noti. Inoltre, Pitrè fu anche autore dei venticinque volumi della celebre collana «Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane», che compendia, in un arco temporale che va dal 1871 al 1913, lo studio delle varie sfaccettature del folklore dell’Isola, dai canti alle poesie popolari, dalle fiabe ai proverbi, dagli usi e costumi alla medicina popolare.

Sebbene, sin dagli esordi, Cocchiara riconobbe Pitrè come modello indiscusso di riferimento, è altrettanto evidente che il suo processo di maturazione scientifica lo allontanò progressivamente dalle posizioni del medico palermitano. Se, difatti, l’approccio originario fu di tipo romantico-positivista, nella sua fase più matura Cocchiara giunse ad allinearsi lungo coordinate di ispirazione storicista, mediate in Italia soprattutto dall’opera e dal pensiero di Benedetto Croce. Ciò avvenne dopo aver comunque attraversato un’importante fase di adesione ai canoni teorico-metodologici dell’evoluzionismo britannico, susseguentemente alla decisiva esperienza di studi compiuta a Oxford, a cavallo tra gli anni venti e trenta del Novecento.

Cocchiara a Venezia in occasione del IV Congresso Nazionale Arti e Tradizioni popolari, 1940  (Archivio familiare Guido Cocchiara)

Cocchiara a Venezia in occasione del IV Congresso Nazionale Arti e Tradizioni popolari, 1940 (Archivio familiare Guido Cocchiara)

Nel complesso, pur non avendo intrapreso, nel corso della sua carriera, un percorso orientato alla ricerca sul campo, a differenza ad esempio di quanto negli stessi anni praticava Ernesto de Martino nelle regioni del sud Italia, Cocchiara ha rappresentato un sicuro punto di riferimento nel panorama italiano degli studi demologici ed etnologici. Del resto, il contributo offerto dallo studioso siciliano spazia su diversi contesti. Esso comprende un meritorio impegno di organizzatore, tanto di importanti appuntamenti – tra tutti, il i Congresso Nazionale delle tradizioni popolari, nel 1929 – quanto di istituzioni destinate a fare la storia della museografia antropologica italiana: a Cocchiara, infatti, va riconosciuto l’onere di aver recuperato le collezioni etnografiche che erano state raccolte da Pitrè e di aver dato loro una casa, all’interno del Museo Etnografico Siciliano di Palermo. Ma il merito di Cocchiara concerne soprattutto l’aver dato vita a una serie di pubblicazioni che, ancora oggi, rappresentano delle sicure basi di partenza per chi voglia accostarsi alla storia degli studi delle discipline demoetnoantropologiche e all’analisi della cultura popolare della metà del secolo scorso.

L’impegno etnografico di Cocchiara, come detto, non fu mai contraddistinto da una tensione rivolta alla ricerca sul campo. Utilizzando una locuzione spesso adottata per descrivere l’attività svolta dall’antropologo scozzese James George Frazer, Cocchiara fu più che altro un ‘etnologo da tavolino’. Tuttavia, seppe progressivamente ritagliarsi uno spazio sempre più importante nell’ambito delle scienze umane italiane della seconda metà del secolo, fino a ottenere prestigiosi riconoscimenti, tanto di tipo accademico quanto non, oltre a ricevere attestazioni di stima e di merito, anche all’estero. Solo per citare alcuni esempi, nel 1959 Cocchiara ottenne la laurea honoris causa in Lettere da parte dell’Università di Atene e, ancor oggi, risultano numerose e prestigiose le traduzioni della sua opera più nota: quella Storia del folklore in Europa che, risalente nella sua prima edizione al 1952, è tuttora un punto di riferimento internazionale per la storiografia di settore, come dimostra la recente traduzione in turco, datata 2017.

Giuseppe Cocchiara, 1927

Giuseppe Cocchiara, 1927

Non è un caso, pertanto, se si sia scelto di focalizzare lo sguardo su una fase ben precisa della biografia di Cocchiara, fin dal titolo dell’opera categorizzata come ‘gli anni della formazione’. Un periodo, a dire il vero, piuttosto lungo, durato almeno un ventennio e che, dagli esordi come autore di brevi bozzetti di folklore locale, nel 1922, lo condusse gradualmente verso una maturità di pensiero coincisa, nel dopoguerra, con la pubblicazione delle più importanti monografie e l’istituzionalizzazione accademica, grazie all’ottenimento dell’ordinariato universitario. Su quest’ultima parentesi della sua biografia molto è stato scritto, sin dagli scorsi anni settanta e penne certamente più illustri e prestigiose nel corso degli anni ne hanno indagato il ruolo e il contributo offerto nel settore degli studi di storia del folklore e dell’etnologia. Di conseguenza, è parso quasi naturale soffermarsi sulla cosiddetta fase giovanile dello studioso, coincidente con il processo di sviluppo del relativo pensiero. Tale scelta risponde alla duplice consapevolezza che, da un lato, l’enorme mole di documentazione archivistica cui si è accennato risulta in gran parte poco nota e quasi del tutto inedita; dall’altro lato, perché si è convinti che le stesse posizioni assunte e veicolate durante la maturità possano essere meglio comprese soltanto dopo aver fatto maggior chiarezza attorno a vicende – anche lontane nel tempo – che contraddistinsero la biografia dell’antropologo.

Grazie a un ampio utilizzo di fonti archivistiche di prima mano e, spesso, inedite, si è tentato di ricavare un prospetto quanto più delineato possibile, relativamente a questo interessante quanto prolungato arco della vita di Cocchiara. In particolare, la suddivisione in capitoli, all’interno della quale si è cercato di individuare dei nuclei tematici ben definiti, pur nel rispetto di un criterio cronologico che fosse il più possibile lineare, ha consentito l’individuazione di alcune fasi fondamentali di tale percorso biografico.

All’interno del primo capitolo ci si è così soffermati sulle iniziali esperienze di ricerca e sugli iniziali, decisivi, rapporti epistolari (primo, tra tutti, quello con l’etnografo Raffaele Corso), che condussero Cocchiara alla stesura di un paio di libri sussidiari destinati agli studenti delle scuole elementari e complementari, oltre a indurlo a compiere una necessaria esperienza di studio presso la città di Firenze. La parentesi trascorsa nel capoluogo toscano sarà contraddistinta da una straordinaria frenesia: in questa fase, collaborerà con un numero imprecisato di testate giornalistiche, con periodici locali e nazionali e, soprattutto, pubblicherà una quantità notevole di monografie, con una cadenza pressoché annuale. Come si vedrà, non sempre tali lavori potranno dirsi ben riusciti. Anzi, lo stesso Cocchiara, nella maturità, tenderà a ripudiare la propria produzione giovanile4. Non per questo, tuttavia, alcuni suoi interessi dell’epoca, come quello manifestato per le forme del teatro popolare in Sicilia5 o per l’opera legislativa di Federico ii6, meritano di cadere nel dimenticatoio. Al contrario, una riscoperta di tali lavori risulta oggi fondamentale per una più adeguata comprensione del percorso intellettuale intessuto dallo studioso in questa parentesi primigenia della sua attività.

Giuseppe Cocchiara, 1932

Giuseppe Cocchiara, 1932

Oltretutto, i contatti instaurati in questi anni divennero fondamentali nel corso del periodo immediatamente successivo, durante il quale, nel breve volgere di pochi mesi, Cocchiara si trovò ad affrontare delle esperienze molto importanti, sebbene avare di soddisfazioni. Il 1929, anno di svolta nel suo percorso biografico, si configurò come un momento di crescita determinante. I fallimenti susseguenti alla pubblicazione di un volume scritto con la collaborazione dell’etnomusicologo Francesco Balilla Pratella7 e all’organizzazione del I° Congresso Nazionale delle tradizioni popolari, svoltosi nel maggio di quell’anno a Firenze, costituiscono oggetto di approfondimento del secondo capitolo del presente volume. Fu, questa, una fase in cui Cocchiara dovette far fronte a delusioni e attriti interpersonali, a critiche per i lavori svolti e a momenti di isolamento dal punto di vista professionale.

Come spesso accade nella vita, tuttavia, se debitamente indirizzati e correttamente canalizzati, anche i momenti di peggior sofferenza possono tradursi in un’opportunità di crescita o, quantomeno, di rottura rispetto a un passato ingeneroso. Più o meno qualcosa di simile, come si vedrà nel terzo capitolo, accadde a Cocchiara negli ultimi mesi di quel 1929. Grazie al supporto rappresentato dallo storico delle religioni Raffaele Pettazzoni, infatti, l’antropologo siciliano colse l’occasione per abbandonare un ambiente divenutogli improvvisamente alieno e trasferirsi per qualche mese a Oxford. Nella cittadina britannica avrebbe frequentato nuovi personaggi e contesti culturali e, di conseguenza, avrebbe avuto modo di assimilare con calma gli errori del recente passato e maturare una più consapevole gestione del proprio impegno di ricerca, giungendo alla pubblicazione di tre monografie8 in grado di sancirne il passaggio da interessi meramente folklorici a più moderne attenzioni verso questioni e approcci etnoantropologici.

Durante l’esperienza oltremanica, Cocchiara si avvicinò a principi e metodi tipici dell’evoluzionismo britannico. Ma, come approfondito nel capitolo iv, nello stesso periodo frequentò anche circoli culturali e ambienti pervasi dall’ideologia fascista, in quegli anni rappresentata in Gran Bretagna dalla presenza di numerosi docenti italiani. Tra questi, certamente in contatto molto ravvicinato con Cocchiara furono Cesare Foligno e Camillo Pellizzi. Queste frequentazioni e un giovanile entusiasmo per gli ideali ruralisti e neoimperialisti del regime condussero lo studioso siciliano ad aderire alle posizioni assunte dal governo mussoliniano durante i primi anni trenta e ad accettare la possibilità di una collaborazione con il periodico «Critica fascista». La succitata esperienza, unitamente alla recente pubblicazione delle monografie scritte in seguito all’esperienza di studio condotta a Oxford, gli sarebbero valsi, nel 1932, l’ottenimento della libera docenza in Letteratura e tradizioni popolari. Di fatto, iniziava per Cocchiara un percorso accademico che, pur vissuto a lungo in forma precaria, sarebbe stato condotto per oltre un trentennio.

Giuseppe Cocchiara, 1935

Giuseppe Cocchiara, 1935

Il quinto capitolo si soffermerà, invece, sull’impegno museografico. Partendo dalla ricostruzione del contesto ambientale e storico dell’epoca, si giungerà a porre in rilievo quali istanze e quali strategie Cocchiara mise in atto allo scopo di riorganizzare e riallestire le collezioni museali raccolte, in decenni di attività, da Pitrè. Per giungere a questo si ricostruirà, in breve, il tessuto culturale all’interno del quale il medico palermitano svolse la propria opera, a partire dal difficile rapporto con Lamberto Loria, a sua volta protagonista di notevoli sforzi finalizzati all’apertura, a Roma, di un museo etnografico nazionale. Nella prima metà degli anni trenta, Cocchiara fece di tutto per raccogliere l’eredità di Pitrè anche dal punto di vista della valorizzazione del patrimonio materiale custodito all’interno del Museo Etnografico Siciliano, struttura che, dalla morte di Pitrè, risalente al 1916, viveva una condizione di semiabbandono. La riapertura del museo, avvenuta nel 1935 nella rinnovata veste della Casina Cinese presso il Parco della Favorita costituì senza dubbio uno dei maggiori successi di Cocchiara, una delle sue opere meglio riuscite.

Gli anni immediatamente successivi costituirono una fase di profonda riflessione, resa possibile sia da uno spontaneo processo di maturazione personale sia dagli stimoli provenienti dall’esterno e rappresentati dal confronto con figure intellettuali aperte a nuovi indirizzi di ricerca e ad approcci teorici per Cocchiara inediti. I rapporti epistolari intessuti con Raffaele Pettazzoni e Giulio Bertoni, ad esempio, costituirono un impulso straordinario a una maggiore ponderazione dei propri lavori, così come la lettura delle opere di Croce e de Martino, che lo instradarono verso una progressiva adesione ai canoni dello storicismo. Il sesto capitolo proverà a far luce su tali intrecci e sul conseguente dissolvimento della presenza dell’evoluzionismo nella produzione di Cocchiara. Ciò avverrà attraverso l’analisi di alcuni suoi scritti e, in particolare, di cinque saggi ospitati dalla rivista «Lares» tra il 1936 e il 19409 e della successiva raccolta intitolata Genesi di leggende 10. Quindi, si vedrà quanto il ruolo di Bertoni nei contributi di Cocchiara aventi per oggetto lo studio della poesia popolari sia stato determinante nel configurare quella sorta di svolta epistemologica che ne caratterizzerà l’attività di ricerca negli anni a cavallo del secondo conflitto mondiale.

Giuseppe Cocchiara, 1940

Giuseppe Cocchiara, 1940

Proprio a questi anni saranno rivolte le attenzioni del settimo e ultimo capitolo del volume, a partire dalla controversa esperienza di collaborazione con il periodico «La difesa della razza», fino a giungere all’incontro con l’antropologo George R. Gayre, ufficiale al seguito dell’esercito britannico, grazie al cui impegno l’Università di Palermo vivrà una stagione di grandi novità e un complessivo ringiovanimento del corpo docente. Tra le altre cose, infatti, nei mesi immediatamente successivi allo sbarco alleato nell’isola, l’ateneo palermitano registrerà l’introduzione di nuovi insegnamenti e la nascita di un Istituto di Antropologia sociale affidato alla cura dello stesso Cocchiara. L’esperienza alla guida dell’istituto rappresenterà l’avvio di un profondo e radicale rinnovamento, oltre che l’inizio di una brillante carriera, durante la quale otterrà la stabilizzazione universitaria e, con la pubblicazione delle sue opere maggiori, alcuni prestigiosi riconoscimenti, anche a livello internazionale.

La presente opera contiene anche una breve appendice metodologica, comprendente poche ed essenziali considerazioni concernenti il ruolo degli archivi degli etnologi nella ricostruzione della storiografia della disciplina e su quanto, finora, sia stato fatto in ambito italiano. Infine, seguirà una bibliografia degli scritti di Cocchiara, strumento che vuol essere un supporto alla conoscenza di quanto realizzato dallo studioso in oltre quarant’anni di ricerche, confluite in pubblicazioni monografiche, in saggi ospitati da periodici e in brevi articoli destinati a quotidiani, sia locali che nazionali. Bibliografia che, unita a tutto l’apparato di riflessioni che la precedono, intende essere anche un utile chiavistello necessario ad aprire uno spiraglio di luce di fronte a una parentesi della vita dell’etnologo siciliano, ricompresa tra il 1922 e il 1945, tanto tortuosa nel suo svolgimento quanto fondamentale per la comprensione degli sviluppi futuri della sua carriera universitaria e dei relativi percorsi di studio e di ricerca. 

Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2023 
[*] Il testo costituisce l’Introduzione al volume di Alessandro D’Amato Tortuosi percorsi. Giuseppe Cocchiara negli anni della formazione (1922-1945), in stampa presso le Edizioni Museo Pasqualino. Si pubblica per gentile concessione dell’Editore. 
Note
[1] «Giornale di Sicilia».
[2] G. Cocchiara, Gli studi delle tradizioni popolari in Sicilia. Introduzione alla storia del folklore italiano, R. Sandron, Palermo-Roma 1928: 46.
[3] P. Toschi, Il folklore italiano, «Il Resto del Carlino», 3 agosto 1926: 3.
[4] Il termine «ripudiare» è testualmente riportato nel verbale della Commissione giudicatrice che, nel 1949, proclamerà Cocchiara come uno dei tre vincitori per il primo concorso bandito in Italia per la cattedra di Storia delle tradizioni popolari (all’epoca denominata “Letteratura delle tradizioni popolari”).
[5] G. Cocchiara, Le vastasate. Contributo alla storia del teatro popolare, R. Sandron, Palermo 1926.
[6] G. Cocchiara, Federico II legislatore e il Regno di Sicilia, Bocca, Torino 1927.
[7] G. Cocchiara, L’anima del popolo italiano nei suoi canti, con un’Appendice di musiche popolari vocali di tutte le regioni d’Italia, compilata e commentata da F. Balilla Pratella, Hoepli, Milano 1929.
[8] G. Cocchiara, The lore of the Folk-Song. A paper read to the Oxford University Italian Club at Christ Church, Oxford on May 12th 1930, University Italian Club, Oxford 1932; Id., La leggenda di Re Lear. Saggio d’una interpretazione etnologica del gruppo novellistico “sacrificio del figlio minore”, Bocca, Torino 1932; Id., Il linguaggio del gesto, Bocca, Torino 1932.
[9] G. Cocchiara, Sopravvivenze dei sacrifici umani nelle superstizioni italiane dei tesori nascosti, «Lares», vii, 2, giugno 1936: 112-120; Id., ‘Come si nasce’. Sopravvivenze delle credenze primitive sulla maternità nelle tradizioni popolari, «Lares», vii, 4, dicembre 1936: 269-275; Id., Sopravvivenze protostoriche e storiche nelle tradizioni popolari siciliane, «Lares», viii, 4, dicembre 1937: 280-292; Id., La moglie di Lot, «Lares», ix, 5, ottobre 1938: 337-350; Id., Una superstizione dei fumatori e un giuoco popolare fanciullesco, «Lares», xi, 1, febbraio 1940: 23-30.
[10] G. Cocchiara, Genesi di leggende, G.B. Palumbo, Palermo 1940.

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Alessandro D’Amato, dottore di ricerca in Scienze Antropologiche e Analisi dei Mutamenti Culturali, vanta collaborazioni con le Università di Roma e Catania. Oggi è funzionario demoetnoantropologo presso il Ministero della Cultura. Esperto di storia degli studi demoetnoantropologici italiani, ha al suo attivo numerose pubblicazioni sia monografiche che di saggistica. Insieme al biologo Giovanni Amato ha dato alle stampe il volume Bestiario ibleo. Miti, credenze popolari e verità scientifiche sugli animali del sud-est della Sicilia (Editore Le Fate 2015). Ha curato il volume Cocchiara e l’Inghilterra. Saggi di giornalismo etnografico (Dipagina edizioni, 2015). L’ultima sua pubblicazione è un contributo al volume collettaneo Il carrubo è l’uomo (edizioni Abulafia, 2022).

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